Cons. Stato, Sez. IV n. 5045 del 20 settembre 2012
Urbanistica. Illegittimità diniego permesso di costruire fabbricati ad uso agricolo da adibire a magazzino e deposito di prodotti olivicoli.

E’ illegittimo il diniego del Comune per il rilascio del permesso di costruire per fabbricati ad uso agricolo da adibire a magazzino e deposito di prodotti olivicoli. La norma urbanistica, laddove consente espressamente l’effettuazione di interventi edilizi diretti alla realizzazione degli impianti e servizi necessari alla silvicoltura o alla olivicoltura, alla migliore utilizzazione del bosco o dell’oliveto o, comunque, alla loro conservazione, valorizzazione e sviluppo non può che avere al centro della propria attenzione tutte le strutture funzionali alla concreta possibilità di esercitare l’attività di olivicoltore, che già in punto di principio, come enucleabile sempre dalla stessa, non è incompatibile con una destinazione urbanistica agricola tutelata, quale quella “EOL” prevista dalla strumento urbanistico vigente del Comune. Possono definirsi “…attività connesse all’agricoltura…” (art. 2135 c.c., nel testo introdotto dal D.Lgs. 18 maggio 2001 n. 228) le attività che, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, siano dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda, normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione e di ospitalità, come definite dalla legge. La giurisprudenza ha già avuto modo di precisare che la “…attività connessa…” dell’imprenditore agricolo deve restare sempre collegata all’attività dal medesimo esercitata in via principale, mediante un vincolo di strumentalità o complementarietà funzionale, in assenza del quale essa non rientra più nell’esercizio normale dell’agricoltura ed assume, invece, il carattere prevalente od esclusivo dell’attività commerciale o industriale. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 05045/2012REG.PROV.COLL.
N. 09538/2011 REG.RIC.
N. 09540/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9538 del 2011, proposto dalla: Societa' Agricola Mascio S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. prof. Aristide Police ed Antonio Bartolini, con domicilio eletto presso il primo di detti difensori, in Roma, via di Villa Sacchetti, n. 11;
contro
il Comune di Trevi, non costituito in giudizio;

sul ricorso numero di registro generale 9540 del 2011, proposto dal:
Comune di Trevi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Massimo Marcucci, con domicilio eletto presso l’avv. Antonio Campagnola, in Roma, via Lutezia, n. 8;
contro
Societa' Agricola Mascio S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. prof. Antonio Bartolini ed Aristide Police, con domicilio eletto presso il secondo di detti difensori, in Roma, via di Villa Sacchetti, n. 11;
per la riforma
quanto ad entrambi i ricorsi n. 9538 del 2011 e n. 9540 del 2011:
della sentenza del T.A.R. Umbria - Sezione I - n. 102 del 31 marzo 2011, resa tra le parti, concernente diniego di permesso di costruire fabbricati ad uso agricolo da adibire a magazzino e deposito di prodotti olivicoli, nonché risarcimento dei danni.
Visti entrambi i ricorsi in appello ed i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Societa' Agricola Mascio S.r.l. nel ricorso n. 9540 del 2011;
Viste le memorie difensive presentate dalle parti in entrambi i giudizi;
Visti tutti gli atti di entrambe le cause;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2012 per entrambi i giudizi il Cons. Guido Romano e uditi per le parti gli avvocati Antonio Bartolini e Massimo Marcucci;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO
1. - Con il primo dei ricorsi in epigrafe è appellata dall’Agricola Mascio s.r.l. (di seguito, per brevità: la Società) la sentenza n. 102 del 31 marzo 2011 del TAR Umbria con la quale è stato dichiarato improcedibile il ricorso (principale) proposto per l’annullamento del provvedimento del Comune di Trevi n. 15227 del 1° ottobre 2009 che, in relazione alla domanda della stessa Società di costruire fabbricati ad uso agricolo da adibire a magazzino e deposito di prodotti olivicoli, ha dichiarato improcedibile la stessa, disponendone l’archiviazione; sono stati, invece, accolti i motivi aggiunti presentati per l’annullamento del provvedimento del Comune di Trevi n. 19384 del 10 dicembre 2009; è stata, infine, rigettata la domanda di risarcimento danni.
I motivi di impugnazione proposti sono così rubricati:
a)- error in judicando ; travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti;
b)- error in judicando ; falsa e/o erronea applicazione dell’art. 2135 del codice civile;
c)- error in judicando; difetto di motivazione; travisamento dei fatti ed erroneità dei presupposti in relazione al rigetto della domanda risarcitoria proposta dalla ricorrente.
Il Comune di Trevi, pur ritualmente evocato, non si è costituito in giudizio.
All’udienza pubblica del 12 giugno 2012 l’appello è stato assegnato in decisione.
