TAR Basilicata Sez. I n. 609 del 7 ottobre 2015
Ambiente in genere. Rispetto delle condizioni dell'autorizzazione integrata ambientale

Nell'art. 29-decies comma 9 dlv 152\06 il legislatore, nel solco del principio di proporzionalità, ha previsto un sistema di gradualità delle sanzioni, proprio allo scopo di adeguare i provvedimenti da adottare alla gravità della situazione concretamente accertata. In particolare, esso ha inizialmente previsto la soluzione della diffida, demandando la più grave misura della sospensione temporanea dell’attività assentita soltanto in caso di reiterate violazioni o nell’ipotesi di mancato adeguamento delle prescrizioni imposte con la diffida

 

N. 00609/2015 REG.PROV.COLL.

N. 00901/2014 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso avente numero di registro generale 901 del 2014, proposto da:
- Fenice Ambiente s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Angiola Peyrano Pedussia, Riccardo Montanaro e Luigi Petrone, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Potenza al corso XVIII Agosto 1860, n. 2;

contro

- Regione Basilicata in persona del Presidente della Giunta regionale in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Anna Carmen Possidente, con domicilio eletto presso l’Ufficio legale dell’Ente, in Potenza, alla via V. Verrastro n. 4;
- Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente di Basilicata – ARPAB, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Filippo Panizzolo, con domicilio eletto presso la sig.ra Brindisi Toscano, in Potenza, alla via Rosica n. 1;

nei confronti di

- Comune di Melfi, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Gaetano Araneo e Nicola Michele Tartaglia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Pierluigi Lapolla, in Potenza, alla via Ciccotti n. 1;

per l’annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

- della deliberazione della Giunta Regionale della Basilicata n. 1499 del 9 dicembre 2014, avente ad oggetto: “d.lgs. 152/2006 (e s.m.i.) art. 29-decies, comma 9, lett. b. Diffida e sospensione delle attività relative al forno a tamburo rotante presente nella piattaforma per il trattamento di rifiuti della Società Fenice Ambiente srl, autorizzata AIA con DGR n. 428/2014”;

- di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, tra cui in particolare i verbali di accertamento dell'ARPAB e il provvedimento a firma del Direttore ARPAB prot. n. 0011907 in data 9 dicembre 2014;

- nonché per il risarcimento di ogni danno.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Basilicata, dell’ARPAB e del Comune di Melfi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 giugno 2015 il referendario Benedetto Nappi e uditi per le parti gli avvocati Luigi Petrone, Angiola Peyano Pedussia, Anna Carmen Possidente, Gaetano Araneo, Nicola Tartaglia e Filippo Panizzolo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

1. Con atto spedito per la notificazione il 23 dicembre 2014, depositato in pari data, la Fenice Ambiente s.r.l. (oggi Rendina Ambiente s.r.l.) è insorta avverso gli atti in epigrafe, concernenti la sospensione delle attività relative al forno a tamburo rotante presente nel proprio impianto di termovalorizzazione sito nel comune di Melfi.

1.1. In punto di fatto, dagli atti di causa risulta quanto segue:

- in data 2 novembre 2014, come si rileva dal processo verbale di sopralluogo redatto da personale dell’ARPAB intervenuto in loco, dal camino del forno rotante dell’impianto di cui è questione sono fuoriusciti fumi caratterizzati da una “colorazione rossastra”, fino alle ore 11.50 circa;

- nel corso del sopralluogo, i dipendenti dell’ARPAB hanno verificato il funzionamento della centralina di monitoraggio emissioni, hanno acquisito il “report dell’ultima settimana del forno rotante”, ed hanno prescritto la presentazione, entro mercoledì 5 novembre 2014, della seguente documentazione; a) “report dell’ultima settimana del forno a griglia”; b) “report dell’ultima settimana, compresa la giornata odierna, dei dati provenienti dalle centraline del monitoraggio in continuo della qualità dell’aria”; c) “quaderni di stazione dove sono riportate le manutenzioni delle centraline della qualità dell’aria”;

- parte ricorrente ha trasmesso la documentazione richiesta con nota (inviata, per conoscenza, tra l’altro, anche ai competenti uffici della Regione Basilicata), acquisita al protocollo dell’ARPAB in data 5 novembre 2014;

- il 4 novembre 2014 si è svolto un secondo sopralluogo da parte dell’ARPAB, volto a verificare “le condizioni accidentali che hanno determinato nella mattinata del 2 novembre 2014 una fuoriuscita di fumi rossastri dal camino E2 annesso al forno rotante”. Nel corso di detto sopralluogo, come risulta dal verbale n. 241, redatto in pari data, sono stati acquisiti: a) i dati relativi a tutti i parametri monitorati in ordine ai forni E1 e E2, a partire dal 1° agosto 2014; b) i formulari dei rifiuti in ingresso dell’ultima settimana; c) certificati di taratura trimestrale di tutti gli analizzatori del “sistema SME” effettuati in autocontrollo. Si è, altresì, precisato che: “i dati relativi alle verifiche linearità, calibrazione (cal. 2) indice di accuratezza relativo degli analizzatori dei sistemi di monitoraggio in continuo dei camini annessi E1 e E2 forno a griglie e forno rotante saranno trasmessi entro un mese dalla ditta LASER LAB”;

- sempre il 4 novembre 2014, il Direttore dell’ARPAB ha richiesto alla ricorrente, con una propria nota, di: “inviare nei tempi utili più brevi e, comunque, non oltre le prossime 24 ore, una Vostra relazione di merito su quanto occorso il 2 novembre u.s.. Si chiede, inoltre, di allegare una copia dei dati di ognuno dei sistemi di acquisizione in continuo di tutte le parti dell’impianto, con riferimento agli ultimi 30 giorni”;

