Consiglio di Stato Sez. VI n. 2051 del 1 marzo 2024
Beni culturali.Imposizione da parte del comune di regole costruttive e standard stilistici ed estetici su immobili non vincolati

Il Comune può conformare l’attività edilizia privata ai fini di sicurezza e salubrità dell’abitato, di decoro del contesto urbano e di tutela ambientale e paesaggistica, e quindi può certamente imporre, anche per immobili non sottoposti a specifico vincolo storico culturale, non solo regole costruttive ma anche standard stilistici ed estetici secondo modelli tradizionali volti a confermare l’identità del contesto urbano, ma non può sovrapporvi immotivate interpretazioni estetiche soggettive avulse dal contesto di riferimento né ostacolare (in mancanza di uno specifico vincolo in tal senso) la naturale evoluzione tecnico-scientifica dei materiali e delle lavorazioni.

Pubblicato il 01/03/2024

N. 02051/2024REG.PROV.COLL.

N. 06717/2017 REG.RIC.

N. 06718/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6717 del 2017, proposto dal Condominio Lodi in Fiore, in persona dell’Amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Claudio Linzola, Paola Ramadori, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Paola Ramadori in Roma, via Marcello Prestinari 13;

contro

Comune di Lodi, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Umberto Fantigrossi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Signor Alessandro Colombo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Alessandra Clerici, con domicilio eletto presso il suo studio in Milano, via Mauro Macchi, 58;


sul ricorso numero di registro generale 6718 del 2017, proposto dal medesimo Condominio, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato;

contro

Signor Alessandro Colombo, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato;
Comune di Lodi, in persona del Sindaco pro tempore, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato;

per la riforma

quanto al ricorso n. 6717 del 2017:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per La Lombardia (sezione Seconda) n. 632/2017;

quanto al ricorso n. 6718 del 2017:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale Per La Lombardia (sezione Seconda) n. 1211/2017.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Lodi del signor Alessandro Colombo;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 4 dicembre 2023 il Cons. Raffaello Sestini e uditi per le parti gli avvocati Claudio Linzola, Umberto Fantigrossi e Alessandra Clerici in collegamento da remoto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 – Vengono all’esame del Collegio due appelli concernenti gli sviluppi nel tempo di una medesima complessa vicenda contenziosa essenzialmente riferita ai rapporti di vicinato fra il ricorrente di primo grado, proprietario di una singola unità immobiliare di un edificio posto nel medesimo comprensorio, ed il Condominio odierno appellante, che era intervenuto ad adiuvandum in primo grado ed è legittimamente subentrato nel rapporto processuale in grado d’appello a seguito del conferimento del proprio immobile, da parte della Cooperativa edilizia ricorrente, ai singoli condomini, divenuti in tal modo contitolari delle parti comuni (il tetto) interessate dalle opere in contestazione. I due appelli possono pertanto essere agevolmente riuniti e decisi nel senso del riconoscimento della libertà privata volta ad ottenere, anche mediante soluzioni progettuali innovative e di green economy, la massima utilità dei propri beni edilizi nei soli limiti previsti dalla legge a tutela del superiore interesse ad un ordinato sviluppo urbanistico rispettoso dell’interesse pubblico generale della Comunità, restando preclusa ogni ulteriore o diversa considerazione soggettiva o “estetica” riferita ai rapporti proprietari di vicinato, che non possono motivare domande meramente emulatorie attinenti il predetto momento di controllo pubblico e che vengono, comunque, fatti salvi dall’attività provvedimentale degli uffici pubblici potendo trovare, se del caso, tutela davanti ad altro giudice.

2 – Le pregresse considerazioni si attagliano, come si vedrà, al contenzioso in esame, che prendeva avvio quando la Cooperativa Lodi in fiore s.c.a.r.l., proponeva ricorso contro il Comune di Lodi, con l'intervento ad adiuvandum del Condominio Lodi in fiore e ad opponendum del signor Alessandro Colombo, per l'annullamento dell’ordinanza comunale n. 502 del 2 dicembre 2010 che, a seguito di esposti di terzi, le aveva intimato di rimuovere «la struttura pilastrata e coperta poggiante sopra parte dell’ultima soletta dell’edificio in adiacenza al corpo scale» ed il «rivestimento in gres porcellanato» dell’edificio in corso di costruzione.

2.1 - Tutte le parti producevano memorie e, a seguito dell’udienza pubblica del 28 febbraio 2017, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) dichiarava in parte improcedibile il ricorso per la cessazione della materia del contendere, in quanto medio tempore, in data 16 maggio 2013, il Comune di Lodi aveva rilasciato permesso di costruire in sanatoria quanto alla realizzazione di un locale tecnico sopra la copertura piana dell’edificio, e in parte lo respingeva, quanto all’ordine di remissione in pristino del rivestimento della facciata in gres porcellanato. Il Tribunale di primo grado riteneva, infatti, che l’applicazione di tale rivestimento fosse avvenuta in contrasto con l’art. 5.5 delle NTA del PEEP “Albarola”, condannando la società ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in €. 1.500 in favore del Comune di Lodi.