2. - Con il secondo degli appelli in epigrafe il Comune di Trevi ha anch’esso chiesto la riforma della citata sentenza n. 102 del 2011 del TAR Umbria proponendo motivi di impugnazione così rubricati:
a)- error in judicando; illegittimità, erroneità, ingiustizia della sentenza; illogicità e contraddittorietà della sua motivazione; contrasto tra parte motiva e dispositivo; violazione di legge;
b)- difetto di motivazione ed incompleta ricostruzione dei fatti;
c)- illogicità, erroneità, contraddittorietà della motivazione; contrasto tra parte motiva e parte dispositiva;
d)- erronea ricostruzione dei fatti e degli elementi di diritto;
e)- violazione di legge; mancato accertamento dei presupposti dell’art. 31 delle N.T.A.;
f)- error in judicando;
g)- violazione e/o erronea interpretazione di legge; erroneità della sentenza gravata nella parte riguardante il mancato accoglimento delle eccezioni di difetto di interesse a ricorrere, nonché difetto di interesse e/o legittimazione ad agire.
La Società si è costituita in giudizio con memoria con la quale ha argomentato in ordine all’infondatezza delle tesi svolte da controparte, chiedendo, conclusivamente, il rigetto dell’appello.
All’udienza pubblica del 12 giugno 2012 l’appello è stato assegnato in decisione.
3. - Gli appelli in epigrafe debbono essere riuniti ai fini di un’unica decisione sugli stessi, in applicazione della norma del comma 1 dell’art. 96 del C.P.A., investendo la medesima sentenza del medesimo Giudice territoriale.
4. - Prima di procedere all’esame dei motivi di impugnazione articolati con entrambi gli appelli in esame, giova riassumere brevemente, in punto di fatto, l’intera vicenda cui mette capo la decisione da adottarsi nella fattispecie.
4.1 - Detta vicenda prende le mosse dalla domanda di permesso di costruire (di seguito, per brevità: pdc) presentata dalla Società ed avente ad oggetto la “realizzazione di locali ad uso agricolo da adibire a magazzino e depositi prodotti agricoli”, con annesse tavole di progetto specificanti la destinazione dei volumi previsti in locale attrezzi di mq. 97,00 mq.; locale magazzino di 97 mq.; locale stoccaggio olive 123 mq.; ufficio vendita 23,50 mq; locale imbottigliamento olio di 46,53 mq.
4.2 - Con ricorso al TAR Umbria (n. 279 del R.G. del 2008) la Società impugnava la nota prot. 6234 del 23 aprile 2008 del Comune di Trevi che, ex art. 10-bis l. 241/90, preavvisava la Società che il progetto edilizio non era meritevole accoglimento perché “…l’intervento è classificabile come edificazione e non come impianto o servizio per la silvicoltura o olivocoltura…”; perché “…non viene rispettata la distanza minima dal ciglio stradale pari a mt. 10…”; perché la zona è regolata dall’art. 31 delle NTA al PRG di Trevi che vieta la realizzazione di ogni intervento a carattere edificatorio, ad eccezione del recupero del patrimonio edilizio esistente e di “…interventi mirati alla realizzazione degli impianti e servizi necessari alla silvicoltura ed alla olivicoltura…”.
Con motivi aggiunti a detto ricorso veniva impugnata anche la nota prot 10509 del 3 luglio 2008 dello stesso Comune di Trevi che, sulla base del verbale n° 8 del 17 aprile 2008 della Commissione comunale per la qualità architettonica ed il paesaggio, confermava il diniego di pdc per le stesse ragioni già indicate relativamente alla qualificazione effettiva delle opere (nuova edificazione e non come impianto o servizio per la silvicoltura o olivicoltura) e di contrasto con l’art. 31 delle NTA, abbandonando, conseguentemente il terzo dei rileievi mossi circa la distanza minima dal ciglio stradale.
4.3 - Con sentenza n° 56 del 26 febbraio 2009 l’adito Giudice territoriale dichiarava improcedibile il ricorso introduttivo perché il secondo provvedimento impugnato con i motivi aggiunti aveva superato il primo.
Accoglieva, invece, detti motivi aggiunti, perché -premesso che il provvedimento impugnato risultava motivato esclusivamente sul rilievo che sussistesse il divieto ex art. 31 NTA di nuove costruzioni in zona Eol e che la questione da decidere fosse, dunque, se le opere previste dal progetto rientrassero tra quelle assentibili ex art. 31 citato perché riguardanti “impianti e servizi necessari nella specie alla olivilcoltura “- evidenziava, dapprima, che nel provvedimento contestato non si negava che la ricorrente fosse un’impresa agricola e non si affermava che le caratteristiche delle opere fossero diverse da quelle descritte nel progetto (magazzino e deposito olivicoli); affermava, poi, che i magazzini come quelli previsti dal progetto rientravano nella definizione di “impianti e servizi necessari alla coltivazione del fondo, essendo “…dato di comune esperienza…” che un’azienda agricola non può essere utilmente gestita se non possieda adeguati locali per il rimessaggio dei mezzi agricoli, dei concimi, delle sementi, delle derrate e quant’altro, ivi compresi prodotti finiti destinati alla vendita. Affermava, ancora, che la relativa attività “…può ben essere esercitata direttamente dal produttore, salvo eventuali autorizzazioni specifiche diverse da quelle edilizie, nei locali stessi…”, concludendo che il provvedimento impugnato “…è stato adottato in violazione del citato articolo 31 delle NTA al PRG o quanto meno con difetto di motivazione sul punto…”, per cui v’era l’obbligo del Comune di provvedere nuovamente “…dandosi carico di valutare se le caratteristiche oggettive dell’opera in progetto, in correlazione con quelle dell’azienda agricola, rientrino o meno nella previsione dell’art. 31…”.