- in riscontro, con nota del 5 novembre 2014, la Fenice Ambiente s.r.l., ha relazionato sull’accaduto, evidenziando, tra l’altro che: “in riferimento alla richiesta di copia dei dati di ognuno dei sistemi in continuo di monitoraggio delle emissioni, essi sono già stati acquisiti durante il citato sopralluogo di codesta spett. Agenzia in data 4/11/2014, viste le cospicue dimensioni del file”. Tale nota è stata trasmessa, a mezzo posta elettronica certificata, anche alla Regione Basilicata;

- il 14 novembre 2014 la società ricorrente ha trasmesso all’ARPAB le risultanze analitiche dei campioni prelevati, riferiti a “ceneri volanti sezione spray driver forno rotante” e “acque di processo (lavaggio fumi) sezione lavaggio scrubber venturi”, evidenziando come: “dall’analisi dei dati si conferma come causa del fenomeno di colorazione la presenza anomala di iodio all’interno dei rifiuti termodistrutti”;

- il 3 dicembre 2014 si è svolto un terzo sopralluogo da parte di personale dell’ARPAB, al fine di richiedere la seguente ulteriore integrazione documentale: a) rifiuti inceneriti negli ultimi 2 giorni prima dell’evento; b) richiesta di un aggiornamento dei dati di cui alla nota del 14 novembre 2014 relative alle ceneri volanti e alle acque di processo lavaggio fumi linea forno rotante; c) relazione tecnica dettagliata sull’evento redatta successivamente alle analisi di cui al punto precedente; d) relazione che chiarisca le cause che hanno generato i superamenti dei “limiti semiorari”; e) dati grezzi delle registrazioni del sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni dei camini E1 e E2 dal 1° luglio 2014 all’8 dicembre 2014, con precisazione delle procedure utilizzate per il calcolo e la convalida dei dati. Nell’occasione, si è stabilito di: “aggiornare per il giorno 18 dicembre 2014 per valutare le risultanze delle analisi delle ceneri e delle acque di processo richieste in data odierna”;

- con nota sprovvista di data e protocollo, che risulta ricevuta in data 5 dicembre 2014, il Direttore dell’ARPAB ha “sollecitato nuovamente” la società ricorrente ad inviare “non oltre le prossime 48 ore”, una relazione dettagliata ed esaustiva su quanto occorso il 2 novembre u.s.;

- nello stesso giorno, la Fenice Ambiente s.r.l., con nota che risulta trasmessa a mezzo p.e.c. anche ai competenti uffici della Regione Basilicata, ha manifestato la piena disponibilità a fornire la documentazione richiesta, evidenziando, altresì, le tempistiche di consegna concordate con il personale dell’ARPAB nel corso del sopralluogo del 3 dicembre 2014;

- il Direttore dell’ARPAB, con nota del 6 dicembre 2014, ha “ribadito in toto” quanto richiesto con la citata comunicazione del giorno prima;

- il successivo 9 di dicembre lo stesso Direttore dell’ARPAB ha trasmesso alla Regione Basilicata le “determinazioni agenziali in uno con le pertinenti premesse causali”, evidenziando, tra l’altro, che nella vicenda la società Fenice Ambiente avrebbe dato luogo ad un “preoccupante quanto ingiustificato mancato riscontro documentativo”, e che “l’evento relativo all’emissione di fumi rossastri dal camino siglato E2, annesso al forno a tamburo rotante sulla linea di incenerimento dei rifiuti pericolosi, è da ritenersi riconducibile ad una complessiva inadeguatezza, da parte della società Fenice s.r.l., nel governo industriale del processo produttivo perché difforme rispetto a quanto previsto dall’applicazione delle migliori tecnologie disponibili di cui alla DGR 428/2014: l’inappropriata gestione dei rifiuti di cui trattasi in ingresso al termodistruttore e il non corretto funzionamento del sistema di abbattimento fumi hanno determinato emissioni di iodio in atmosfera in concentrazioni tali da produrre fumi di colorazione rossastra, così come evidenziati nell’evento in oggetto”;

- con nota inviata in pari data all’ARPAB e alla Regione Basilicata, la società ricorrente ha contestato le conclusioni raggiunte dal Direttore dell’ARPAB, richiamando le tempistiche concordate col personale di tale Agenzia nel sopralluogo del 3 dicembre 2014 ed evidenziando la genericità delle affermazioni in relazione all’inadeguatezza nella gestione dei processi produttivi e alla violazione delle prescrizioni di cui alla d.g.r. 428/2014;

- sempre il 9 dicembre 2014, ovverosia nello stesso giorno in cui il Direttore dell’ARPAB ha trasmesso le “determinazioni agenziali”, la Regione Basilicata ha adottato l’impugnata deliberazione n. 1499 del 9 dicembre 2014, di sospensione delle attività relative al forno a tamburo rotante;

- il 10 dicembre 2014 parte ricorrente ha trasmesso all’ARPAB e alla Regione Basilicata la relazione richiesta dal Direttore di quest’ultima in data 5 dicembre 2014;

- il 12 dicembre 2014, la Fenice Ambiente s.r.l., dopo aver contestato le conclusioni cui è pervenuto il provvedimento della Giunta regionale, ha trasmesso altra documentazione riferita alle richieste di cui ai verbali di sopralluogo ARPAB;

- il 18 dicembre 2014, infine, la società ricorrente ha trasmesso all’ARPAB ed alla Regione Basilicata ulteriore documentazione.

1.2. In diritto, la società ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione di legge (art. 29-sexies e 29 -decies d.lgs. 152/2006) e l’eccesso di potere (erroneità e difetto dei presupposti, dell’istruttoria, della motivazione; travisamento del fatti; illogicità e ingiustizia manifesta; sviamento; contraddittorietà).

