Corte suprema di cassazione - Ufficio del massimario e del ruolo - Servizio Penale
Relazione su novità normativa 21 giugno 2022

Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale (legge 9 marzo 2022 n. 22)

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

UFFICIO DEL MASSIMARIO E DEL RUOLO

Servizio Penale

Relazione su novità normativa

Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale (legge 9 marzo 2022 n. 22)

Rel.: n. 34/22 Roma, 21 giugno 2022

Sommario: 1. Nuove disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale: profili introduttivi. – 1.1 L’attuazione della Convenzione di Nicosia. – 1.2 Il patrimonio culturale come bene giuridico codicistico di rilevanza costituzionale. – 1.3 La nozione di bene culturale: l’assenza di una norma definitoria ad effetti penali. – 2. Modifiche al codice penale (art. 1 legge n. 22 del 2022). – 2.1 L’ampliamento dei casi di confisca allargata. – 2.2 Furto di beni culturali (art. 518-bis cod. pen.). – 2.3 Appropriazione indebita di beni culturali (art. 518-ter cod. pen.). – 2.4 Ricettazione di beni culturali (art. 518-quater cod. pen.). – 2.5 Impiego di beni culturali provenienti da delitto (art. 518- quinquies cod. pen.). – 2.6 Riciclaggio di beni culturali (art. 518-sexies cod. pen.). – 2.7 Autoriciclaggio di beni culturali (art. 518-septies cod. pen.). – 2.8 Falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali (art. 518-octies cod. pen.). – 2.9 Violazioni in materia di alienazioni di beni culturali (art. 518- novies cod. pen.). – 2.10 Importazione illecita di beni culturali (art. 518-decies cod. pen.). – 2.11 Uscita o esportazione illecite di beni culturali (art. 518-undecies cod. pen.). – 2.12 Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici (art. 518-duodecies cod. pen.). – 2.13 Devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici (art. 518-terdecies cod. pen.). – 2.14 Contraffazione di opere d’arte (art. 518-quaterdecies cod. pen.) e correlata causa di non punibilità (art. 518-quinquiesdecies cod. pen.). – 2.15 Circostanze aggravanti (art. 518-sexiesdecies cod. pen.). – 2.16 Circostanze attenuanti (art. 518-septiesdecies cod. pen.). – 2.17 Confisca (518-duodevicies cod. pen.). – 2.18 Fatto commesso all’estero (art. 518-undevicies cod. pen.). – 2.19 Possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli (art. 707-bis cod. pen.). – 3. Modifica all’art. 9, comma 1, della legge n. 146 del 2006 in materia di operazioni sotto copertura (art. 2 legge n. 22 del 2022). – 4. Modifica al d.lgs. n. 231 del 2001 in materia di responsabilità delle persone giuridiche (art. 3 legge n. 22 del 2022). – 5. Modifica alla legge n. 394 del 1991 in materia di aree protette (art. 4 legge n. 22 del 2022). – 6. Abrogazioni (art. 5 legge n. 22 del 2022).

1. Nuove disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale: profili introduttivi.

È stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 68 del 22 marzo 20221 la legge 9 marzo 2022 n. 22, recante « Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale », entrata in vigore il 23 marzo 2022 in forza della clausola di immediata operatività contenuta nell’art. 7 della stessa legge 2.

Il provvedimento – il cui iter parlamentare trae origine da analoghe proposte di legge risalenti addirittura alle tre precedenti legislature3 – si compone di sette articoli, i primi cinque dei quali dedicati alla materia penale.

In via di prima approssimazione l’odierna riforma:

- introduce nel codice penale, nell’ottica di una piena valorizzazione del bene culturale quale oggettività giuridica autonoma, un ineditoTitolo VIII-bis rubricato « Delitti contro il patrimonio culturale» al cui interno ha inserito tredici incriminazioni, parte delle quali di nuovo conio ed altre corrispondenti alle figure delittuose finora collocate nel codice dei beni culturali e del paesaggio (d’ora innanzi breviter “cod. beni cult.”) di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (artt. 170, 173, 174, 176, 177, 178 e 179 cod. beni cult.), contestualmente abrogate all’art. 5, comma 2, lett. b), della legge n. 22 del 2022;

- nel trasformare in illeciti autonomi molti casi in cui fattispecie comuni possono avere ad oggetto beni culturali, segue la tecnica incentrata sulla specificità dell’oggetto materiale ed inasprisce le pene edittali rispetto a quelle corrispondenti per le ordinarie fattispecie codicistiche contro il patrimonio e per quelle di legislazione speciale ora “codificate”;

- introduce circostanze aggravanti e attenuanti speciali ed una previsione sulla punibilità dei fatti commessi all’estero;

- implementa l’istituto delle “operazioni sotto copertura”;

- interviene in materia di confisca (allargata, obbligatoria, per equivalente);

- prevede l’estensione della responsabilità amministrativa dell’ente in relazione alla commissione dei reati-presupposto contemplati nel nuovo Titolo VIII- bis.

La legge n. 22 del 2022 rappresenta, da un lato, lo strumento attuativo interno della Convenzione del Consiglio d’Europa sulleinfrazioni relative ai beni culturali ( Convention on Offences relating to Cultural Property: d’ora in poi,Convenzione di Nicosia”), fatta a Nicosia il 19 maggio 2017 4, dall’altro, un intervento – dopo decenni di dibattiti dottrinari in prospettiva de iure condendo 5 – volto a dare una sistemazione tendenzialmente organica ad una materia criminis sino ad oggi caratterizzata da un quadro normativo ritenuto lacunoso, contraddittorio e incoerente 6, pressoché immobile7 e soprattutto inadeguato rispetto al peso attribuito alla tutela dei beni culturali nella Costituzione 8.

L’intentio legislatoris – come esternata negli atti parlamentari – è « dare tutela a valori importantissimi per la nostra comunità nazionale, il nostro vastissimo patrimonio culturale ed artistico, beni che sono asset strategici per il nostro Paese e che hanno valore per l’intera umanità »9.

Sotto il profilo criminologico il nuovo statuto penale dei beni culturali mira a combattere efficacemente il fenomeno del traffico illecito degli oggetti d’arte (“art crime”) – avente per lo più vocazionetransnazionale10 (v. postea § 2.18) e connotato da un campo “oscuro” particolarmente esteso 11 – noto fin dall’antichità 12 ma che è divenuto negli ultimi lustri sempre più allarmante, impattante ed allettante per gli agenti criminali 13, anche su base organizzata (si parla di “archeocrimini” e di archeomafie14), siccome agevolato da vari fattori che ne alimentano la pervasività 15, quali: la significativa appetibilità economica per tutti i soggetti della filiera (e in particolare sul versante terminale della catena del traffico 16), una struttura di mercato “grigio” 17 permeabile ed estesa (con annessa diffusione di pratiche di “saccheggio su ordinazione”), l’elevata vulnerabilità dei siti di interesse culturale (nelle situazioni di aperto conflitto armato 18 o comunque di instabilità politica 19), l’agile “portabilità” dei beni mobili (o “mobilizzati”) 20 ovvero la loro scarsa tracciabilità dell’origine 21, i bassi rischi penali (in termini sia di probabilità di scoperta, sia di severità sanzionatoria) 22.

1.1 L’attuazione della Convenzione di Nicosia.

In seno al Consiglio d’Europa il nostro Paese aveva assunto l’impegno ad emanare (e far rispettare, con pene “ effettive, proporzionate e dissuasive”) norme che attribuissero una gravità specifica ai reati commessi in danno dei beni culturali con la sottoscrizione della Convenzione di Nicosia “ volta a prevenire e combattere il traffico illecito e la distruzione di beni culturali ”, nel quadro dell’azione dell’organizzazione per la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata 23.

La Convenzione di Nicosia – che ha sostituito la precedente Convenzione di Delfi del 1985, mai entrata in vigore 24, il cui deludente trascorso ha fornito l’input per riaprire il dibattito e raggiungere, dopo un lungo negoziato, una soluzione condivisa tra le diverse esigenze ed impostazioni offensive dei Paesi-fonte di beni culturali (cd. source countries) ed i Paesi di import (cd. market countries) 25 – è entrata in vigore sul piano internazionale il1° aprile 202226 ed è stata ratificata dal nostro Paese con la legge21 gennaio 2022 n. 6 27.

La Convenzione offre anzitutto una propria definizione dibeni culturali” (art. 2), mutuata dalla Convenzione UNESCO del 1970 28: per quanto generica ed elastica 29, pare opportuno richiamarla testualmente perché di possibile rilievo, quantomeno orientativo, ai fini dell’applicazione delle novelle incriminazioni:

«[…] 2. Ai fini della presente Convenzione, il termine “ beni culturali” indica:

a) in relazione ai beni mobili, qualsiasi oggetto, situato sulla terra o sott’acqua oppure rimosso da tale terreno o superficie subacquea, che sia, per motivi religiosi o secolari, classificato, definito o specificamente designato da qualsiasi Parte della presente Convenzione o della Convenzione dell’UNESCO del 1970 concernente le misure da adottare per interdire e impedire l’illecita importazione, esportazione e trasferimento di proprietà di beni culturali come di importanza per l’archeologia, la preistoria, l’etnologia, la storia, la letteratura, l’arte o la scienza e che appartiene alle seguenti categorie:

(a) rari collezioni e campioni zoologici, botanici, mineralogici e anatomici e oggetti di interesse paleontologico;

(b) beni legati alla storia, compresa la storia della scienza e della tecnologia e della storia militare e sociale, alla vita dei leader nazionali, dei pensatori, degli scienziati e degli artisti e di eventi di importanza nazionale;

(c) prodotti di scavi archeologici (sia quelli che regolari che clandestini) o di scoperte archeologiche;

(d) elementi di monumenti artistici o storici o siti archeologici che sono stati smembrati;

(e) antichità che hanno più di cento anni, come le iscrizioni, le monete e le incisioni;

(f) oggetti di interesse etnologico;

(g) beni di interesse artistico, quali:

i) quadri, dipinti e disegni realizzati interamente a mano su qualsiasi supporto e in qualsiasi materiale (esclusi i disegni industriali e gli oggetti manufatti decorati a mano);

ii) opere originali di arte statuaria e scultura in qualsiasi materiale;

iii) incisioni originali, stampe e litografie;

iv) assemblaggi artistici originali e montature in qualsiasi materiale;

(h) manoscritti rari e incunaboli, libri antichi, documenti e pubblicazioni di particolare interesse (storico, artistico,

scientifico, letterario, ecc.) singolarmente o in collezioni;

(i) affrancature, marche e francobolli simili, singolarmente o in collezioni;

(j) archivi, compresi gli archivi sonori, fotografici e cinematografici;

(k) elementi di mobilio che hanno più di cento anni e antichi strumenti musicali;

b) in relazione ai beni immobili, qualsiasi monumento, gruppo di edifici, siti o strutture di qualsiasi altro tipo, sia su terra che sott’acqua, che siano, per motivi religiosi o secolari, definiti o specificamente designati da qualsiasi Parte della presente Convenzione o da qualsiasi Parte della Convenzione dell’UNESCO del 1970 come di importanza per l’archeologia, la preistoria, l’etnologia, la storia, l’arte o la scienza o che siano elencati in conformità all’art. 1 e all’art. 11, paragrafi 2 o 4, della Convenzione UNESCO del 1972 sul patrimonio mondiale culturale e naturale 30.

La Convenzione di Nicosia si articola lungo tre direzioni d’azione: la prima, relativa alla rimodulazione del diritto penale sostanziale (Cap. II); la seconda, più propriamente procedurale che investe le modalità procedimentali finalizzate a rafforzare l’attività di prevenzione e di reazione del sistema di giustizia penale (Cap. III); la terza, contenente misure amministrative, nazionali ed internazionali per la lotta ai reati relativi ai beni culturali (Cap. IV) 31.

Quanto, in particolare, alla prima direttrice concernente l’apparato repressivo – qui di precipuo rilievo nell’ottica di prima analisi della legge di recepimento n. 22 del 2022 – la Convenzione si concentra su una serie di obblighi di criminalizzazione 32, relativamente alle condotte di furto o comunque illecita appropriazione di beni culturali (art. 3) 33, di scavo illecito (art. 4) 34, di illegale importazione (art. 5) 35, di esportazione illecita (art. 6), di acquisto, ricezione e immissione sul mercato di beni culturali rubati o illecitamente scavati, esportati o importati (artt. 7 e 8) 36, di falsificazione di documentazione relativa alla provenienza di beni culturali (art. 9), di distruzione o danneggiamento intenzionali di beni culturali (artt. 10) 37.

Questa parte sostanziale della Convenzione, oltre a contenere disposizioni di carattere generale in tema di giurisdizione (art. 12), di concorso di persone nel reato e di tentativo (art. 11), si conclude con la previsione – ritenuta di particolare pregio 38 ed assai innovativa 39 – dell’estensione della responsabilità alle persone giuridiche quando uno degli illeciti convenzionali sia stato commesso a loro vantaggio da una persona fisica che occupi una posizione apicale, basata su un potere decisorio, di rappresentanza o di controllo dell’ente medesimo (art. 13) 40, prevedendo altresì sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive, sia a carico delle persone fisiche che delle persone giuridiche (art. 14, parr. 1 e 2). Sempre in tema di sanzioni, si richiede l’adozione di misure legislative che consentano il sequestro e la confisca degli strumenti utilizzati per commettere i reati della Convenzione ed i proventi derivanti dagli stessi, nonché i conseguenti obblighi di restituzione allo Stato (art. 14, parr. 3 e 4).

Il legislatore interno con la legge n. 22 del 2022 ha dato attuazione a tali obblighi convenzionali di criminalizzazione che, peraltro, erano resi talora meno stringenti 41 attraverso la possibilità, concessa agli Stati contraenti, di optare per l’introduzione alternativa di illeciti amministrativi, come in relazione alla repressione degli scavi archeologici non autorizzati e dell’impossessamento di reperti archeologici (art. 4) e all’importazione illecita di beni culturali (art. 5) 42

1.2 Il patrimonio culturale come bene giuridico codicistico di rilevanza costituzionale.

In disparte ogni considerazione in ordine alla razionalità e proporzionalità dell’odierno intervento punitivo ed alle sue già denunciate criticità, di principio e applicative 43, l’introduzione della classe dei reati contro il patrimonio culturale all’interno codice penale – peraltro da decenni auspicata in dottrina 44, anche se con molti distinguo 45 – ha rilevanti implicazioni sulla dimensione complessiva dell’intervento penale in subiecta materia.

L’inserimento nel Codice penale – in ossequio al principio della riserva di codice (art. 3-bis del cod. pen. 46) – delle figure incriminatrici più significative contenute sino ad oggi nella legislazione speciale, insieme e soprattutto, alla creazione di nuove figure delittuose speciali ad ampio raggio, consente al codice penale stesso - ossia alla cd. “legge penale fondamentale” 47 - di svolgere anche in questo importante settore la sua funzione “pedagogica” 48 in conformità al criterio topografico di richiamo all’importanza delle norme che sono ivi contenute 49.

Invero, non solo sotto il profilo meramente sistematico-classificatorio, ma anche a livello politico-criminale l’introduzione nel codice penale di un nuovo Titolo VIII-bis rubricato «Dei delitti contro il patrimonio culturale» 50 – peraltro seguendo la strada riformista già percorsa nella codificazione dei delitti in materia ambientale 51 – segna un mutamento di prospettiva e di risposta penalistica rispetto al previgente quadro codicistico “pulviscolare” (v. artt. 624 e 625, n. 7, 635, comma secondo, 639, 733 e 734 cod. pen.), legato ad una dimensione prevalentemente patrimonialistica 52, a lungo ritenuto frammentario e disomogeneo 53 e comunque sbilanciato, nel senso della decodificazione, rispetto al rilievo costituzionale del bene giuridico ( art. 9, comma secondo, Cost.: la Repubblica « [t]utela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico nazionale »)54, protetto financo a livello unionale (art. 3, part. 3, TFUE: l’Unione « vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo »55).

Come si è osservato nel corso dei lavori preparatori della legge n. 22 del 202256, proprio il rango costituzionale della tutela del « patrimonio storico e artistico della Nazione» giustifica una scelta, anche su un piano simbolico e di “orientamento culturale” della tutela codicistica 57, di maggiore visibilità e risalto all’interno del sistema penale delle fattispecie poste a suo presidio: “visibilità e risalto garantiti nel modo più intenso da una collocazione non solo al ‘cuore’ del sistema, nel codice penale, ma in uno specifico titolo all’interno di questo” 58.

In questi termini, l’odierna risistemazione punitiva può dirsi attuata secondo una logica (per lo meno tendenziale) volta a “centralizzare” nel codice le offese più gravi, lasciando alla legislazione di settore le fattispecie di contorno punite in forma di contravvenzioni o illeciti amministrativi 59.

In punto di oggettività giuridica, il novello Titolo VIII-bis – al di là della congruità o meno di tale collocazione 60 nell’ottica di un razionale “ordinamento lessicale dei beni giuridici” all’interno del codice penale 61 – pone in risalto la centralità del patrimonio culturale ( cultural heritage) attribuendogli, come valore universale e bene “di categoria” 62, rango primario e speciale evidenza in una tavola di valori la cui difesa è irrinunciabile per la società 63, a fronte di una sua copertura costituzionale che “rappresenta un importante indizio circa l’opportunità dell’utilizzo di sanzioni penali64.