4.4 - Decorrevano, inutilmente i termini per l’impugnazione in appello di detta sentenza e rimaneva inevasa la diffida ad adempiere al giudicato notificata dalla Società al Comune di Trevi per cui la Società adiva il Giudice dell’ottemperanza per vedere eseguito il dictum di detta sentenza, nonché per la declaratoria di nullità per violazione del giudicato di due nuovi provvedimenti di diniego emanati il 1° ottobre 2009 ed il 10 dicembre stesso anno. In particolare, con il primo di detti provvedimenti (prot. 15227 del 1° ottobre 2009) il Comune prendeva atto della sentenza n° 56/2009 ed affermava, per un verso, che “…l’intervento sfora l’indice di edificabilità, in rapporto ai terreni di proprietà dell’impresa, ponendolo come intervento non realizzabile…” e, per altro verso, chiedeva chiarimenti sulla qualità del proprietario delle aree, se persona fisica o giuridica, concludendo che “…la richiesta di riesame è improcedibile…”. Con il secondo provvedimento (prot. 19384 del 10 dicembre 2009) riteneva il locale di imbottigliamento dell’olio non assentibile perché la relativa attività fuoriuscirebbe dall’ambito di “attività connesse alla olivocoltura”; affermava che l’intero complesso, pur se di “…volume quasi completamente ipogeo…”, salvo fronte strada, per un’altezza di 4,00 mt. ed una lunghezza di 40 mt., ”…risulta per la sua omogeneità e dimensione particolarmente impattante…”.
4.5 - Con sentenza n. 147 del 1° marzo 2010 l’adito Giudice dell’ottemperanza rigettava il ricorso sulla base di motivazione che può essere così riassunta:
- nella sentenza n° 56 del 2009 il Giudicante avrebbe soltanto affermato la legittimità delle richiesta di costruire “…i magazzini…” rientrando essi nella nozione di “…impianti e servizi…”, di cui all’art. 31 delle NTA, perché l’imprenditore agricolo deve avere i mezzi per esercitare direttamente la sua attività aziendale, e cioè locali adatti a contenere anche i suoi “…prodotti finiti…”; conseguentemente, il riesame imposto all’Amministrazione avrebbe come contenuto soltanto l’ambito sopra delineato ed il primo dei nuovi provvedimenti emanati (15227 del 1° ottobre 2009) sarebbe “…del tutto estraneo alla portata del giudicato che si pretenderebbe eluso giacché quest’ultimo nulla dice circa gli indici di edificabilità ed il loro rispetto nel caso che qui interessa..”;
- il secondo di detti nuovi provvedimenti (n. 19384 del 10 dicembre 2009) non contrasterebbe con la sentenza eseguenda perché, avendo chiarito TAR in quali limiti e condizioni potessero realizzarsi nuove costruzioni in zona agricola ex art. 31 NTA, ben avrebbe ritenuto il Comune che il locale previsto per l’imbottigliamento dell’olio, riguardando, “…alla luce della comune esperienza…”, attività “…di natura essenzialmente artigianale od industriale, a seconda della dimensione…”, non rientrerebbe nella portata dell’art. 31 citato e, dunque, sarebbe argomento non rientrante nel giudicato; stessa estraneità al giudicato, infine, sussisterebbe in relazione all’affermazione del Comune che tutta l’opera sarebbe “…particolarmente impattante…”.
4.6 - Impugnata in appello detta sentenza, il relativo mezzo processuale sperimentato dalla Società è stato rigettato con decisione assunta da questo stesso Collegio nell’odierna camera di consiglio, costituendo gli atti sopravvenuti, pei quali in detta sede è stata richiesta la declaratoria di nullità, nuove ed autonome manifestazioni dell’Autorità amministrativa rese possibili dalla non univoca motivazione della sentenza fatta oggetto del ricorso per l’ottemperanza.
5. - Tutto ciò premesso, ritiene il Collegio che dei due appelli in epigrafe debba essere esaminato per primo, in ordine logico, quello proposto dal Comune di Trevi, investendo esso quasi totalmente la decisione assunta dal primo Giudice, diversamente da quello della Società che, invece, chiede la riforma della stessa sentenza soltanto nelle parti in cui ha escluso l’illegittimità della statuizione comunale che ha ritenuto non assentibile il locale per l’imbottigliamento dell’olio ed ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni.
6. - Procedendo, dunque, nell’ordine indicato, osserva il Collegio che nessuno dei motivi di impugnazione dedotti dal Comune può essere condiviso per le seguenti considerazioni.
6.1 - Il Giudice di primo grado ha ritenuto “…certamente in contrasto con l’ordinaria razionalità…” che, il Comune di Trevi, dopo avere valutato non rientrante nella portata dell’art. 31 delle NTA la piccola parte dell’edificio costruendo destinata all’imbottigliamento dell’olio prodotto dalla Società, abbia poi negato il richiesto permesso di costruire per l’intero progetto presentato dalla Società, che, doveva essere, invece, accolto “…parzialmente o condizionatamente, ovviamente ricorrendone le restanti condizioni…”.