2.3 - La predetta sentenza veniva impugnata dal Condominio Lodi in fiore (interessando l’ordinanza di ripristino parti comuni dell’edificio) con il primo degli appelli indicati in epigrafe.

2.4 - Successivamente il signor Colombo impugnava anche il sopra indicato permesso di costruire in sanatoria, che veniva annullato dal TAR all’esito di una complessa e articolata motivazione concernente la violazione della convenzione edilizia di riferimento, dopo aver riunito e dichiarato inammissibile –per profili sostanzialmente procedurali riferiti alle modalità di impugnazione degli effetti di una DIA- anche un ulteriore gravame del medesimo ricorrente avverso la successiva DIA presentata dalla Cooperativa «Lodi in Fiore» ed avente ad oggetto la realizzazione di un “tetto giardino” sulla sommità del medesimo immobile.

2.5 – In entrambi i giudizi d’appello si costituivano il Comune di Lodi e il sig. Alessandro Colombo e vi era ampio scambio di memorie fra le parti. Il Condominio appellante chiedeva inoltre la trattazione congiunta dei due appelli.

3 - La domanda da ultimo indicata deve essere accolta, con la conseguente riunione dei due appelli, in ragione della loro identità soggettiva e della loro evidente connessione oggettiva.

4 – Con il primo dei due gravami in epigrafe, il Condominio appellante deduce in primo luogo che Il TAR di Milano ha omesso di delibare compiutamente il primo motivo di ricorso, con cui si è dedotta la formazione del silenzio assenso sulle denunce di inizio attività presentate dalla cooperativa ricorrente, sua dante causa, secondo la disciplina di cui all’art. 23, comma 1 del DPR n. 380/2001.

4.1 - Il TAR si sarebbe infatti limitato a statuire che l’art. 5.5 delle norme tecniche di attuazione dell’approvato PEEP prescriveva che “per gli edifici da realizzare sono (…) vincolanti i seguenti elementi compositivi, decorativi e di finitura, come indicati alla tav. 11 (…): utilizzo di intonaci esterni e tinteggiature tradizionali, in alcune parti con disegni a bugna orizzontale, non stilata” ritenendo che tale disciplina, “preordinata ad assicurare il decoro architettonico per tutti gli immobili inclusi nel piano” , fosse stata “correttamente assunta dall’Amministrazione quale termine di paragone della conformità dei lavori eseguiti”, senza che potesse peraltro rilevare la dedotta violazione dell’art. 34 del TU Edilizia, in quanto il procedimento ripristinatorio è stato condotto come se quanto realizzato fosse difforme dal titolo, mentre così non sarebbe.

4.2 - In secondo luogo l’appellante deduce l’erronea valutazione, da parte del TAR, del terzo mezzo di gravame, con il quale la Cooperativa ricorrente invocava l’illegittimità dell’ordinanza n°502 in quanto la realizzazione di parte della copertura esterna in gres porcellanato doveva dirsi compatibile con l’art. 5.5 delle NTA del PEEP.

Infatti, l’art. 5.5 del PEEP prescrive l’«utilizzo di intonaci esterni e tinteggiature tradizionali, in alcune parti con disegni a bugna orizzontale, non stilata». E quindi facoltizzerebbe l’uso, in alcune parti – nel caso odierno la parte inferiore dell’edificio - di disegni a bugna orizzontale, che ben possono essere ottenuti mediante l’uso di un rivestimento in pietra rustica, piana o liscia. L’opera sarebbe stata, perciò, eseguita correttamente poiché il rivestimento, nella parte bassa dell’edificio, è realizzato in piastrelle di gres ceramico (60 x 30 cm), sporgenti 0,7 centimetri dal muro, posate con il lato lungo parallelo al suolo in modo da realizzare, appunto, disegni a bugna orizzontale, non “stilata”. Donde la conformità del rivestimento dei muri perimetrali dell’edificio.

4.3 - A tale ultimo riguardo il Comune replica, con propria memoria, che la sentenza appellata è meritevole di conferma in quanto la norma di piano invocata dal Comune di Lodi a sostegno del provvedimento impugnato in primo grado, impone l’utilizzo di “intonaci esterni e tinteggiature tradizionali” e quindi ciò che rileva nella fattispecie in esame non sarebbe il mero “disegno” (o effetto finale), come pretenderebbe controparte, ma la natura e consistenza del materiale utilizzato ed il gres porcellanato non rientrerebbe certamente tra i materiali tradizionali.