Questo “nuovo” bene codicistico di categoria – come definito, a livello internazionale, nella Convenzione di Faro 65 in senso ampio e dinamico 66 – presenta molte caratteristiche del benecollettivo (o del bene a titolarità diffusa) perché la materialità della cosa di interesse storico-artistico-archeologico assume valore per la venatura di interesse pubblicistico impressa nella sua “culturalità”, ossia nella sua caratteristica intrinseca di « testimonianza materiale avente valore di civiltà» (così art. 2, comma 2, cod. beni cult.) 67, che risulta la nota dominante anche del caso in cui il bene sia di titolarità privata e la ragione su cui si fonda la particolare meritevolezza di tutela”68 (sul valore superindividuale, pubblico, del patrimonio culturale, elevato a principio fondamentale dell’ordinamento v. già Corte cost. n. 94 del 1985, Id., n. 359 del 1985, n. 151 del 1986 69, Id., n. 85 del 1998 e Id. n. 378 del 2000).

Si tratta di un bene caratterizzato da unicità e deperibilità e di difficile “ripristinabilità”, perché l’eventuale lesione spesso lo compromette in modo definitivo, non offrendo la possibilità di essere riparato (se non, in alcuni casi, a costi molto elevati)70 , donde l’avvertita esigenza di una sua tutela penalistica ulteriore – non solo a livello sanzionatorio – rispetto a quella comunemente offerta alla proprietà privata, da realizzare mediante adeguate tecniche di protezione orientate su tutte le fasi del ciclo di sfruttamento illecito del bene culturale 71: dalla fase di accesso fino a quella di lavaggio, passando per le aggressioni al godimento e alla conservazione (quali le azioni di spoglio e di danneggiamento) 72.

Attorno al “patrimonio culturale” il novellatore del 2022 ha costruito, in diretta attuazione dell’art. 9, comma secondo, Cost., una serie di figure criminose che – seppure attraverso un’estesa opera di “duplicazione normativa” 73, secondo taluno tendente all’ipertrofia casistica 74 e foriera di casi problematici di “doppia tipicità” 75 – mirano a coprire l’intera gamma di comportamenti potenzialmente o direttamente lesivi del bene culturale 76: dalla sua apprensione, in cui è più palese la caratura criminale dell’azione aggressiva in quanto il bene viene attratto nel circuito illecito per il tramite di condotte manifestamente delittuose (furto e appropriazione indebita di beni culturali, importazione e esportazione illecite), fino alla fase finale di “ripulitura” della relativa origine illecita (ricettazione di beni culturali, impiego degli stessi provenienti da delitto, riciclaggio e autoriciclaggio di beni culturali), che può coinvolgere diversi intermediari in differenti parti del globo e che permette al bene di entrare a pieno titolo nel mercato legale77, passando per gli attentati alla conservazione del patrimonio artistico (distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali, devastazione e saccheggio di beni culturali).

In definitiva, con l’odierno intervento il legislatore “segna il definitivo abbandono di un sistema di tutela penale indiretta, basata cioè sul regime privatistico dei beni e nel quale il loro carattere culturale ha il significato di mero limite ai poteri di disposizione e godimento del proprietario e il valore ideale (culturale) ha semplice carattere accessorio rispetto alla materialità del bene”, ed approda “in modo chiaro ad un sistema di tutela penalediretta del patrimonio storico-artistico” 78, avente cioè “per oggetto la cosa d’arte come valore in sé” 79, la quale è protetta in quanto tale 80 , indipendentemente dall’appartenenza pubblica o privata e anche nei confronti di possibili offese da parte dello stesso proprietario 81.

1.3. La nozione di bene culturale: l’assenza di una norma definitoria ad effetti penali.

Nonostante l’ampiezza del riferimento codicistico al genus “patrimonio culturale”, le fattispecie delittuose contenute nel novello Titolo VIII-bis sono per la gran parte ricostruite, salvo quattro eccezioni (v. artt. 518-duodecies e 518-terdecies cod. pen., aventi ad oggetto anche i beni paesaggistici: v. postea § 2.12 e 2.13; v. artt. 518-undecies e 518-quaterdecies cod. pen.), attorno alla più circoscritta categoria dei “beni culturali82.

L’ambito di applicazione delle nuove incriminazioni si impernia, dunque, attorno a tale elemento normativo (giuridico)83 costitutivo del fatto tipico che, tuttavia, il legislatore della riforma non ha autonomamente definito “agli effetti penali” 84.

Dunque, in mancanza di una norma definitoria 85 – la cui previsione a fini penalistici avrebbe incrementato il tasso di (sufficiente) determinatezza (art. 25, comma secondo, Cost.)86 e di rimproverabilità del precetto (art. 27, commi 1 e 3, Cost.) e, quindi, la sua accessibilità e prevedibilità (art. 7 CEDU) – continua ad essere rimesso all’interprete il compito di “perimetrare” il bene culturale penalisticamente rilevante 87, costituente elemento costitutivo (normativo) 88 delle incriminazioni ricomprese nel Titolo VIII-bis, peraltro tutte fattispecie delittuose punite solo nella realizzazione dolosa, quindi suscettibili di futuribili problematiche in punto di errore ricadente proprio sulla “culturalità” del bene (art. 47, comma terzo, cod. pen.) 89.

Al di là dell’ampia definizione di “bene culturale” interna alla Convenzione di Nicosia – di eventuale rilievo confermativo, quantomeno nei casi dubbi, in ragione dell’occasio legis dell’odierna riforma (v. retro § 1.1) – in via principale dovrà farsi riferimento, in funzione integratrice delle norme penali di nuovo conio, alla nozione giuridica di bene culturale fissata “a fini amministrativi” dall’art. 2 cod. beni cult., da sempre utilizzata sul terreno penale 90.

Tale disposizione sancisce che il «patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici»: i beni culturali sono specificati nel comma 2, attraverso il richiamo ai successivi artt. 10 e 11 cod. beni cult.91, mentre i beni paesaggistici – d’ora in poi elementi normativi dei soli reati di cui agli artt. 518-duodecies e 518-terdecies cod. pen. – sono definiti ai sensi del successivo comma 3 92.

Va dunque esclusa, a tutt’oggi, nonostante l’operata codificazione, una “indipendenza” – pure auspicata da (taluna) dottrina penalistica 93 – delle fattispecie di nuovo conio rispetto alla suddetta definizione amministrativa di bene culturale fissata dalla legislazione complementare.

Quanto al noto dilemma dell’applicazione “formale” o “sostanziale” della nozione extrapenale di bene culturale 94 - ossia alla scelta di sistema che il legislatore è da sempre chiamato a compiere tra la tutela penale del (solo) patrimonio culturale dichiarato, circoscritta ai beni il cui valore culturale sia stato oggetto di previa dichiarazione 95, e la tutela penale (anche) del patrimonio culturale reale, che si estende ai beni dotati di “intrinseco” valore culturale e che prescinde da un accertamento dello stesso ad opera delle autorità competenti 96 - secondo alcuni primi commentatori essa è rimasta del tutto “irrisolta” con l’odierna riforma, essendosi “persa un’opportunità importante di dare una chiara e univoca definizione di bene culturale ‘a fini penali’ 97; secondo altri, la soluzione abbracciata dalla legge n. 22 del 2022 sarebbe sul punto “meno netta, considerata la vastità ed eterogeneità delle fattispecie inserite nel nuovo titolo” 98, sicché l’opzione va verificata di volta in volta, a seconda delle incriminazioni che vengono in rilievo. L’orientamento di fondo dell’odierna riforma – si fa comunque rilevare dalla prima dottrina – sembra essere a favore della tutela del patrimonio culturale reale, comprensivo, quindi, anche delle opere di arte contemporanea in linea con il dettato dell’art. 9, comma secondo, Cost. 99, “come dimostrato dalle due fattispecie maggiormente caratterizzanti, vale a dire quelle del furto e sul danneggiamento” di beni culturali 100, ma è stato comunque sottolineato che la stretta dipendenza di alcune fattispecie da elementi normativi contenuti nel codice dei beni culturali (ad es. l’art. 518-undecies cod. pen: v. postea § 2.11) determina in quei casi il necessario riferimento al patrimonio culturale dichiarato, “il che rende complessa la comprensione di questi reati e avrebbe forse reso consigliabile una loro collocazione (mantenimento) nella legislazione complementare” 101.

Al riguardo, occorre ricordare come la giurisprudenza di legittimità, specie con riferimento al reato di impossessamento illecito di beni culturali (già art. 176 cod. beni cult., ora art. 518-bis, comma primo, seconda parte, cod. pen.: v. postea § 2.1), abbia adottato un approccio sostanziale affermando che non è richiesto, quando si tratti di beni appartenenti allo Stato, l’accertamento dell’interesse culturale, né che i medesimi presentino un particolare pregio o siano qualificati come culturali da un provvedimento amministrativo, reputando sufficiente che la “culturalità” sia desumibile dalle caratteristiche oggettive dei beni (ex plurimis, Sez. 3, n. 24988 del 16/7/2020, Quercetti, Rv. 279756-01; conf. Id., n. 24344 del 15/5/2014, Rapisarda, Rv. 259305-01; Sez. 2, n. 36111 del 18/7/2014, Medda, Rv. 260366-01; Sez. 3, n. 41070 del 7/7/2011, Saccone e altro, Rv. 251295-01), quali la tipologia, la localizzazione, la rarità o altri analoghi criteri, e la cui prova può desumersi o dalla testimonianza di organi della P.A. o da una perizia disposta dall’autorità giudiziaria (Sez. 3, n. 35226 del 28/6/2007, Signorella, Rv. 237403-01). Analogamente, chiamata a confrontarsi con la fattispecie di illecita esportazione di cose di interesse artistico (art. 174 cod. beni cult., ora rifluito nell’art. 518-undecies cod. pen.), la S.C. si è espressa nel senso della sua applicabilità non solo al patrimonio culturale “dichiarato”, ma anche a quello “reale”, essendo sufficiente che il bene stesso presenti un oggettivo interesse culturale (Sez. 3, n. 10468 del 17/10/2017, dep. 2018, Lo Giudice, Rv. 272623-01 102). Tale approdo conferma l’indirizzo “sostanzialistico” secondo il quale il riferimento contenuto nell’art. 2 cod. beni cult. alle “ altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà ” costituisce una formula di chiusura che consente di ravvisare il bene giuridico protetto dalle disposizioni sui beni culturali ed ambientali non soltanto nel patrimonio storico-artistico-ambientale dichiarato, ma anche in quello reale, ovvero in quei beni protetti in virtù del loro intrinseco valore, indipendentemente dal previo riconoscimento da parte della autorità competenti (Sez. 3, n. 21400 del 15/2/2005, Pavoncelli, Rv. 231638-01 103, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 25, comma secondo, e 27, comma primo, Cost.; conf. Sez. 3, n. 45841 del 18/10/2012, Diamanti, Rv. 253998-01; sulla qualifica di beni culturali delle pubbliche piazze, strade, vie e altri spazi urbani rientranti nel perimetro dei centri storici in forza dell’art. 10, comma 1 e comma 4, lett. g, cod. beni cult., indipendentemente da una dichiarazione di interesse storico-artistico v. Sez. 3, n. 31760 del 21/10/2020, D’Aniello, Rv. 280024-01; Sez. 5, n. 23668 del 26/4/2005, Giordano e altro, Rv. 231904-01).

In tema di elemento soggettivo, quanto alla richiesta consapevolezza del valore culturale del bene da parte del soggetto attivo, la pregressa giurisprudenza della S.C. si è assestata nel ritenere per lo più sufficiente un accertamento presuntivo che finisce per arrestarsi, di fatto, alla mera (ri)conoscibilità dell’interesse culturale 104 (in materia di illecita alienazione fa riferimento alla mera “percettibilità della nota di valore della cosa” Sez. 3, n. 21400 del 15/2/2005, Pavoncelli, cit., in motiv.; in materia di impossessamento di beni archeologici v. Sez. 3, n. 6202 del 18/12/2014, dep. 2015, Bennardo e altro, Rv. 262366-01, secondo cui è sufficiente la mera consapevolezza di impossessarsi di beni aventi interesse culturale, la cui prova può essere tratta anche dalla condotta tenuta dal colpevole successivamente alla commissione del fatto).

2. Modifiche al codice penale (art. 1 legge n. 22 del 2022).

L’art. 1, comma 1, lett. b), della legge qui in commento ha introdotto nel Codice penale, all’interno dell’inedito Titolo VIII-bis intitolato « Dei delitti contro il patrimonio culturale», le seguenti disposizioni:

  • art. 518- bis (Furto di beni culturali)

  • art. 518- ter (Appropriazione indebita di beni culturali)

  • art. 518- quater (Ricettazione di beni culturali)

  • art. 518- quinquies (Impiego di beni culturali provenienti da delitto)

  • art. 518- sexies (Riciclaggio di beni culturali)

  • art. 518- septies (Autoriciclaggio di beni culturali)

  • art. 518- octies (Falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali)

  • art. 518- duodecies (Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici)

  • art. 518- terdecies (Devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici)

  • art. 518- novies (Violazioni in materia di alienazione di beni culturali)

  • art. 518- decies (Importazione illecita di beni culturali)

  • art. 518- undecies (Uscita o esportazione illecite di beni culturali)

  • art. 518- quaterdecies (Contraffazione di opere d’arte)

  • art. 518- quinquiesdecies (Casi di non punibilità)

  • art. 518- sexiesdecies (Circostanze aggravanti)

  • art. 518- septiesdecies (Circostanze attenuanti)

  • art. 518- duodevicies (Confisca)

  • art. 518- undevicies (Fatto commesso all’estero )

Infine, nel libro III del Codice penale, dopo l’art. 707, ha aggiunto la seguente contravvenzione:

  • art. 707- bis (Possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli).

A seguito dell’odierna riforma, lo statuto penale dei beni culturali presenta questa fisionomia (quantomeno tendenziale) basata sulla tipologia di offesa: nel codice penale sono contenute tutte le fattispecie delittuose, rectius gli illeciti di danno o di pericolo concreto idonei ad offendere l’oggetto immediato della tutela, cioè il bene culturale; nel codice dei beni culturali restano alcune fattispecie contravvenzionali (artt. 169-172 e 175), cioè i reati ostacolo a tutela della disciplina ammini­strativa dettata dal d.lgs. n. 42 del 2004. In questo quadro bipartito, l’unica eccezione sarebbe costi­tuita dalla contravvenzione di cui al novello art. 707- bis c.p., la cui collocazione tra i reati di sospetto sembra in linea con la tradizione codicistica 105.

Quanto alle quattordici incriminazioni di nuova introduzione o comunque loro collocazione nel codice penale (tredici delittuose inserite nel nuovo Titolo VIII-bis del Libro II; una contravvenzionale nel Libro III del codice penale) – la gran parte delle quali, peraltro, aventi natura di norme a più fattispecie – i campi di intervento penalistici possono suddividersi in tre diverse macroaree, da esaminare partitamente per le connesse diversità strutturali e di disciplina (successoria).

Un primo gruppo ricomprende nuove incriminazioni (art. 2, comma primo, cod. pen.) – come tali applicabili irretroattivamente (artt. 25, comma secondo, Cost. e 7 CEDU; 1 cod. pen.) ai fatti-reato commessi a partire dal 23 marzo 2022 – specificamente rivolte ai beni culturali ma che riproducono il contenuto di fatti già dotati di rilevanza penale, seppur attraverso i corrispondenti tipi delittuosi generali codicistici (prevalentemente i reati contro il patrimonio compresi nel titolo XIII del Libro II 106), rispetto alle quali si pongono in rapporto di maggiore severità sanzionatoria e, strutturalmente, dal punto di vista (nondiacronico ma) sincronico107, dispecialità unilaterale108 per specificazione 109, quest’ultima rappresentata dalla culturalità del bene che, per l’appunto, specifica (art. 15 cod. pen.) l’oggetto materiale (« cosa mobile», «cose», «beni») delle fattispecie generali 110. Si tratta delle previsioni di cui ai novelli artt. 518-bis (Furto di beni culturali), 518-ter (Appropriazione di beni culturali), 518-quater (Ricettazione di beni culturali), 518-quinquies (Impiego di beni culturali provenienti da delitto), 518-sexies (Riciclaggio di beni culturali), 518-septies (Autoriciclaggio di beni culturali), 518-duodecies , commi 1 e 2, prima parte (Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento […]) e 518- terdecies (Devastazione e saccheggio di beni culturali) cod. pen . Questa macroarea – si è osservato a prima lettura – dimostra la scelta “forte” della riforma di trasformare in illeciti autonomi molti casi in cui fattispecie comuni possono avere ad oggetto beni culturali 111.