Ha soggiunto, con ulteriore statuizione, che il provvedimento impugnato con i motivi aggiunti “…non trova poi giustificazione nell’apodittica affermazione che l’edificazione in discorso, considerata nel suo insieme, sarebbe particolarmente impattante…” perché, in disparte il rilievo che “…la valenza precettiva di una simile affermazione appare a dir poco dubbia …”, comunque essa costituirebbe “…un mero obiter dictum e non una motivata ragione di diniego…”, del tutto insufficiente a sorreggere la determinazione negativa assunta.
Ha concluso, quindi, il TAR affermando, per un verso, che “…il porre l’accento su di una minimale ed emendabile difformità del progetto dall’inerente normativa per respingerlo in toto, irragionevolmente, appare piuttosto un pretesto a servizio di preferenze estetiche lese da quell’imprecisato ed indeterminato impatto…” e che, per altro verso, l’Amministrazione ben avrebbe potuto “…impartire, naturalmente ove consentitole dall’inerente normativa, precise disposizioni al riguardo (circa la sagoma, i materiali, i colori, le eventuali schermature arboree etc…) accogliendo il progetto sub condicione, oppure respingendolo, ma in maniera tale da consentire al privato di ripresentarlo adeguatamente modificato…”.
6.2 - Con il primo dei motivi di impugnazione articolati, riguardante la decisione del TAR relativa alla parte del contestato diniego di pdc inerente il locale “imbottigliamento olio”, l’appellante Comune ha denunziato l’error in judicando in cui sarebbe incorso il TAR, nonché i vizi di illegittimità, erroneità ed ingiustizia della sentenza, oltre che di illogicità e contraddittorietà della sua motivazione e contrasto tra la parte motiva ed il dispositivo, in quanto ha sostenuto che, avendo l’ente evidenziato nel provvedimento del 10 dicembre 2009, “…con chiara ed ampia motivazione…” le ragioni del diniego opposto con riferimento a detto locale di “imbottigliamento olio”, e cioè il suo contrasto con l’art. 21 delle NTA, la Società appellata non avrebbe “…fatto buon uso del potere concessole…” di partecipazione al procedimento, per cui non potrebbe “…dolersi oggi della valutazione resa dalla Pubblica Amministrazione, la quale si è trovata a riesaminare più volte la stessa pratica edilizia senza che il progetto originario subisse alcuna modifica in ordine al locale imbottigliamento…”.
Il motivo é inammissibile poiché concerne punto di decisione non lesivo dell’interesse dell’Amministrazione, avendo il Giudice di prima istanza rigettato il ricorso in parte qua e, quindi, ritenuto legittimo il diniego opposto dall’Amministrazione stessa alla parte del progetto concernente il più volte citato locale.
E’ palese, in breve, il difetto di ogni interesse dell’appellante all’impugnazione di un profilo della decisione a lui completamente favorevole.
6.3 - Palesemente infondato è, invece, il secondo motivo di impugnazione, alla stregua del quale la sentenza in esame sarebbe viziata per difetto di motivazione ed incompleta ricostruzione dei fatti, in quanto il TAR avrebbe sostanzialmente operato soltanto “…una verifica settoriale di conformità o meno della parte dell’edificio destinata all’imbottigliamento dell’olio con la normativa di riferimento, trascurando di verificare poi la portata di tale accertata incompatibilità sull’intero fabbricato oggetto del progetto…”.
Ed invero, un’attenta e piana lettura della motivazione resa della contestata sentenza evidenzia come il Giudice di prime cure abbia compiutamente espresso le ragioni per le quali ha ritenuto “…certamente in contrasto con l’ordinaria razionalità…” che, il Comune di Trevi, dopo avere correttamente valutato come non rientrante nella portata dell’art. 31 delle NTA la piccola parte dell’edificio costruendo destinata all’imbottigliamento dell’olio prodotto dalla Società, abbia, poi, rigettato l’intero progetto presentato dalla stessa Società, che poteva essere, invece, accolto “…parzialmente o condizionatamente, ovviamente ricorrendone le restanti condizioni…”.
Basta, infatti, in proposito fare riferimento alle argomentazioni sviluppate nei capi di motivazione della sentenza impugnata n. 6, 7, 8 e 9, che il Collegio pienamente condivide, non potendosi revocare in dubbio:
- per un verso, la sproporzione, non solo logica, dell’incidenza negativa assegnata dal Comune ad una minima parte del progetto stesso (il locale imbottigliamento olio), rispetto alla complessiva opera in progetto da assentire;
- per altro verso, l’effettiva vacuità ed ininfluenza sostanziale dell’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato di una valenza “…particolarmente impattante…” del progetto nel suo complesso, stante che la locuzione utilizzata è indeterminata non soltanto in sé stessa, ma anche con riguardo allo scopo cui doveva eventualmente essere preordinata, allo stato inesistente, non essendosi curato l’ente di precisare in rapporto a cosa l’impatto sarebbe a tal punto “…particolare…” da porsi in insuperabile contrasto con le norme vigenti;
- per altro verso, ancora, che, effettivamente, l’impugnato diniego non è altro che “…un pretesto a servizio di preferenze estetiche…” , come ben ha osservato dal TAR, tenuto conto della possibilità dell’Autorità comunale (non esercitata) di dettare, se veramente necessarie, eventuali prescrizioni migliorative del progetto che siano effettivamente funzionali alla migliore realizzazione dei manufatti ed integrazione degli stessi nel territorio.
