Consiglio di Stato Sez. VI n. 9285 del 19 novembre 2024 
Beni culturali.Sulla natura e sui presupposti per la valutazione dell’interesse culturale di un bene

È legittimo il provvedimento della Soprintendenza di dichiarazione di interesse culturale di un bene, che applichi in concreto, pur non facendone espressa analitica menzione, i criteri individuati dal Consiglio superiore delle antichità e belle arti nella seduta del 10 gennaio del 1974 e recepiti dal decreto del Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo n. 537 del 6 dicembre 2017, anche alla luce della necessaria valutazione di tipo globale e sintetico che la contraddistingue e posto che l’interesse culturale dell’opera viene preso in considerazione dalla norma attributiva del potere, non nella dimensione oggettiva di fatto storico (accertabile in via diretta dal giudice), bensì di fatto mediato dalla valutazione affidata all’amministrazione, per cui il privato ha l’onere di dimostrare che il giudizio di valore espresso dall’amministrazione sia scientificamente inaccettabile.

Pubblicato il 19/11/2024

N. 09285/2024REG.PROV.COLL.

N. 09631/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9631 del 2020, proposto da
Orsini De Marzo Niccolò Marzio Galileo Giuseppe Giustino, rappresentato e difeso dagli avvocati Francesco Paoletti e Elisa Vannucci Zauli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Cultura (già Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima) n. 155/2020.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura (già Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo);

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2024 il Cons. Giovanni Gallone;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. In data 23 aprile 2015 il signor Niccolò Marzio Galileo Orsini De Marzo, residente in Svizzera, ha acquistato dalla casa d’aste Archaion s.r.l. di Torino un dipinto ad olio su tela, dell’altezza di cm 219 e della larghezza di cm 149,50, raffigurante la Crocifissione ed attribuito al pittore Andrea de’ Passeris, nato a Torino, presumibilmente nel 1471, e morto a Como nel 1517.

1.1 Con denuncia presentata in data 18 giugno 2015, protocollo n. 12794, il signor Orsini De Marzo, per il tramite della società Archaion a r.l., ha chiesto il rilascio dell’attestato di libera circolazione del bene all’Ufficio esportazione oggetti di antichità e arte di Torino (d’ora in avanti per brevità solo “l’Ufficio esportazione”), ai sensi dell’articolo 68 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”(d’ora in avanti solo il Codice).

Con nota del 20 luglio 2015, protocollo n. 15605, l’Ufficio esportazione ha inviato alla società richiedente e al proprietario del bene il preavviso di diniego dell’attestato di libera circolazione, nel quale venivano esplicitate le ragioni per cui l’opera “riveste notevole interesse storico artistico per il patrimonio nazionale”, come da parere acquisito in pari data dalla Soprintendenza belle arti e paesaggio di Milano.

In data 27 luglio 2015 il signor Orsini De Marzo ha presentato osservazioni procedimentali con le quali ha posto in luce la necessità di ottenere l’attestato di libera circolazione del bene per stipulare un contratto di comodato dell’opera con la pinacoteca cantonale “Giovanni Zuest” di Rancate, in Svizzera, Canton Ticino.

Con relazione storico-artistica del 31 luglio 2015 l’Ufficio esportazione ha riscontrato in senso negativo le osservazioni procedimentali presentate dal proprietario dell’opera.

Con provvedimento dell’1 agosto 2015, protocollo n. 16630, da considerarsi anche come avvio del procedimento di dichiarazione di interesse particolarmente rilevante del bene, ai sensi dell’articolo 68, comma 6, del Codice, l’Ufficio esportazione ha negato il rilascio dell’attestato di libera circolazione del bene, poiché “l’opera costituisce rara testimonianza dell’attività dell’artista; permette di chiarire alcuni passaggi fondamentali dell’arte in Lombardia sullo scorcio del secolo XV […]; per il periodo indicato, risulta originale l’uso della tela come materia di supporto. L’opera pertanto sottostà ai criteri di cui al punto 1 lettere b, d della circolare M.P.I. del maggio 1974”.