Un secondo insieme di disposizioni incriminatrici si limita a riprodurre nel codice penale, in ossequio al principio della riserva di codice, con coevo inasprimento dei compassi edittali, i (soli) delitti del patrimonio culturale già ospitati in seno al codice di settore (ove ora restano allocate le sole contravvenzioni) contestualmente abrogati all’art. 5, comma 2, lett. b), dalla stessa legge n. 22 del 2022. Si tratta delle previsioni di cui ai novelli artt. 518-novies (Violazioni in materia di alienazione di beni culturali), 518-undecies, comma primo e secondo, prima parte (Uscita o esportazione illecite di beni culturali), 518-duodecies, comma secondo, seconda parte ([…] uso illecito di beni culturali), 518-quaterdecies (Contraffazione di opere d’arte) e 518-quinquiesdecies (Casi di non punibilità) cod. pen. Limitatamente alle nuove sanzioni abbinate a questo gruppo di reati (ora codificati) vale perciò il principio di irretroattività della pena (artt. 25, comma secondo, Cost. e 7 CEDU; 1 cod. pen.), per il resto versandosi per lo più in ipotesi di “abrogatio sine abolitione112 (salvo qualche eccezione) con conseguente continuità normativa del tipo di illecito, già punito secondo la legge (complementare) previgente e che conserva rilevanza penale anche sotto la nuova disciplina codicistica (sulla continuità normativa tra l’art. 67 della legge n. 1089 del 1939 e la previsione di cui all’art. 125 d.lgs. n. 490 del 1999, v. già Sez. 3, n. 47922 del 25/11/2003, Petroni, Rv. 226869-01; in ambito penal-lavoristico, v. Sez. 3, n. 3714 del 20/12/2004, dep. 2005, Infante ed altro, Rv. 230672-01; conf. Sez. 3, n. 12430 del 15/11/2005, dep. 2006, Grandinetti, Rv. 234038-01; Sez. 3, n. 21789 del 18/4/2007, Rollino e altro, Rv. 236675-01; Sez. 4, n. 40499 del 20/10/2010, Borelli, Rv. 248861-01). All’interno di questa seconda macroarea – secondo la prima dottrina – la succitata linea di demarcazione della riforma basata sulla dimensione offensiva – ossia tra codice dei beni culturali, con i reati di pericolo astratto (che sono stati mantenuti), e codice penale, con i reati di danno (v. supra) – non è stata rigorosamente rispettata dal legislatore del 2022, come dimostra la presenza delle disposizioni, orientate sulla pericolosità, di cui agli artt. 518-novies (v. postea § 2.9) e 707-bis cod. pen. (v. postea § 2.19) 113.

Un terzo ambito di intervento penalistico, assai più sparuto (via via ridottosi nel corso dell’iter parlamentare di approvazione della legge in commento, ove si prevedevano inizialmente anche fattispecie colpose 114) comprende nuove incriminazioni tourt court (art. 2, comma primo, cod. pen.) – come tali applicabili irretroattivamente (artt. 25, comma secondo, Cost. e 7 CEDU; 1 cod. pen.) ai fatti-reato commessi a partire dal 23 marzo 2022 – specificamente rivolte ai beni culturali ricadenti su ambiti fattuali finora penalmente neutri. Si tratta delle previsioni di cui ai novelli artt. 518-octies (Falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali), 518-decies (Importazione illecita di beni culturali), 518-undecies, comma secondo, seconda parte e 707- bis (Possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli) cod. pen.

Si segnala, infine, per completezza classificatoria un ultimo gruppo di norme non incriminatrici riguardanti la disciplina delle circostanze, della confisca e del fatto commesso all’estero. Si tratta delle previsioni di cui ai novelli artt. 518-sexiesdecies (Circostanze aggravanti), 518-septiesdecies (Circostanze attenuanti), 518-duodevicies (Confisca) e 518-undevicies (Fatto commesso all’estero) cod. pen., nonché delle modifiche di parte generale operate all’art. 240- bis, comma primo, cod. pen.

2.1 L’ampliamento dei casi di confisca allargata.

L’art. 1, comma 1, lett. a), della legge n. 22 del 2022 interviene con una modifica di parte generale in seno all’art. 240- bis, comma primo, cod. pen. determinando così l’ampliamento dell’area della cd. “ confisca allargata” (o “estesa” o “atipica”, per distinguerla dalle altre ipotesi di confisca obbligatoria) e, in conseguenza del rinvio operato dal successivo comma secondo ai casi previsti dal comma primo dello stesso art. 240-bis, conseguentemente anche dello spettro della correlata confisca per equivalente.

Nel catalogo di reati che, in caso di condanna o di patteggiamento, giustificano siffatte misure ablatorie, sono stati inclusi gliartt. 518-quater (ricettazione di beni culturali), 518-quinquies (impiego di beni culturali di provenienza illecita), 518-sexies (riciclaggio di beni culturali) e 518-septies (autoriciclaggio di beni culturali) cod. pen., alla cui trattazione di rinvia (v. postea §§ 2.4, 2.5, 2.6 e 2.7).

In ragione della (ribadita) natura giuridica della “confisca allargata” – avente natura (non sanzionatoria bensì) di « misura di sicurezza patrimoniale, replicante alcuni caratteri della misura di prevenzione antimafia, già disciplinata dalla legge n. 575 del 1965, e la stessa finalità preventiva perseguita» (così, da ultimo, Sez. U, n. 27421 del 25/2/2021, Crostella, Rv. 281561-01), dovrebbe valere il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui «anche tale confisca, come le altre misure di sicurezza, è applicabile nei confronti di chi sia stato condannato per reati commessi prima dell’entrata in vigore della norma che la disciplina, in quanto l’istituto non è soggetto al principio di irretroattività della norma penale di cui agli artt. 25 Cost. e 2 cod. pen., quanto piuttosto alla disposizione dell’art. 200 cod. pen., applicabile alla confisca per il richiamo operato dall’art. 236 cod. pen., secondo la quale le misure di sicurezza sono regolate dalla legge vigente al momento della loro applicazione perché postulano la valutazione in termini di attualità della pericolosità sociale, da ricostruire in base alla legislazione in quel momento vigente, pur se entrata in vigore in epoca successiva al sorgere della pericolosità, o all’acquisizione dei cespiti patrimoniali oggetto di ablazione» (così da ultimo: Sez. 2, n. 6587 del 12/1/2022, Cuku, Rv. 282690-01, riguardo all’impossibilità di giustificare la provenienza di beni con proventi da evasione fiscale; in precedenza, Sez. 1, n. 44534 del 24/10/2012, Ascone, Rv. 254698-01; Sez. 6, n. 10887 del 11/10/2012, Alfiero, Rv. 254786-01; Id., n. 25096 del 06/03/2009, Nobis, 244355-01; Sez. 1, n. 11269 del 18/02/2009, Pelle, Rv. 243493-01; Id., n. 8404 del 15/01/2009, Bellocco, Rv. 242862-01; Sez. 3, n. 38429 del 09/07/2008, Sforza, Rv. 241273-01).

Ribadito, in termini generali, che il principio di irretroattività opera solo con riguardo alle confische aventi natura sanzionatoria, si dovrebbe affermare – in continuità col diritto vivente – che anche le novelle ipotesi di confisca (allargata e per equivalente) ex art. 240- bis, commi 1 e 2, cod. pen. potranno essere ordinate in relazione a cespiti acquisiti in epoca anteriore l’entrata in vigore delle disposizioni che l’hanno istituita (così Sez. 2, n. 6587 del 12/1/2022, Cuku, cit.; Sez. 1, n. 43483 del 04/06/2021, Perri, non mass.; Sez. 2, n. 56374 del 12/10/2018, Di Spirito, Rv. 276299-01), quindi antecedentemente al 23 marzo 2022. Senonché i reati (speciali) che sono stati considerati dal legislatore del 2022 a questi fini confiscatori (ossia ricettazione di beni culturali, impiego di beni culturali di provenienza illecita, riciclaggio di beni culturali ed autoriciclaggio di beni culturali ) sono a loro volta di nuova introduzione – sebbene siano riproduttivi, con tratti di specialità dell’oggetto materiale, delle ordinarie fattispecie-base contro il patrimonio (rispettivamente degli artt. 648, 648-ter, 648-bise 648-ter.1 cod. pen.: v.retro § 2) – sicché parrebbe porsi comunque il problema dell’ inapplicabilità della nuova disciplina patrimoniale per fatti commessi anteriormente, a meno di non voler considerare l’eventuale commissione dei corrispondenti reati comuni contro il patrimonio che, per accidente, abbiano avuto ad oggetto un bene culturale.

2.2 Furto di beni culturali (art. 518- bis cod. pen.)

Cominciando la disamina delle singole disposizioni introdotte dall’art. 1, comma 1, lett. b), della legge n. 22 del 2022 all’interno dell’inedito Titolo VIII-bis, l’art. 518- bis cod. pen. punisce con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 927 a 1.500 euro il furto di beni culturali.

Finora, per punire il furto di beni culturali – criminologicamente il reato più diffuso nell’ambito del traffico di opere d’arte e di cose d’antichità 115 – in assenza di una fattispecie ad hoc 116 si poteva ricorrere, attraverso uno sforzo interpretativo accolto dalla giurisprudenza 117, solo (e non sempre) all’aggravante della destinazione delle cose a « pubblica riverenza» prevista per il furto comune dall’art. 625, n. 7, cod. pen. 118 – ritenuta però del tutto inadeguata dalla dottrina rispetto all’obiettivo di un’efficace salvaguardia del patrimonio culturale 119 – in ragione della fruizione pubblica che (talora) caratterizza il bene culturale, variamente reso accessibile al pubblico, in quanto oggetto ad es. di una mostra 120 o “esposto in un tempio religioso e, per questo, oggetto della riverenza dei fedeli” (così Sez. 5, n. 21558 del 9/3/2010, Zerbini, non mass. 121; Sez. 2, n. 1721 del 25/11/1975, dep. 1976, Betenazzo, Rv. 132232-01 122; Sez. 2, n. 6906 del 19/1/1973, De Toni, Rv. 125159-01 123).

Il legislatore del 2022, recependo sul punto gli obblighi contenuti nella Convenzione di Nicosia (v. retro § 1.1) – recante all’art. 3 ( Theft and other forms of unlawful appropriation) propriamente l’obbligo per gli Stati firmatari di assicurare l’applicabilità delle disposizioni nazionali che sanzionano il furto e le altre forme di appropriazione indebita alle condotte riguardanti beni culturali mobili 124 – ha coniato, in continuità con risalenti progetti di riforma 125, (anziché una fattispecie aggravante ad hoc) un autonomo titolo delittuoso incentrato sulla culturalità del bene oggetto della condotta furtiva 126, punendolo più severamente rispetto al furto comune 127 in ragione di un’offesa di grado particolarmente intenso al bene protetto, in quanto – si è annotato a prima lettura – la dispersione (pur rimediabile) dell’oggetto materiale annulla la funzione pubblica a cui il patrimonio culturale è rivolto 128. Lo stesso “giro di vite” ha realizzato, ai sensi del comma secondo dell’art. 518-bis, in relazione alla ricorrenza di una o più delle circostanze aggravanti previste dall’art. 625, comma primo, cod. pen. (v. postea).

Al comma primo del novello art. 518-bis cod. pen. sono previste due incriminazioni, il che denota l’intentio legislatoris di accorpare, in un’unica normaspeciale, i furti (propriamente intesi) di beni culturali mobili operati in qualunque contesto e i cd. “furti archeologici” (o “d’arte”) 129, con inasprimento sanzionatorio per entrambe le fattispecie 130 le quali proteggono il bene culturale (altrui o statale) dalle azioni di spoglio che si concretano nell’apprensione della cosa d’arte mediante impossessamento (con o senza sottrazione).

La prima parte del comma primo dell’art. 518-bis, replicando esattamente il precetto dell’art. 624, comma primo, cod. pen., punisce « [c]hiunque si impossessa di un bene culturale altrui, sottraendolo a chi lo detiene, col fine di trarne profitto, per sé o per altri ».

La norma ricalca la «stessa materia», agli effetti dell’art. 15 cod. pen., disciplinata dall’art. 624 cod. pen., come norma generale, e dall’art. 624-bis cod. pen., come ipotesi speciale (nel senso che per «stessa materia» deve intendersi “la stessa fattispecie astratta, lo stesso fatto tipico nel quale si realizza l’ipotesi di reato, con la precisazione che il riferimento all’interesse tutelato non ha immediata rilevanza ai fini dell’applicazione del principio di specialità”, v. Sez. U, n. 41588 del 22/06/2017, L.M., in motiv. § 4; Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, cit.; in motiv.; Sez. U, n. 1963 del 28/10/2010, dep. 2011, Di Lorenzo, in motiv.). In termini strutturali, rispetto al generale enunciato del furto ordinario, qui si versa in ipotesi di specialità (unilaterale) per specificazione dell’ oggetto materiale della condotta (bene culturale altrui vs. bene mobile altrui) (v. retro § 2); rispetto, invece, al furto in abitazione - costituente incriminazione autonoma (così Sez. 4, n. 36606 del 19/09/2016, P.M. in proc. Sidari, Rv. 235022-01; conf. Id., n. 43452 del 14/10/2009, P.M. in proc. Cormano, Rv. 245470-01) - sembra potersi parlare di specialità reciproca, parte perspecificazione (la natura culturale del bene mobile) e parteper aggiunta (il luogo destinato a privata dimora) 131, con conseguente esclusione del concorso formale di reati, salvo capire, in assenza di una clausola di riserva, se debba darsi poi prevalenza alla specialità della disciplina del Titolo VIII-bis 132 o se – come pare preferibile – non sia più rispondente al sistema dar rilievo alla fattispecie cui si accompagna il trattamento sanzionatorio più severo (quindi, nella specie, l’art. 624-bis cod. pen. 133), indice primario e significativo della norma prevalente secondo autorevole manualistica 134.

Sul versante dell’elemento soggettivo, la norma ripropone il dolo specifico (di ulteriore offesa) costituito dalfine di profitto135 che, nel furto comune, ha dato adito a qualche incertezza giurisprudenziale (in senso ampio, non riferito necessariamente alla volontà di trarre un’utilità patrimoniale dal bene sottratto, potendo consistere anche nel soddisfacimento di un bisogno psichico e rispondere, quindi, ad una finalità di vendetta, di ritorsione o di dispetto, v. da ultimo Sez. 1, n. 20442 del 22/4/2022, P.G. in proc. Cellitti, non mass.; Sez. 4, n. 4144 del 06/10/2021, dep. 2022, Caltabiano, Rv. 282605-01; conf. Sez. 4, n. 13842 del 26/11/2019, dep. 2020, Saraceno, Rv. 278865-01; Sez. 5, n. 11225 del 16/01/2019, Dolce, Rv. 275906-01; in senso restrittivo, da intendersi come finalità di ricavare dalla cosa sottratta un’utilità apprezzabile in termini economico-patrimoniale, v. invece Sez. 5, n. 25821 del 05/04/2019, P.M. c. El Sheshtawi, Rv. 276516-01; Id., n. 30073 del 23/01/2018, Lettina e altro, Rv. 273561-01 136); ad esso si affianca il dolo nella sua dimensione generica, rappresentato dalla volontarietà della sottrazione e dell’impossessamento, unitamente alla consapevolezza del carattere culturale del bene 137 e della sua altruità.

La seconda parte del comma primo dell’art. 518- bis incrimina – alternativamente («o») – chiunque « si impossessa di beni culturali appartenenti allo Stato, in quanto rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali marini ». Si tratta della distinta fattispecie – quivi riversata nel corso dell’iter parlamentare – diimpossessamento illecito di beni culturali statali (cd.furto “archeologico” o “d’arte” 138): reato di danno 139 già punito (meno gravemente, con le stesse pene dell’art. 624 cod. pen. 140) dall’art. 176 cod. beni cult., ora contestualmente abrogato dall’art. 5, comma 2, lett. b), della legge n. 22 del 2022, sicché in parte qua si versa per lo più in ipotesi di abrogatio sine abolitione, salvo che per una fattispecie commissiva specifica (v. postea).

Presupposto dell’impossessamento illecito sanzionato è l’avvenuto ritrovamento dei beni culturali in seguito a ricerche date in concessione (art. 89 cod. beni cult.) o a scoperte fortuite (art. 90 cod. beni cult.) 141. La specificazione riferita ai beni (« in quanto rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali marini») era necessaria 142 poiché manca in quest’ipotesi la condotta sottrattiva, stante la correlazione diretta dell’impossessamento con un’attività di ricerca e/o ritrovamento implicante, da un lato, pur in presenza di un terzo proprietario ex lege della res (id est: lo Stato), l’assenza di un precedente detentore materiale cui sottrarre il bene e, dall’altro, che il detentore della cosa (addirittura ex lege custode temporaneo della stessa per conto dell’autorità pubblica) sia proprio l’autore di tale attività 143.

La tipizzata condotta di (semplice) impossessamento (senza precedente detenzione) ricade sui beni che, secondo il vigente art. 91 cod. beni cult. 144, entrano a far parte:

- se immobili, del demanio (art. 822 cod. civ.);

- se mobili, del patrimonio indisponibile dello Stato (art. 826, comma secondo, cod. civ. 145), a titolo originario (così Sez. 2, n. 12716 del 21/11/1997, dep. 1998, Amorelli, Rv. 212786-01; Sez. 4, n. 14792 del 22/3/2016, Cadario e altro, Rv. 266981-01), sin dalla loro scoperta (Sez. 2, n. 12087 del 27/6/1995, Dal Lago, Rv. 203105-01; Sez. 3, n. 4266 del 22/11/2002, dep. 2003 Di Marco, Rv. 223554-01),

da chiunque e in qualunque modo ritrovati 146, salva la possibilità di conferimento allo scopritore di parte delle cose ritrovate a titolo di premio, in luogo della corresponsione in denaro dello stesso.