6.4 - Né può indurre ad avviso diverso, da quello negativo sin qui espresso nei confronti delle tesi sviluppate dall’appellante Comune, il terzo dei motivi di impugnazione, poiché è insussistente l’asserito contrasto tra le sentenze n. 56 del 2009 e n. 147 del 2010 alla stregua delle medesime argomentazioni già sviluppate nel capo di motivazione che precede, relativamente al già evidenziato contrasto “…con l’ordinaria razionalità…” dell’assegnazione ad una parte minima del progetto (46 mq) di una forza invalidante dell’intero progetto di 400 mq.
In sintesi, l’aver affermato il TAR nella citata sentenza n. 147 del 2010 che la parte di progetto relativa al “..locale imbottigliamento dell’olio…” non è assentibile ex art. 31 delle NTA, con ciò ritenendo legittima la determinazione assunta sul punto dal Comune, non è in alcun modo in contrasto con la successiva decisione di ritenere la restante e del tutto prevalente parte del progetto assentibile in virtù della stessa norma, rimontando la differenziazione operata da detto Giudice alla razionale applicazione del contenuto della norma stessa, laddove essa consente, con formula inequivoca, come meglio sarà chiarito nei capi di decisione che seguiranno, di ritenere edificabili i locali progettati per il ricovero di macchinari, derrate e quant’altro necessario all’olivicoltura.
6.5 - Non coglie nel segno, poi, neppure la quarta delle critiche mosse alla sentenza in esame, di erronea ricostruzione dei fatti e degli elementi di diritto, poiché le opere edilizie progettate, così come espressamente funzionalizzate, possono ritenersi tutte perfettamente rientranti tra quelle realizzabili ex art. 31 delle N.T.A.
Detta norma urbanistica, per quel che qui interessa, prevede per la citata “…zona EOL…” , nella quale rientrano le aree dell’Azienda, ben vero il divieto di ogni intervento a carattere edificatorio, ma “…fatta eccezione per quelli destinati al recupero del patrimonio edilizio esistente o diretti alla realizzazione degli impianti e servizi necessari alla silvicoltura o alla olivocoltura, alla migliore utilizzazione del bosco o dell’oliveto o, comunque, alla loro conservazione, valorizzazione e sviluppo…”.
Alla stregua di tale chiara ed inequivoca disposizione derogatoria è, innanzi tutto, necessario chiarire che il principio generale di inedificabilità nelle “…zone EOL…” di impianti o servizi, così come ricavabile dalla stessa disposizione, non è assoluto, ma relativo, in quanto nelle ipotesi da essa espressamente individuate, e soltanto in quelle, tale divieto non sussiste, come già ben chiarisce la sua formulazione letterale.
Occorre allora verificare, concretamente, se nelle tipologie individuate sia o meno riconducibile il complesso edilizio progettato dall’appellata Società.
La difesa dell’ente afferma che il progetto si configurerebbe “…come una costruzione complessa, ma unitaria, di notevoli dimensioni, che nulla ha a che vedere con la nozione di impianti e servizi previsti dalla norma…”, esulando essa, “…dal punto di vista strutturale e funzionale, dall’ambito di operatività della normativa richiamata…”.
La tesi va rigettata, perché non è revocabile in dubbio, con riferimento ovviamente alla parte di decisione di primo grado qui contestata dall’appellante, che le opere edilizie progettate riguardino l’edificazione di strutture tutte direttamente connesse e necessarie all’attività di olivicoltura, quali i previsti locali per attrezzi, magazzino, stoccaggio ed ufficio vendita, come peraltro già indicava con precisione la domanda di permesso di costruire presentata dalla Società appellata, intestata “…realizzazione di locali ad uso agricolo da adibire a magazzino e deposito prodotti agricoli…”.
La norma urbanistica, in breve, laddove consente espressamente l’effettuazione di interventi edilizi diretti alla realizzazione degli impianti e servizi necessari alla silvicoltura o alla olivicoltura, alla migliore utilizzazione del bosco o dell’oliveto o, comunque, alla loro conservazione, valorizzazione e sviluppo non può che avere al centro della propria attenzione tutte le strutture funzionali alla concreta possibilità di esercitare l’attività di olivicoltore, che già in punto di principio, come enucleabile sempre dalla stessa, non è incompatibile con una destinazione urbanistica agricola tutelata, quale quella “EOL” prevista dalla strumento urbanistico vigente nel Comune di Trevi.
