Spunti di riflessione su alcune novità contenute negli schemi di decreti legislativi.
di Alessandro Ferretti
A distanza di due anni dalla sua entrata in vigore, è possibile affrontare nuovamente la questione relativa all’applicazione e alle prospettive legate al Codice dei beni culturali e del paesaggio alla luce delle nuove disposizioni – correttive ed integrative - che il legislatore sta adottando in base all’art. 10, comma 4 della legge n. 137/2002 .
Infatti, il 2 marzo 2006 il Consiglio dei Ministri ha dato il “via libera” a due decreti legislativi aventi ad oggetto le disposizioni correttive ed integrative del d. lgs. n. 42/2004 (da adesso Codice) relative sia al terreno dei beni culturali sia a quello del paesaggio.
Si è trattato di un ampio lavoro di coordinamento e di inserimento delle disposizioni che sono state adottate nel corso dei due anni successivi all’emanazione del Codice e di alcune necessarie correzioni al dettato legislativo, evidenziate dalle prime applicazioni delle norme codicistiche.
In definitiva, si è trattato di un compito necessario da realizzare, vista anche la cadenza temporale prevista dall’art. 10, comma 4 della l. n. 137/2002 ,fissata in due anni dall’entrata in vigore del Codice , per poter effettuare correzioni ed integrazioni della norma originaria.
In linea generale, non è possibile esimersi dall’osservazione che le nuove disposizioni, correttive ed integrative, non nascono in un’ottica di condivisione tra Stato e regioni, quanto alle disposizioni contenute nella Parte Terza, dedicata ai beni paesaggistici. Nella procedura prevista dall’art. 10, comma 3 della legge delegata, la n. 137/2002, risulta indispensabile acquisire i pareri della Conferenza Unificata Stato-regioni , delle Commissioni parlamentari competenti per materia e del Consiglio di Stato , pur essendo prevista l’ipotesi di adozione del decreto legislativo. in caso di mancata espressione di uno dei pareri entro un dato termine dalla richiesta. Come si è accennato, il parere della Conferenza unificata è stato negativo in riferimento alla parte terza dedicata ai beni paesaggistici. Questo dato rappresenta indubbiamente un elemento non positivo di valutazione in quanto, a prescindere dalle motivazioni del dissenso tra Stato e regioni, di cui si ritiene opportuna la trattazione in altra sede, segna inevitabilmente l’apertura di una nuova stagione di conflitti che sfoceranno in una serie di contenziosi tra Stato e regioni, per la determinazione delle rispettive attribuzioni in tema di paesaggio, con ovvi motivi di incertezza e confusione sul piano applicativo .
Affrontando nel dettaglio le novità più significative, si deve procedere dalle disposizioni della Parte prima, relativa alle disposizioni generali. L’art. 5, in particolare, è stato corretto con l’intento di chiarire la consistenza ed i limiti del conferimento alle regioni delle funzioni di tutela dei cc.dd. beni librari , riservando alla competenza statale il potere di revisione delle notificazioni adottate con provvedimento del Ministero. Interessante appare il tentativo di coniugare la nozione di valorizzazione anche con riferimento ai beni paesaggistici, includendovi sia il recupero che la riqualificazione delle aree .
Con riferimento alla Parte Seconda, dedicata ai beni culturali, si registrano alcune modifiche importanti. L’art. 10, riferito espressamente ai beni culturali, è fatto oggetto di modifiche al comma 3 lett. e) e al comma 4, lett. b; in entrambi i casi si accoglie un’esigenza sentita nel settore del collezionismo, verificando o accertando, in via generale, la valenza culturale delle collezioni attraverso la rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica e, in via specifica, per l’interesse numismatico, facendo riferimento alla rarità e pregio delle cose, giudicati in rapporto all’epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione.
Di rilievo la modifica del comma 10 dell’art. 12, dedicato alla verifica dell’interesse culturale. In questo caso, si assiste ad una piccola rivoluzione dell’impostazione che era stata data a questo procedimento dal Codice. Infatti, nell’ultimo comma dell’art. 12 era stato inserito un deciso richiamo alle disposizioni contenute nel D.L. n. 269/2003, che aveva introdotto tra l’altro il c.d. silenzio-assenso nel procedimento de quo. In buona sostanza, si tratta di una sorta di silenzio significativo da parte della P.A. che nel caso specifico si è colorato di valenze negative, legate al mancato effettivo accertamento della sussistenza dell’interesse culturale del patrimonio immobiliare pubblico .