In ragione di tale cornice extrapenalistica che individua il regime pubblicistico dei beni culturali ritrovati, ilbene giuridico qui specificamente protetto è proprio l’appartenenza allo Stato dei beni culturali non conosciuti e ritrovati fortuitamente o dietro concessione 147, estendendosi con questa norma la tutela repressiva non solo al patrimonio già acquisito ma anche a quello in corso di acquisizione mediante la disciplina dei rinvenimenti sia dietro ricerca sia su scoperta fortuita 148. È sufficiente un interesse culturale di grado semplice 149 (nel senso che le cose di interesse numismatico devono essere considerate beni culturali anche quando, a prescindere dall’accertamento della presenza dei caratteri di rarità o di pregio, siano state ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini, v. Sez. 3, n. 37861 del 4/4/2017, P.M. in proc. Rolfo, Rv. 270642-01). Ai fini del perfezionamento di questo reato è necessario che l’autore abbia posto in essere un’azione a mezzo della quale abbia appreso la cosa spostandola dal luogo in cui si trovava in origine per collocarla altrove, nel proprio dominio (così Sez. 3, n. 13701 del 19/4/2006, Salvo, Rv. 233925-01: fattispecie in cui la Corte ha escluso il reato in un’ipotesi di atteggiamento meramente passivo in cui il bene era pervenuto all’imputato per successione ereditaria).

Poiché l’incriminazione ora trasfusa nell’art. 518-bis, comma primo, seconda parte, cod. pen. in parte qua non richiama più testualmente, come il previgente art. 176 cit., l’art. 91 cod. beni cult. – il cui contenuto è stato qui “tradotto”, come visto, nell’espressione «… in quanto rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali marini» – con l’entrata in vigore della legge n. 22 del 2022 si è realizzata un’ipotesi di abolitio criminis parziale, con conseguente retroattività della norma successiva più favorevole (art. 2, comma secondo, cod. pen.), con riferimento alla condotta di impossessamento illecito di beni culturali “ rinvenienti dall’abbattimento” di un immobile, a seguito di demolizione di esso per conto dello Stato o di altri enti pubblici: forma di commissione del reato di impossessamento di beni culturali sussistente – fino al 22 marzo 2022 – quando l’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico fosse stato «particolarmente importante» 150.

In punto di elemento soggettivo, questa seconda fattispecie non include il fine di profitto: il quivi previsto dolo generico consente quindi di superare in radice i problemi sopra evocati a proposito del dolo specifico del furto ordinario 151.

Passando alle forme di manifestazione del reato, la configurabilità del tentativo non sembra porre problemi per la prima figura delittuosa di furto di beni culturali, il cui iter criminis è ben scandito dalle diverse fasi della sottrazione e dell’impossessamento. Più problematica è, invece, rispetto al furto archeologico 152, ove la condotta di impossessamento (senza sottrazione) è preceduta da una fase-presupposto che di per sé già costituisce reato ex art. 175 cod. beni cult., contravvenzione (di pericolo astratto) 153 che tutt’ora punisce l’abusiva effettuazione di ricerche archeologiche o, in genere, di opere per il ritrovamento di beni culturali, senza che rilevi l’esistenza o meno del sito archeologico (così Sez. 3, n. 51681 del 26/11/2015, dep. 2016, Dell’Eva e altro, Rv. 268393-01; conf. Sez. 5, n. 8839 del 17/7/1973, Masala, Rv. 125647-01); quando, poi, la ricerca è svolta mediante strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione di metalli dei quali non si giustifichi il possesso, entra in azione la nuova contravvenzione dell’art. 707-bis cod. pen. (su cui v.postea § 2.18) 154; in questa fattispecie, pertanto, il tentativo è riferibile solo alla fase dell’impossessamento 155.

Il concorso tra la fattispecie di furto archeologico e la contravvenzione dell’art. 175 cod. beni cult. è ammissibile atteso che il primo richiede l’impossessamento di beni culturali statali, realizzabile anche da chi sia titolare della concessione per la ricerca, mentre la seconda si realizza indipendentemente dal rinvenimento degli oggetti, in quanto la rilevanza penale della condotta deriva dall’assenza di permesso per la ricerca (così, sul previgente art. 176 cod. beni cult., Sez. 3, n. 9927 del 7/5/2015, Sarullo, Rv. 266764-01).

il comma secondo dell’art. 518-bis cod. pen. contempla circostanze aggravanti speciali e ad effetto speciale (art. 63, comma terzo, cod. pen.): la pena sale da quattro a dieci anni di reclusione e la multa da 927 a 2.000 euro se il reato è aggravato da una o più circostanze del furto comune previste dall’art. 625, comma primo, cod. pen. oppure se il furto di beni culturali statali, in quanto rinvenuti nel sottosuolo o nei fondali marini,«è commesso da chi abbia ottenuto una concessione di ricerca». Quest’ultima previsione circostanziale soggettiva riproduce – in perfetta continuità normativa – l’aggravante speciale già annessa al reato di impossessamento illecito di beni culturali statali commesso dal titolare della concessione di ricerca prevista nell’art. 89 cod. beni cult. (v. abrogato art. 176, comma 2, cod. beni cult.), ove è la peculiare posizione rivestita dall’autore – “soggetto qualificato e munito, in qualità di concessionario, di una corona di specifici poteri e, corrispettivamente, didoveri 156 – a determinare la particolare nota di disvalore del fatto, secondo lo schema tipico del reato proprio, e giustifica la maggior severità del trattamento sanzionatorio 157.

In tema di responsabilità degli enti, se il furto di beni culturali è commesso da soggetto collettivo, nel suo interesse o a suo vantaggio, il novello art. 25-septiesdecies aggiunto al d.lgs. n. 231 del 2001 dall’art. 3 della legge in commento lo sanziona, al comma 4, con l’applicazione della pena pecuniaria da 400 a 900 quote e, al comma 5, con l’applicazione delle sanzioni interdittive per la durata non superiore a due anni.

Passando agli istituti processuali, il delitto è sempre perseguibile d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.).

Sono applicabili, già nell’ipotesi-base, la custodia cautelare in carcere e tutte le altre misure coercitive (art. 280, commi 1 e 2, cod. proc. pen.).

Poiché l’art. 380, comma 2, lett. e), cod. proc. pen., a differenza della successiva lett. e-bis), ha riguardo ai delitti di “furto”, senza menzionare anche la norma di riferimento, in presenza delle circostanze aggravanti di cui all’art. 625, comma primo, n. 2, prima ipotesi, nn. 3, 5 e 7 bis (e salvo che ricorra, in questi ultimi casi, l’attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 4, cod. pen.), dovrebbe ritenersi possibile l’arrestoobbligatorio in flagranza 158. L’arresto facoltativo è senz’altro consentito (art. 381, comma 1, cod. proc. pen.), come pure il fermo di indiziato di delitto (art. 384, comma 1, cod. proc. pen.), sempre possibile anche nei confronti dei soggetti di cui all’art. 4 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (art. 77 d.lgs. n. 159 del 2011).

Sono consentite, in tutti i casi, le intercettazioni (art. 266, comma 1, lett. a, cod. proc. pen.).

Non essendo stato integrato il catalogo dei delitti per i quali è prevista nominatim la citazione diretta a giudizio (art. 550, comma 2, cod. proc. pen.), il reato, di competenza del Tribunale monocratico (art. 33- ter, comma 2, cod. proc. pen.), richiede la celebrazione dell’udienza preliminare.

2.3 Appropriazione indebita di beni culturali (art. 518 -ter cod. pen.)

Il successivo art. 518-ter cod. pen., sempre in attuazione dell’art. 3 della Convenzione di Nicosia (v. retro § 2.2), incrimina l’ appropriazione indebita di beni culturali riproponendo il generale enunciato dell’art. 646 cod. pen. con la sola specificità dell’oggetto materiale del reato e, conseguentemente, del bene tutelato 159.

È punito, al comma primo, con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da 516 a 1.500 euro « chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria di un bene culturale altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso ».

Come il furto di beni culturali, anche l’appropriazione indebita di beni culturali protegge il bene (altrui) dalle azioni di spoglio 160, che qui si concretano specificamente nella alienazione (a titolo oneroso o gratuito) o nella ritenzione della cosa d’arte mediante interversione del possesso.

Nel rinviare, a fini d’esegesi, alla copiosa elaborazione giurisprudenziale in tema di appropriazione indebita comune, giova segnalare a livello sanzionatorio che, mentre l’arrt. 646 cod. pen. prevede ormai la pena della reclusione da due a cinque anni e la multa da 1.000 a 3.000 euro 161, il nuovo reato di cui all’art. 518-ter cod. pen. contempla una pena inferiore, allineata ai precedenti limiti edittali dell’art. 646 ante 2019. Questa mitigazione del trattamento sanzionatorio – frutto verosimilmente di una svista redazionale 162 – pone anzitutto dei dubbi sulla ragionevolezza della nuova fattispecie, “dissonante almeno rispetto alle manifestate intenzioni repressive della legge di riforma” 163, giacché, come le altre di coeva introduzione, avrebbe dovuto semmai annettere un trattamento più severo rispetto a quella generale in ragione dell’interesse pubblicistico specificamente protetto 164; in secondo luogo – più concretamente – la più lieve cornice edittale qui comminata è destinata a riverberarsi, agli effetti successori in mitius dell’art. 2, comma quarto, cod. pen., sui procedimenti in corso ex art. 646 cod. pen. al 23 marzo 2022 aventi ad oggetto casi di appropriazione indebita che, per accidente, abbiano ad oggetto beni culturali 165 (per riferimenti sui parametri utilizzabili dal giudice nella rideterminazione della pena più favorevole v. ad es. Sez. 2, n. 22502 del 16/7/2020, Baccili, Rv. 280423-01).

Come nell’art. 646, comma secondo, cod. pen., in base al comma secondo dell’art. 518-ter la pena è aumentata (fino ad un terzo: art. 64 cod. pen.) se il fatto appropriativo « è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario»: istituto giuridico risalente al diritto romano (depositum miserabile) e già normato dal codice civile Zanardelli (art. 1864 cod. civ. 1889), ravvisato dalla giurisprudenza penale della S.C. quando una persona è costretta a mettere in salvo d’urgenza le cose, affidandole al primo venuto, trovandosi in una situazione eccezionale, come un incendio, una rovina, un saccheggio, un naufragio o altro avvenimento improvviso e grave altrimenti non prevedibile: così Sez. 2, n. 9750 del 10/01/2013, Spacagno e altro, Rv. 254944-01).

In tema di responsabilità degli enti, se l’appropriazione indebita di beni culturali è commessa da soggetto collettivo, nel suo interesse o vantaggio, il nuovo art. 25-septiesdecies del d.lgs. n. 231 del 2001, al comma 2, annette la sanzione pecuniaria da 200 a 400 quote e, al comma 5, l’applicazione delle sanzioni interdittive per la durata non superiore a due anni.

Passando agli istituti processuali, il delitto è sempre perseguibile d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.), a differenza della fattispecie generale di cui all’art. 646 cod. pen., che invece è perseguibile di regola a querela di parte, salve le ipotesi dell’art. 649-bis cod. pen. (tra le quali rientra anche la recidiva qualificata: così Sez. U, n. 3585 del 24/9/2020, dep. 2021, P.G. c. Li Trenta, Rv. 280262-01). La custodia cautelare non è consentita, in ragione dei limiti edittali di pena massima, che invece ammette le altre misure coercitive (art. 280, comma 1, cod. proc. pen.). Sembra preclusa, altresì, la possibilità dell’arresto facoltativo in flagranza, poiché l’art. 381, comma 2, lett. l), cod. proc. pen., opera un testuale riferimento all’appropriazione indebita prevista dall’art. 646 cod. pen. e l’odierna novella non ha aggiornato tale previsione 166. Il fermo di indiziato di delitto non è possibile quoad poenam.

Non sono consentite le intercettazioni.

Il reato è di competenza del Tribunale monocratico (art. 33-ter, comma 2, cod. proc. pen.), su citazione diretta a giudizio da parte del p.m. (art. 550, comma 1, cod. proc. pen.).

2.4 Ricettazione di beni culturali (art. 518- quater cod. pen.)

Passando ai delitti di “circolazione” del bene culturale di provenienza illecita, l’art. 518-quater cod. pen., fuori dei casi di concorso nel reato, punisce, al comma primo, con la reclusione da quattro a dieci anni e la multa da 1.032 a 15.000 euro laricettazione di beni culturali 167.

Come noto, criminologicamente la ricettazione costituisce, da sempre, la forma più lucrosa e diffusa di sostegno del reo dopo la commissione del fatto-reato di aggressione patrimoniale; nell’ambito traffico illecito di beni culturali la maggior parte dei furti di opere d’arte o archeologici vengono commessi su commissione o con la consapevolezza di trovare un ricettatore disposto a smerciarli: di qui l’apprezzamento dottrinario – non unanime – per l’introduzione di questo titolo autonomo di reato 168, ritenuto particolarmente significativo ai fini della compiuta tutela del patrimonio culturale, qui specificamente protetto nella (prima) fase di “ripulitura” tipica di ogni traffico illecito, in ragione dell’esigenza di evitare la dispersione e/o lo smercio delle cose d’arte di provenienza illecita.

Anche in questo caso trattasi di reato speciale strutturato sul modello della corrispondente fattispecie generale codicistica (art. 648 cod. pen.), con l’unica specificazione dell’oggetto materiale: i « beni culturali provenienti da qualsiasi delitto».

In punto di elemento materiale, la condotta tipica si profila particolarmente ampia, dato che già il semplice « acquistare» è da intendere nel contenuto semantico amplissimo indicante ogni attività negoziale il cui effetto giuridico consista nel fare entrare la cosa (culturale) nella sfera giuridico-patrimoniale dell’agente 169. Da segnalare che, nella pregressa giurisprudenza, il possesso di oggetti archeologici è stato considerato quale fatto indiziante l’avvenuta commissione di altri reati, segnatamente quello di cui all’art. 176 cod. beni cult. (oggi art. 518-bis, comma primo, seconda parte, cod. pen.: v. retro § 2.2) (Sez. 3, n. 49413 del 10/12/2003, Di Luzio, Rv. 227586-01): poiché gli oggetti di interesse artistico, storico o archeologico appartengono a titolo originario al patrimonio dello Stato, il loro possesso deve essere ritenuto illegittimo, sicché incombe sul possessore l’onere di provare che la loro scoperta o appropriazione si è verificata legittimamente anteriormente all’entrata in vigore della legge 20 aprile 1909 n. 364 (Sez. 2, n. 12087 del 27/6/1995, Dal Lago, Rv. 203105-01; Id., n. 12716 del 21/11/1997, dep. 1998, Amorelli, Rv. 212786-01; Sez. 4, n. 12618 del 1/2/2005, Mirabella, Rv. 231255-01; Sez. 3, n. 49439 del 4/11/2009, Dafarra, Rv. 245743-01; Sez. 4, n. 14792 del 22/3/2016, Cadario e altro, Rv. 266981-01; Sez. 3, n. 22 del 30/11/2018, dep. 2019, Clark 170, non mass. sul punto: fattispecie relativa alla statua greca dell’Atleta Vittorioso di Lisippo, rinvenuta nel mare adriatico, e custodita da un’istituzione filantropica statunitense a seguito di illegale esportazione) 171.

Come nella ricettazione comune, in punto di elemento soggettivo, ampio spazio sarà da riconoscere al dolo eventuale, per la necessità di equiparare il dubbio alla consapevolezza della illegittima provenienza: e ciò perché la peculiarità dell’oggetto dell’acquisto, che è costituito da un bene culturale (di natura dunque artistica, storica, archeologica o demoetnoantropologica) suscita un sospetto sulla legittimità sulla provenienza in qualsiasi persona di media levatura intellettuale 172 (in tema di ricettazione comune, sulla ricorrenza del dolo eventuale nella forma dell’accettazione del rischio v. ad es. Sez. 2, n. 25439 del 21/4/2017, Sarr, Rv. 270179-01; conf. Sez. U, n. 12433 del 26/11/2009, dep. 2010, Nocera, Rv. 246324-01 173).

Anche nei commi successivi viene “replicato” il modello della ricettazione ordinaria, con qualche esclusione. Non è stata prevista l’ipotesi speciale del fatto di particolare tenuità (art. 648, comma secondo, cod. pen.), ferma l’applicabilità della più articolata disciplina di cui all’art. 518-septiesdecies, comma primo, cod. pen. 174.

Ai sensi del comma secondo dell’art. 518-quater, la pena è aumentata (fino ad un terzo: art. 64 cod. pen.) quando il fatto ricettativo riguarda beni culturali provenienti da delitti di rapina aggravata (art. 628, comma secondo, cod. pen.) e di estorsione aggravata (art. 629, comma secondo, cod. pen.), reati che – per inciso – non trovano una “riproduzione”, per specificazione, all’interno del nuovo Titolo VIII-bis quando abbiano ad oggetto beni culturali. Tra le ipotesi di aggravamento, diversamente dall’art. 648 cod. pen., non sono qui inclusi i beni provenienti da furto aggravato, ai sensi dell’art. 625, comma primo, n. 7-bis, cod. pen.

Ai sensi del comma terzo, la disposizione incriminatrice trova applicazione anche quando l’autore del delitto da cui i beni culturali provengono non è imputabile o non è punibile, ovvero quando manca una condizione di procedibilità (ipotesi, quest’ultima, peraltro irrealizzabile, visto che tutte le nuove incriminazioni sono procedibili d’ufficio, come pure quelle residue di natura contravvenzionali rimaste nel codice di settore).