2. Si è ritualmente costituita la Regione Basilicata, contestando la fondatezza dei motivi articolati dalla ricorrente.

2.1. L’ARPAB ed il Comune di Melfi, pure costituitisi ritualmente in giudizio, hanno eccepito genericamente l’inammissibilità, in rito, del ricorso, concludendo per la sua l’infondatezza nel merito.

3. Con decreto presidenziale n. 157/2014, depositato in data 23 dicembre 2014, è stata accolta l’istanza di misure cautelari monocratiche, ai sensi dell’art. 56 cod. proc. amm., con la seguente motivazione: “rilevato dalla documentazione depositata che l’emissione di iodio nel corso dell’evento del 2.11.2014 non ha avuto conseguenze sanitarie per la popolazione residente e che non sono previsti controlli per tale analita nell’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata nel maggio 2014; considerato che per affermazione procedimentale - incontrastata dalle parti pubbliche - non sono previsti nella vigente normativa specifici limiti alle emissioni in atmosfera dello iodio;

ritenuto che ai sensi dell’art. 29-decies, comma 9, del Codice dell’Ambiente non sembra possibile l’immediata sospensione dell’attività senza una previa diffida ed in assenza di un tempo determinato e/o condizione risolutiva; ritenuta la sussistenza della gravità del pregiudizio lamentato dalla ricorrente, anche in relazione al danno economico eventualmente da risarcire, fermo restando l’obbligo da parte della stessa di rispettare le prescrizioni dell’AIA, come indicate nel provvedimento impugnato”

4. Con ordinanza n. 10/2015, resa alla camera di consiglio del 14 gennaio 2015, l’incidentale istanza cautelare è stata accolta, considerato che: “che il ricorso appare assistito da adeguato fumus boni iuris, con riguardo alla mancanza della previsione di un termine finale della sospensione e, quindi, all’illegittimità di una sospensione disposta sine die, in violazione della predetta disposizione (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 15 maggio 2014, n. 935); considerato, altresì, che appare sussistente anche il dedotto difetto di motivazione, in considerazione del fatto che nella relazione ARPAB, cui l’impugnato provvedimento si riporta per relationem, non si accenna all’esistenza di pericoli per l’ambiente, precisandosi anzi che: “è di tutta evidenza che l’Agenzia non ha valutato il potenziale impatto sull’ambiente delle emissioni di iodio nelle concentrazioni che hanno determinato i fumi rossastri, in quanto non sono previsti controlli per tale analita nella D.G.R. n. 428/2014, relativa all’Autorizzazione Integrata Ambientale, né sono previsti in normativa specifici limiti alle emissioni in atmosfera e nelle ceneri”;rilevato che, ad oggi: a) non risultano essersi verificati ulteriori eventi similari a quello di cui è questione; b) in occasione di quest’ultimo, alcun superamento dei valori soglia di cui all’A.I.A. è stato accertato; c) parte ricorrente ha depositato relazione medica sugli aspetti sanitari dell’evento di cui trattasi, nella quale si afferma che l’emissione di iodio nel corso dell’evento del 2 novembre 2014 non ha avuto, ne avrà conseguenze sanitarie per la popolazione residente;ritenuto, infine, che quanto verificatosi in data 16 dicembre 2014, e rappresentato negli scritti difensivi dell’ARPAB, costituisca accadimento inidoneo ad incidere sullo scrutinio di legittimità dell’impugnato provvedimento di sospensione, adottato in data anteriore”.

5. Con ordinanza n. 1819/2015, depositata in data 29 aprile 2015, il Consiglio di Stato, sez. V, ritenuto che: “l’appello presenta profili di fumus boni iuris, tenuto conto del comportamento della società appellata anche in riferimento alla mancata tempestiva informativa alla competenti Amministrazioni”, ha accolto l’appello proposto avverso la citata ordinanza n. 10/2015 dalla Regione Basilicata, e, per l’effetto, in riforma di essa, ha respinto l’istanza cautelare proposta in primo grado.

6. Alla pubblica udienza del 24 giugno 2015, previo deposito di memorie e documenti, i difensori delle parti hanno precisato le rispettive posizioni ed il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. In limine, vanno ritenute inammissibili le eccezioni in rito genericamente sollevate dall’ARPAB e dal Comune di Melfi con riguardo all’azione impugnatoria, posto che nei rispettivi atti di costituzione non sono stati indicati i fatti e le ragioni su cui esse si fondano.

2. Nel merito, il Collegio, pur prendendo atto del contrario avviso espresso dal giudice d’appello, ritiene di dover confermare, all’esito di un’approfondita disamina degli atti di causa, le conclusioni cui è giunto in sede cautelare, nel senso della fondatezza del ricorso, alla stregua della motivazione che segue.

3. Col primo motivo, la società ricorrente ha sostenuto la violazione dell’art. 29-decies, n. 9, del d.lgs. n. 152/2006, in quanto la sospensione dell’attività disposta dalla d.g.r. n. 1449/2014 dovrebbe obbligatoriamente essere ricondotta al manifestarsi di situazioni di pericolo o di danno per l'ambiente, che nel caso di specie sarebbero del tutto assenti.

3.1. La censura va condivisa. In caso di inosservanza alle prescrizioni dell’autorizzazione integrata ambientale, l’art. 29-decies, n. 9, lett. b) del d.lgs. n. 152 del 2006 contempla la diffida e contestuale sospensione dell’attività, per un tempo determinato, “ove si manifestino situazioni, o nel caso in cui le violazioni siano comunque reiterate più di due volte all'anno”. Sul punto, le Amministrazioni resistenti ed il Comune controinteressato non hanno revocato in dubbio, nei rispettivi scritti difensivi, che nella presente questione non si sia in presenza di violazioni reiterate, né ciò emerge dagli atti di causa. Assume dunque centrale rilievo la verifica della sussistenza, nel caso di specie, dell’ulteriore presupposto previsto dalle disposizioni di riferimento per l’adozione del provvedimento di sospensione, ovverosia il manifestarsi di quelle “situazioni” che lo giustifichino.