4.4 – Pertanto, conclude il Comune, posto che la norma di piano invocata a sostegno del proprio provvedimento impugnato in primo grado impone l’utilizzo di “intonaci esterni e tinteggiature tradizionali” diversi da quelli impiegati, il richiamato passaggio della sentenza impugnata sarebbe rilevante anche ai fini della valutazione dell’infondatezza del primo motivo d’appello, nella parte in cui contesta che il TAR abbia pronunciato “senza, tuttavia, nulla scrivere quanto ai poteri che spettano all’A.c. nel caso in cui l’intervento realizzato sia conforme alla DIA ma (in ipotesi) difforme dalle NTA del Piano attuativo” in quanto al contrario la sentenza di primo grado, nel rilevare che la difformità rispetto alla previsione della norma tecnica fosse “palese”, avrebbe implicitamente, ma chiaramente, riconosciuto che, in quanto il contenuto tipico della DIA è l’asseverazione della conformità dell’intervento alla disciplina edilizia e urbanistica, ove la violazione della norma sia palese, vi è anche difformità dalla DIA stessa. Da qui il letterale e corretto richiamo all’art. 23, comma 1, del DPR 380/2001, da leggersi in combinato disposto con l’art. 21, comma 1, della Legge n. 241/90 e s.m.i., il cui secondo periodo espressamente dispone che: “in caso di dichiarazioni mendaci o di false attestazioni non è ammessa la conformazione dell’attività e dei suoi effetti”.

4.5 – Analoghe considerazioni vengono svolte dall’interveniente sig. Alessandro Colombo, in qualità di proprietario di un appartamento nella palazzina adiacente, secondo il quale “non rileva la disciplina inerente il c.d silenzio assenso posto che nella fattispecie, la dichiarazione di conformità contenuta nella DIA era palesemente priva di fondamento”. Infatti, secondo il signor Colombo “come correttamente statuito dal Collegio di primo grado, la previsione è chiarissima nel vincolare il progettista rispetto ad alcuni elementi compositivi, decorativi e di finitura che non prevedono l’utilizzo del gres porcellanato come accaduto nel caso di specie”. Il medesimo ritiene pertanto che il ricorso in appello sia da respingere “in quanto improponibile, inammissibile e, comunque, infondato”, con ogni conseguente statuizione.

5 –Ai fini della decisione il Collegio, premessa la indubbia improcedibilità del ricorso di primo grado quanto alla copertura del tetto, stante il sopravvenuto provvedimento impugnato con l’altro ricorso di primo grado in esame, considera preliminarmente che il secondo motivo d’appello, come sopra sintetizzato, deve essere esaminato per primo alla stregua di un criterio di efficacia sostanziale della tutela giurisdizionale, in quanto il suo accoglimento statuirebbe la conformità del rivestimento utilizzato dal Condominio precludendo ulteriori atti del Comune al riguardo.

5.1 – Il motivo in esame risulta fondato sotto il profilo della irragionevolezza dell’intervento comunale alla stregua dei principi di sussidiarietà, di proporzionalità e di adeguatezza che devono guidare l’’esercizio dei poteri autoritativi limitativi della sfera di libertà personale e imprenditoriale ai sensi degli artt. 2, 41, 42 e 97 della Costituzione e delle corrispondenti previsioni del Trattato UE.

Il Comune può infatti conformare l’attività edilizia privata ai fini di sicurezza e salubrità dell’abitato, di decoro del contesto urbano e di tutela ambientale e paesaggistica, e quindi può certamente imporre, anche per immobili non sottoposti a specifico vincolo storico culturale, non solo regole costruttive ma anche standard stilistici ed estetici secondo modelli tradizionali volti a confermare l’identità del contesto urbano, ma non può sovrapporvi immotivate interpretazioni estetiche soggettive avulse dal contesto di riferimento né ostacolare (in mancanza di uno specifico vincolo in tal senso) la naturale evoluzione tecnico-scientifica dei materiali e delle lavorazioni.

5.2 - Il tale quadro, la previsione delle NTA, in quanto solo “preordinata ad assicurare il decoro architettonico per tutti gli immobili inclusi nel piano” è in questo caso rispettata mediante la resa estetica di “alcune parti” (quelle basse) della facciata “con disegni a bugna orizzontale non stilata” (motivo grafico del rivestimento a pietra non controverso fra le parti) secondo tecniche di “intonocazione e tinteggiatura “tradizionali”, tecniche che, notoriamente, includono l’utilizzo di parti in pietra, soprattutto per gli angoli (notoriamente più esposti ad usura) e per le parti vicine al suolo (notoriamente più esposte all’umidità) mediante pietra, tagliata e mantenuta allo stato naturale oppure ottenuta nella sua consistenza finale (così come accade per il gres porcellanato) mediante una terra cotta ad altissime temperature, ottenendosi in ogni caso un materiale, indipendentemente dalle sua modalità di preparazione (che non sono soggette a particolare vincolo -né potrebbero legittimamente esserlo in una libera economia di mercato), disponibile in plurime forme del tutto assimilabili, quanto a consistenza e aspetto estetico, alla pietra tradizionale, discendendone la palese irragionevolezza e l’indebita vessatorietà, apprezzabili da questo giudice indipendentemente da qualsiasi ambito di discrezionalità o di discrezionalità tecnica, della interpretazione data dal Comune alla prescrizione in esame.