1.2 In data 1 settembre 2015 il signor Orsini De Marzo, ai sensi dell’articolo 69 del Codice, ha proposto ricorso gerarchico avverso il diniego di rilascio dell’attestato di libera circolazione del bene, al quale, in data 22 settembre 2015, sono seguite le controdeduzioni dell’Ufficio esportazione.

Con decreto n. 439 del 25 novembre 2015 la Commissione regionale per il patrimonio culturale per il Piemonte (d’ora in avanti solo la “Commissione”) ha dichiarato il bene di interesse culturale particolarmente importante, ai sensi dell’articolo 13 del Codice.

Con provvedimento del 18 dicembre 2015, protocollo n. 31478, il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (d’ora in avanti anche solo il “Ministero”) ha respinto il ricorso gerarchico avverso il diniego di rilascio dell’attestato di libera circolazione del bene.

1.3 In data 11 gennaio 2016 il signor Orsini De Marzo ha proposto ricorso gerarchico al Ministero. anche avverso il decreto n. 439 del 25 novembre 2015, con il quale il bene di sua proprietà è stato dichiarato di interesse culturale particolarmente importante.

Con decreto del 10 marzo 2016, protocollo n. 60, la Commissione ha annullato in autotutela il decreto n. 439 del 25 novembre 2015.

1.4 Con nota del 10 marzo 2016, protocollo n. 3865, la Soprintendenza belle arti e paesaggio per il Comune e la Provincia di Torino (d’ora in avanti per brevità anche solo la “Soprintendenza”) ha nuovamente avviato il procedimento per la dichiarazione di interesse culturale del bene, nel corso del quale il signor Orsini De Marzo ha presentato osservazioni, riscontrate in senso negativo con nota del 23 giugno 2016, protocollo n. 9915-34.07.04/20, sulla scorta della relazione storico-artistica del 24 febbraio 2016, la quale, a sua volta, richiama il parere già reso dalla Soprintendenza belle arti di Milano in data 20 luglio 2015 all’Ufficio esportazione.

Con nota del 23 giugno 2016, protocollo n. 9924, la Soprintendenza ha proposto alla Commissione di dichiarare il bene in oggetto di interesse storico-artistico particolarmente importante.

Con decreto n. 221 del 4 luglio 2016 la Commissione ha dichiarato il predetto dipinto di interesse culturale particolarmente importante, con conseguente applicazione delle disposizioni di tutela di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42.

2. Con ricorso notificato il 22 settembre 2016 e depositato il 21 ottobre 2016, il signor Niccolò Marzio Galileo Orsini De Marzo ha impugnato dinanzi al T.A.R. per il Piemonte, domandandone l’annullamento, il prefato decreto della Commissione n. 221 del 4 luglio 2016 e tutti gli atti presupposti allegati e richiamati.

2.1 A sostegno del ricorso di primo grado ha dedotto le censure così rubricate:

1) violazione art. 97 cost.; - violazione e falsa applicazione artt. 1, 2, 3 e 10 e 10bis della legge 7 agosto 1990, n. 241; - violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 13 e 14 del d.lgs 22 gennaio 2004, n. 42; - eccesso di potere per violazione del giusto procedimento e difetto di motivazione;

2) violazione art. 97 cost.; 12 - violazione e falsa applicazione artt. 1, 2 e 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241; - violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 13 e 14 del d.lgs 22 gennaio 2004, n. 42; - violazione e falsa applicazione della circolare del ministero della pubblica istruzione prot. 2718 del 13.5.1974; - eccesso di potere per insufficienza della motivazione carenza dei presupposti.

3. Ad esito del relativo giudizio, con la sentenza indicata in epigrafe, l’adito T.A.R. ha respinto il ricorso.

4. Con ricorso notificato il 30 novembre 2020 e depositato il 10 dicembre 2020 Niccolò Marzio Galileo Giuseppe Giustino Orsini De Marzo ha proposto appello avverso la suddetta sentenza chiedendone la riforma.

4.1 Ha affidato il gravame ai seguenti motivi:

1) error in iudicando, erroneità ed illogicità della motivazione;

2) ulteriore error in iudicando, erroneità ed illogicità della motivazione.