3.2. Ora, la deliberazione di Giunta impugnata, ai fini della sussistenza di una situazione di pericolo per l’ambiente, rimanda meramente alla nota dal Direttore dell’ARPAB il 9 dicembre 2014. Si legge, infatti, nella cennata d.g.r. n. 1449/2014: “considerata […] la situazione di pericolo per l'ambiente prospettata nella determinazione assunta da ARPAB”. Ebbene, nella cennata nota dell’ARPAB, per tale profilo, si afferma che: “è di tutta evidenza che l’Agenzia non ha valutato il potenziale impatto sull’ambiente delle emissioni di iodio nelle concentrazioni che hanno determinato i fumi rossastri, in quanto non sono previsti controlli per tale analita nella D.G.R. n. 428/2014, relativa all’Autorizzazione Integrata Ambientale, né sono previsti in normativa specifici limiti alle emissioni in atmosfera e nelle ceneri”. Dunque, detta nota (che pure, nella prospettiva del provvedimento impugnato, darebbe conto della sussistenza di una situazione di pericolo ambientale di gravità tale da giustificare, sul versante della proporzionalità e dell’adeguatezza, la sospensione di una rilevante attività imprenditoriale) attesta che: a) l’Agenzia regionale intimata non ha in alcun modo valutato l’impatto sull’ambiente derivato dall’emissione dei fumi di cui è questione; b) l’autorizzazione integrata ambientale non prevede controlli per tale analita; c) la normativa di riferimento non prevede limiti in tal senso.

3.3. Deve dunque concludersi che dal provvedimento impugnato non si evince la sussistenza dei presupposti che il legislatore ha posto a fondamento dell’emanazione, in tale materia, di provvedimenti di sospensione dell’attività.

3.4. Le Amministrazioni resistenti, ed il Comune controinteressato, hanno diffusamente sostenuto che il provvedimento di sospensione impugnato sarebbe stato adottato in attuazione del principio comunitario di precauzione.

3.4.1. Sul punto, il Collegio deve innanzitutto rilevare che di tale principio non è fatta menzione in alcuna parte del provvedimento impugnato, e meno che mai nella parte motiva di esso. A ben vedere, anzi, la d.g.r. n. 1449/2014 non reca riferimenti di sorta ai principi comunitari, richiamando soltanto il ripetuto art. 29-decies, n. 9, lett. b) d.lgs. n. 152/2006. L’invocazione del principio comunitario di precauzione, quindi, appare come un’integrazione postuma della motivazione in sede giudiziale, come tale inammissibile (cfr., ex multis, C.d.S., sez. IV, 12 marzo 2015, n. 1300; id. C.d.S., sez. VI, 19 agosto 2009, n. 4993).

3.4.2. In disparte ciò, occorre considerare che, come si è condivisibilmente affermato in giurisprudenza con riguardo al principio di precauzione: “ l’individuazione dei tratti giuridici del principio viene sviluppata lungo un percorso esegetico fondato sul binomio analisi dei rischi – carattere necessario delle misure adottate; le misure precauzionali, infatti, presuppongono che la valutazione dei rischi di cui dispongono le autorità riveli indizi specifici i quali, senza escludere l’incertezza scientifica, permettano ragionevolmente di concludere, sulla base dei dati disponibili che risultano maggiormente affidabili e dei risultati più recenti della ricerca internazionale, che l’attuazione di tali misure è necessaria al fine di evitare pregiudizi all’ambiente o alla salute; si rifiuta un approccio puramente ipotetico del rischio, fondato su semplici supposizioni non ancora accertate scientificamente; […] sul piano procedurale, l’adozione di misure fondate sul principio di precauzione è condizionata al preventivo svolgimento di una valutazione quanto più possibile completa dei rischi calata nella concretezza del contesto spazio temporale di riferimento, valutazione che deve concludersi con un giudizio di stretta necessità della misura […]; il principio in esame non può legittimare una interpretazione delle disposizioni normative, tecniche ed amministrative vigenti in un dato settore che ne dilati il senso fino a ricomprendervi vicende non significativamente pregiudizievoli dell’area interessata; la situazione di pericolo deve essere potenziale o latente ma non meramente ipotizzata e deve incidere significativamente sull’ambiente e la salute dell’uomo; sotto tale angolazione il principio di precauzione non consente ex se di attribuire ad un organo pubblico un potere di interdizione di un certo progetto o misura […]” (cfr. C.d.S., sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6250). In tal senso, anche l’art. 301 del d.lgs. n. 152/2006, rubricato appunto “attuazione del principio di precauzione”, precisa che quest’ultimo concerne il rischio che sia stato individuato a seguito di una preliminare valutazione scientifica obiettiva. Anche la comunicazione della Commissione europea “COM (2000)1” del 2 febbraio 2000, relativa a tale principio, al capo 5.1.1., precisa che un elemento necessario alla sua applicazione è la valutazione di dati scientifici relativi ai rischi, e che, “logicamente e cronologicamente”, tale valutazione deve essere preceduta dall’identificazione degli effetti potenzialmente negativi derivanti da un fenomeno. Al successivo capo 6.3., in relazione ai principi generali di applicazione della precauzione, la comunicazione enuncia i criteri della proporzionalità delle misure, della non discriminazione delle medesime, della loro coerenza, dell’esame dei vantaggi e degli oneri derivanti dall’azione o dalla mancanza di azione e l’esame della evoluzione scientifica.