5.3 – Come sopra indicato, l’accoglimento del secondo motivo d’appello rende non dirimente l’esame della prima censura, di ordine solo procedimentale, che risulta ugualmente fondata, ma il cui accoglimento, pur determinando ugualmente l’annullamento dell’atto impugnato in riforma dell’appellata sentenza, non potrebbe precludere un successivo motivato intervento in autotutela del Comune fondato sulla medesima pretesa difformità del rivestimento rispetto alle prescrizioni applicabili. La questione, per la sua rilevanza nel caso di specie, merita il seguente chiarimento: l’intervento pubblicistico impugnato in primo grado è intervenuto dopo il decorso del termine di legge che esaurisce lo spazio d’intervento del potere di controllo pubblico in sede di avvio dell’attività liberalizzata, fermi restando i poteri di controllo delle attività effettivamente svolte nel territorio a tutela della salute, della sicurezza e dell’ambiente. Ne consegue che al decorso del predetto termine l’Ente preposto (il Comune) potrà attivare il sopra richiamato potere di motivato intervento in autotutela previa ponderazione dei diversi interessi coinvolti, ma non potrà più intervenire sulla dichiarazione effettuata, salva la falsità degli atti (qui non solo non dimostrata ma neppure contestata), ovvero salvo che –alla stregua di un generale principio di buona fede e di tutela dell’affidamento- le omissioni o inesattezze della dichiarazione siano tali da aver precluso, alla stregua del principio costituzionale di buon andamento dell’amministrazione, un effettivo esercizio del potere di controllo entro il termine di legge, circostanza questa certamente assente nella fattispecie in esame, posto che la dichiarazione, pur attestando genericamente il rispetto delle prescrizioni comunali applicabili, evidenziava univocamente l’intenzione di utilizzare il tipo di rivestimento poi contestato dal Comune, ritenuto dallo stesso TAR “palesemente” difforme dalle prescrizioni ritenute applicabili e, quindi, facilmente rilevabile entro l’indicato termine di legge, che non può essere messo nel nulla salvo che le affermazioni, inesattezze o lacune della dichiarazione siano tali da impedire il tempestivo svolgimento del controllo pubblico.

6 – In conclusione, il primo degli appelli indicati in epigrafe risulta fondato con riferimento ad entrambi i motivi d’appello dedotti e deve essere pertanto accolto, discendendone per l’effetto, in riforma del capo della impugnata sentenza di primo grado, il parziale accoglimento nei termini sopraindicati del ricorso di primo grado, risultando il rivestimento utilizzato –e tardivamente contestato dall’amministrazione- pienamente compatibile con le prescrizioni sopra esaminate. La presente statuizione, al contrario, non incide sull’altro capo della impugnata sentenza di primo grado, che ha esattamente ritenuto il ricorso di primo grado improcedibile, in ragione del sopravvenuto rilascio del permesso di costruire in sanatoria, quanto alla realizzazione di un locale tecnico sopra la copertura piana del tetto dell’edificio.

7 – Il permesso di costruire da ultimo citato è stato impugnato, come sopra descritto, dal medesimo signor Colombo, che con ulteriore ricorso ha impugnato anche la successiva DIA dell’11 luglio 2013 presentata dalla Cooperativa «Lodi in Fiore» avente ad oggetto la «eliminazione del tetto a falde e la realizzazione di un tetto giardino». I due ricorsi sono stati riuniti e decisi dal TAR con la sentenza impugnata con il secondo degli appelli in epigrafe, che deve essere ora esaminato.

7.1 – In particolare, il secondo appello in epigrafe è riferito all’annullamento, da parte del TAR, del permesso in sanatoria rilasciato al medesimo condominio di cui al giudizio precedente per il locale tecnico sul lastrico solare. Il TAR, al contrario, con la medesima sentenza ha dichiarato inammissibile l’ulteriore ricorso avverso la successiva DIA volta alla realizzazione di un “tetto-giardino” sulla sommità del medesimo edificio.

7.2 - Il TAR ha accolto il primo ricorso sopraindicato con una complessa e articolata motivazione concernente la violazione della convenzione edilizia di riferimento.

7.3 – La predetta sentenza è stata appellata dal Condominio Lodi in fiore. Il Comune di Lodi è intervenuto ad adiuvandum. Il signor Colombo, ricorrente vittorioso in primo grado in parte qua, si è costituito nel giudizio d’appello ad opponendum. Le parti hanno ulteriormente messo a punto le rispettive difese mediante lo scambio di plurime memorie.

8 – In particolare il Condominio appellante, con l’intervento ad adiuvandum del Comune di Lodi, deduce plurimi motivi d’appello:

8.1 – in primo luogo, si contesta il mancato accoglimento della propria eccezione di primo grado concernente l’irricevibilità del ricorso per tardività, avendo il giudice di prime cure assunto che il termine per l’impugnazione del permesso di costruire in sanatoria del 16 maggio 2013, rilasciato alla Cooperativa Lodi in Fiore, non sarebbe decorso fino all’accesso agli atti del 24 luglio 2013.

A giudizio di parte appellante, al contrario, il ricorso avverso il permesso di costruire in sanatoria doveva essere notificato entro il termine di sessanta giorni dal rilascio del titolo.