In tema di concorso con i reati-presupposto e con le fattispecie conseguenti giova ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il delitto di ricettazione [comune, ora di beni culturali] concorre con quello di commercio di opere d’arte contraffatte atteso che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra le quali non può ravvisarsi un rapporto di specialità, e che non risulta una diversa volontà, espressa o implicita, del legislatore (Sez. 2, n. 27158 del 26/3/2010, Ciraudo, Rv. 247847-01; Id., n. 25186 del 12/11/2004, Filippin, Rv. 232003-01).

In tema di responsabilità degli enti, il novello art. 25- septiesdecies del d.lgs. n. 231 del 2001, al comma 2, prevede a carico dell’ente nel cui interesse o vantaggio sia stata commessa la ricettazione di beni culturali l’applicazione della sanzione pecuniaria da 400 a 900 quote e, al comma 5, delle sanzioni interdittive per la durata non superiore a due anni.

Passando agli istituti processuali, il delitto è sempre perseguibile d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.).

Sono consentite la custodia cautelare in carcere e le altre misure coercitive (art. 280, commi 1 e 2, cod. proc. pen.). L’art. 380, comma 2, lett. f-bis), cod. proc. pen. prevede l’arresto obbligatorio in flagranza per il reato ricettazione nell’ipotesi aggravata di cui all’art. 648, comma primo, secondo periodo, cod. pen.: il fatto che, per quanto sopra detto, quest’ultimo non si sovrapponga completamente all’ipotesi di cui all’art. 518-quater, comma secondo, pare precluda qualunque tentativo di estensione dell’ambito applicativo della misura pre-cautelare, “già in salita per il puntuale richiamo alla norma del codice di rito” 175. L’arresto facoltativo è consentito (art. 381, comma 1, cod. proc. pen.), in ragione del limite massimo di pena, come pure il fermo di indiziato di delitto (art. 384, comma 1, cod. proc. pen.), consentito anche nei confronti dei soggetti di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011 (art. 77 d.lgs. n. 159 del 2011).

Sempre in ragione dei limiti edittali previsti, in tutti i casi di cui all’art. 518-quater cod. pen. sono consentite le intercettazioni (art. 266, comma 1, lett. a, cod. proc. pen.).

Non essendo stato integrato il catalogo dei reati per i quali è prevista nominatim la citazione diretta a giudizio (art. 550, comma 2, lett. g, cod. proc. pen., che opera il testuale rinvio alla ricettazione prevista dall’art. 646 cod. pen.), il delitto, di competenza del Tribunale monocratico (art. 33-ter, comma 2, cod. proc. pen.), richiede la celebrazione dell’udienza preliminare.

2.5 Impiego di beni culturali provenienti da delitto (art. 518- quinquies cod. pen.)

A presidio dell’ultima fase dei traffici illeciti di beni culturali – che inizia con la realizzazione di un fatto delittuoso (id est: un’azione di spoglio: v. retro §§ 2.2 e 2.3), continua con il riciclaggio (che il novellatore ha però topograficamente collocato dopo, all’art. 518-sexies cod. pen.: v. postea § 2.6) e si conclude con la definitiva “ripulitura” e dispersione – il novelloart. 518-quinquies cod. pen. punisce, al comma primo, ad autonomo titolo delittuoso con la reclusione da cinque a tredici anni e con la multa da 6.000 a 30.000 euro l’ impiego di beni culturali provenienti da delitto.

La novella incriminazione speciale, sul modello della fattispecie ordinaria di reimpiego di cui all’art. 648-ter cod. pen., sanziona chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei reati di ricettazione di beni culturali (art. 518-quater: v. retro § 2.4) e riciclaggio di beni culturali (art. 518-sexies: v. postea § 2.6) « impiega in attività economiche e finanziarie beni culturali provenienti da delitto ».

In punto di elemento materiale, come nell’art. 648- ter cod. pen., la condotta, pur a forma libera, è caratterizzata da un tipico effetto dissimulatorio, avendo l’obbiettivo di ostacolare l’astratta individuabilità dell’origine delittuosa del bene culturale (arg. Sez. 1, n. 3591 del 7/10/2021, dep. 2022, Romeo, non mass. sul punto, in motiv. § 1.3; conf. Sez. 2, n. 26796 del 10/6/2021, Pugliese, Rv. 251552-03; Sez. 2, n. 33076 del 14/7/2016, P.M. in proc. Moccia, Rv. 267691-01; Sez. 2, n. 39756 del 5/10/2011, Rv. 251194-01; contra Sez. 2, n. 37678 del 17/6/2015, Corallo e altri, Rv. 264466-01 176, secondo cui, invece, non è necessario che la condotta di reimpiego presenti connotazioni dissimulatorie volte ad ostacolare l’individuazione o l’accertamento della provenienza illecita dei beni, essendo la fattispecie orientata in via principale a tutelare il fisiologico sviluppo del mercato che deve essere preservato dall’inquinamento che deriva dalla immissione di capitali illeciti, e, da ultimo, Sez. 2, n. 24273 del 18/2/2021, Iozzino, Rv. 281626-01). Per la configurabilità del reato, non occorre che il reimpiego del bene culturale avvenga in attività lecite, né che tali attività siano svolte professionalmente (arg. Sez. 2, n. 9026 del 5/11/2013, dep. 2014, Palumbo e altro, Rv. 258525-01).

Come già affermato dalla giurisprudenza, la nozione di « attività economica o finanziaria» è desumibile dagli artt. 2082 , 2135 , 2195 cod. civ. e fa riferimento non solo all’attività produttiva in senso stretto, ossia a quella diretta a creare nuovi beni o servizi, ma anche all’attività di scambio e di distribuzione dei beni nel mercato del consumo, nonché ad ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate nelle sopra menzionate norme del codice civile (così Sez. 2, n. 38422 del 5/7/2018, P.M. in proc. Maiello, non mass., in motiv. § 2; Sez. 2, n. 33076 del 14/7/2016, P.M. in proc. Moccia, cit., Rv. 267693-01 177; conf. Sez. 2, n. 5546 dell’11/12/2013, dep. 2014, Cupapri, Rv. 258204-01).

Quanto al rapporto con gli altri reati, l’espressa clausola di sussidiarietà del primo comma (« fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 518-quater e 518-sexies ») riproduce quella di cui all’art. 648-ter, comma primo, cod. pen., per cui – proiettando la giurisprudenza di legittimità formatasi su quest’ultima fattispecie generale – prevarrà il delitto di reimpiego di beni culturali di provenienza illecita sui reati di ricettazione e riciclaggio di beni culturali (che resteranno assorbiti) nella condotta di colui che realizza, in un contesto unitario caratterizzato sin dall’origine dal fine di reimpiego dei proventi illeciti in attività economiche o finanziarie e non è il frutto di un’autonoma e distinta attività successiva alla commissione dei reati di ricettazione e riciclaggio (così Sez . 2, n. 4800 del 11/11/2009, Maldini e altri, Rv. 246276-01: la Corte ha precisato che, per converso, qualora, dopo la ricezione o la loro sostituzione, i beni di provenienza illecita siano oggetto, sulla base di un’autonoma e successiva determinazione volitiva, di reimpiego, tale condotta deve ritenersi un mero post factum non punibile dei reati di ricettazione o di riciclaggio in forza della clausola di sussidiarietà contenuta nell’art. 648-ter cod. pen.; cfr. altresì Sez. 2, n. 16432 del 26/3/2013, Scaramucci e altri, non mass.); ancora, se il bene culturale di provenienza delittuosa viene direttamente impiegato in attività economiche o finanziarie ed esso viene, così, “ripulito”, il soggetto risponde del nuovo reato di cui all’art. 518-quinquies (arg. Sez. 2, n. 4800 del 11/11/2009, Maldini e altri, cit.; Id., n. 30429 del 15/4/2016, Pili, non mass.; v. altresì Sez. U, n. 25191 del 27/2/2014, Iavarazzo, Rv. 259586-01, che hanno escluso la configurabilità di un concorso tra l’associazione mafiosa e i delitti di cui agli artt. 648-bis e 648-ter cod. pen. quando questi ultimi reati abbiano ad oggetto denaro, beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa).

Rispetto all’art. 648-ter cod. pen. si segnala, oltre all’inasprimento sanzionatorio, la mancanza di un apparato circostanziale e, in particolare, dell’aggravante di cui al comma secondo del suddetto art. 648-ter per il caso che il fatto sia commesso nell’esercizio di un’attività professionale. Tale assenza si spiega in ragione del fatto che il novellatore ha previsto, in via generale, questa ipotesi aggravatrice per tutti i reati ricompresi nel Titolo VIII-bis in seno al novello art. 518-sexiesdecies, comma primo, n. 2, cod. pen. (v. postea § 2.16).

Ai sensi del comma secondo dell’art. 518- quinquies, la disposizione incriminatrice si applica anche quando l’autore del delitto da cui il bene culturale proviene non è imputabile o non è punibile, ovvero quando manca una condizione di procedibilità.

Per questo titolo di reato il legislatore del 2022 – verosimilmente per un difetto di coordinamento redazionale (e non per scelta intenzionale, che non traspare dagli atti parlamentari e che, d’altro canto, sarebbe stata poco razionale) – non ha annesso alcun titolo di responsabilità delle persone giuridiche: nei novelli artt. 25-septiesdecies (Delitti contro il patrimonio culturale) e 25-duodevicies ( Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali) aggiunti al d.lgs. n. 231 del 2001 dall’art. 3 della legge n. 22 (v. anche postea § 4) non compare alcun riferimento all’articolo in esame. La lacuna non è in alcun modo colmabile in via interpretativa, ostandovi il superiore principio di legalità in materia penale, sub specie della riserva di legge (artt. 25, comma secondo, Cost. e 7 CEDU; artt. 14 preleggi, 1 cod. pen. e 2 d.lgs. n. 231 del 2001) (nel senso che “il principio di legalità subordina l’applicazione delle misure sanzionatorie a carico dell’ente ad una previsione legislativa espressa, sia in ordine all’illecito sia in relazione al tipo di sanzione, precisando che debba essere entrata in vigore prima della commissione del fatto, v. Sez. 6, n. 14564 del 18/1/2011, Rv. 249378-01, Aurora s.r.l., in motiv. § 4).

Passando agli istituti processuali, il delitto è perseguibile d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.).

Sono applicabili la custodia cautelare in carcere e le altre misure coercitive (art. 280, commi 1 e 2, cod. proc. pen.). Esclusa la possibilità dell’arresto obbligatorio in flagranza, non ricorrendo i limiti di pena di cui all’art. 380 cod. proc. pen, è invece consentito quoad poenam l’arresto facoltativo (art. 381, comma 1, cod. proc. pen.). Il fermo di indiziato di delitto è consentito (art. 384, comma 1, cod. proc. pen.), anche nei confronti dei soggetti di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011 (art. 77 d.lgs. n. 159 del 2011).

Sono sempre consentite le intercettazioni (art. 266, comma 1, lett. a, cod. proc. pen.).

In ragione della pena massima prevista, superiore a dieci anni, il reato è di competenza del Tribunale collegiale (art. 33-bis, comma 2, cod. proc. pen.)

2.6 Riciclaggio di beni culturali (art. 518- sexies cod. pen.)

Proseguendo la disamina delle fattispecie poste a presidio della fase di “ripulitura” del bene culturale di provenienza illecita, l’art. 518-sexies cod. pen. punisce con la reclusione da cinque a quattordici anni e con la multa da 6.000 a 30.000 euro ilriciclaggio di beni culturali 178.

Il fatto tipico, al comma primo, è mutuato dalla generale previsione codicistica di cui all’art. 648-bis: « fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce beni culturali provenienti da delitto non colposo , ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa »179 .

Criminologicamente la fattispecie speciale di nuovo conio – auspicata de iure condendo dalla dottrina 180 – mira a colpire precipuamente quel settore della criminalità che investe su opere d’arte per riciclare il denaro “sporco” 181: infatti, esse costituiscono “beni rifugio” per il loro valore universale, la non svalutazione economica, i quasi sempre facili occultamento e trasporto (v. retro § 1); inoltre anche il finanziamento di attività terroristiche è dimostrato provenire talora da operazioni di riciclaggio di opere d’arte 182.

Particolarmente pericolosa anche per l’integrità del bene - e dunque con possibile concorso con le fattispecie di distruzione, dispersione e deterioramento di beni culturali (art. 518-duodecies cod. pen.: v. postea § 2.12) - risulta una delle modalità realizzative del riciclaggio: cioè il compimento di operazioni volte a ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, “come la dissimulazione dell’originalità con ritocchi peggiorativi per celare il valore del bene o il sezionamento di essa per renderne difficile l’identificazione e per aumentarne i guadagni, magari con vendite poi rateali. Tutte finalità che si possono raggiungere anche attraverso i meccanismi della vendita legale, con il venditore e il compratore che sono magari la stessa persona con il tramite di un prestanome” 183.

Giova segnalare come il Parlamento, nel mutuare la generale previsione codicistica dell’art. 648-bis sembra non aver tenuto conto dell’ultima modifica operata col d.lgs. 8 novembre 2021, n. 195 che, come noto, ha esteso la portata dell’art. 648-bis (e del successivo 648 ter.1) cod. pen. ai beni provenienti da tutti i delitti, anche colposi (comma primo) e dalle contravvenzioni punite con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi (comma secondo). Ne consegue che non potrà farsi riferimento, a questo titolo di reato, a fattispecie contravvenzionali rientranti nel suddetto compasso edittale (peraltro quelle contenute tuttora nel codice di settore, non abrogate, non vi rientrano in ogni caso).

Naturalmente, a fini di esegesi di questa fattispecie riciclativa speciale, può farsi riferimento alla copiosa elaborazione giurisprudenziale maturata sull’art. 648-bis cod. pen., di cui questa – come le precedenti già esaminate – costituisce “gemmazione” con l’innesto dell’oggetto materiale qualificato.

L’ubi consistam del reato di riciclaggio (e di autoriciclaggio: v. postea § 2.7) di beni culturali risiede nel divieto di condotte decettive finalizzate a rendere non tracciabili i proventi del delitto presupposto proprio perché solo ove i medesimi siano tracciabili si può impedire che l’economia sana venga infettata da proventi illeciti che ne distorcano le corrette dinamiche, inquinando il libero mercato e ledendo l’ordine economico con l’utilizzo di risorse delittuose (così, sull’art. 648-ter.1 cod. pen., Sez. 2, n. 30399 del 7/6/2018, Barbieri e altro, non mass., § 3).

In ordine al reato presupposto va poi ribadita anche per questo titolo di reato – come pure per il successivo di autoriciclaggio ex art. 518-septies cod. pen.: v. postea § 2.7) – la non necessità che il delitto non colposo presupposto risulti accertato con sentenza passata in giudicato, essendo sufficiente che lo stesso non sia stato giudizialmente escluso, nella sua materialità, in modo definitivo, ovvero risulti almeno astrattamente ipotizzabile (così già Sez. 6, n. 495 del 15/10/2008, dep. 2009, Argiri, Rv. 242374-01) o che il giudice procedente ne abbia incidentalmente ritenuto la sussistenza (così, ex plurimis, Sez. 2, n. 32112 del 23/9/2020, Scognamiglio e altro, non mass.; Sez. 6, n. 14800 del 23/1/2020, P.M. in proc. Moretti e altro, non mass.; Sez. 2, n. 42052 del 19/6/2019, P.M. in proc. Moretti, Rv. 277609-01; nel senso che l’estinzione del reato presupposto è irrilevante ai fini della configurabilità del riciclaggio, v. Sez. 2, n. 52379 del 12/10/2018, Zampieri, Rv. 276300-01). Il delitto presupposto contro il bene culturale – ipotesi criminologicamente assai frequente in subiecta materia – può anche essere stato commesso all’estero (cfr. Sez. 2, n. 23679 del 14/7/2020, Aire, Rv. 279482-01; conf. Id., n. 42120 del 9/10/2012, Scimone, Rv. 258330-01).

Quanto all’elemento materiale, premesso che trattasi di reato (non di evento ma) di mera condotta (pericolosa), a forma libera, è perfezionato da qualunque comportamento idoneo ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del bene ricevuto (Sez. 2, n. 42052 del 19/6/2019, cit., in motiv.; Sez. 2, n. 29611 del 27/4/2016, P.M. in proc. Bokossa e altro, Rv. 267511-01, in motiv. 184), rilevando il compimento di condotte volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del bene, e ciò anche attraverso operazioni che risultino tracciabili, in quanto l’accertamento o l’astratta individuabilità dell’origine delittuosa del bene non costituiscono l’evento del reato (ex plurimis Sez. 2, n. 37606 del 21/6/2019, Novelli, non mass.; Sez. 5, n. 21925 del 17/4/2018, Ratto e altri, Rv. 273183-01 185).

In tema di elemento soggettivo, è richiesta la consapevolezza dell’origine delittuosa del bene (così, ad es., Sez. 6, n. 36759 del 20/6/2012, Caforio e altri, Rv. 253467-01, in motiv.).

