L’assenza
di una definizione legislativa di "centro storico".
Dott. Ruggiero Marzocca
La
mancata previsione di una disciplina ad hoc per i centri storici va imputata
soprattutto alle difficoltà che sono state incontrate nel momento in cui si è
tentato di circoscrivere l'oggetto della tutela: in altre parole, non esiste una
definizione di centro storico ed i tentativi che sono stati fatti in passato
hanno avuto come risultato una nozione spesso oscillante, per cui alla fine non
si saprebbe nemmeno che cosa tutelare[1]
Già le leggi del '39 ignorarono la
questione dei centri storici, mirando sostanzialmente ad una tutela passiva dei
singoli monumenti, prescindendo dal contesto ambientale in cui risultassero
inseriti.
Il primo vero momento di
considerazione dei centri storici da parte del legislatore si è avuto con la
legge-ponte .
L'art.
17, comma 5, di tale legge introdusse, come si è detto, una forma di tutela che
finalmente guardava ai complessi ambientali e non soltanto ai singoli immobili
di particolare interesse.
La norma
vieta, negli "agglomerati urbani aventi carattere storico, artistico o di
particolare pregio ambientale", ogni alterazione di volumi e ogni
costruzione sulle aree libere, fino all'approvazione dello strumento urbanistico
generale.[2]
Peraltro tale normativa non
definisce i detti agglomerati.
Pertanto,
apparve subito evidente l'opportunità di una specifica determinazione da parte
del consiglio comunale in sede di adozione del P.r.g. (o P.d.f.) o con apposita
delibera.
Nello
stesso anno della legge-ponte, a titolo esclusivamente orientativo, il ministero
dei Lavori pubblici tentò, con circolare
28 ottobre 1967, n. 3210, una definizione di detti agglomerati,
riferendosi:[3]
a)
alle strutture urbane in cui la maggioranza degli isolati contengono edifici
costruiti in epoca anteriore al 1860, anche
in assenza di monumenti o di edifici di particolare valore artistico;
b) alle
strutture urbane racchiuse da antiche mura in tutto o in parte conservate, ivi
comprese le eventuali propaggini esterne che rientrino nella definizione di cui
sopra (punto a);
c)
alle strutture urbane realizzate anche dopo il 1860, che nel loro complesso
costituiscono documenti di un costume edilizio altamente qualificato.
Invece
l'art. 17, comma 5, della legge-ponte può comunque ritenersi modificato dalla
nuova disciplina per i territori sprovvisti di qualsiasi piano urbanistico
comunale, ai sensi dell'art.
4 legge 27 gennaio 1977, n. 10 ed analoghe leggi regionali , ancora
vigente è la disciplina sugli standards urbanistici, introdotta sempre dalla l.
n. 765/67, ai sensi dell'art. 17, commi 8 e 9.[4]
Tale
disciplina è contenuta nel d.m.
2 aprile 1968, n. 1444, che, tra i vari settori territoriali
omogenei, distingue la tanto dibattuta "zona A".
L'art. 2
stabilisce che "sono considerate zone territoriali omogenee, le parti del
territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico,
artistico o di particolare pregio ambientale o da posizioni di essi, comprese le
aree circostanti, che possono considerarsi parte integrante, per tali
caratteristiche, degli agglomerati stessi".
Peraltro
da tale norma deriva, indirettamente, una definizione ristretta di "centri
storici", come zona da sottoporre a vincoli conservativi di natura
urbanistica, e normalmente comprensiva della parte più antica della città e
delle zone contigue, ma lontana dalla considerazione attuale del centro storico
nel suo rapporto costante con l'evoluzione della vita della comunità.
In tale
direzione vale la pena citare la definizione di centro storico che si ricava
dalla recente legge urbanistica della Regione Lazio 22 dicembre
1999, n. 38 ("Norme sul governo del territorio").
Questa,
dopo aver tracciato le finalità degli interventi sui centri antichi (art. 59),
prescrive che "sono centri storici gli organismi urbani di antica
formazione che hanno dato origine alle città contemporanee.
Essi si
individuano come strutture urbane che hanno mantenuto la riconoscibilità delle
tradizioni, dei processi e delle regole che hanno presieduto alla loro
formazione e sono costituiti da patrimonio edilizio, rete viaria e spazi
inedificati.
La loro
perimetrazione, in assenza di documentazione cartografica antecedente, si basa
sulle configurazioni planimetriche illustrate nelle planimetrie catastali
redatte dopo l'avvento dello stato unitario.