3.4.3. Di tutte le attività innanzi elencate non vi è traccia alcuna nel provvedimento impugnato, che, va ripetuto, oltre a non citare affatto il principio in discorso, in riferimento ai rischi per l’ambiente rimanda meramente alla nota ARPAB del 9 dicembre 2014. Di ciò si trae ulteriore conferma dagli scritti difensivi della Regione Basilicata (cfr. pag. 8), ove testualmente si ribadisce che: “l’Ente responsabile degli accertamenti è l’ARPAB e dunque la Regione era tenuta ad operare in conformità alle valutazioni da essa effettuate!”. Senonché, come pure innanzi si è già rilevato, la ripetuta nota ARPAB laconicamente afferma che non si è proceduto a valutazione alcuna dei rischi per la salute umana e per l’ambiente, per cui manca, in tutta evidenza, pure il requisito della stretta necessità della misura di sospensione adottata.

3.4.4. Del resto, ed il rilievo è dirimente, la stessa Regione Basilicata riconosce, nella propria difesa, che il provvedimento non è stato adottato per l’esistenza di pericoli alla salute o all’ambiente derivanti dall’emissione di fumi in questione, in quanto: “[…] ciò che in realtà viene stigmatizzato nella relazione ARPAB e sanzionato con il provvedimento impugnato, quale violazione delle prescrizioni AIA (12.1), è la mancata adozione di tutte le precauzioni necessarie riguardo alla consegna, ricezione e stoccaggio dei rifiuti, ed in particolare l’omessa acquisizione preventiva di informazioni circa lo stato fisico e le sostanze contenute nei rifiuti, l’omessa verifica della documentazione prescritta, nonché l’omesso prelievo e l’omessa conservazione di campioni per identificare la natura dei rifiuti trattati”. Ebbene, come meglio si riferirà in prosieguo, al capo 5. della presente decisione, in assenza del presupposto della reiterazione di tale pretesa violazione, la Regione avrebbe al più potuto diffidare il gestore, assegnando un termine per l’eliminazione delle contestate irregolarità, ai sensi della lett. a) dell’art. 29-decies del d.lgs. n. 152/2006, e non già disporre la sospensione dell’attività.

3.5. Va anche condivisa l’ulteriore doglianza secondo cui sarebbe del tutto generica ed indimostrata l’affermazione dell’ARPAB in ordine al fatto che: “l’evento relativo all’emissione di fumi rossastri dal camino siglato E2, annesso al forno a tamburo rotante sulla linea di incenerimento dei rifiuti pericolosi, è da ritenersi riconducibile ad una complessiva inadeguatezza, da parte della società Fenice s.r.l., nel governo industriale del processo produttivo perché difforme rispetto a quanto previsto dall’applicazione delle migliori tecnologie disponibili di cui alla DGR 428/2014”. In relazione a tale aspetto, è invero agevole osservare che ciò che è stato contestato alla società ricorrente è l’asserita mancata produzione, nei termini assegnati, di taluni atti richiesti. Ebbene, da tale mancata produzione potrebbe al più inferirsi un inadempimento degli obblighi di collaborazione previsti in capo al gestore, ma certamente non può ricavarsi in alcun modo una “complessiva inadeguatezza” della gestione del processo produttivo, oltretutto in assenza di superamento dei limiti segnati dall’autorizzazione integrata ambientale. In senso speculare, è del tutto generica l’affermazione secondo cui non sarebbero state applicate le migliori tecnologie disponibili, posto che non è stato indicato neppure sommariamente in cosa esse consisterebbero, e come avrebbero potuto prevenire o evitare il ripetersi del fenomeno, oltretutto in assenza di prescrizioni dell’a.i.a. relative all’emissione di iodio.

3.6. Quanto all’ulteriore considerazione della Regione Basilicata, secondo cui: “solo a posteriori, con la relazione tecnica depositata con il ricorso, e neanche con assoluta certezza, pare individuato lo iodio come la sostanza che ha causato l’anomala emissione; al momento dell’adozione della DGR non v’erano certezze sulla natura della sostanza né sulle quantità bruciate”, Il Collegio deve osservare che già il 14 novembre 2014 la società risulta aver trasmesso all’ARPAB le risultanze analitiche dei campioni prelevati, riferiti a “ceneri volanti sezione spray driver forno rotante” e “acque di processo (lavaggio fumi) sezione lavaggio scrubber venturi”, evidenziando come: “dal’analisi dei dati si conferma come causa del fenomeno di colorazione la presenza anomala di iodio all’interno dei rifiuti termodistrutti”;

4. Col secondo motivo, la società ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 29-sexies e 29-decies del d.lgs. n. 152/2006, oltre all’eccesso di potere sotto plurimi profili, sostenendo che, contrariamente a quanto affermato dall’ARPAB nella nota del 9 dicembre 2015, nonché nella deliberazione giuntale n. 1149/2014, vi sarebbe stata sempre piena collaborazione istruttoria.

4.1. La censura è meritevole di positivo apprezzamento. Il Direttore dell’ARPAB, nella nota in questione, ha infatti sostenuto che: “la società Fenice s.r.l., nonostante le richieste formalmente significate […] si è limitata a produrre una nota interlocutoria inefficacie […]”. Sul punto, in senso contrario a quanto innanzi, il Collegio osserva che la società ricorrente, anteriormente all’adozione della DGR n. 1449/2014 risulta aver prodotto: a) “report dell’ultima settimana del forno rotante”, nel sopralluogo ARPAB del 2 novembre 2014; b) ulteriore documentazione richiesta nel sopralluogo del 2 novembre, come da nota acquista al protocollo ARPAB del 5 novembre 2014; c) tutti i parametri monitorati per i due forni dell’impianto, in formato digitale, a partire dal 1° agosto 2014, come da verbale di sopralluogo ARPAB del 4 novembre 2014; d) formulari dei rifiuti in ingresso nell’ultima settimana, come da verbale di sopralluogo ARPAB del 4 novembre 2014; e) certificati di taratura trimestrale di tutti gli analizzatori del sistema SME effettuati in autocontrollo, come da verbale di sopralluogo ARPAB del 4 novembre 2014; f) relazione tra l’emissione al camino di iodio gassoso e l’intensità della colorazione del pennacchio, con nota del 5 novembre 2014; g) risultanze analitiche dei campioni prelevati a seguito del fenomeno di colorazione fumi occorso in data 2 novembre 2014, riferiti a ceneri volanti sezione spray driver linea forno rotante; h) acque di processo (lavaggio fumi) sezione lavaggio scrubber venturi, come da nota del 14 novembre 2014. Inoltre, il personale ARPAB ha verificato il funzionamento della centralina di monitoraggio emissioni, nel corso del sopralluogo espletato il 2 novembre 2014, ovverosia il giorno in cui si è verificata l’emissione dei fumi rossastri.