5. Il 21 gennaio 2021 si è costituito in giudizio il Ministero della Cultura (già Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo).

5.1 Il 19 dicembre 2023 il Ministero ha depositato memorie difensive.

6. Il 3 ottobre 2024 l’appellante ha depositato memorie in replica.

7. All’udienza pubblica del 24 ottobre 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.

2. Con il primo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha respinto il primo dei motivi del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata denunciata l’illegittimità dei provvedimenti gravati in prime cure per violazione dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 in quanto non conterrebbero una specifica motivazione in ordine alle osservazioni presentate dall’istante.

In particolare, il primo giudice avrebbe errato nell’affermare che “nel provvedimento impugnato la Commissione avrebbe esposto le ragioni per le quali non ha inteso valorizzare le osservazioni procedimentali del ricorrente, mediante rinvio alla nota di riscontro della Soprintendenza del 23 giugno 2016, protocollo n. 9915, la quale, a sua volta, rinvia alla relazione storico-artistica del 24 febbraio 2016, redatta in occasione dell’avvio del procedimento”.

Secondo parte appellante, la suddetta affermazione confermerebbe la fondatezza del motivo articolato in prime cure riconoscendo che le osservazioni non sarebbero state minimamente prese in considerazione dall’amministrazione.

2.1 La doglianza è priva di giuridico pregio.

Sul punto è sufficiente richiamare il costante orientamento di questo Consiglio secondo cui “L'amministrazione non ha un onere di specifica e analitica confutazione delle osservazioni presentate dalla parte privata a seguito della comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza, bastando che ne abbia dato conto in modo sintetico ed essendo sufficiente, ai fini della giustificazione del provvedimento adottato, la motivazione complessivamente resa a sostegno dell'atto stesso” (da ultimo Consiglio di Stato , sez. IV , 01/03/2024 , n. 2011).

Deve, del resto aggiungersi che, nel caso di specie, la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per il Comune e la Provincia di Torino, nella nota del 23 giugno 2016 gravata in prime cure non solo ha dato atto di aver “attentamente valutato le argomentazioni avversative all’apposizione del vincolo” ma ha anche espressamente ribadito, l’“altissimo valore documentario della tela nel contesto della pittura lombarda del Rinascimento” con valutazione adeguatamente sorretta per relationem anche al contenuto della relazione tecnica e degli atti precedenti.

3. Con il secondo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha rigettato il secondo motivo del ricorso di primo grado a mezzo del quale è stata denunciata l’illegittimità dei provvedimenti gravati in prime cure in quanto l’amministrazione nell’esprimere il proprio giudizio tecnico non avrebbe fatto applicazione dei criteri elaborati dal Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti nella seduta del 10 gennaio del 1974, presieduta dal Prof. Giulio Carlo Argan, e divulgati con circolare del Ministero della Pubblica Istruzione prot. 2718 del 13 maggio 1974.

In particolare, il primo giudice avrebbe errato nell’affermare che l’art. 10, comma 3, lettera a), del Codice dei beni Culturali attribuirebbe all’amministrazione un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa per l’accertamento della “particolare” importanza dell’interesse culturale del bene, rimettendo alla stessa la scelta dei mezzi più idonei per l’analisi qualitativa del bene, per cui l’utilizzo dei criteri elaborati nella circolare c.d. Argan non vincolerebbe affatto l’amministrazione nell’accertamento delle caratteristiche del bene.

Osserva parte appellante che i criteri contenuti nella suddetta circolare sarebbero vincolanti e che ciò sarebbe confermato dal D.M. n. 537 del 6 dicembre 2017 medio tempore sopravvenuto, con cui sono stati approvati gli indirizzi di carattere generale per la valutazione del rilascio o del rifiuto dell’attestato di libera circolazione delle cose di interesse artistico, storico, archeologico e etnoantropologico ex art. 68, comma 4, del d.lgs. n. 42/2004.

Aggiunge parte appellante, che, nel caso di specie, le argomentazioni spese dalla Soprintendenza per fondar il proprio giudizio non coprirebbero tutti i criteri di valutazione indicati dalla sopra ricordata circolare del 1974 e risulterebbero, in alcuni casi, fondate su presupposti errati ed in altri sarebbero comunque inidonee a giustificare la particolare importanza dell’interesse storico-artistico dell’opera in questione.