E’ da disattendere, dunque, l’affermazione fatta dall’Autorità amministrativa nel provvedimento impugnato che “…la normativa riguarda e sottende esclusivamente alla salvaguardia dell’uliveto in quanto tale (patrimonio naturalistico ambientale estremamente di pregio tanto da assimilarlo ed uniformarlo al bosco…”, in quanto, in disparte l’erroneità della piena assimilazione delle due fattispecie individuate dalla norma (olivicoltura e silvicoltura), peraltro soltanto affermata, ma non spiegata, non avrebbe alcun senso l’eccezione (di edificazione) espressamente formulata dalla norma, anche in funzione della valorizzazione e dello sviluppo dell’attività olivicolturale, se quest’ultima avesse, effettivamente, soltanto uno scopo meramente conservativo della condizione naturale dell’uliveto.
Peraltro, la stessa affermazione si pone anche in contraddizione con altra pure effettuata nello stesso provvedimento, con la quale è stato, invece, correttamente evidenziato come la norma consenta la realizzazione di impianti e servizi necessari alla olivicoltura, anche per la migliore utilizzazione, valorizzazione e sviluppo dell’uliveto e non soltanto per la sua conservazione.
Consegue che la sentenza del primo Giudice va confermata per la parte qui contestata, così come perimetrata dai motivi di impugnazione concernenti la decisione di detto Giudice sui progettati locali di rimessa attrezzi, magazzino, stoccaggio ed ufficio, risultando condivisibile l’avviso del primo Giudice di illegittimità del diniego di pdc impugnato, siccome contrastante con la norma, per la fattispecie in esame espressamente abilitativa, dell’art. 31 delle NTA al PRG del Comune di Trevi.
6.6 - Con il quinto motivo di impugnazione l’appellante Comune sostiene che il Giudice di prima istanza sarebbe incorso in violazione di legge per il mancato accertamento dei presupposti dell’art. 31 delle NTA, non avendo effettuato “…alcuna indagine tesa a verificare la sussistenza, nel caso di specie, del nesso di strumentalità ed accessorietà tra costruzione in zona EOL e l’esigenza dell’olivicoltura, così come previsto…” da detta norma urbanistica, e così come chiarito dalla giurisprudenza che ha interpretato “…le attività connesse…”, contemplate dall’art. 2135 del codice civile, per definirne “…la connotazione attinente all’agricoltura…”.
Neppure tale critica coglie nel segno, sia per le ragioni già esposte nei capi di motivazione che precedono circa l’effettiva valenza prescrittiva della norma urbanistica più volte citata, sia anche alla luce della giurisprudenza formatasi proprio in tema di interpretazione dell’art. 2135 del codice civile.
Ha avuto già modo di chiarire, infatti, questa Sezione (cfr. C.d.S., sez. IV, n. 885 del 16 febbraio 2010) che possono definirsi “…attività connesse all’agricoltura…” (art. 2135 c.c., nel testo introdotto dal D.Lgs. 18 maggio 2001 n. 228) le attività che, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, siano dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda, normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione e di ospitalità, come definite dalla legge.
Più in particolare, ha ulteriormente precisato questa Sezione:
- che la parte del nuovo articolo 2135 del codice civile riferita alle cosiddette "…attività connesse all’agricoltura…" non costituisce un’ulteriore definizione che si aggiunge alle fondamentali, ma sta proprio ad indicare che esse attività non possono essere esercitate da soggetti diversi dall'imprenditore agricolo che esercita una o più delle attività di coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento di animali; infatti, il nuovo secondo comma della norma in esame inizia proprio affermando che le attività in essa subito dopo elencate si intendono sempre "connesse", allorquando sono svolte dall'imprenditore agricolo che esercita le attività di coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento di animali, essendo esse, secondo la predetta elencazione, quelle "….dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione…" dei prodotti;
- che detta norma ha, poi, precisato, proprio con riferimento ai prodotti, che le attività connesse, come prima elencate, devono avere "…ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali…";
- che il legislatore ha introdotto il concetto di "…prevalenza…", fino ad ora presente in una parte della legislazione riferita alle attività agricole e mai esplicitato chiaramente per consentire all'imprenditore agricolo di agire sul mercato per acquistare prodotti da destinare alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, sempreché non siano prevalenti rispetto a quelli ottenuti dall'imprenditore attraverso la coltivazione del fondo o del bosco e l'allevamento di animali e integrino il prodotto originario al fine di realizzare un migliore prodotto finale;
- che la giurisprudenza ha già avuto modo di precisare che la suddetta “…attività connessa…” dell’imprenditore agricolo deve restare sempre collegata all’attività dal medesimo esercitata in via principale, mediante un vincolo di strumentalità o complementarietà funzionale, in assenza del quale essa non rientra più nell’esercizio normale dell’agricoltura ed assume, invece, il carattere prevalente od esclusivo dell’attività commerciale o industriale(cfr. Cons. Stato, IV^ Sez., 12 ottobre 1999 n. 1555; 14 maggio 2001 n. 2669; VI^ Sez., 6 marzo 2007 n. 1051);
- che, allorquando l’attività della cui connessione con un’attività propriamente agricola si discute abbia in concreto dimensioni tali (anche nell’ambito della medesima impresa) che la rendono principale rispetto a quella agricola, deve escludersi il carattere agricolo dell’attività stessa (Cass. 6 giugno 1974 n. 1682, ripresa da Cons. Stato, VI^ Sez., n. 1051 del 2007 citata).