L'eventuale
sostituzioni di parti, anche cospicue, dell'edilizia storica non influisce sui
criteri indicati per eseguire la perimetrazione.
Gli
insediamenti storici puntuali sono costituiti da strutture edilizie comprensive
di edifici e spazi inedificati, nonché da infrastrutture territoriali che
testimoniano fasi dei particolari processi di antropizzazione del territorio.
Essi sono
ubicati anche al di fuori delle strutture urbane e costituiscono poli
riconoscibili dell'organizzazione storica del territorio" (art. 60).
Tale
norma non fa cenno a criteri cronologici, ma a parametri distintivi fondati su
una visione più "moderna" dei centri storici, in un costante processo
di adeguamento del territorio alle esigenze e agli interessi dell'uomo.
Recentemente, è entrato in vigore il d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490,
costituente il Testo
Unico in materia di beni culturali e ambientali.[5]
Questo
non fa riferimento ai centri storici, dato che, come si evince dalla relazione
stessa del T.U., si è "avuto cura di mantenere inalterate quelle
formulazioni delle due leggi fondamentali (l. 1089/39 e l. 1497/39) che hanno
ormai assunto nella consolidata esperienza giuridica un valore quasi sacrale per
la definizione di contenuti sostanziali delle discipline dei beni culturali e
dei beni ambientali". Pertanto i centri storici non sono stati inseriti nel
novero dei beni culturali ex art. 2.
Peraltro,
l'art. 4 del T.U. dispone che i "beni non ricompresi nelle categorie
elencate agli artt. 2 e 3 sono individuati dalla legge come beni culturali in
quanto testimonianza avente valore di civiltà".
Si
tratta di una norma che "rende omaggio" alla definizione unitaria di
bene culturale proposta per la prima volta dalla
L'art.
148, comma 1, lett. a), infatti, definisce come beni culturali,
"quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale,
demoetnoantropologico, archeologico e
gli altri che costituiscono testimonianza avente valore di civiltà così
individuati in base alla legge". [6]
In
ogni caso sia la formula utilizzata dall'art. 148 del d.lg. 112/98 che quella
dell'art. 4 del T.U. non hanno una immediata efficacia operativa che consenta di
qualificare una cosa come bene culturale, ma occorrerà comunque a tale fine
l'intervento da parte del legislatore.[7]
Proprio
in questa direzione si inserisce quella terza parte del parere del consiglio
nazionale per i Beni culturali e ambientali sullo schema di T.U., che evidenzia
i temi sui quali sono particolarmente urgenti interventi di innovazione e di
revisione legislativa.
Tra
questi, in particolare, il consiglio nazionale auspica la redazione di una legge
sulle città storiche, la quale estenda l'ambito dell'azione di tutela oltre i
limiti propri della l. 1089/39, al tempo stesso congiungendo in modo organico e
nel pieno rispetto delle competenze di comuni, province e regioni l'intervento
di salvaguardia con la normativa urbanistica e territoriale .
Nella
precedente legislatura era stato presentato al parlamento un disegno
di legge d'iniziativa dell'ex ministro Veltroni sulle "città
storiche"[8],
con cui si è tentato ,per la prima volta ,di assegnare ai centri storici la
loro giusta collocazione nel ambito dei "beni culturali".
La
finalità del provvedimento era quello
di proteggere, recuperare e valorizzare i centri storici italiani.[9]
Ai
fini della tutela e della valorizzazione dei centri storici , i Comuni
dovranno delimitare il perimetro dei propri centri , quartieri
e siti di interesse storico –artistico e richiedere al competente
sovrintendente per i beni ambientali e architettonici la conformità della perimetrazione alla
estensione del patrimonio storico urbano.[10]
Inoltre
il disegno di legge prevedeva che i
Comuni dovevano adottare il programma degli interventi per tutelare i centri
storici.
Questo
programma deve essere approvato dai Comuni , sentiti i rispettivi sovrintendenti
per i beni ambientali architettonici.
I
comuni dopo l’accertamento della loro conformità della perimetrazione al
patrimonio storico e una volta che si sono dotati del programma degli interventi
di salvaguardia, dovranno ogni anno redigere un programma finalizzato ad
assicurare la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale esistente nei
centri di interesse storico- artistico .
Questo
programma annuale fa riferimento anche alle qualità e alle caratteristiche
architettoniche e cromatiche e dei
materiali dell’ambiente urbani , nelle finiture
e arredi delle facciate , nelle vetrine e insegne e in ogni altro
elemento che incide sull’immagine urbana , nel rispetto degli elementi
originali e tradizionali.