4.1.1. Va poi rilevato che, in parallelo ai tre sopralluoghi svolti in loco dall’ARPAB, rispettivamente il 2 e 4 novembre, e il 3 dicembre 2014, il Direttore dell’Agenzia ha direttamente chiesto alla società ricorrente taluni documenti. In particolare, con una prima nota del 4 novembre 2014, inviata per conoscenza anche al Presidente della Giunta regionale e all’Assessore regionale all’ambiente, è stato chiesto alla Fenice Ambiente s.r.l. di trasmettere, nelle successive 24 ore, una relazione di merito su quanto occorso il 2 novembre 2014, allegando copia dei dati di ognuno dei sistemi di acquisizione in continuo di tutte le parti dell’impianto, con riferimento agli ultimi trenta giorni, nonché gli atti richiesti nel corso del sopralluogo del 2 novembre 2014. Ebbene, la società ricorrente ha dato puntuale riscontro a tale ultima richiesta già il giorno successivo, evidenziando, tra l’altro, che “non si sono registrati superamenti delle concentrazioni dei valori limite degli inquinanti monitorati previsti nella DGR 428/2014 (A.I.A.) del 14 aprile 2014” e che “in riferimento alla richiesta di copia dei dati di ognuno dei sistemi in continuo di monitoraggio delle emissioni, essi sono già stati acquisiti durante il citato sopralluogo di codesta spett. Agenzia in data 4/11/2014”.

4.1.2. Soltanto venerdì 5 dicembre 2014, ad oltre un mese dalla prima nota, il Direttore dell’ARPAB ha chiesto ulteriori atti, da fornire “non oltre le prossime 48 ore”, ovverosia entro domenica 7 dicembre 2014. A tale richiesta, Fenice Ambiente s.r.l. ha replicato già con nota del 5 dicembre 2014, indirizzata anche all’Ufficio prevenzione e controllo ambientale della Regione Basilicata, richiamando quanto concordato nel verbale di sopralluogo ARPAB n. 273 del 3 dicembre 2014 (ovverosia un incontro presso gli uffici ARPAB l’11 dicembre 2014, e la disamina congiunta delle ulteriori analisi richiesta entro il successivo 18 di dicembre), e manifestando la disponibilità a fornire, “entro 48 ore lavorative”, ovverosia entro martedì 9 dicembre 2014, la documentazione di cui ai primi tre punti, nonché entro venerdì 12 dicembre 2014 la relazione di dettaglio.

4.1.3. Con nota che risulta trasmessa a mezzo telefax (cfr. documento n. 12 allegato al ricorso introduttivo) alle ore 17.31 di sabato 6 dicembre 2014, il Direttore dell’ARPAB ha “ribadito in toto” la richiesta di tali atti, da inviare entro il giorno successivo.

4.1.4. Il 9 dicembre 2014 il Direttore dell’ARPAB ha comunicato alla Regione Basilicata le determinazioni agenziali e nello stesso giorno è stata adottata l’impugnata d.g.r. n. 1449/2014.

4.2. Ora, a giudizio del Collegio, dalla ricostruzione dei fatti di cui innanzi emerge che Fenice Ambiente s.r.l. ha fornito l’assistenza necessaria per lo svolgimento delle verifiche tecniche relative all’impianto, come traspare anche dai processi verbali dei tre sopralluoghi ARPAB, nei quali non è fatto cenno alcuno a inadempienze o reticenze ed omissioni di sorta, ed ha prodotto, nei tempi concordati, la documentazione richiesta, così come previsto dal n. 6 dell’art. 29-decies d.lgs. 152/2006, quantomeno fino alla seconda richiesta del Direttore dell’ARPAB del 5 dicembre 2014.

4.2.1. Con riguardo a quest’ultima, va innanzitutto rilevata l’insufficienza del termine assegnato per l’adempimento, ovverosia appena 48 ore, oltretutto ricadenti nei giorni di sabato e domenica. Tale brevissimo lasso temporale, inoltre, è incongruo anche rispetto alle stesse richieste di integrazione documentale dell’ARPAB formulate nel corso della visita del 3 dicembre 2014, e più in generale rispetto alla scansione cronologica delle attività svolte dall’ARPAB in precedenza, nel corso di oltre un mese dal verificarsi dell’evento. Soprattutto, però, dagli atti di causa non è dato comprendere perché non si sia potuto attendere le 48 ore lavorative richieste dalla società ricorrente nella nota del 5 dicembre 2014, a fronte dell’oggettiva mancata ripetizione del fenomeno e della mancata valutazione, da parte dell’ARPAB, di potenziali pericoli per la salute e l’ambiente. Appare quindi essere mancato, nell’occasione, il bilanciamento tra le esigenze di continuazione dell’attività d’impresa e i benefici solo potenzialmente legati alla scelta inibitoria, stante l’assenza di valutazioni scientifiche dei pur cospicui dati ed elementi già forniti dalla ricorrente.