Come nella corrispondente fattispecie codicistica generale (v. art. 648-ter, comma terzo, cod. pen.), ai sensi del comma secondo dell’art. 518-sexies la pena è diminuita (fino ad un terzo: art. 65, n. 3, cod. pen.) se i beni culturali provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni (ad es., l’appropriazione indebita di beni culturali ex art. 518-ter cod. pen.: v. retro § 2.3; la falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali ex art. 518-octies: v. postea 2.8; le violazioni in materia di alienazioni di beni culturali ex art. 518-nonies cod. pen.: v. postea 2.9).

Ai sensi del comma terzo, la norma incriminatrice si applica anche quando l’autore del delitto da cui i beni culturali provengono non è imputabile o non è punibile, ovvero quando manca una condizione di procedibilità.

Quanto al concorso di reati, oltre alla fattispecie di distruzione, dispersione, deterioramento e deturpamento di beni culturali (art. 518-duodecies cod. pen.: v. postea § 2.12), altra fattispecie che potrebbe concorrere è quella di contraffazione di opere d’arte, ugualmente inserita nel nuovo titolo del codice penale (v.postea § 2.14) 186.

In tema di responsabilità degli enti, l’inedito art. 25- duodevicies d.lgs. n. 231 del 2001 prevede, in caso di commissione del riciclaggio di beni culturali nel loro interesse o vantaggio, l’applicazione della sanzione pecuniaria da 500 a 1.000 quote. Se poi la persona giuridica (o una sua unità organizzata) viene stabilmente utilizzata allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di questo reato-presupposto, si applica altresì la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività (art. 16, comma 3, d.lgs. n. 231 del 2001).

Passando agli istituti processuali, il delitto è perseguibile d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.).

Sono consentite la custodia cautelare in carcere e le altre misure coercitive (art. 280, commi 1 e 2, cod. proc. pen.). Esclusa la possibilità dell’arresto obbligatorio in flagranza, non ricorrendo i presupposti di cui all’art. 380 cod. proc. pen., l’arresto facoltativo è senz’altro consentito (art. 381, comma 1, cod. proc. pen.), al pari del fermo di indiziato di delitto (art. 384, comma 1, cod. proc. pen.), sempre possibile anche nei confronti dei soggetti di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011 (art. 77 d.lgs. n. 159 del 2011). Non fa eccezione l’ipotesi attenuata di cui all’art. 518-sexies, comma 2, cod. pen. dal momento che, ai fini della determinazione della pena, si tiene conto solo della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. proc. pen. (art. 278 cod. proc. pen.)187 .

Sono sempre consentite le intercettazioni (art. 266, comma 1, lett. a, cod. proc. pen.).

In ragione della pena massima prevista, superiore a dieci anni di reclusione, il reato è di competenza del Tribunale collegiale (art. 33- bis, comma 2, cod. proc. pen.)

A livello procedurale, per questo titolo di reato, in forza del coevo innesto operato dall’art. 2 della legge in commento all’art. 9, comma 1, della legge 16 marzo 2006, n. 146, sono consentite le attività “sotto-copertura” da parte di ufficiali di p.g. degli organismi specializzati nel settore dei beni culturali, « nel corso di specifiche operazioni e, comunque, al solo fine di acquisire elementi di prova , anche per interposta persona» (v. postea § 3).

2.7 Autoriciclaggio di beni culturali (Art. 518- septies cod. pen.)

A chiudere le figure delittuose di circolazione e reimpiego di beni culturali di provenienza illecita allestite dal novellatore – come nell’ambito dei reati codicistici contro il patrimonio – in funzione del rafforzamento delle misure punitive antiriciclaggio, è l’art. 518-septies cod. pen., che punisce con la reclusione da tre a dieci anni e la multa da 6.000 a 30.000 euro, l’autoriciclaggio di beni culturali.

La disposizione ripropone, aumentando anche in questo caso la pena detentiva, l’ordinaria previsione di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen., punendo a questo autonomo titolo delittuoso « chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, beni culturali provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa ».

A fini di esegesi di questa nuova fattispecie autoriciclativa speciale, può farsi riferimento all’elaborazione giurisprudenziale relativa all’art. 648-bis cod. pen., quanto al reato presupposto (v. retro § 2.6), e soprattutto all’omologo art. 648-ter .1 cod. pen.

L’ubi consistam del reato di autoriciclaggio (e di riciclaggio: v. retro § 2.5) di beni culturali consiste nel divieto di condotte decettive finalizzate a rendere non tracciabili i proventi del delitto presupposto, proprio perché, solo ove i medesimi siano tracciabili si può impedire che l’economia sana venga infettata da proventi illeciti che ne distorcano le corrette dinamiche, inquinando il libero mercato e ledendo l’ordine economico con l’utilizzo di risorse delittuose (così, sull’art. 648-ter.1 cod. pen., Sez. 2, n. 30399 del 7/6/2018, cit., § 3).

Soggetto attivo è sempre solo e soltanto chi - a norma del comma primo - abbia commesso o concorso a commettere un delitto non colposo e cioè chi abbia commesso il delitto presupposto (così, ancora, Sez. 2, n. 30399 del 7/6/2018, cit., § 3).

In punto di elemento materiale si richiama l’indirizzo che esige una condotta dotata di particolare capacità dissimulatoria, sia cioè idonea a fare ritenere che l’autore del delitto presupposto abbia effettivamente voluto effettuare un impiego di qualsiasi tipo ma sempre finalizzato ad occultare l’origine illecita dei beni oggetto del profitto (così Sez. 2, n. 33074 del 14/7/2016, P.M. in proc. Babuleac, Rv. 267459-01 188); ipotesi questa non ravvisabile, invece, quando l’autore del delitto si limiti a goderne il profitto (Sez. 2, n. 38422 del 5/7/2018, cit., in motiv. § 2). Secondo un principio già consolidato in relazione al delitto di riciclaggio, anche con riferimento alla fattispecie in esame non occorre però che l’agente ponga in essere manovre di reimpiego o sostitutive che determinino un assoluto impedimento all’identificazione della provenienza delittuosa dei beni, ma è sufficiente una qualunque attività concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti sulla loro provenienza (v. Sez. 2, n. 36121 del 24/5/2019, P.M. in proc. Draebing, Rv. 276974-01; conf. Sez. 2, n. 2868 del 7/10/2021, dep. 2022, Panfietti, non mass.). Integrerà il delitto in esame l’immissione nel mercato di un bene culturale provento di furto mediante vendita a terzi (Sez. 2, n. 36180 del 14/9/2021, P.M. in proc. Zanotti, Rv. 281967-01).

Il nuovo delitto, pur essendo a consumazione istantanea, è reato a forma libera e può anche atteggiarsi a reato eventualmente permanente quando il suo autore lo progetti ed esegua con modalità frammentarie e progressive (così, sull’art. 648-ter.1 cod. pen., Sez. 2, n. 40890 del 18/7/2017, Siclari, non mass.).

Analogamente alla fattispecie generale (art. 648-ter.1, comma secondo, cod. pen.), al comma secondo la pena è più lieve - reclusione da due a cinque anni e la multa da 3.000 a 15.000 euro - se i beni culturali provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni (ad es., l’appropriazione indebita di beni culturali ex art. 518- ter cod. pen.: v. retro § 2.3; la falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali ex art. 518- octies: v. postea 2.8; le violazioni in materia di alienazioni di beni culturali ex art. 518-nonies cod. pen.: v. postea 2.9).

Nel corso dell’iter parlamentare, all’articolo in esame sono stati aggiunti due ulteriori commi.

Il comma terzo che, come già nella fattispecie generale (art. 648-ter, comma quinto, cod. pen.), esclude la punibilità delle condotte « per cui i beni culturali vengono destinati alla mera utilizzazione o al godimento personale ». La clausola di non punibilità deve essere interpretata in senso letterale, nel ristretto ambito dei due tassativi casi di questo comma: l’esclusione della responsabilità penale opera solo e soltanto se il soggetto utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza il compimento su di essi di alcuna operazione atta ad ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa (Sez. 6, n. 13571 del 30/1/2020, Mazzoleni, non mass. sul punto, in motiv. § 1.2.3; Sez. 2, n. 9755 del 3/12/2019, dep. 2020, Rv. 278513-01, in motiv. § 2.7; Id., n. 13795 del 7/3/2019, Sanna, Rv. 275528-01; Id., n. 30399 del 7/6/2018, Barbieri e altro, cit., § 3).

Il comma quarto specifica, infine, mediante richiamo al comma terzo dell’art. 518-quater (v. retro § 2.4) che il delitto trova applicazione anche quando l’autore del delitto da cui i beni culturali provengono non è imputabile o non è punibile, ovvero quando manca una condizione di procedibilità.

Per un’evidente svista legislativa, non è stata annessa alcuna ipotesi di responsabilità a carico degli enti in caso di commissione di questo delitto presupposto, che non risulta ricompreso nell’inedito art. 25-duodevicies aggiunto al d.lgs. n. 231 del 2001 (comprensivo solo del riciclaggio di beni culturali e della devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici). Circa l’incolmabilità della lacuna legislativa vale quanto già argomentato a proposito del delitto di impiego di beni culturali provenienti da delitto, del pari irrimediabilmente escluso dal catalogo dei reati-presupposto fondanti la responsabilità de societate (v. retro § 2.5).

Passando agli istituti processuali, il delitto in esame è procedibile d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.).

Sono consentite la custodia cautelare in carcere e l’adozione delle altre misure coercitive (art. 280, commi 1 e 2, cod. proc. pen.). Esclusa la possibilità dell’arresto obbligatorio in flagranza, non ricorrendo i presupposti di cui all’art. 380 cod. proc. pen., l’arresto facoltativo è senz’altro consentito (art. 381, comma 1, cod. proc. pen.), in ragione del limite massimo di pena, al pari del fermo di indiziato di delitto (art. 384, comma 1, cod. proc. pen.), possibile anche nei confronti dei soggetti di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011 (art. 77 d.lgs. n. 159 del 2011). Non fa eccezione l’ipotesi attenuata di cui all’art. 518-septies, comma secondo, cod. pen, dal momento che, ai fini della determinazione della pena, si tiene conto solo della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. proc. pen. (art. 278 cod. proc. pen.)189 .

Sono consentite le intercettazioni (art. 266, comma 1, lett. a, cod. proc. pen.), anche nell’ipotesi attenuata di cui all’art. 518- septies, comma secondo, cod. pen., poiché, ai sensi dell’art. 4 cod. proc. pen., non si tiene conto, ai fini della determinazione della pena, delle circostanze attenuanti 190.

In ragione della pena massima prevista, superiore a dieci anni, il reato è di competenza del Tribunale collegiale (art. 33-bis, comma 2, cod. proc. pen.).

A livello procedurale, anche il delitto di autoriciclaggio di beni culturali è stato inserito dall’art. 2 della legge in commento nell’elenco dei reati ricompresi nell’art. 9 della legge n. 146 del 2006 che consente lo svolgimento di attività “sotto-copertura” da parte di ufficiali di p.g. degli organismi specializzati nel settore dei beni culturali.

2.8 Falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali (art. 518- octies cod. pen.).

Completa il quadro di tutela dei beni culturali nei confronti del riciclaggio e del reimpiego di cose d’arte di provenienza illecita 191 il novello art. 518-octies cod. pen., ove si punisce la falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali .

Si tratta di una norma innovativa per il nostro ordinamento, di diretta derivazione dei precetti della Convenzione di Nicosia 192, il cui art. 9 prevede l’obbligo di criminalizzare la riproduzione di documenti falsi e la manomissione di documenti relativi a beni culturali mobili, qualora tali condotte abbiano come scopo quello di nascondere la provenienza illecita del bene (v. retro § 1.1). La centralità degli interessi in gioco ha condotto il legislatore del 2022 ad ampliare il catalogo – oggi circoscritto, dopo l’abrogazione dell’art. 485 cod. pen. ( Falsità in scrittura privata) ad opera del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 – delle scritture private la cui falsità assume (perdurante) rilievo penalistico 193.

Ricalcando il modello dell’abrogato art. 485 cod. pen., il comma primo dell’art. 518-octies cod. pen. punisce con la reclusione da uno a quattro anni chiunque « forma, in tutto o in parte, una scrittura privata falsa o, in tutto o in parte, altera, sopprime od occulta una scrittura privata vera, in relazione a beni culturali mobili, al fine di farne apparire lecita la provenienza ».

Rivive dunque, ed è severamente punita 194, un’ipotesi delittuosa già ricondotta ad illecito civile: la sua novità è data solamente dall’oggetto della scrittura privata 195. Ai fini di quest’ultima nozione, la pregressa giurisprudenza formatasi sotto l’art. 485 cod. pen. vi ha fatto rientrare non solo quegli atti che contengono dichiarazioni o manifestazioni di volontà idonee a costituire ovvero modificare diritti e posizioni oggettive, ma altresì tutte le scritture formate dal privato che si riferiscono a situazioni da cui possono derivare effetti giuridicamente rilevanti per un determinato soggetto (Sez. 6, n. 42578 del 22/9/2009, Conforti, Rv. 244851-01), ovvero qualsiasi documento redatto senza l’assistenza del pubblico ufficiale, nel quale sia racchiusa una dichiarazione di volontà o di scienza avente rilevanza giuridica (Sez. 6, n. 22522 del 22/1/2003, Da Sacco, Rv. 225936-01, con riferimento all’art. 490 cod. pen.; conf. già Sez. 5, n. 12877 del 8/10/1986, Pennica, Rv. 174305-01). Per la falsificazione di una scrittura privata definitivamente formata l’alterazione deve essere tale da modificare il significato originario dell’atto (Sez. 5, n. 18283 del 27/2/2001, Tersigni, Rv. 219564-01).

In punto di elemento soggettivo il dolo sembrerebbe formulato come specifico («… al fine di farne apparire lecita la provenienza») ma, a ben vedere, si atteggia a dolo generico esplicitato, consistente nella coscienza e volontà di far apparire lecita la provenienza del bene culturale attraverso la condotta falsificatoria, dovendosi perciò rilevare la coincidenza di detto fine di nascondimento con l’ubi consistam del fatto tipico, sicché il legislatore ha duplicato – in termini pleonastici – sul versante psicologico l’iniuria già espressa dalla condotta materiale, senza che detta finalità esprima alcun (ulteriore) disvalore (in funzione selettiva quale sarebbe stata assicurata se si fosse trattato di autentico dolo specifico).

Il successivo comma secondo dell’art. 518-octies, inserito in uno degli ultimi passaggi parlamentari dell’iter legislativo, punisce meno gravemente – con la reclusione da otto mesi a due anni e otto mesi – chiunque «fa uso» della suddetta scrittura privata falsa « senza aver concorso nella sua formazione o alterazione». La “distanza” di questa diversa fattispecie rispetto all’episodio-base di tipo creativo-falsificatorio giustifica una punizione più lieve. Come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità relativamente all’art. 489 cod. pen., la nozione di uso di atto falso consiste in una qualsiasi utilizzazione che abbia giuridica rilevanza (Sez. 5, n. 12159 del 21/10/2014, dep. 2015, Orezzoli e altro, Rv. 263451-01; conf. Id., n. 37238 del 9/7/2010, Chieregato, Rv. 248647-01), comprendendo qualsiasi modo di avvalersi del falso documento per uno scopo conforme alla natura dell’atto, con la conseguenza che ad integrare il reato è sufficiente la semplice esibizione del documento falso, quale che sia il significato che il soggetto intenda attribuire all’atto in esso contenuto (Sez. 5, n. 30740 del 12/4/2019, Drazhy, Rv. 276922-01; conf. Id., n. 4647 del 19/11/2013, dep. 2014, Serigne, Rv. 258717-01; Id., n. 21231 del 20/2/2001, Mbaye, Rv. 219029-01; Id., n. 12640 del 12/1/2001, Campistri, Rv. 218325-01).

Quanto alle forme di manifestazione del reato, è configurabile il tentativo allorché la condotta si interrompa prima dell’uso del documento falso ma l’iter criminoso già compiuto dia la possibilità di ricavare la presenza di atti idonei diretti univocamente alla commissione del reato (così, sotto l’abrogato art. 485 cod. pen., Sez. 5, n. 33305 del 1/7/2015, Maccapani, Rv. 265311- 01; conf. Sez. 6, n. 9280 del 28/1/1988, De Paoli, Rv. 179188-01).

In tema di responsabilità degli enti, l’art. 25- septiesdecies aggiunto al d.lgs. n. 231 del 2001 prevede in caso di commissione di questo reato presupposto – senza distinguere a questo titolo tra le due incriminazioni che comminano pene diverse a carico delle persone fisiche – l’applicazione, al comma 4, della sanzione pecuniaria da 400 a 900 quote e, al comma 5, delle sanzioni interdittive per la durata non superiore a due anni.

Passando agli istituti processuali, i due delitti sono perseguibili d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.).

Non è mai ammessa la custodia cautelare in carcere, ma, con riferimento all’incriminazione del comma 1, è possibile l’adozione delle altre misure coercitive personali (art. 280, comma 1, cod. proc. pen.). Escluso l’arresto obbligatorio, è consentito quello facoltativo solo per la prima ipotesi di falsificazione e, conseguentemente, il fermo soltanto degli indiziati inclusi nelle categorie di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011 (art. 77 d.lgs. n. 159 del 2011).

Non sono consentite le intercettazioni.

Entrambi i reati sono di competenza del Tribunale monocratico (art. 33- ter, comma 2, cod. proc. pen.), su citazione diretta del p.m. (art. 550, comma 1, cod. proc. pen.).