Nel dettaglio si osserva che:

- l’attribuzione dell’opera ad Andrea de’ Passeris, non sarebbe certa atteso che già dalla relazione stessa della Soprintendenza si ricaverebbe che tale attribuzione è stata oggetto di un importante dibattito critico, che solo con Paolo Venturoli nel 1996 il dipinto in oggetto sarebbe stato ricondotto a tale artista e che anche dopo il 1996 permarrebbero opinioni contrarie (tra cui quella espressa da Davide Fignon e ripresa dalla relazione del dott. Donati esibita in primo grado);

- Andrea de’ Passeris sarebbe in ogni caso un pittore di rilievo solo locale;

- sarebbe irragionevole il riconoscimento di un “altissimo valore documentario della Crocifissione” (circostanza messa in discussione dalle opinioni di Malaguzzi Valeri, del prof. Mario Natale e di Ludovica Vertova) anche alla luce delle sue condizioni di conservazione e degli interventi di restauro subiti;

- sarebbe errata anche la considerazione che l’opera sia testimone della fortuna di un modello iconografico non essendo certa, come raffermato anche nella relazione della Soprintendenza, la sua datazione e non presentando il prototipo della Crocifissione così ricca di figure tratti di originalità trattandosi di modello diffuso nel Ducato milanese;

- la Collezione Cernazai di Udine di cui faceva parte l’opera, al contrario di quanto sostenuto dalla Soprintendenza, non sarebbe affatto di primaria importanza nazionale, non solo perché era una raccolta locale ottocentesca di materiali eterogenei, ma anche perché comprendeva esclusivamente opere di artisti minori, provinciali e anonimi;

- nel 1900, lo Stato non si oppose alla vendita della Crocifissione qui in esame e, più recentemente, nonostante i tre passaggi in asta pubblica (1973, 2000, 2015) già avuti dall’opera de qua, e l’esposizione presso il museo varesino del Castello di Masnago (in sede dunque pubblica), la Soprintendenza prima non aveva mai “notificato” tale opera, né ha acquistato alla cifra assai modesta (20.000 euro) il dipinto all'asta torinese che ha visto l’appellante aggiudicatario dell'opera;

- non sussisterebbe un carattere di rarità dell’opera legato all’uso della tela come supporto atteso che dalla consultazione del catalogo “Fondo Zeri” emergerebbe l’esistenza di numerose opere coeve con le medesime caratteristiche;

- non sarebbe possibile sostenere che la Crocifissione in oggetto rivesta particolare interesse per la rarità delle testimonianze della più antica fase del pittore, di cui solo l’Assunta di Brera si trova in una collezione pubblica e per l’importanza che dette testimonianze rivestono per la comprensione della sua formazione posto che , sempre dalla consultazione del catalogo del “Fondo Zeri”, emergerebbe l’esistenza in collezioni pubbliche di opere date con certezza al Passeri, anche a Bologna (Pinacoteca nazionale, inv. 6344) e a La Spezia (Museo Lia, inv. 137)

3.1 Giova, anzitutto, rammentare che per consolidato orientamento di questa Sezione “il giudizio per l'imposizione di una dichiarazione di interesse culturale storico-artistico particolarmente importante (c.d. vincolo diretto), ai sensi degli artt. 10, comma 3, lett. a), 13 e 14, del d. lgs. n. 42/2004, è connotato da un'ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l'applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche specialistiche proprie di settori scientifici disciplinari (della storia, dell'arte e dell'architettura) caratterizzati da ampi margini di opinabilità. Ne consegue che l'accertamento compiuto dall'Amministrazione preposta alla tutela è sindacabile in sede giudiziale esclusivamente sotto i profili della ragionevolezza, proporzionalità, adeguatezza, logicità, coerenza e completezza della valutazione, considerati anche per l'aspetto concernente la correttezza del criterio tecnico e del procedimento applicativo prescelto” (Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2022, n.1510).