Orbene, facendo applicazione di tale indirizzo giurisprudenziale, che il Collegio condivide, non può non risultare ulteriormente illegittimo il diniego opposto dal Comune di Trevi alla Società qui appellata, non soltanto con riferimento alla parte di opere già ritenute dal primo Giudice perfettamente conformi alla norma urbanistica più volte citata con motivazione già condivisa nel capo di decisione che precede n. 6.5, ma anche con riguardo al locale destinato all’imbottigliamento dell’olio (46 mq), siccome anch’esso rientrante nelle “attività connesse all’agricoltura”, che, nella fattispecie, sono considerate rilevanti anche dal “Manuale D.O.P. Umbria”, approvato e pubblicato con Regolamento CE 2325/97 (in GUCE n. 322 del 25/11/1997), alla stregua del quale l’appellata Società, secondo dichiarazione resa dalla stessa appellata e non smentita allo stato degli atti, ha già ottenuto la qualifica di “produttore di olio extra vergine di oliva DOP”.
Né a diverso avviso possono indurre le opposte affermazioni fatte in proposito dal primo Giudice per rigettare su tale punto il ricorso della Società, in questa sede parte appellata, in quanto nessuna norma di “comune esperienza” sancisce che l’olivicoltore che direttamente molisce le proprie olive ed imbottiglia il relativo olio ottenuto, per tale ultima attività sia sempre qualificabile imprenditore artigianale od industriale, specialmente allorquando detta attività di imbottigliamento faccia parte, come nella specie, di un ciclo produttivo garantito con il marchio di massima qualità riconosciuto dall’ordinamento interno e comunitario.
L’attività di imbottigliamento anzidetta da parte del produttore di olio extra vergine di oliva DOP, come la qui appellata Società, è ben ascrivibile tra le “attività connesse all’agricoltura”, e quindi rientranti nello spettro applicativo dell’art. 31 delle NTA al PRG del Comune di Trevi, sempre che, come nella fattispecie in esame, essa attività sia l’ultimo segmento della produzione propria dell’olivicoltore e, dunque, l’imbottigliamento sia effettuato sempre ed esclusivamente per l’olio prodotto direttamente dall’olivicoltore stesso sui terreni della propria Azienda.
In sintesi, l’imbottigliamento dell’olio direttamente da parte dello stesso produttore delle olive, ancor più se già facente parte delle Aziende con marchio DOP, come nel caso della Società appellata, non è, come già evidenziato, vietato in punto di principio e, dunque, può non essere assentita la relativa e strumentale richiesta edilizia soltanto a seguito di una concreta e puntuale verifica delle dimensioni dell’attività di imbottigliamento, rispetto alle altre attività dell’azienda agricola, che dimostri che la prima sia prevalente rispetto alle altre e, dunque, si caratterizzi per la sua autonomia e rilevanza dominante che è peculiarità riconducibile ad una vera e propria attività artigianale od industriale.
Infine, giova osservare che, nella fattispecie, le piccole dimensioni del manufatto edificando (46 mq) certamente non denotano l’intenzione della Società di impiantare un opificio industriale, ma soltanto di poter completare al meglio il procedimento di produzione dell’olio, così da rendere ancor più aderente al disciplinare l’attività di produzione di olio DOP, già riconosciutole dalla Regione Umbria.
6.7 - Per le stesse ragioni già espresse nel capo di motivazione che precede n. 6.3 è, altresì, infondato anche il sesto motivo di appello concernente l’asserito error in judicando che avrebbe commesso il TAR laddove ha valutato come del tutto “…apodittica…” la parte di motivazione del diniego impugnato che ha ritenuto “…particolarmente impattante…” il progetto edilizio in questione.
Infatti, non può non rimarcarsi, in proposito:
- per un verso, la vacuità ed ininfluenza sostanziale dell’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato di una valenza “…particolarmente impattante…” del progetto nel suo complesso, stante che la locuzione utilizzata è indeterminata non soltanto in sé stessa, ma anche con riguardo allo scopo cui deve essere preordinata, non essendosi curato l’ente di precisare in rapporto a cosa l’impatto sarebbe a tal punto “…particolare…” da porsi in insuperabile contrasto con le norme vigenti;
- per altro verso, che il diniego è, a ben vedere, “…un pretesto a servizio di preferenze estetiche…”, come ben osservato dal TAR, tenuto conto della possibilità dell’Autorità comunale di dettare, qualora consentite dalle norme vigenti, eventuali prescrizioni migliorative del progetto che siano effettivamente necessarie e funzionali alla migliore realizzazione dei manufatti ed integrazione degli stessi nel territorio.
6.8 - Infine, nessun pregio può essere riconosciuto all’ultimo dei motivi di appello, concernente l’asserita erroneità della sentenza in esame laddove ha rigettato le eccezioni del Comune “…di difetto di interesse a ricorrere….” in capo alla Società qui parte appellata, nonché di “…difetto di interesse e/o legittimazione ad agire, in capo alla stessa Società.