2.9 Violazioni in materia di alienazione di beni culturali (art. 518- novies cod. pen.)

Introduce il gruppo di norme incriminatrici composto da figure delittuose già contenute nel codice di settore ed ora trasfuse, con qualche adattamento, nel novello Titolo VIII-bis del codice penale, la fattispecie di cui all’art. 518- novies cod. pen.

Tale disposizione riproduce quasi integralmente, innalzandone la pena ed apportandovi qualche aggiunta, la corrispondente incriminazione – assai rigida 196, in quanto strettamente avvinta con la legislazione di settore – già contenuta nell’art. 173cod. beni cult. 197, ora contestualmente abrogato dall’art. 5, comma 2, lett. b), della legge n. 22 del 2022; previsione cui è tuttora abbinata la sanzione civile concorrente (art. 164, comma 1, cod. beni cult.) rappresentata dalla nullità delle alienazioni, delle convenzioni e in generale degli atti giuridici compiuti in difetto di autorizzazione o, più in generale, in violazione delle disposizioni del Titolo I della parte seconda del codice (sulla relatività di tale causa di nullità, che non concerne i contratti preliminari riguardanti la vendita di beni culturali vincolati, v. Cass. civ., Sez. 2, n. 30984 del 27/11/2019, Rv. 656193-01).

Sono (alternativamente) punite a questo titolo di reato, al comma primo, con la reclusione da sei mesi a due anni e la multa da 2.000 a 80.000 euro, una serie diviolazioni in materia di alienazione di beni culturali:

  1. l’alienazione o l’immissione sul mercato – condotta, quest’ultima, aggiunta dal Senato con intento ampliativo nel corso dell’ iter parlamentare, nuova rispetto alla previgente incriminazione – di beni culturali «senza la prescritta autorizzazione» (artt. 55 e 56 cod. beni cult.) 198 ;

  2. la mancata presentazione, nel termine di trenta giorni, della denuncia di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni [immobili] culturali 199 (art. 59, comma 2, cod. beni cult.);

  3. la consegna, da parte dell’alienante, di un bene culturale soggetto a prelazione in pendenza del relativo termine di sessanta giorni per l’esercizio della stessa (v. artt. 60 e 61 cod. beni cult.) 200 .

Il bene giuridico qui specificamente protetto è l’interesse pubblico alla tutela, valorizzazione e fruizione dei beni culturali 201, che si ritiene messo a repentaglio dalle suelencate fattispecie, ritagliate su condotte ritenute astrattamente pericolose per la perdita del bene culturale, o comunque prodromiche alla stessa 202; in realtà, in taluni casi, si tratta di condotte prevalentemente finalizzate a garantire il mero controllo dell’amministrazione sul bene (ipotesi nn. 1 e 2), o a garantire all’amministrazione determinati “privilegi” (v. ipotesi n. 3)203 .

Quanto all’elemento materiale, come si è acutamente osservato sotto il previgente art. 173 cod. beni cult. 204, in questo titolo di reato – classificato di “mera trasgressione” della disciplina amministrativa 205 – assumono rilievo condotte concernenti, per lo più, il normale traffico giuridico e, quindi, attività “neutre” o “a contesto lecito di base”, come è la vendita o l’alienazione che, tuttavia, in relazione a determinate categorie di beni culturali o a determinati soggetti, sono sottoposte a particolari oneri di comunicazione all’autorità (quale la denuncia ex art. 59 cod. beni cult. rispetto all’ipotesi dell’art. 518-novies, n. 2, cod. pen.) o a autorizzazione (art. 518-novies, n. 1, cod. pen., in riferimento agli artt. 55 e 56 cod. beni cult.). In ogni caso, il danno concreto per il patrimonio culturale consistente nell’effettiva dispersione del bene non è preso in considerazione nella struttura di questa incriminazione 206.

In tema di responsabilità degli enti, l’art. 25- septiesdecies del d.lgs. n. 231 del 2001 contempla a carico della persona giuridica che commette questo reato-presupposto nel proprio interesse o vantaggio, al comma 1, la sanzione pecuniaria da 100 a 400 quote e, al comma 5, le sanzioni interdittive per una durata non superiore a due anni.

Passando agli istituti processuali, il delitto è perseguibile d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.).

Attesa la cornice edittale, non sono consentite misure precautelari e cautelari, né il fermo e neppure le intercettazioni.

Il reato è di competenza del Tribunale monocratico (art. 33-ter, comma 2, cod. proc. pen.), su citazione diretta del p.m. (art. 550, comma 1, cod. proc. pen.).

2.10 Importazione illecita di beni culturali (art. 518- decies cod. pen.)

Il successivo art. 518-decies cod. pen. punisce, al comma primo, con la reclusione da due a sei anni e con la multa da 258 a 5.165 euro l’ importazione illecita di beni culturali.

Questa incriminazione – che segna un’autentica novità nell’ambito dello statuto penale dei beni culturali 207 – recepisce gli obblighi unionali nascenti dalla necessità di dare attuazione agli artt. 3 (1) e 11 del regolamento (UE) n. 2019/880 208 e quelli di criminalizzazione dettati dalla Convezione di Nicosia (v. retro § 1.1) la quale, all’art. 5, sollecitava la punizione delle condotte di illegal importation di beni culturali rubati in un altro Stato, “scavati” in violazione della legge dello Stato che li ha classificati, designati o specificamente indicati come “culturali” ai sensi dell’art. 2 della Convenzione stessa, nel caso in cui l’autore dell’infrazione fosse a conoscenza che i beni culturali fossero stati rubati, scavati o esportati illegalmente 209.

A questo titolo di reato viene d’ora in poi punito - esattamente ricalcandosi la struttura precettiva dell’art. 5 della Convenzione di Nicosia - chiunque «importa beni culturali provenienti da delitto ovvero rinvenuti a seguito di ricerche svolte senza autorizzazione, ove prevista dall’ordinamento dello Stato in cui il rinvenimento ha avuto luogo, ovvero esportati da un altro Stato in violazione della legge in materia di protezione del patrimonio culturale di quello Stato ».

Come si è osservato a prima lettura, con l’incriminazione dell’importazione illecita di beni culturali si colma un vuoto di tutela210 e si pone fine all’irragionevole esclusione – già a partire dalla legge n. 1089 del 1939 – di autonoma rilevanza penale dell’importazione illecita di beni culturali”, per la quale, finora, si potevano applicare le regole generali in tema di contrabbando211, geneticamente “assai poco adatte al compito”, essendo preposte alla tutela degli interessi finanziari dell’UE, cioè di “beni giuridici intrinsecamente molto diversi dal patrimonio culturale dell’umanità” 212. Il legislatore del 2022 ha così recepito i risalenti auspici di autorevole dottrina che, de iure condendo, confidava proprio nell’efficacia deterrente rappresentata “dalla incriminazione della importazione, non autorizzata dallo Stato di appartenenza del bene artistico” 213.

Criminologicamente, la nuova fattispecie delittuosa è una risposta anche alla dimensione transnazionale del mercato dei beni culturali che spesso lo caratterizza (v. retro § 1) 214. Essa, a questi effetti, non incontra neppure i limiti spaziali derivanti dal principio di territorialità della legge penale (art. 6 cod. pen.), in forza della coeva previsione “universalistica” di cui all’art. 518- undevicies cod. pen. (v. postea § 2.18), sicché non sarebbe neppure necessario (e sufficiente) che in Italia sia avvenuta una parte dell’azione, anche piccola, purché preordinata, secondo una valutazione ex post, al raggiungimento dell’obiettivo delittuoso dell’importazione (così, in tema di stupefacenti, già Sez. 4, n. 7204 del 22/5/1997, Franzoni, Rv. 208354-01; conf. Sez. 5, n. 11959 del 29/9/2000, Delle Cave e altri, Rv. 218558-01; Sez. 4, n. 31439 del 22/6/2002, Langella e altri, Rv. 222201-01; Sez. 6, n. 96 del 28/11/2002, dep. 2003, Schppers e altri, Rv. 223007-01).

Quanto all’elemento materiale, la condotta diimportazione corrisponde a quella di introduzione nello Stato tipizzata, a vario titolo, in altre disposizioni codicistiche (come, ad es., negli artt. 453, n. 3, 474, comma primo, 517-ter, comma secondo, 517-quater, comma secondo, cod. pen.) e va intesa nell’accezione comune del termine. Quanto alla nozione di provenienza da delitto, può trarsi dalla copiosa giurisprudenza in tema di ricettazione e di riciclaggio.

Circa le forme di manifestazione del reato, mutuando la giurisprudenza in tema di importazione di stupefacenti, è ammissibile il tentativo di importazione di beni culturali nell’ipotesi di condotta che, collocandosi in una fase antecedente all’acquisto della proprietà del bene destinato ad essere trasferita nel territorio nazionale, si presenti come idonea ed univocamente diretta alla conclusione di tale accordo traslativo, dando vita ad una trattativa sul cui positivo esito risulti che - per la natura, la qualità ed il numero dei contatti intervenuti - i contraenti abbiano riposto concreto affidamento (arg. Sez. 1, n. 6180 del 27/11/2019, dep. 2020, Fortuzi, Rv. 278484-01; conf. Sez. 3, n. 7806 del 15/11/2017, dep. 2018, P.M. in proc. Bernal, Rv. 272446-01); esemplificativamente, è configurabile il tentativo laddove il bene culturale destinato al mercato illegale italiano sia sequestrato alla frontiera.

In forza dell’espressa clausola di salvezza iniziale, destinata a risolvere i problemi di concorso di reati 215, la norma in esame si applica fuori dei casi di concorso nei delitti di ricettazione di bene culturale (art. 518-quater cod. pen.: v. retro § 2.4), impiego di bene culturale proveniente da delitto (art. 518-quinquies cod. pen: v. retro § 2.5), riciclaggio di beni culturali (art. 518-sexies cod. pen.: v.retro § 2.6) o autoriciclaggio di beni culturali (art. 518- septies cod. pen.: v. retro § 2.7).

In tema di responsabilità degli enti, l’art. 25-septiesdecies del d.lgs. n. 231 del 2001, prevede, in caso di riconosciuta responsabilità del soggetto collettivo per questo reato-presupposto, al comma 2, l’applicazione la sanzione pecuniaria da 200 a 500 quote e, al comma 5, l’irrogazione delle sanzioni interdittive per la durata non superiore a due anni.

Passando agli istituti processuali, il delitto è perseguibile d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.).

È possibile l’applicazione della custodia cautelare in carcere e delle altre misure coercitive (art. 280, commi 1 e 2, cod. proc. pen.). L’arresto facoltativo è consentito (art. 381, comma 1, cod. proc. pen.), ma non il fermo di indiziato di delitto, salvo che per i soggetti di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011 (art. 77 d.lgs. n. 159 del 2011).

Le intercettazioni sono consentite (art. 266, comma 1, lett. a, cod. proc. pen.).

Il reato è di competenza del Tribunale monocratico (art. 33-ter, comma 2, cod. proc. pen.) e prevede la celebrazione dell’udienza preliminare.

2.11 Uscita o esportazione illecite di beni culturali (art. 518- undecies cod. pen.)

La successiva fattispecie di cui al novello art. 518-undecies cod. pen. punisce, al comma primo, con la reclusione da due a otto anni e con la multa fino a euro 80.000 l’ uscita o esportazione illecite di beni culturali.

L’incriminazione riproduce - in gran parte, con un’aggiunta - il delitto di esportazione illecita di cui all’art. 174cod. beni cult. (cd. “contrabbando artistico” 216), contestualmente abrogato dall’art. 5, comma 2, della legge n. 22 del 2022, sanzionando con pene raddoppiate rispetto alla previgente norma e congiunte 217 il trasferimento all’estero non autorizzato di « beni culturali, di cose di interesse storico, artistico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o di altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa speciale sui beni culturali», senza attestato di libera circolazione (per il trasferimento verso Paesi comunitari) o senza la licenza di esportazione (per il trasferimento verso Paesi extracomunitari 218).

Quanto all’elemento materiale, l’esportazione è punita indipendentemente dal fatto che il provvedimento autorizzatorio possa essere rilasciato o meno (così Sez. 3, n. 39517 del 20/7/2017, Iuliano e altri, Rv. 271467-01; Sez. 2, n. 1253 del 28/2/1995, Vallorani, Rv. 201588-01; Sez. 4, n. 2056 del 21/1/2000, Silva, Rv. 215955-01). Si tratta – per la dottrina – di reato istantaneo, dato che l’offesa è puntuale, verificandosi ed esaurendosi nel momento della sottrazione del bene al controllo 219.

Ai fini dell’esatta comprensione (e conoscibilità) del fatto tipico – che si innerva sul generale principio, valevole nella nostra legislazione di settore, del “divieto con riserva di permesso220, nel senso che l’esportazione è di regola vietata, salvi i casi consentiti dalla legge221 – occorre avere riguardo alla fitta trama di rimandi espliciti ed impliciti contenuti nella disciplina amministrativa, che distingue tra tre categorie:

a) beni culturali assolutamente inesportabili all’estero (art. 65, commi 1 e 2, cod. beni cult. 222);

b) beni la cui uscita è sottoposta ad autorizzazione (art. 65, comma 3, cod. beni cult.223);

c) beni liberamente esportabili (art. 65, comma 4, cod. beni cult. 224), categoria quest’ultima – comprensiva dell’arte contemporanea 225 – che è stata di recente ampliata con la legge 4 agosto 2017, n. 124 226 (le cui modifiche, in quanto incidono sulla struttura del reato di cui all’art. 174 cod. beni cult., restringendone l’ambito applicativo, si applicano anche ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore: così Sez. 3, n. 10468 del 17/10/2017, dep. 2018, cit., Rv. 272672-01, in motiv. § 5.11).

Peraltro, il rigore della disciplina extrapenale prevista dall’art. 65 cod. beni cult. è temperata dai successivi artt. 66 e 67 relativi all’uscita temporanea del bene, per i quali sembra valere l’opposto modello del “permesso con riserva di divieto” 227: l’uscita è di regola autorizzata, a meno che la stessa non comprometta l’integrità e la sicurezza del bene 228.

Anche ai fini della comprensione della clausola di illiceità speciale, costituita dalla mancanza dell’attestato di libera circolazione o della licenza di esportazione, occorre fare riferimento alle corrispondenti previsioni di settore (rispettivamente artt. 68 e 174 cod. beni cult.) 229.

Per tali ragioni – come già osservato dalla dottrina sul previgente art. 174 cod. beni cult. ed ora ribadito sul nuovo, “tal quale”, art. 518- undecies cod. pen. – questa fattispecie si caratterizza per la sua pregnante componente normativa, perché “non si regge da sola” 230 ma ha la necessità di essere etero-integrata dalle corrispondenti previsioni dedicate al tema dal codice dei beni culturali, il che ne rende oltremodo complessa l’interpretazione già sul piano dell’oggettività giuridica tutelata 231, nonché della determinatezza del precetto, ovvero della suacomprensibilità e conoscibilità 232, e con implicazioni di non poco momento in occasione di modifiche della disciplina amministrativa sottostante (v. Sez. 3, n. 10468 del 17/10/2017, cit., in motiv. § 5.11) e sempre possibili problematiche in punto di elemento soggettivo e, in particolare, di rilevanza dell’eventuale errore dell’agente che cada vuoi sulla qualificabilità del bene come “culturale” 233, vuoi sulle rigide regole amministrative in materia di esportazione 234.

Alla condotta attiva di esportazione illecita è parificata la condotta omissiva235: al comma secondo dell’art. 518-undecies cod. pen. si punisce, infatti, con la medesima pena del comma primo la fattispecie delittuosa – anch’essa riproduttiva del precetto del previgente art. 174, comma 2, cod. beni cult. – relativa al mancato rientro « nel territorio nazionale, alla scadenza del termine, di beni culturali, cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturali, per le quali siano state autorizzate l’uscita o l’esportazione temporanee e autorizzate ». Il contesto amministrativo è, questa volta, la disciplina dell’uscita temporanea dal territorio della Repubblica (art. 71 cod. beni cult.), ma l’identità del risultato ultimo spiega l’eguale disvalore riconosciuto dal legislatore attraverso la previsione della stessa pena di cui al comma primo. Il reato qui si consuma alla scadenza del termine: il rientro successivo rappresenta una forma di collaborazione che può, semmai, essere apprezzata a fini attenuanti ai sensi del novello 518-septiesdecies, comma secondo, cod. pen.236 (v. postea § 2.16).

Da segnalare che il legislatore del 2022 all’interno del comma secondo ha incorporato – in aggiunta rispetto al testo del previgente art. 174 cod. beni cult. – un’ulteriore condotta del tutto nuova, di stampo falsificatorio (quindi strumentale rispetto alle altre due, in termini di reato-mezzo) che estende l’applicazione della medesima pena del comma primo «nei confronti di chiunque rende dichiarazioni mendaci al fine di comprovare al competente ufficio di esportazione, ai sensi di legge, la non assoggettabilità di cose di interesse culturale ad autorizzazione all’uscita dal territorio nazionale ». Si tratta di un’ipotesi speciale di mendacio che sostituisce l’ipotesi delittuosa generale di falsità ideologica di cui all’art. 483, comma primo, cod. pen. (in riferimento all’art. 76 del d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445) finora contestabile nelle ipotesi in cui il bene sia esportato a seguito di presentazione di dichiarazione preventiva di esportazione (art. 65, comma 4-bis, cod. beni cult. 237) falsamente attestante la libera esportabilità dello stesso (in realtà da sottoporre a procedura di autorizzazione all’uscita) 238. Anche in questo reato speciale di falso (v. retro § 2.8), in punto di elemento soggettivo il dolo non è specifico come potrebbe sembrare dalla formulazione testuale ma è generico esplicitato, poiché la richiesta finalità « di comprovare al competente ufficio di esportazione, ai sensi di legge, la non assoggettabilità di cose di interesse culturale ad autorizzazione all’uscita dal territorio nazionale » duplica, sul versante psichico, la condotta falsificatoria, senza nulla aggiungere in termini di (autonomo) disvalore selettivo.