Sotto altro profilo, la decisione del TAR sarebbe erronea per la parte in cui ha affermato che «il sig. Colombo ha dimostrato di aver appreso del rilascio del titolo in sanatoria soltanto il 24 luglio 2013, a seguito di accesso agli atti relativi all’immobile» in quanto si fonderebbe su di un documento depositato tardivamente rispetto all’udienza pubblica di trattazione del 15 gennaio 2016, a nulla rilevando l’intervenuto rinvio dell’udienza, su istanza della difesa dello stesso sig. Colombo, per consentire la trattazione congiunta con l’altro ricorso in epigrafe;

8.2 – si contesta, poi, la mancata valutazione dell’ulteriore eccezione di difetto di legittimazione attiva del ricorrente, in quanto lo stesso avrebbe comprovato la propria legittimazione mediante un deposito in atti irrimediabilmente tardivo dei documenti dai quali si sarebbe potuto evincere la vicinitas rispetto all’immobile cui si riferisce il permesso di costruire in sanatoria (certificato di residenza e copia dell’atto di acquisito);

8.3 – viene altresì dedotta la mancata considerazione dell’ulteriore eccezione di difetto di interesse all’annullamento del permesso di costruire in sanatoria del 16.5.2013, essendosi il TAR limitato ad un generico richiamo alla giurisprudenza che, in relazione all’impugnazione dei titoli edilizi, ritiene sufficiente il rapporto di vicinitas a fondare l’interesse al ricorso, senza peraltro esaminare il caso concreto;

8.4 – il TAR avrebbe comunque errato nel non accogliere il ricorso di controparte avverso la successiva DIA ed il silenzio provvedimentale formatosi su di essa, accogliendo però il precedente ricorso avverso il p.d.c. in sanatoria del 16.5.2013 senza accogliere l’eccezione di improcedibilità del Condominio, che sarebbe viceversa fondata, essendo stata la copertura dell’edificio, oggetto del permesso di costruire in sanatoria impugnato, successivamente modificata per effetto della citata successiva DIA dell’11 luglio 2013;

8.5 – infine, la sentenza appellata sarebbe erronea per la parte in cui ha accolto il primo motivo del ricorso di primo grado, in quanto il permesso di costruire in sanatoria impugnato legittimava la realizzazione di un locale tecnico, che avrebbe dovuto essere collocato dentro il sottotetto ma che, non essendo stato realizzato il sottotetto, si presentava quale volume autonomo ma solo quale locale tecnico destinato ad alloggiare gli impianti di ventilazione e quello solare termico, risultando escluso dal computo degli invocati parametri urbanistico-edilizi.

9 – Il signor Colombo, con proprie memorie, contesta puntualmente le sopra sintetizzate deduzioni. In particolare:

9.1 – quanto alla presunta tardività del proprio ricorso di primo grado, motivata dalla circostanza che il gravato permesso di costruire è stato rilasciato il 16 maggio 2013 ed il ricorso è stato notificato il 6 novembre 2013, il signor Colombo evidenzia che l’eccezione è già stata sollevata nell’ambito del giudizio di primo grado e respinta dal TAR che, del tutto correttamente, ha ritenuto tempestivo il ricorso. avendo il ricorrente avuto conoscenza del gravato permesso solo successivamente alla sua emissione, precisamente in data 24 luglio 2013, e dovendosi computare la sospensione feriale dei termini, che, epoca del ricorso, giungeva sino al 15 settembre.

Pretestuosa e infondata sarebbe l’ulteriore deduzione secondo cui il TAR avrebbe indebitamente affermato che “il sig. Colombo ha dimostrato di aver appreso del rilascio del titolo in sanatoria soltanto il 24 luglio 2013, a seguito dell’accesso agli atti relativi all’immobile” in quanto fondata su un documento depositato tardivamente, posto che l’udienza di trattazione del 15 gennaio 2016 –cui si riferirebbe la tardività- fu poi rinviata e che, comunque, il deposito del documento si era reso necessario solo a seguito della eccezione formulata dalla odierna appellante solo e soltanto nella memoria conclusiva mentre la difesa comunale non aveva mai sollevato tale rilievo;

9.2 – quanto alla censura della pronuncia di primo grado per la parte in cui il TAR ha ritenuto comprovata la legittimazione attiva dell’odierno appellato mediante la produzione di documenti che sarebbero stati invece depositati tardivamente, il signor Colombo ribadisce che l’udienza di trattazione del 15 gennaio 2016 fu rinviata al 28 febbraio 2017, risultando il deposito perfettamente in termini;

9.3 – quanto al terzo motivo di appello, volto ad eccepire la carenza di interesse in quanto il requisito della vicinitas non sarebbe di per sé sufficiente a radicare l’interesse all’impugnativa, il signor Colombo evidenzia i profili che radicherebbero il proprio interesse, citando inoltre la giurisprudenza che, così come statuito dal Collegio di prime cure, ritiene sufficiente la vicinitas ai fini del radicamento dell’interesse a ricorrere (Cons. di Stato, Sez. IV, 13.7.2011, n. 4268; e, da ultimo,

