L’occasione per occuparsi della problematica indicata in premessa è stata originata dalla constatazione – avvenuta durante un procedimento penale per abusivismo edilizio - che un ufficio tecnico di un Comune del territorio della Provincia di Modena, aveva da lungo tempo ritenuto che l’attività di edificazione di opere entro il limite di 150 metri da corsi di acqua di cui all’art. 1 co. I lett. c) della legge n. 431 del 1985 non necessitasse mai di autorizzazione quando essa avvenisse in aree all’interno di piani pluriennali di attuazione (p.p.a.), anche approvati dopo la vigenza della legge Galasso e che l’esclusione del vincolo di legge sui corsi d’acqua potesse essere adottata anche al di fuori della speciale procedura disposta nell’art. 1 quater del testo normativo e precisamente da parte dei piani paesistici previsti dall’art. 1 bis della medesima legge.
Attività del genere di quella del caso concreto (edificazione di vari complessi ad uso abitativo), benché avviata in zona rientrante in un piano pluriennale di attuazione, approvato dopo l’entrata in vigore della legge Galasso, doveva bensì essere preceduta dall'autorizzazione paesaggistica, in quanto la ratio della disposizione dell’art. 1 co. II della legge n. 341 del 1985, che contempla una deroga ai vincoli imposti dal co. I, va individuata nell'intento di salvaguardare i processi di urbanizzazione già in essere ovvero in corso al momento della vigenza della l. n. 431, anche per consentire il completamento degli iter di urbanizzazione avviati sulla scorta dei relativi programmi pubblici, evitando che l'innovazione portata dalla disciplina vincolistica potesse essere d'ostacolo ai medesimi.
Che l'esclusione del vincolo vada circoscritta alle sole zone già comprese nei p.p.a. all'entrata in vigore della legge n. 431 del 1985, si evince anche dalla considerazione che ai Comuni non è permesso, con proprie determinazioni, aventi pur sempre valore ed efficacia di atto amministrativo, anche se di portata generale, incidere restrittivamente sulla portata della legge citata, ampliando le esclusioni dai limiti ivi imposti, in assenza di espresso conferimento di potestà sul punto. “Ad colorandum” va inoltre ricordato che le eccezioni ai vincoli della legge n. 431 del 1985 sono da ritenersi "eccezionali " e "di stretta interpretazione" , tanto che si è ritenuto - da parte della giurisprudenza - che il solo progetto di lottizzazione - atto non sostitutivo del piano di attuazione - non abbia nessuna attitudine ad escludere i vincoli della legge Galasso (v. Cass. pen. sez. III 19.7.93, n. 1512, Santise); la scelta del legislatore statale, nel 1985, è stata dunque quella di non applicare vincoli generali nelle aree urbanizzate e già compromesse in quanto fatte oggetto di pianificazione all’atto dell’introduzione delle salvaguardie imposte con la legge n. 431 (v. Cass. pen. sez. III 17.1.98, n. 3882, Matarrese).
Supportano questa affermazione: la giurisprudenza amministrativa sia di legittimità (v. Cons. Stato sez. VI, n. 1351 del 1988; Cons. Stato, sez. VI, 4.12.96, n. 1679, in Riv. Giur. Edilizia 1997, I, 594) che di merito (v. T.A.R. Lombardia sez. II, n. 1330 del 1991) ed infine alcuni pareri resi dall'Avvocatura dello Stato (v. note 11.1.93 e 14.5.93); per completezza si fa presente che con missiva datata 3.7.97 ed indirizzata a tutti i Comuni della Regione Emilia - Romagna, era stata chiarita da quest’ultimo Ente l’esatta interpretazione della disciplina richiamata e che il solo Comune implicato nella vicenda risultava aver fatto propria l’errata esegesi della legge n. 431 del 1985 a cui si è fatto ripetuto accenno.