In questo senso la giurisprudenza di questa Sezione ha notato che “il presupposto del potere ministeriale di vincolo ‒ ovvero l’interesse culturale dell’opera ‒ viene preso in considerazione dalla norma attributiva del potere, non nella dimensione oggettiva di fatto «storico» (accertabile in via diretta dal giudice), bensì di fatto «mediato» dalla valutazione affidata all’Amministrazione” con la conseguenza che se è vero che l’interessato può “contestare anche il nucleo intimo dell’apprezzamento complesso” ha tuttavia “l’onere di dimostrare che il giudizio di valore espresso dall’Amministrazione sia scientificamente inaccettabile” (così Cons. Stato, sez. VI, 9 maggio 2023, n. 4686).

Va, altresì, rilevato che l’orientamento pretorio dominante (da ultimo Cons. Stato, sez. I, parere 12 ottobre 2023, n. 1296) ha riconosciuto la vigenza nel nostro ordinamento dei criteri individuati dal Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti nella seduta del 10 gennaio del 1974, presieduta dal Prof. Giulio Carlo Argan almeno fino al loro più recente recepimento in seno al D.M. n. 537 del 6 dicembre 2017.

Tuttavia, preme evidenziare che gli stessi svolgono un ruolo di mero indirizzo rispetto alla spendita delle potestà di discrezionalità tecnica attribuite all’amministrazione tutoria e, soprattutto, pongono parametri compositi da applicare, senza automatismo alcuno, in maniera congiunta nell’ambito di un giudizio di tipo globale e sintetico.

3.2 Ebbene, nel caso che occupa la Soprintendenza di Torino, pur non avendone fatta espressa analitica menzione, ha certamente applicato in concreto i suddetti criteri approdando ad una valutazione finale supportata da adeguata motivazione (per il tramite del rinvio per relationem agli atti del procedimento e, in particolare, alla relazione tecnica del 23 febbraio2016).

Detta valutazione, come puntualmente messo in evidenza dal giudice di prime cure, non presenta, peraltro, anche per il suo carattere necessariamente globale e non parcellizzabile, profili di manifesta ed evidente erroneità tecnica o irragionevolezza logica.

Le doglianze svolte dalla parte appellante non sono, in particolare, in grado di disvelare l’obiettiva ed assoluta inattendibilità del giudizio tecnico espresso dal Ministero ma, al più, di metterne in evidenza la semplice opinabilità.

3.3 Nel dettaglio, sotto il profilo della paternità dell’opera ciò che emerge dal confronto tra le posizioni del Ministero e della proprietà è che, pur essendovi stato, soprattutto in passato, un dibattito attorno a tale aspetto, appare tuttavia, allo stato, altamente probabile la sua attribuibilità ad Andrea de’ Passeris.

Convergono, in particolare, in questa direzione anche le e-mail (rispettivamente allegati n. 13 e 17 della produzione in primo grado del 30 dicembre 2019 dell’odierna parte appellante) del professor Mauro Natale (che dopo aver fatto menzione degli studi di Venturoli e Villata chiude osservando che “il riferimento a de Passeri non è da escludere”), del professor Lionello Puppi (il quale, dopo aver premesso di non aver avuto “il tempo di entrare nel merito della Crocifissione” si è limitato ad affermare che “si tratta di un dipinto della cui attribuzione a de Passeri non sarei imperterritamente sicuro” ) e la relazione del dott. Donati dell’19 settembre 2016, con relativa integrazione (il quale dopo aver fatto riferimento alla posizione di Carla Falcone – favorevole a riconoscere la paternità dell’opera al de’ Passeris - ha affermato che il “problema attributivo rimane totalmente aperto”, senza tuttavia proporre ricostruzioni alternative).

Sotto altro profilo, pare che l’importanza dell’autore non debba essere apprezzata in termini assoluti (anche nel confronto con altri artisti di ben più chiara fama) ma vada contestualizzata rispetto all’area ed al periodo di riferimento (la Lombardia di fine ‘400) anche rispetto alle influenze reciproche avute sui contemporanei Bramante, Bramantino e Gaudenzio Ferrari. Un utile indizio in questo senso è dato dalla circostanza che l’“Assunzione della Vergine” (opera che la stessa parte appellante ritiene “di sicura riconducibilità al de’ Passeris, in quanto da questi firmata e datata” – così a pag. 15 dell’atto di appello) è stata acquisita ad una prestigiosissima collezione pubblica quale è quella della Pinacoteca di Brera.