Sorreggono, infatti, la relativa decisione negativa le stesse ragioni già espresse dal TAR circa la sufficienza, a tale fine, della qualità di “affittuaria” della ricorrente (di primo grado) sin dal 27 aprile 2007 e della circostanza che nel relativo contratto è espressamente prevista, in deroga alla norma dell’art. 16 della legge n. 203 del 1982, la facoltà del conduttore di eseguire opere di miglioria, ivi comprese quelle relative ad infrastrutture produttive, comunque volte al potenziamento tecnico-produttivo dell’azienda.
E’ errato, quindi, sostenere, come fatto dall’appellante Comune, che l’affittuario agricolo avrebbe titolo a richiedere il pdc soltanto per il miglioramento dei fabbricati rurali e della casa di abitazione, così come sostenere l’inopponibilità del contratto di locazione all’Amministrazione.
6.9 - In conclusione, l’appello del Comune di Trevi merita di essere rigettato, essendo risultate infondate, per tutte le considerazioni svolte, tutte le critiche con esso mosse alla sentenza appellata che, dunque, va in parte qua confermata.
7. - Con il secondo degli appelli in epigrafe, la Società, già ricorrente in prime cure, critica la sentenza impugnata nelle sole parti in cui il TAR ha riconosciuto legittimo il diniego di edificazione di un locale per imbottigliamento dell’olio prodotto dalla stessa Azienda, così come previsto in progetto, ed ha rigettato la domanda di risarcimento danni.
7.1 - Quanto alla prima delle anzidette domande giudiziali, ritiene il Collegio che, ai fini del totale accoglimento della stessa, sia sufficiente richiamare tutte le considerazioni svolte nel capo di decisione n. 6 che precede e, in particolare, la motivazione rassegnata nel sub capo 6.6, proprio in relazione alla non condivisibilità delle conclusioni negative raggiunte sul punto dal TAR.
Consegue che, in riforma della sentenza impugnata, nella sola parte reiettiva della pretesa avanzata dalla Società ricorrente, deve essere integralmente accolta la domanda di annullamento proposta in prime cure dalla Società stessa, ivi compresa, dunque, quella concernente l’annullamento della parte di diniego relativa al locale di 46 mq destinato all’imbottigliamento dell’olio, sempre che quest’ultimo sia esclusivamente prodotto dalla stessa Azienda con le olive coltivate nei propri terreni.
7.2 - Fondata, infine, è anche la domanda di risarcimento danni nei limiti di seguito indicati.
La società sostiene di avere subito danni economici specifici per effetto dei provvedimenti emanati dal Comune di Trevi e li quantifica:
- in euro 9.900,00 a titolo di affitto di appositi locali, dotati delle caratteristiche prescritte dalle vigenti normative, dove collocare il prodotto finito a seguito della molitura delle olive raccolte nella stagione 2011;
- in euro 225, 94 per maggiori costi di trasporto (gasolio ed usura mezzi);
- in euro 364,80 per manodopera;
- in euro 20.000,00 per “spese future” che dovranno essere sostenute “ a titolo pubblicitario”.
Osserva il Collegio come l’onere della concreta dimostrazione dei danni subiti sia stato assolto dall’appellante Società soltanto per la spesa di affitto di locali per cui è esclusivamente in relazione a tale voce che questo Collegio può, in riforma della sentenza impugnata, liquidare il danno patito dalla Società, con tutti gli accessori di legge.
Per le restanti voci non può non disporsi, invece, il rigetto delle relative richieste, in assenza di idonea prova al riguardo.
8. - In conclusione, l’appello proposto dal Comune di Trevi deve essere rigettato, mentre l’appello proposto dalla Società Agricola Mascio s.r.l. può essere accolto, salvo per parte delle pretese risarcitorie (v. sopra), e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado della predetta Società deve essere interamente accolto quanto alla richiesta di annullamento, con rinvio al citato Comune per l’immediata esecuzione della presente sentenza, alla stregua di tutta la motivazione della presente sentenza, con ovvia inibizione al Comune soccombente di reiterare profili di motivazione già ritenuti illegittimi.
Della domanda di risarcimento si è già detto.
9. - Quanto alle spese di entrambi i giudizi sia di primo grado sia di appello, ritiene il Collegio che sussistano giusti motivi per compensarle integralmente tra le parti, tenuto conto della complessiva vicenda contenziosa e del tempo dal quale essa si protrae, nonché dell’esito dell’altro giudizio per l’ottemperanza pure deciso da questo stesso Collegio (negativamente per la Società) nella medesima camera di consiglio
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sugli appelli n. 9538 del 2011 e n. 9540 del 2011, come in epigrafe proposti:
- dispone la riunione di detti appelli ex art. 96, comma 1, del C.P.A.;
- accoglie l’appello n. 9538 del 2011 e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie integralmente il ricorso di primo grado circa la pretesa di annullamento;
- respinge l 'appello n. 9540 del 2011.
- accoglie la domanda di risarcimento danni, nei modi e nei limiti indicati in motivazione, e condanna, per l’effetto, il Comune di Trevi al pagamento della relativa somma, come liquidata.
Spese di entrambi i giudizi compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Sergio De Felice, Consigliere
Guido Romano, Consigliere, Estensore
Andrea Migliozzi, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE



DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/09/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)