9.4 – quanto al quarto motivo di appello, volto a far valere il sopravvenuto difetto di interesse in capo all’appellato in considerazione della successiva DIA dell’11 luglio 2013 che prevede la realizzazione di una copertura piana, evidenzia il signor Colombo che il TAR ha ritenuto, del tutto correttamente, che la denuncia di inizio attività sopra citata fosse “un atto distinto e successivo rispetto al permesso di costruire in sanatoria”, che non solo non esauriva l’interesse a far valere l’illegittimità del precedente diverso titolo, ma che, al contrario, ne subiva le conseguenza, non potendo la nuova DIA operare se non sul presupposto della legittimità dello stato di fatto preesistente;

9.5 – quanto, infine, al merito dell’appello, le prescrizioni tecniche degli strumenti urbanistici vigenti circa le coperture a falda in cotto degli edifici avrebbero dovuto precludere il rilascio dell’avversato titolo in sanatoria.

10 – Ai fini della decisione, deve essere in primo luogo evidenziata l’infondatezza del primo, del secondo e del quarto motivo d’appello, volti a far valere la mancata valorizzazione, da parte del TAR, delle eccezioni concernenti profili di inammissibilità del ricorso di primo grado che, in realtà, si rivelano insussistenti. In particolare:

10.1 – il ricorso di primo grado non era tardivo, in quanto il termine di impugnazione di 60 giorni del titolo edilizio decorre dal momento della conoscenza dell’atto gravato da parte del ricorrente e, nella fattispecie considerata, in difetto di una notifica o comunicazione dell’atto al potenziale controinteressato e non essendo stata neppure provata la presenza di mezzi di pubblicità sul cantiere idonei a generare una presunzione di conoscibilità del titolo, l’appellante non ha potuto dimostrare una conoscenza anticipata del titolo edilizio rispetto alla data di sua acquisizione mediante domanda di accesso agli atti.

Neppure può rilevare, al fine di supportare l’eccezione procedurale in esame, la dedotta tardività del deposito degli atti relativi al predetto accesso, posto che l’invocato termine processuale per il deposito dei documenti, essendo potenzialmente limitativo di una piena tutela giurisdizionale, può trovare la propria ragione di essere -e deve pertanto essere interpretato- solo in relazione all’esigenza di garantire lo svolgimento di un giusto processo rispettoso delle prerogative di tutte le parti, di modo che il mancato rispetto del termine riferito allo svolgimento dell’udienza, con conseguente tardività del deposito, non poteva più avere alcun effetto a seguito del rinvio a nuova data che aveva consentito alle controparti un termine di valutazione ed eventuale risposta ampiamente superiore a quello minimo previsto, fermo restando che la circostanza dell’intervenuto accesso agli atti presso gli uffici comunali risultava comunque da atti pubblici facenti piena fede;

10.2 – ugualmente infondata è la documentata ma formalistica eccezione procedurale volta a contestare il difetto di legittimazione attiva del ricorrente a causa del tardivo deposito dei documenti volti ad attestarla (certificato di residenza e copia dell’atto di acquisito). Infatti, la legittimazione del ricorrente afferiva a sue specifiche qualità denotanti un suo non occasionale rapporto con il territorio interessato dall’intervento edilizio contestato, debitamente affermate in sede di impugnativa e risultanti da atti pubblici semplicemente depositati a comprova di una condizione di fatto e di diritto già sussistente al momento dell’impugnativa.

Al riguardo, viene altresì in rilievo la sentenza di questa Sezione n. 8352 del 15 settembre 2023 (impropriamente richiamata del signor Colombo con riferimento all’interesse ad agire anziché alla legittimazione al ricorso), la quale ha ritenuto che “nel caso in cui ad impugnare il titolo edilizio non sia il privato confinante (o un soggetto che si trovi in posizione analoga) il mero criterio della vicinitas in senso solo materiale non può di per sé radicare la legittimazione al ricorso” discendendone al contrario –osserva il signor Colombo, che nel caso di impugnativa avanzata dal proprietario confinante il requisito della vicinitas è di per sé sufficiente;

10.3 – infine, la dedotta improcedibilità discendente dalla successiva DIA è smentita dalla semplice considerazione che l’annullamento del permesso di costruire in sanatoria determinerebbe il carattere abusivo delle preesistenze sulle quali le opere oggetto di DIA erano destinate ad incidere, palesando delicati profili di legittimità del nuovo assetto edilizio del “tetto-giardino” che ha sostituto la precedente copertura sanata con il permesso di costruire in esame.

11 – A diverse considerazioni si presta la sopra esaminata eccezione di carenza di interesse del ricorrente in ragione del carattere solo emulativo del suo ricorso.

11.1 - In particolare il TAR, così come eccepito dal Condominio appellante, ha solo richiamato la giurisprudenza che ritiene di regola sufficiente, ai fini della impugnazione dei titoli edilizi, il rapporto di vicinitas del proprietario confinante.