4.2.2. In relazione ad un’asserita reiterazione del fenomeno, l’ARPAB ed il Comune di Melfi hanno sostenuto che un accadimento di segno analogo si sarebbe verificato il 16 dicembre 2014. Ora, in primo luogo tale episodio è intervenuto in epoca successiva all’adozione degli atti gravati, per cui non può di certo sostenerne il percorso motivazionale, ne influire sul relativo scrutinio di legittimità. Inoltre, in tale ultimo caso non vi è stata alcuna nuova emissione di fumi dalla colorazione sospetta, bensì l’introduzione dell’impianto, ai fini del trattamento nel differente forno a griglia, di un carico di rifiuti urbani contenente elementi radioattivi, come rilevato dai sensori al portale d’ingresso dell’impianto. Nell’occasione, tale carico risulta essere “stato segregato, non alimentato e gestito secondo la specifica procedura prevista” (cfr. memoria di parte ricorrente depositata in data 1 giugno 2015). Tale fatto non ha formato oggetto di contestazione specifica. Orbene, da detto accadimento, come puntualmente osservato dalla ricorrente, può evincersi il corretto funzionamento dei sistemi di sicurezza dell’impianto, piuttosto che il contrario.

4.3. La Regione Basilicata, nei propri scritti difensivi, ha sostenuto che: “non si può certo contestare alla Regione la mancanza di autonoma valutazione o apprezzamento sulla situazione di pericolo, quando, come si è detto, pur essendo autorità competente, non ha ricevuto alcuna comunicazione, pur dovuta per legge”. In senso contrario, il Collegio osserva che l’Amministrazione regionale risulta aver avuto contezza dell’evento sin dal 4 novembre 2014, ovverosia dopo soli due giorni dal verificarsi dell’evento, in quanto il Direttore dell’ARPAB ha indirizzato anche al Presidente della Giunta regionale ed all’Assessore regionale all’Ambiente la prima delle sue note contenenti richieste di documentazione sull’accaduto. Inoltre, la nota di riscontro da parte della società ricorrente a tale richiesta è stata spedita, tramite p.e.c., oltre che a costoro, anche alla casella di posta elettronica del competente Dipartimento regionale Ambiente e territorio, infrastrutture, opere pubbliche e trasporti, ove è stata consegnata alle ore 11.56 del giorno 5 novembre 2014. Sempre alla Regione Basilicata risulta spedita, a mezzo raccomandata, la nota del 5 novembre 2014, di riscontro alla richiesta di documenti da parte dell’ARPAB nel corso del sopralluogo svolto in occasione dell’evento, così come le ulteriori comunicazioni intervenute sulla questione.

4.3.1. Quanto all’ARPAB, vanno pienamente condivise le argomentazioni sul punto della società ricorrente, ovverosia che tale Agenzia ha avuto contezza dell’emissione dei fumi di anomala colorazione sin dal verificarsi dell’evento, in quanto il proprio personale è intervenuto sul posto nel mentre il fenomeno era ancora in corso di svolgimento.

4.3.2. Peraltro, ai sensi dello stesso art. 29-decies, n. 6, l’obbligo di segnalazione dell’accaduto all’Autorità competente, ovverosia alla Regione Basilicata, incombeva anche sulla stessa ARPAB, appunto a seguito del controllo svolto il 2 novembre, in concomitanza dell’evento.

4.4. Fermo quanto innanzi, non può non tenersi anche conto del fatto che la società ricorrente risulta anche aver trasmesso alle Amministrazioni resistenti ulteriori atti e documenti, in riscontro alla ripetuta nota del 5 dicembre 2014, entro il 18 dicembre 2014. Tuttavia, tanto l’ARPAB, quanto la Regione Basilicata non risultano aver provveduto a contestare formalmente alla società ricorrente la congruenza, l’adeguatezza e la completezza degli atti così prodotti, e neppure hanno adottato, all’esito delle valutazioni di rispettiva competenza, ai sensi dell’art. 29-decies d.lgs. n. 152/2006, gli ulteriori provvedimenti del caso, ovverosia il ritiro del provvedimento di sospensione adottato ovvero la revoca dell’autorizzazione e la chiusura dell’installazione, ove ritenuti sussistenti i relativi presupposti.

5. Col terzo motivo, Fenice Ambiente s.r.l. ha lamentato, tra l’altro, che, a tutto concedere, la contestata violazione delle prescrizioni individuate con i nn. 12.1.11 e 12.1.9, con specifico riguardo ai punti 9.3 e 9.5, pure menzionata negli atti impugnati, potrebbe determinare l’azione dei provvedimenti di cui alla lettera a) dal n. 9 dell’art. 29-decies, e non la sospensione, prevista dalla successiva lettera b).

5.1. Anche tale doglianza va condivisa. In tal senso, va osservato che la pretesa inosservanza da parte della Fenice Ambiente s.r.l. delle prescrizioni autorizzatorie dell’allegato 1 alla d.g.r. n. 428/2014, recante l’a.i.a., ancorché prospettate nella deliberazione giuntale impugnata, non risultano essere state in precedenza contestate alla ricorrente. Infatti, all’esito del sopralluogo del 3 dicembre, e della successiva nota del Direttore ARPAB del 5 dicembre 2014, i relativi dati sono stati meramente richiesti, mentre alcuna contestazione delle relative inadempienze risulta essere successivamente intervenuta. Ne deriva che la Regione Basilicata avrebbe potuto adottare, per tale profilo, soltanto il provvedimento di cui all’art. 29-decies, n. 9, lett. a) d.lgs. n. 152/2006, ovverosia una diffida, con assegnazione di un termine entro il quale eliminare le pretese violazioni. In altri termini, il legislatore, nel solco del principio di proporzionalità, ha previsto un sistema di gradualità delle sanzioni, proprio allo scopo di adeguare i provvedimenti da adottare alla gravità della situazione concretamente accertata. In particolare, esso ha inizialmente previsto la soluzione della diffida, demandando la più grave misura della sospensione temporanea dell’attività assentita soltanto in caso di reiterate violazioni o nell’ipotesi di mancato adeguamento delle prescrizioni imposte con la diffida, ovverosia situazioni che non si rinvengono nella fattispecie.