Tale
programma annuale la cui realizzazione è affidata ai Comuni che devono
promuovere accordi di programma con le pubbliche amministrazioni e accordi con i
privati.[11]
Inoltre
il d.d.l. prevedeva che il Ministero per i beni culturali e ambientali
concentri i propri interventi di restauro e conservazione dei beni culturali
nelle zone interessate dai programmi di recupero.
L’articolo
3 del d.d.l. disciplina della dichiarazione di interesse culturale di locali
oggetto di attività tradizionali.
Infatti
la dichiarazione di interesse culturale è previsto con provvedimento del
soprintendente per i beni ambientali e architettonici, sulle attività culturali
, artistiche , commerciali e produttivi che si trovano nelle aree di interesse
storico-artistico.
L’articolo
4 invece riguarda le manifestazioni ed
eventi che si svolgono nelle vie, piazze nei centri storici.
Mentre
l’articolo 6 disciplina la promozione e la qualificazioni dell’offerta
turistica.
Infatti
si prevedeva che per una razionale promozione
e diffusione dei flussi turistici sul territorio ,
i Comuni devono individuare i carichi
turistici[12]
, e unitamente alla Provincia svolgono
attività di promozione e qualificazione dell’offerta turistica
, attraverso la individuazione di itinerari culturali di interesse
storico.
Il
disegno di legge del 1997 si basava
sull’osservazione che i centri storici assumono interesse non solo per il loro
valore storico-artistico, ma anche per il turismo che tali centri richiamano,
poiché il turismo costituisce una delle maggiori risorse per l'economia
italiana.
Il
progetto di legge si riferiva non solo ai centri storici, ma anche alle
"città storiche", estendendo l'attenzione dal centro storico,
propriamente detto, ai quartieri e ai siti
di interesse storico e artistico che attorniano il centro storico per
conservarli e valorizzarli.[13]
Il disegno di legge per cui si basava su alcuni istituti
fondamentali della legge 241/90 come l'accordo di programma e l'accordo
sostitutivo, e altri quali la "perimetrazione", la "Conferenza comunale degli eventi e delle
manifestazioni", la "dichiarazione di interesse culturale" per i
locali in cui si svolgono quelle attività tradizionali[14].
Ma
la principale innovazione del progetto di legge era quella secondo cui
spettava ai Comuni perimetrare le zone con caratteristiche storiche ,dopodiché
il sovrintendente per i Beni ambientali e architettonici si sarebbe espresso
sulla conformità della perimetrazione all'effettiva estensione del patrimonio
storico urbano e in caso di inerzia del comune, sarebbe stato il sovrintendente
a proporre la perimetrazione al comune, se riscontrava l'interesse
storico-artistico meritevole di tutela.
Tale
proposta normativa è stato uno dei punti più discussi e dibattuti del disegno
di legge poiché in molti ritenevano che nei centri storici così perimetrati
non si sarebbe potuto "muovere un dito"[15] senza l'autorizzazione
del sovrintendente.
Nel
novembre del 1997 l'Inu [16]aveva
approvato una mozione con la quale criticava il provvedimento definendola come
"legge datata".[17]
L'Istituto
criticava, il tentativo di "isolare i centri storici e la loro salvaguardia
dalla più generale disciplina urbana e territoriale" e segnalava "la
pesante limitazione dell'autonomia dei comuni".
In
ogni modo, nonostante le critiche, sembrava che il provvedimento dell'ex
ministro Veltroni continuasse a
lasciare intatta l'autonomia del comune, affidando alla sua discrezionalità la
decisione riguardo a se provvedere alla perimetrazione e al programma
d'intervento, poiché il sovrintendente aveva, in questa fase, solo una funzione
di supporto alle scelte.
La mancata formulazione di una
specifica definizione di centro storico, va imputata a sua volta dalla
indeterminatezza del concetto giuridico stesso di centro storico.
Infatti,
nel momento in cui questo è preso in considerazione dalla disciplina
urbanistica, e quindi non appena quest'ultima sembra trasferire l'oggetto della
materia dalla tutela di tipo culturale a una tutela di tipo urbanistico, il
centro storico viene definito come bene culturale.
Nel d.m.
n. 1444/68, la definizione della zona , ci si accorge che, pur essendo
il centro storico diventato una zona urbanistica, in realtà è definito come
bene culturale: si fa riferimento, cioè, alle sue caratteristiche
storico-ambientali.