3.3 Venendo al pregio intrinseco dell’opera, al netto dello stato di conservazione (che pure presenta qualche aspetto di criticità ma non appare “rovinoso” come sostenuto da parte appellante – si veda sul punto il provvedimento della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per il Comune e la Provincia di Torino dell’1 agosto 2015), non sembra possa revocarsi in dubbio il valore documentario di cui la stessa è portatrice rispetto alla fase di transizione dell’arte figurativa lombarda verso il pieno rinascimento anche rispetto alla personale parabola di crescita del de’ Passeris (nella progressiva emancipazione dagli stilemi di Foppa) ed al rapporto con la scena artistica ferrarese (così nel parere della Soprintendenza Belle Arti di Milano del 20 luglio 2015).

Deve aggiungersi che l’appartenenza del dipinto ad una collezione (Cernazai di Udine), anche se non di primaria importanza, costituisce, insieme con gli altri elementi del caso concreto, un indice di importanza dell’opera in sé considerata.

3.4 Quanto, infine alla rarità, in disparte dalla considerazione che trattasi di profilo che va in ogni caso valutato in maniera sintetica con i precedenti, appaiono significative due circostanze espressamente valorizzate nella relazione storico-artistica dell’amministrazione:

-le considerevoli dimensioni del dipinto;

- l’uso della tela come supporto.

La combinazione delle suddette caratteristiche lascia, infatti, intendere che l’opera possa essere stata impiegata come stendardo di una confraternita che doveva avere fra i propri protettori il Battista (pag.2 della Relazione storico artistica della Soprintendenza di Torino, riprendendo la tesi espressa da Villata). Ciò ne fa, all’evidenza, un pezzo quasi unico come dimostrato dalla circostanza che parte appellante, pur avendo fornito una cospicua elencazione di dipinti coevi e analoghi dal punto di vista iconografico, non ha indicato altre opere che condividano tale peculiarità di possibile utilizzo.

Non può, peraltro, obliterarsi che:

- il tema iconografico della crocifissione era tra i più diffusi dell’arte figurativa dell’epoca sicché è quasi scontato che vi sia un alto numero di opere che lo riprendono;

- come evidenziato dalla difesa erariale la pittura su tela era più diffusa nella sfera di influenza veneziana (per ragioni da legare essenzialmente al clima lagunare), mentre era molto meno diffusa nella Lombardia dell’epoca.

3.5 In ultimo non può tacersi che le acquisizioni nel campo della critica artistica scontano una certa fluidità sicché l’opinione diffusa rispetto ad un genere, una corrente o un’opera può evolvere e mutare nel tempo.

Ciò giustifica e spiega l’atteggiamento solo in apparenza ondivago tenuto dall’amministrazione rispetto alla opera de qua (e segnatamente alla circostanza che nel 1900 lo Stato non si oppose alla vendita della Crocifissione e, più recentemente, vi siano stati ulteriori passaggi della stessa in asta pubblica).

Del resto, nel caso di specie, solo nel 1996, per effetto degli studi di Venturoli, si è giunti all’attribuzione dell’opera al de’ Passeris e tale dibattito è proseguito almeno fino agli studi di Villata del 2003, 2004 e 2005 (così la relazione del dott. Donati dell’1 settembre 2016) con la conseguenza che anche l’interesse nei confronti di tale autore è cresciuto in epoca più recente per effetto di siffatta rinnovata attenzione di ricerca (pure nel confronto con le altre crocifissioni riconducibili alla sua mano – vedasi il parere del 20 luglio 2015 espresso dalla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio di Milano).

4. Per le ragioni sopra esposte l’appello è infondato e va respinto.

5. Sussistono nondimeno, anche in ragione della complessità fattuale della vicenda, giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Giordano Lamberti, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Roberto Caponigro, Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere, Estensore