6. Col quarto motivo, la società ricorrente ha dedotto, sotto altro profilo, la violazione dell’art. 29-decies, n. 9, del d.lgs. n. 152/2006, in quanto il provvedimento non avrebbe fissato il termine massimo di durata della sospensione.

6.1. La censura coglie nel segno. Sul punto va evidenziato che la deliberazione giuntale impugnata, per tale versante, si limita a disporre la mera sospensione dell’attività, senza disporre alcun termine di durata di tale misura. In tal senso, a giudizio del Collegio, emerge plasticamente la violazione della disposizione di riferimento, nella parte in cui è previsto che la sospensione duri per un “periodo determinato”.

6.2. Le parti resistenti hanno sostenuto, a tal riguardo, che l’atto recherebbe in sé un termine implicito che sarebbe costituito dall’adempimento, il quale sarebbe determinato, a sua volta, dallo stesso gestore, sicché la durata della sospensione delle attività dipenderebbe esclusivamente da una sua condotta. In senso opposto, tuttavia, condivisibile giurisprudenza, in analoga questione, ha già affermato che la mancanza della previsione di un termine finale della sospensione e, quindi, l’illegittimità di una sospensione disposta sine die, configuri violazione dell’art. 29-decies, n. 9, lett. b) d.lgs. n. 152/2006, che impone una disciplina espressa del momento finale del provvedimento (cfr. T.A.R. Toscana, sez. II, 15 maggio 2014, n. 935). Inoltre, la natura indeterminata del termine di sospensione è stata poi confermata dal successivo comportamento dell’ARPAB e della Regione Basilicata, a seguito dell’ulteriore produzione documentale della società ricorrente, come osservato supra al capo 4.4. della presente decisione; comportamento che ha evidenziato un contesto complessivo in cui appare assente una qualche certezza in ordine ai tempi di riattivazione dell’impianto.

7. Dalle considerazioni che precedono discende, dunque, l’accoglimento dell’azione impugnatoria.

8. Risulta, altresì, fondata in parte l’azione risarcitoria, del pari spiegata col presente ricorso. Sussistono, invero, i presupposti della responsabilità risarcitoria dell’amministrazione ai sensi dell’art. 2043 c.c., atteso che il pregiudizio patrimoniale lamentato dalla ricorrente è eziologicamente riconducibile agli atti impugnati che, in quanto illegittimi nei termini dianzi esposti, hanno cagionato una lesione antigiuridica nella sfera patrimoniale della ricorrente stessa. Detta lesione va ricondotta, sul versante soggettivo, alla colpa delle Amministrazioni intimate.

8.1. In ordine alla quantificazione del danno, il Collegio, ai sensi dell’art. 34, n. 4, cod. proc. amm., dispone che l’ARPAB e la Regione Basilicata propongano a favore della ricorrente il pagamento di una somma di danaro, a titolo di ristoro per equivalente, nel termine di giorni novanta dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione, all’uopo individuando i seguenti criteri direttivi:

a) il parametro economico di riferimento è individuato nel mancato utile derivante alla società, dalla data del provvedimento impugnato e per il periodo di effettiva interruzione delle attività, da commisurare al valore di attività similari, esercitate in impianti aventi dimensioni e collocazione paragonabili a quelli in esame, secondo parametri che la società ricorrente dovrà documentare, esibendo, in particolare, ogni documento contabile utile a tal fine.

b) vanno altresì risarciti, previa produzione di adeguata documentazione giustificativa, i danni derivanti dalla permanenza dei rifiuti nelle vasche di stoccaggio, nonché quelli derivanti dall’applicazione di eventuali penali ed altre similari clausole contrattuali, ove dipendenti in via diretta dal fermo dell’attività;

c) la quantificazione del pregiudizio dovrà essere effettuata nel contraddittorio tra le parti e a tale fine la ricorrente ha l’onere di produrre la predetta documentazione giustificativa;

d) le somme determinate a titolo risarcitorio devono essere rivalutate, trattandosi di un debito di valore da illecito extracontrattuale e sulle somme così rivalutate sono calcolati gli interessi legali fino al momento del saldo (cfr. T.A.R. Lombardia, sez. IV, 13 febbraio 2015, n. 467).

8.2. Nulla può essere, invece, riconosciuto alla ricorrente a titolo di “danno economico derivante dalla perdita di mercato”, in quanto lo stesso appare indicato in modo del tutto generico, senza che ne sia stato fornito alcun principio di prova.

9. Le spese seguono la soccombenza, con riguardo alla Regione Basilicata e all’ARPAB, e si liquidano come da dispositivo, mentre sussistono giusti motivi, attese le peculiarità della questione, per disporre la compensazione delle spese stesse relativamente al Comune di Melfi.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata, definitivamente pronunciando sul ricorso, per come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, e per l’effetto:

- annulla la deliberazione della Giunta regionale n. 1449/2014 e la nota a firma del Direttore dell’ARPAB prot. n. 0011907 del 9 dicembre 2014;

- condanna la Regione Basilicata e l’ARPAB, in solido tra loro, al risarcimento del danno nei confronti della società ricorrente, secondo i criteri e le modalità di cui in motivazione.

Condanna la Regione Basilicata e l’ARPAB, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite in favore della società ricorrente, liquidando le stesse in complessivi euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge, se dovuti. Compensa le spese di giudizio con riguardo al Comune di Melfi.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Potenza, nella camera di consiglio del giorno 24 giugno 2015, con l’intervento dei magistrati:

 

Italo Riggio, Presidente

Pasquale Mastrantuono, Consigliere

Benedetto Nappi, Referendario, Estensore

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/10/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)