11.2 - Il signor Colombo, nella consapevolezza della necessità di rapportare al caso concreto la predetta considerazione –riferibile in realtà alla legittimazione più che all’interesse- con proprie memorie ha sollevato in giudizio ulteriori profili di pregiudizio concreto, in termini di disparità di trattamento e di coerenza rispetto al contenuto della pianificazione attuativa approvata dalla stessa PA, di pregio estetico (le palazzine sono tutte uguali tranne quella del Condominio appellante che si inserirebbe in modo dissonante con il contesto) ed anche di possibilità di vendita avendo, certamente, gli appartamenti della palazzina con tetto a giardino maggiore attrattiva per un potenziale acquirente e potendo tale circostanza influire anche sul prezzo di compravendita degli immobili posti in prossimità.

11.3 – Il Condominio appellante, con propria memoria, replica che il Signor Colombo in realtà ha prodotto solo il titolo di proprietà ed il certificato di residenza e nessun altro elemento atto a comprovare l’interesse alla proposizione del ricorso in primo grado secondo le previsioni dell’Adunanza plenaria n. 22 del 2021, secondo cui la vicinanza non basta, in automatico, a sorreggere l’azione, occorrendo una ragione plausibile, seria, percepibile per contestare il titolo che legittima l’edificazione nelle vicinanze.

11.4 - Il Comune di Lodi a tale ultimo riguardo richiama, con propria memoria, il principio della “ragione più liquida”, nonché l’espressa previsione dell’art. 35 C.P.A., in base al quale il giudice dichiara, anche d’ufficio il ricorso inammissibile quando è carente l’interesse, con richiamo al disposto generale dell’art. 100 c.p.c. situazione che all’evidenza sussisterebbe nella presente fattispecie, in cui il ricorrente appare mosso da un interesse di mero fatto, ma non ha dedotto e comprovato nulla circa il pregiudizio subìto in ragione della realizzazione dell’edificio oggetto del provvedimento impugnato in primo grado.

Al riguardo, il Comune richiama altresì la recente sentenza di questa Sezione n. 8290/2023 secondo la quale, ai fini del riconoscimento dell’interesse al ricorso, anche in campo edilizio, oltre alla mera vicinanza occorre che il ricorrente “dimostri il pregiudizio subito dalla realizzazione dell’intervento assentito e cioè in quale misura il provvedimento impugnato incida sulla posizione sostanziale dedotta in giudizio, determinandone una lesione effettiva, immediata ed attuale”.

11.4 – Ai fini della decisione sul punto, considera il Collegio che il ricorrente in primo grado invoca la mera “vicinitas” dei due fabbricati ma non espone l’effettivo danno che subirebbe per effetto del dedotto mancato rispetto dell’art. 5.5. delle NTA del PEEP, norma che regola esclusivamente le caratteristiche della copertura dell’edificio e che non interferisce con le proprietà contermini. Vero è che in giudizio sono stati allegati alcuni possibili profili di pregiudizio concreto, in termini di disparità di trattamento e di coerenza rispetto al contenuto della pianificazione attuativa approvata dalla stessa PA e di pregio estetico (le palazzine sono tutte uguali tranne quella del Condominio appellante, che si inserirebbe in modo dissonante con il contesto).

Restano però ignote le ragioni per le quali la diversità di copertura di una delle palazzine, per via della presenza sul lastrico solare –prima- di un locale tecnico per fonti rinnovabili e –poi- anche di una parte attrezzata a giardino, potrebbe assumere un carattere lesivo per il proprietario ed abitante di un appartamento sito in una diversa palazzina facente parte del medesimo comprensorio, posto che nulla si dice circa la visibilità del manufatto “incriminato” dalla strada o dalle finestre dell’appellato e circa la natura e la portata lesiva della sua “dissonanza” rispetto agli altri edifici ai fini della valutazione del valore dell’intero comprensorio (e quindi della propria palazzina) nell’ambito del paesaggio urbano di riferimento.

11.5 – In realtà la memoria del signor Colombo espone un possibile profilo di pregiudizio valutabile anche economicamente, riferito alla “possibilità di vendita” del proprio appartamento ed alla sua quotazione di mercato, “avendo, certamente, gli appartamenti della palazzina con tetto a giardino maggiore attrattiva per un potenziale acquirente e potendo tale circostanza influire anche sul prezzo di compravendita degli immobili”.

11.6 – Il Comune di Lodi con propria memoria contesta radicalmente tale assunto, peraltro ritenuto del tutto generico, evidenziando la sussistenza, nell’atto di assegnazione degli immobili del 14 gennaio 2011 (in atti nel giudizio) di una clausola che prevede un prezzo massimo, inferiore a quello di mercato, che potrà essere preteso dall’alienante in caso di vendita, essendo stati gli edifici costruiti da una cooperativa che poi ha assegnato i beni ai singoli soci in un’area PEEP. Pertanto, conclude il Comune, l’edificio dove è stata realizzata la copertura piana anziché in coppi, non potrà mai avere un valore commerciale libero maggiore di quello di pertinenza del ricorrente, fermo restando che, per comune esperienza, il ricorrente potrebbe al contrario beneficiare del fatto che nell’intorno vi siano palazzine “più belle”.