L’introduzione della norma contenente il principio generale in base al quale il c.d. meccanismo del silenzio-assenso non può essere applicato “…agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico…” , ha permesso al legislatore di espungere il riferimento implicito al silenzio-assenso contenuto nel comma 10 dell’art. 12, disponendo soltanto la durata procedimentale fissata in 120 giorni e configurandosi l’eventuale silenzio dell’Amministrazione come silenzio-inadempimento.
Di rilievo anche le norme dedicate alla conservazione ed, in particolare, alla figura del restauratore di beni culturali in riferimento alla formazione professionale. In particolare, l’art. 29 prevede il regime ordinario di acquisizione della qualifica professionale di restauratore, che potrà avvenire solo in base alla disciplina contenuta nei decreti attuativi previsti dai commi 7, 8 e 9 dell’articolo in commento . In attesa della loro adozione, l’art. 182, a cui si rinvia per un’attenta lettura, pone una disciplina transitoria che individua dettagliatamente chi siano i soggetti che acquisiscono la qualifica di restauratore di beni culturali.
Si segnalano novità anche per quanto riguarda gli interventi contributivi da parte dello Stato per quanto riguarda i mutui concessi per la realizzazione di interventi conservativi autorizzati. In particolare, è stata superata la limitazione della possibilità di erogazione di contributi in conto interessi, estendendola a tutti i beni culturali, immobili e mobili (art. 37)
Interventi correttivi si devono registrare anche per quanto riguarda le alienazioni di beni culturali e la possibilità di esercizio del diritto di prelazione. Sotto il primo aspetto, si è provveduto a precisare la portata di alcune norme la cui applicazione ha prodotto dubbi interpretativi. E’ il caso, ad esempio, della decorrenza del termine per la denuncia del legatario, che dovrà avvenire entro trenta giorni dalla comunicazione notarile effettuata ai sensi dell’art. 623 c.c. e non nel momento in cui si apre la successione (art. 59, comma 2, lett. c). E’ anche il caso, ad esempio, della precisazione relativa ai conferimenti di beni (culturali) in società, che sono considerati a tutti gli effetti come alienazioni e, pertanto, ricadono nella disciplina prevista dalla sezione II dedicata alla prelazione (artt. 60 e ss.).
Sotto il secondo aspetto, non appare del tutto opportuna una delle modifiche effettuate in riferimento alla fattispecie prevista dall’art. 62 del Codice. Infatti, si è provveduto a comprimere ulteriormente la durata del termine per la regione e gli altri enti pubblici (da trenta a venti giorni dalla denuncia di alienazione), trascurando il fatto che la denuncia è effettuata presso gli uffici periferici del Ministero, che in ogni caso devono provvedere ad un’ ulteriore comunicazione nei confronti degli enti pubblici territoriali per portarli a conoscenza dell’avvenuta alienazione, in ciò riducendo inevitabilmente il tempo a disposizione dell’ente per l’eventuale formulazione della proposta di prelazione . Inoltre, nello stesso termine di venti giorni dalla denuncia, il Ministero ha la facoltà di rinunciare all’esercizio di prelazione, trasferendone la facoltà in capo all’ente interessato. Positiva, al contrario, la novità relativa alla indicazione da parte dell’ente interessato alla prelazione delle specifiche finalità di valorizzazione culturale del bene, che implica anche una valutazione della fondatezza della richiesta di prelazione dell’ente al fine dell’accoglimento.
Un dato confortante è segnato dalla reintroduzione nel sistema dell’autorizzazione da parte del Ministero per i beni culturali dati in concessione d’uso da parte di Stato, regioni ed altri enti pubblici territoriali. La norma, già presente nel D.P.R. n. 283/2000, era stata espunta dl sistema del Codice con chiari problemi applicativi in merito alle concessioni di beni culturali date da soggetti pubblici.