Ciò non ha fatto altro che
alimentare l'alone di ambiguità e incertezza che circonda la questione in
discussione, perché a voler interpretare letteralmente l'art. 41-quinquies, il
centro storico dovrebbe essere tutelato esclusivamente come zona urbanistica.
Peraltro si fosse interpretata tale
norma per quello che effettivamente dice, non tutti i P.R.G. avrebbero dovuto
procedere alla individuazione del settore A, poiché in molti comuni del nostro
paese non c'è un centro o una parte dell'agglomerato urbano che abbia quei
caratteri storico-artistico-ambientali richiesti dalla legge.
Ma poiché
ciò non si è verificato, questo significa che l'interpretazione che è stata
attribuita alla locuzione della legge-ponte (poi spiegata nel d.m. n. 1444/68)
è stata una interpretazione ampia ed elastica: nonostante si fosse definito il
centro storico come un bene culturale, esso è stato poi inteso esclusivamente
come una zona urbanistica.
Alberto
Predieri nel 1972[18]
osservò che lo strumento urbanistico "può prevedere o non prevedere che
una porzione del territorio venga considerata centro storico". Il
legislatore "non dispone né che il comune sia tenuto ad individuare
un'area come centro storico, né quando sia tenuto a farlo", nello
strumento urbanistico generale "il centro storico può esserci o non può
esserci; e qualora esso ci sia, non vi sono criteri posti dalla legge per
determinarlo".
[1] D’ALESSIO I centri storici : aspetti giuridici,, Giuffrè editore 1983 pag. 165 ss.
[2] D’ALESSIO I centri storici : aspetti giuridici,, Giuffrè editore 1983 pag. 213.
[3] SALVIA-TERESI, Diritto urbanistico, 2002 CEDAM, pag. 194.
[4] D’ANGELO , Quadro dei soggetti e delle competenze in tema di interventi nei centri storici , in Rivista Giuridica dell’edilizia ,1994 pag. 216.
[5] Il testo unico sui beni culturali ed ambientali è stato sostituito dal Codice dei beni culturali del 1 maggio 2004 (ai sensi dell’art.10 della legge 6 luglio 2002 n.137.)
[6] M. CHITI ,La nuova nozione di “beni culturali nel d.lgs. 112/1998: prime note esegetiche, in Aedon n.1/1998.
[7] M. CHITI , La nuova nozione di “beni culturali” nel d.lgs. 112/1998 , in Aedon 1998 , n. 1.
[8] Atto Camera dei Deputati legislazione XIII 18 luglio 1997 n. 4015 assegnato in sede referente alla VII e VIII commissione.(il disegno di legge presentato dal governo e attualmente in discussione in Parlamento).
[9] NUTI, I contenuti sulle città storiche, Veltroni : ai Comuni la mappa dei luoghi da mettere al sicuro, in “Il Sole 24 ore” del 11 luglio 1997 pag. 20.
[10] PERINI, La tutela dei centri storici : un excursus sulle discipline giuridiche, in Rivista giuridica dell’urbanistica , fasc.2 (giugno) pag.332.
[11] Gli accordi con i privati ai sensi dell’art. 11 della legge n.241 del 7 agosto 1990 ,sono sostituitivi delle determinazioni amministrative previste dall’art. 1 comma 6 del disegno di legge n. 4015 dell’On. Veltroni.
[12] Per quanto riguarda , occorre definire che il turismo non è solo incompatibile con il degrado ambientale e danneggiamento ai monumentale , ma che ci possono essere anche delle incompatibili economiche e sociali. Vedi in proposito, PERINI, La tutela dei centri storici : un excursus sulle discipline giuridiche , in Rivista giuridica dell’urbanistica , fasc.2 (giugno) pag.334.
[13] SANAPO , I centri storici come beni culturali : un percorso difficile , in Aedon n.2/2001.
[14]Le attività tradizionali erano le attività artistiche, artigianali, culturali. , che oltre a valorizzare il centro storico, possono potenziare il settore occupazionale e produrre ricchezza, per i flussi turistici che essi richiamati.
[15] SANAPO , I centri storici come beni culturali : un percorso difficile , in Aedon n.2/2001.
[16]I.N.U. =Istituto nazionale urbanistica
[17] SANAPO , I centri storici come beni culturali : un percorso difficile , in Aedon n.2/2001.
[18] PREDIERI, L’espropriazione di immobili nei centri storici per l’edilizia residenziale pubblica secondo la legge n.865 del 1971 , in Foro amministrativo 1973 fasc. 1 (gennaio) pag. 26.