12 – Indipendentemente dalle predette convincenti deduzioni del Comune, ritiene il Collegio che l’argomentazione di parte ricorrente riferita al danno che gli deriverebbe dalla maggiore “attrattività” della palazzina vicina tradisca il non consentito carattere meramente emulatorio del ricorso e comunque la eccepita insussistenza di un interesse a ricorrere meritevole di tutela.

12.1 - Infatti, escludendo che possa esservi stata una disparità di trattamento (non essendo mai stata la medesima richiesta di intervento edilizio proposta al Comune per la palazzina del ricorrente) e una lesione derivante dalla inosservanza delle regole negoziali di riferimento (non essendo affatto prevista una clausola di assoluta identità fra tutte le palazzine del comprensorio) e neppure incidendo la dedotta illegittimità sulla commerciabilità e sul valore dell’appartamento di proprietà del ricorrente (sito in altra palazzina), l’interesse dedotto si limiterebbe alla circostanza che l’atto avversato, accogliendo la domanda di intervento edilizio proposta dai privati interessati, avrebbe consentito di rendere più “attrattiva”, e quindi più “bella”, una altrui proprietà rispetto alla propria, avendo quindi avuto il solo torto di “premiare” lo spirito d’iniziativa e la volontà d’investimento economico (peraltro per interventi non ritenuti architettonicamente errati ed aventi un non contestato valore di tutela ambientale) quali espressione della libertà –costituzionalmente garantita- di altri privati cittadini, rispetto alla accondiscendenza al mantenimento delle condizioni preesistenti che ha riguardato la propria proprietà edilizia.

12.2 – La palese irragionevolezza della pretesa di limitare la libertà degli altri cittadini di investire sulle rispettive proprietà –senza accontentarsi di lucrare la loro rendita edilizia- e di contribuire in tal modo alla valorizzazione urbanistica ed edilizia del territorio, peraltro mediante interventi di tutela ambientale e di contrasto ai cambiamenti climatici, solo a causa della vicinitas con altra proprietà volontariamente mantenuta dai proprietari nello “status quo ante” e quindi destinata ad una minore “attrattività” rispetto alle aree e agli immobili così riqualificati, evidenzia la palese inesistenza di un interesse a ricorrere suscettibile di tutela da parte dell’ordinamento.

12.3 – Le pregresse conclusioni esimono, pertanto, il Collegio da ogni considerazione circa la ulteriore irragionevolezza della pretesa di ancorare lo sviluppo del territorio a parametri di mero mantenimento dell’esistente e ad astratte categorie soggettive (attrattività, bellezza…) prive di un reale ed oggettivo contenuto capace di limitare la libertà umana se non con riferimento al rispetto di beni espressamente tutelati e di puntuali vincoli, assenti nel caso in esame, posto che la prescritta uniformità della copertura mediante falde inclinate a coppi non poteva precludere né la realizzazione dei necessari locali tecnici per l’uso di fonti rinnovabili (in quanto non facenti parte della volumetria e della sagoma dell’edificio) né la successiva realizzazione di un giardino pensile, in quanto una tale possibilità era espressamente prevista da altra disposizione urbanistico-edilizia del medesimo Comune.

13 – Alla stregua delle pregresse considerazioni anche il secondo appello deve essere accolto con la conseguente dichiarazione, in riforma dell’appellata sentenza, della inammissibilità, per carenza d’interesse, del gravame accolto in primo grado, che pertanto non poteva –e non può ora- essere esaminato e deciso nel merito.

14 – Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo, nei rapporti fra la parte appellante e la odierna parte resistente, mentre possono essere compensate nei rapporti fra le predette parti e il Comune intimato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sui due appelli, come in epigrafe proposti, previa loro riunione li accoglie e per l’effetto, in riforma delle due sentenze appellate, in parte accoglie e in parte dichiara improcedibile il ricorso deciso dalla sentenza impugnata con il primo appello in epigrafe e dichiara inammissibile il ricorso deciso in senso favorevole dalla sentenza impugnata con il secondo appello indicato in epigrafe.

Condanna l’odierno resistente signor Colombo a rifondere al Condominio appellante le spese del doppio grado di giudizio, complessivamente liquidate in Euro 3.000,00, pari ad Euro 1.000,00 per il primo grado ed Euro 2.000,00 per il secondo grado, oltre ad IVA, CPA ed ulteriori oneri di legge ove previsti. Compensa le spese del doppio grado di giudizio con riferimento al Comune di Lodi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 4 dicembre 2023, tenuta da remoto ai sensi dell’art. 17, comma 6, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2021, n. 113, con l'intervento dei magistrati:

Dario Simeoli, Presidente FF

Giordano Lamberti, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere, Estensore

Davide Ponte, Consigliere

Carmelina Addesso, Consigliere