Una modifica che è già fonte di discussioni e polemiche e che in questa sede è appena il caso di segnalare, rinviando ad un’apposita trattazione l’individuazione dei termini del contrasto, è quella relativa all’art. 115 del Codice. Si opta, a grandi linee, per una ancor più accentuata attività di valorizzazione del bene culturale attraverso forme di gestione diretta ed indiretta. Queste ultime attraverso “…concessioni a terzi [..] anche in forma congiunta e integrata, da parte delle amministrazioni cui beni pervengono [..] mediante procedure di evidenza pubblica…”. La scelta operata dal legislatore nel caso de quo – attraverso anche la realizzazione di forme di cooperazione tra soggetti pubblici e privati (art. 112) – sembra decisamente orientata verso una massiccia utilizzazione del bene culturale ai fini di una maggiore valorizzazione, anche “economica”, capace di attivare ed organizzare strutture sempre più efficienti tra soggetti pubblici e privati .
Per quanto riguarda le modifiche alla Parte Terza, riferite ai beni paesaggistici, come si è già osservato all’inizio del presente contributo, esse si vengono a realizzare in un contesto di mancata condivisione di scelte tra Stato e regioni. Il Consiglio dei Ministri del 2 marzo ha deciso di adottare due diversi decreti legislativi, uno per i beni culturali, l’altro per i beni paesaggistici. Di queste ultime modifiche sembra ancora prematuro poterne trattare, vista la loro genesi. Si può in ogni caso fare riferimento alla nota dell’Ufficio Legislativo del MiBAC del 26 gennaio 2006, per individuare alcune delle novità maggiormente rilevanti . La prima è relativa ad una maggior razionalizzazione e previsione di termini certi per il procedimento di vincolo ( rectius, procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico) . Ad esempio, l’art. 138 prevede un nuovo comma – il 3 – in base al quale la Commissione delibera entro 60 giorni dalla presentazione dell’atto di iniziativa ed in assenza di tale delibera nel termine indicato, la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico è formulata in via principale dall’organo richiedente, entro i successivi 30 giorni. Ulteriori riduzioni di termini si hanno ad esempio per la proposta di eventuali osservazioni – termine da 60 a 30 giorni – e per la dichiarazione di notevole interesse pubblico. La seconda, è diretta ad individuare un indirizzo generale per le Regioni per orientare l’eventuale delega dell’esercizio della funzione autorizzatoria paesaggistica verso specifici livelli . Altre novità riguardano la previsione, in via transitoria, del carattere vincolante del parere della Soprintendenza fino all’adeguamento congiunto del piano paesaggistico alle prescrizioni del Codice ed, infine, una razionalizzazione del sistema sanzionatorio, a causa e per effetto della l. n. 308/2004 .
Sin qui le novità di maggior significato che verranno introdotte dai due citati decreti legislativi. Si tratta ora di vedere se al momento della pubblicazione dei provvedimenti legislativi vi saranno ulteriori modifiche, per poterne permettere una compiuta analisi.
[Note]
Legge 6 luglio 2002, n. 137 "Delega per la riforma dell'organizzazione del Governo e della Presidenza del Consiglio dei ministri, nonché di enti pubblici"
ART. 10, comma 4. Disposizioni correttive ed integrative dei decreti legislativi di cui al comma 1 possono essere adottate, nel rispetto degli stessi princípi e criteri direttivi e con le medesime procedure di cui al presente articolo, entro due anni dalla data della loro entrata in vigore.
Il Codice è entrato in vigore il primo maggio del 2004.
Recentemente, la cadenza temporale prevista dall’art. 10, comma 4 è stata ampliata e portata da due a quattro anni. Cfr. art. 1, comma 3 della L. 23 febbraio 2006, n. 51 ("Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, recante definizione e proroga di termini, nonche' conseguenti disposizioni urgenti. Proroga di termini relativi all'esercizio di deleghe legislative"
Per una lettura integrale dei pareri, v. http://www.governo.it/backoffice/allegati/27309-2822.pdf (beni culturali) e http://www.governo.it/backoffice/allegati/27310-2823.pdf (beni paesaggistici)
Pur essendo previst,o non vi è stata espressione del parere del Consiglio di Stato né per il d. lgs. n. 42/2004 né per gli attuali decreti integrativi e correttivi.