Per quanto poi attiene al vincolo a cui sono assoggettati i due corsi d’acqua in quanto tali, occorre soffermarsi sull’evoluzione degli interventi che la Regione Emilia Romagna ha adottato sulla base della legge n. 431 del 1985:
in un primo momento, con la delibera n. 596 del 1986, l’Ente regionale aveva escluso dalla tutela paesaggistica per il comprensorio del Comune interessato, tutti i corsi d’acqua di cui alla legge cit., art. 1 lett c);
la delibera tuttavia appariva affetta da un evidente vizio, non rispettando l’esigenza di analitica e specifica esclusione dal vincolo, per ogni singolo corso d’acqua;
la delibera del 29.6.89 n. 2620 (di adozione del piano paesistico regionale) aveva disposto espressamente la revoca dell’efficacia della precedente delibera n. 596 ed aveva ancora una volta, anziché motivare le specifiche esclusioni, indicato fiumi, torrenti e pochissimi corsi d’acqua soggetti a tutela, Provincia per Provincia;
la Regione Emilia Romagna riconosceva in seguito che con la revoca della delibera n. 596 doveva intendersi automaticamente ripristinato il vincolo di legge su tutti i corsi d’acqua ricompresi negli elenchi provinciali delle acque pubbliche (nota Regione Emilia – Romagna 5881 del 4.3.96);
non solo, la Corte Costituzionale, con sent. n. 327 del 26 giugno - 13 luglio 1996, - nella risoluzione di un conflitto di attribuzioni tra lo Stato e la Regione Emilia-Romagna - qualificava espressamente il piano oggetto della delibera n. 2620 del 1989 tra i “piani urbanistici territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali” (di cui all’art. 1 bis della legge n. 431 del 1985), dettagliatamente inquadrato nei “piani territoriali stralcio relativi all’intero territorio regionale” (di cui all’art. 4 co. I n. 2 Legge Regionale Emilia Romagna n. 47 del 1978);
il fatto che il Piano predetto non prevedesse quali oggetto di vincolo i corsi d’acqua nei cui pressi si stava dando corso alle opere, era pienamente logico e comprensibile, poiché i corsi d’acqua in questione si trovavano ad essere già sottoposti a tutela paesistica dall’art. 1 lett. c) della legge n. 431 del 1985, per cui sarebbe stata superflua ogni ulteriore determinazione al riguardo;
che questa sia la interpretazione corretta appare dalla considerazione che il Piano Paesistico è strumento con cui è consentito imporre vincoli sull’utilizzo del territorio anche per ambiti diversi da quelli del co. V dell’art. 82 d.p.r. n. 616 del 1977 o delle altre zone vincolate dalla legge n. 1439 del 1939, essendo la tutela apprestata dalla legge n. 431 del 1985 “minimale” e tale da non escludere né precludere “normative regionali di maggiore o pari efficienza” (così letteralmente Corte Cost. del 13.7.90 e Corte Cost n. 151 del 1986); non è e non era perciò il Piano Paesistico il mezzo con cui poteva essere escluso il vincolo introdotto dall’art. 1 lett. c) l. n. 431 del 1985, ma soltanto una delibera presa sulla base dell’art. 1 quater l. Galasso, provvedimento ben differente e che la Regione non ha adottato rispetto ai due corsi d’acqua predetti. Qualora poi si fosse preteso che l’esclusione fosse da riferire alla delibera n. 596 c.i.t., essa era in ogni caso stata espressamente revocata dalla Regione Emilia Romagna;
a supporto delle tesi che qui si sostengono è altresì copiosa giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha ripetutamente affermato che “i piani urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali” non soltanto non fanno venir meno ma anzi suppongono l’esistenza del vincolo, quale che sia l’origine di questo, Statale o Regionale, in forza di provvedimenti ovvero sulla base della legge stessa; il piano paesistico territoriale, infatti, “attiene ad una fase successiva rispetto a quella dell’imposizione del vincolo, cioè a quella di disciplina programmata di tutela delle zone già individuate, per coordinare le attività e le misure scaturenti dall’episodicità inevitabilmente connessa con i semplici poteri autorizzatori che conseguono al regime della legge n. 149 del 1939” (v. Cons. Stato sez. VI 14.1.93, n. 29; sez. VI, 26.1.93 n. 96;sez. VI, 30.3.94, n. 450; sez. VI, 14.11.92, n. 873; sez. VI4.4.97, n. 553);
Era destituito di portata pratica ogni riferimento fatto dagli Uffici Comunali, a difesa delle proprie posizioni e dell’esclusione della ipotizzabilità di reati, all’art. 6 co. I l. Reg. n. 46 del 1988 (che prevede che concessioni ed autorizzazioni rilasciate in conformità al piano territoriale paesistico sostituiscono le autorizzazioni di cui all’art. 10 della legge Regionale n. 26 del 1978 in applicazione dell’art. 7 della legge n. 1497 del 1939) perché le relative concessioni nei p.p.a. interessati agli interventi: 1) avevano investito aree che erano e rimanevano vincolate dalla legge n. 431 del 1985; 2) non erano state assentite previo parere della Commissione Edilizia in composizione integrata da due esperti in materia ambientale (come esige proprio l’art. 10 co. II della legge regionale n. 26 del 1978) ed erano pertanto da ritenersi illegittime e quindi disapplicabili ex artt. 4 e 5 l. n. 2248 del 1865, all. E almeno sotto il profilo della violazione dell’art. 1 sexies l. n. 431 del 1995; 3) erano state adottate senza il previo nulla osta della Soprintendenza, provvedimento indefettibile ai sensi della legge Galasso, non derogata né derogabile dall’art. 6 della legge regionale n. 46 cit..
Dott. Mirko Margiocco
Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Modena