Sul punto, v. la nota 4 e, soprattutto, la nota 20
Sul punto cfr. la Relazione illustrativa al Decreto Legislativo correttivo e integrativo del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.
V. art. 6 del Codice
Cfr. sul punto, il resoconto dell’audizione sulle modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio, presso la VII Commissione del Senato, a cui hanno partecipato con le loro osservazioni l'Associazione Bianchi Bandinelli, l'Assotecnici e l'Associazione Italiana Biblioteche.
Cfr., ex multis, Sciullo, La verifica dell’interesse culturale (art. 12), in Aedon 1/2004; M. S. Palieri, Patrimonio SOS – La grande svendita del tesoro degli italiani, Roma, 2004; M. Torsello, Silenzio-assenso? No problem, in Il Sole 24 ore, 8 febbraio 2004, 37
Così l’art. 3, comma 6-ter del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, di modifica alla legge n.241/1990 sul procedimento amministrativo.
Secondo i principi di ordine generale – così come confermato anche da alcune disposizioni contenute ad esempio nel DM 25 gennaio 2005 e nel DM 28 febbraio 2005 – l’eventuale silenzio dell’Amministrazione verrà a configurarsi come silenzio-inadempimento, con il possibile ricorso al giudice ai sensi della l. 1034 del 1971
I decreti attuativi sono ormai in fase conclusiva di elaborazione e pertanto pronti per instaurare il regime ordinario di formazione per i restauratori.
Correlativamente è stato imposto l’obbligo di visita pubblica anche per quei beni mobili oggetto di contributi in conto interessi (art. 38).
623. Comunicazioni agli eredi e legatari. — Il notaio che ha ricevuto un testamento pubblico, appena gli è nota la morte del testatore, o, nel caso di testamento olografo o segreto, dopo la pubblicazione, comunica l’esistenza del testamento agli eredi e legatari di cui conosce il domicilio o la residenza
Come è già accaduto in occasione della elaborazione del Codice, le disposizioni sembrano non tenere in alcuna considerazione la struttura del Ministero preposto all’applicazione delle disposizioni. In particolare, per quanto riguarda la norma commentata, gli organi preposti e coinvolti nel procedimento relativo alla prelazione sono tre: la soprintendenza – competente alla ricezione della denuncia da parte del privato – la direzione regionale – competente a proporre l’esercizio della prelazione o la rinuncia ad essa – la direzione generale competente – indica alle direzione regionali la comunicazione all’ente interessato della rinuncia dell’esercizio della prelazione…cfr. D.P.R. n. 173/2004, art. 20, comma 4, lett. n) e o). E’ evidente l’appesantimento della procedura che viene necessariamente gravata dalla riduzione dei termini di cui alla modifica indicata.
Per una migliore comprensione del problema, si rinvia alla sezione news del sito www.patrimoniosos.it, dove si può apprezzare la complessità e la portata delle modifiche di cui al testo. Sul punto, si veda anche, criticamente, SETTIS, Al mercato dei beni culturali, La Repubblica del 16 novembre 2005
Il testo è raggiungibile al seguente link http://www.governo.it/backoffice/allegati/27310-2823.pdf
Art. 146, comma 3 _ Le regioni, ove stabiliscano di non esercitare direttamente la funzione autorizzatoria di cui al presente articolo, ne possono delegare l’esercizio alle province, o a forme associative e di cooperazione degli enti locali in ambiti sovracomunali all’uopo definite ai sensi degli articoli 24, 31 e 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, al fine di assicurarne l’adeguatezza e garantire la necessaria distinzione tra la tutela paesaggistica e le competenze urbanistiche ed edilizie comunali. La regione può delegare ai comuni il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche nel caso in cui abbia approvato il piano paesaggistico ai sensi dell’articolo 143, comma 3 e a condizione che i comuni abbiano provveduto al conseguente adeguamento degli strumenti urbanistici. In ogni caso, ove le regioni deleghino ai comuni il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche, il parere della soprintendenza, di cui al comma 8 del presente articolo resta vincolante.
Disposizioni correttive ed integrative al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004.
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