L’oggetto materiale delle condotte incriminate dai due reati qui accorpati di esportazione illecita o mancato rientro – costituito da « beni culturali, cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturali » – è più ampio rispetto a quello delle altre fattispecie ricomprese nel Titolo VIII-bis. Inoltre, in forza della coeva previsione di cui all’art. 518-duodevicies, comma primo, cod. pen., è soggetto a confisca obbligatoria, salva l’appartenenza a persona estranea al reato (amplius v. postea § 2.17). È necessario e sufficiente che la cosa presenti interesse culturale (e che di ciò sia consapevole l’autore della condotta: così Sez. 3, n. 10468 del 17/10/2017, cit., in motiv. § 3.8). Ciò in quanto la finalità di preservare il«patrimonio culturale in tutte le sue componenti» (art. 64- bis cod. beni cult.) giustifica il controllo sulla circolazione internazionale di tutte le cose chepresentano interesse culturale e che, dunque, potrebbero essere dichiarate di interesse culturale all’esito della valutazione del competente ufficio di esportazione al quale la cosa deve essere presentata (art. 68 cod. beni cult.); la tutela penale è, invero, anticipata al momento dell’uscita dal territorio nazionale della cosa che, presentando interesse culturale, potrebbe definitivamente (ed ufficialmente) far parte del patrimonio culturale (Sez. 3, n. 10468 del 17/10/2017, cit., in motiv. § 3.10).

Rispetto all’abrogato art. 174 cod. beni cult. la pena accessoria ivi già prevista al comma 4 ex art. 30 cod. pen. a carico dell’autore che esercita attività di vendita al pubblico o di esposizione a fine di commercio di oggetti di interesse culturali, non è stata riprodotta nell’art. 518-undecies, siccome “traslata” – tra le disposizioni comuni a tutti i reati compresi nel Titolo VIII- bis – nell’art. 518-sexiesdecies, comma secondo, cod. pen. (v. postea § 2.15) 239.

La disposizione (e la tutela) si completa con una specifica disciplina in tema di confisca che è allocata in seno art. 518- duodevicies, comma primo, cod. pen. (v. postea § 2.17), ove si prevede la confisca obbligatoria (destinata ad attuarsi in conformità alle norme della legge doganale relative alle cose oggetto di contrabbando) delle cose indicate all’art. 518-undecies , che hanno costituito l’oggetto del reato, salva l’appartenenza a persona estranea al reato 240.

In tema di responsabilità degli enti, in caso di commissione di questo reato-presupposto il novello art. 25- septiesdecies del d.lgs. n. 231 del 2001 prevede a carico della persona giuridica, al comma 2, l’applicazione della sanzione pecuniaria da 200 a 500 quote e, al comma 5, delle sanzioni interdittive per la durata non superiore a due anni.

Passando agli istituti processuali, il delitto è sempre perseguibile d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.).

Sono consentite la custodia cautelare in carcere e le altre misure coercitive (art. 280, commi 1 e 2, cod. proc. pen.); è inoltre possibile procedere ad arresto facoltativo (art. 381, comma 1, cod. proc. pen.) nonché a fermo di indiziato di delitto (art. 384, comma 1, cod. proc. pen.), anche nei confronti dei soggetti di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011 (art. 77 d.lgs. n. 159 del 2011).

Sono consentite le intercettazioni (art. 266, comma 1, lett. a, cod. proc. pen.).

Il reato è di competenza del Tribunale monocratico (art. 33-ter, comma 2, cod. proc. pen.) su rinvio a giudizio del giudice dell’udienza preliminare.

2.12 Distruzione, dispersione, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici (art. 518 -duodecies cod. pen.).

Nel ventaglio delle azioni aggressive del patrimonio culturale che possono incidere – secondo autorevole classificazione – sullaconservazione e sul godimento del patrimonio artistico 241, va annoverato il novello art. 518-duodecies cod. pen., che introduce il delitto rectius: i delitti di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici .

La disposizione, sotto un unico articolato, racchiude nei primi due commi, altrettanti autonomi titoli delittuosi (il secondo dei quali a sua volta composto di un’ulteriore sotto-fattispecie), aventi diverso disvalore e struttura eterogenea, connotati da trattamenti sanzionatori alquanto severi, a loro volta differenziati tra loro.

Nel comma primo viene specializzata ed estesa ai beni propri l’ipotesi criminosa di danneggiamento comune, finora applicabile in subiecta materia nella forma circostanziale aggravata dell’art. 635, comma secondo, n. 1, cod. pen., se commessa «su cose di interesse storico o artistico ovunque siano ubicate»: parole ora abrogate dall’art. 5, comma 1, della legge n. 22 del 2022. È punita in via autonoma con la reclusione da due a cinque anni e la multa da 2.500 a 15.000 euro la condotta di chiunque « distrugge, disperde, deteriora, rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui »242.

Questa prima ipotesi incriminatrice in punto di elemento materiale segna una novità rappresentata dalla tipologia di danno arrecato (alternativa, secondo il tenore della norma) della non fruibilità. Secondo taluno, potrebbe ritenersi “una conseguenza logica delle altre forme di lesione descritte nell’incriminazione, ma non possono nemmeno escludersi applicazioni diverse e aggiuntive, che non incidano strettamente sulla materialità: sarà qui la prassi a segnare i confini di questo allargamento” 243; secondo altri, essa crea sovrapposizioni con quella punita, peraltro meno gravemente, nel comma secondo 244.

Quanto all’oggetto materiale, si tratta di una delle (poche) previsioni di nuovo conio destinate a trovare applicazione anche per i beni paesaggistici 245 (sulla cui nozione v. retro § 1.3). Inoltre, con l’operato riferimento in parte qua ai beni culturali (e paesaggistici) oltreché altrui anche «propri», presente anche nel successivo comma secondo, si colma, rispetto all’assetto punitivo (genericamente “patrimonialistico”) finora vigente, la carenza espressa dal danneggiamento (comune) di cosa propria (vincolata e non vincolata) (cfr. già Sez. 2, n. 16893 del 11/4/2007, Seminara, Rv. 236658-01, secondo cui integrava la fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 733 cod. pen., e non il delitto di danneggiamento aggravato, la condotta di danneggiamento di beni di valore archeologico di proprietà del soggetto agente), sicché la norma de qua sarebbe “emblematica del nuovo sistema di tutela”, avendo il legislatore del 2022 dimostrato “consapevolezza che il bene culturale ha un respiro spirituale collettivo, che prescinde dall’appartenenza individuale e che lo rende meritevole di protezione anche da questa prospettiva” 246.

In punto di elemento soggettivo, la condotta resta punita, come pure quella successiva di imbrattamento e deturpamento, esclusivamente nella forma dolosa (in ossequio, peraltro, al corrispondente obbligo di criminalizzazione della distruzione e danneggiamento di beni culturali contenuto nell’art. 10 della Convenzione di Nicosia, limitato soltanto alle condotte intenzionali 247). L’autonoma ipotesi colposa, inizialmente prevista nel progetto di legge, è stata soppressa nel corso dell’iter parlamentare 248.

In tema di concorso (interno) di reati, il danneggiamento di beni culturali prevale sull’ipotesi di deturpamento e imbrattamento di beni culturali (v. postea), in forza dell’inciso inserito nel comma secondo («…fuori dei casi del primo comma…»), con cui il legislatore ha dettato una volta per tutte il criterio risolutore per risolvere il problema del concorso di norme 249; criterio, peraltro, conforme alla pregressa giurisprudenza che aveva affermato la natura sussidiaria della condotta di imbrattamento rispetto a quella di danneggiamento (v. Sez. 2, n. 24739 del 26/3/2010, Zagaria, Rv. 247746-01; conf. Id., n. 845 del 19/12/2012, dep. 2013, De Carlo e altri, Rv. 254053-01).

Con riguardo, invece, al rapporto esterno con gli altri reati, giova segnalare che, rispetto alla prima versione del disegno di legge, il testo definitivamente approvato dal Parlamento, in uno con l’eliminazione della fattispecie colposa, non reca più l’abrogazione delle contravvenzioni di cui agli artt. 733 e 734 cod. pen., che restano perciò in vigore anche se, indirettamente, risentono d’ora in poi di un più ridotto ambito applicativo. Dunque, nella loro già affermata funzione di “presidio esterno” alla legislazione penale di settore (così già Sez. 3, n. 3624 del 22/1/1999, Crabolu, Rv. 213260-01), va oggi vieppiù ribadita la loro natura residuale (v. ancora Sez. 3, n. 3624 del 22/1/1999, cit.) rispetto alla più incisiva tutela offerta dalle nuove disposizioni dolose inserite in seno al Titolo VIII-bis. Conseguentemente gli artt. 733 e 734 cod. pen. avendo natura contravvenzionale sono applicabili – per fatti successivi al 22 marzo 2022 – nelle (sole) ipotesi di danneggiamento colpose, pur negli incerti contenuti punitivi e limiti strutturali che li caratterizzano 250 e sempre che, quanto all’art. 733 cod. pen., reato “proprio” 251 di danno (v. Sez. 3, n. 42893 del 24/10/2008, Rv. 241543-01; Sez. 3, n. 7129 del 15/6/1998, Salogni, Rv. 211207-01, in motiv.), scatti la prevista condizione obiettiva di punibilità del nocumento al patrimonio archeologico, storico, o artistico nazionale, da intendersi come “nocumento a un monumento particolarmente significativo o ad una cosa d’antichità e d’arte di eccezionale interesse culturale, unica o rarissima” (così Sez. 3, n. 12215 del 8/11/1995, P.G. in proc. Iannelli, Rv. 203700-01; cfr. altresì Id., n. 4001 del 29/11/2000, dep. 2001, Feleppa, Rv. 218546-01 e Sez. 3, n. 3624 del 22/1/1999, cit., ove, oltre alla necessità del verificarsi del nocumento al patrimonio archeologico, storico o artistico derivante dal fatto, si è precisato che basta la conoscenza del rilevante pregio della cosa e non della culturalità del bene; nel senso che il giudice deve specificamente motivare sulla rilevanza “nazionale” della cosa danneggiata, v. Sez. 3, n. 15992 del 8/4/2013, Dello Iacono e altro, non mass.).

Nel comma secondo dell’art. 518-duodecies è, poi, autonomamente punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e multa da 1.500 a 10.000 euro chiunque, «fuori dei casi del primo comma, deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui»: ipotesi delittuosa già prevista (ma senza il riferimento ai beni «propri», anche qui aggiunto in termini innovativi: v. supra) come aggravante dall’art. 639, comma secondo, secondo periodo, cod. pen., ora abrogato dall’art. 5, comma 2, della legge n. 22 del 2022, e sulla cui pregressa elaborazione giurisprudenziale può continuarsi a fare riferimento: il bene, affinché possa considerarsi deturpato o imbrattato, non deve essere stato distrutto, disperso, deteriorato o reso in tutto o in parte inservibile (v. già Sez. 2, n. 24739 del 26/3/2010, Zagaria, cit.), con conseguente sua ripristinabilità, senza particolari difficoltà, dell’aspetto e del valore originari (Sez. 2, n. 845 del 19/12/2012, dep. 2013, De Carlo e altri, cit.; conf. Sez. 6, n. 11756 del 3/11/2000, Albano, Rv. 217386-01; nello stesso senso, v. già Sez. 1, n. 10428 del 22/3/1989, Cortiglioni, Rv. 181875-01, per l’ipotesi in cui il bene sia stato insudiciato, sporcato o insozzato sotto l’aspetto dell’estetica o della nettezza, nella specie con scritte in vernice, senza che lo stesso nulla abbia perduto della sua integrità o funzionalità, tanto che un semplice intervento superficiale sia idoneo a ripristinarlo nel suo aspetto e nel suo valore; anche quando la ripulitura abbia richiesto una ritinteggiatura completa e per quanto costoso sia risultato l’intervento di restauro, v. Sez. 2, n. 12973 del 11/12/2002, dep. 2003, Miseo e altri, Rv. 224318-01; conf. Sez. 6, n. 11756 del 3/11/2000, Rv. 217386-01).

Oltre a queste due condotte, sempre all’interno del comma secondo è poi rifluito l’uso illecito di beni culturali (così l’ultima parte della rubrica legis): condotta consistente nella destinazione dei (soli) beni culturali « a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico ovvero pregiudizievole per la loro conservazione o integrità ». Questa sotto-fattispecie di pericolo – che esprime un’anticipazione di tutela rispetto alla vera e propria lesione all’integrità del bene culturale, come espressa dalle precedenti condotte di deturpamento e di imbrattamento 252 e la cui integrazione lede l’interesse alla pubblica fruizione dei beni culturali 253 – riproduce, in perfetta continuità normativa, la disposizione di cui all’art. 170 cod. beni cult., ora contestualmente abrogata dall’art. 5, comma 2, della legge n. 22 del 2022, già punita meno severamente ed a titolo contravvenzionale 254, a sua volta corrispondente, senza modifiche, a quella dell’art. 119 del d.lgs. n. 490 del 1999. Trattasi di reato di pura condotta commissiva a forma vincolata, in relazione al quale non è ipotizzabile una responsabilità per omesso impedimento dell’evento (così Sez. 3, n. 37756 del 25/6/2014, P.M. in proc. Viviani e altri, Rv. 260185-01). In punto di condotta tipica, destinare a un uso incompatibile significa impedire che il bene culturale svolga la propria funzione di interesse pubblico 255, sicché integra il reato de quo l’uso del bene mediante condotte idonee a determinarne una distorsione rispetto alla finalità di godimento che gli è propria – ovvero di studio, ricerca o piacere estetico complessivo (Sez. 3, n. 14377 del 17/3/2005, P.M. in proc. Veneroso, Rv. 231072-01) – attraverso interventi incompatibili con la sua natura storico-artistica ovvero pregiudizievoli per la sua conservazione od integrità (così Sez. 6, n. 35786 del 21/6/2012, Buttini e altro, Rv. 254393-01), ove gli stessi non siano finalizzati a valorizzarne la natura storica od a garantirne un migliore utilizzo quanto, piuttosto, a soddisfare beni ed interessi privi di relazione con tale natura e con la destinazione pubblica (Sez. 3, n. 42065 del 29/9/2011, Gambino, Rv. 251423-01).

Le autonome (e profondamente diverse) fattispecie incriminatrici del comma primo e secondo sono accomunate dalla disciplina speciale contenuta nel comma terzo dell’art. 518-duodecies , in tema di sospensione condizionale della pena (art. 163 cod. pen.): in analogia agli obblighi reintegratori già previsti dall’ultimo comma dell’art. 639 cod. pen., ad evidenti fini deterrenti 256, il beneficio sospensivo è subordinato « al ripristino dello stato dei luoghi o all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato, comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna ». La previsione realizza così – secondo i primi commentatori – “un sistema complessivo e coerente con la natura del bene giuridico tutelato: dall’anticipazione di tutela con il reato di pericolo, alla punizione del danno per finire con la ricostituzione del bene” 257.

La prima dottrina ha osservato che questo titolo delittuoso, insieme al furto di beni culturali, rappresenta un emblema del nuovo sistema di tutela del patrimonio culturale, dato che entrambe le figure criminose colmano lacune normative alle quali con gravi difficoltà e sforzi interpretativi si era cercato di porre rimedio prima dell’odierno intervento novellistico. Essa contiene “non solo la specificazione dell’oggetto materiale, peraltro qui allargato all’intero patrimonio culturale, ma anche una tipologia di danno che si lega strettamente alla funzione culturale, nel senso di apertura e trasmissione del suo significato di arricchimento spirituale alla collettività” 258.

In tema di responsabilità degli enti, il novello art. 25- septiesdecies aggiunto al d.lgs. n. 231 del 2001 prevede, a carico dell’ente che commetta questo reato-presupposto nel proprio interesse o vantaggio, al comma 3, l’applicazione della pena pecuniaria da 300 a 700 quote e, al comma 5, delle sanzioni interdittive per la durata non superiore a due anni.

Passando agli istituti processuali, entrambi i delitti sono perseguibili d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.).

La custodia cautelare in carcere non è mai consentita; per il resto, solo per il più grave delitto del comma 1 sono consentite le altre misure cautelari personali (art. 280, comma 1, cod. proc. pen.) ed è possibile l’arresto facoltativo in flagranza (art. 381, comma 1, cod. proc. pen.) e, conseguentemente, il fermo degli indiziati inclusi nel novero dei soggetti di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011 (art. 77 d.lgs. n. 159 del 2011).

Non sono mai consentite le intercettazioni, in nessuna delle due ipotesi di reato.

Entrambi i reati sono di competenza del Tribunale monocratico (art. 33- ter, comma 2, cod. proc. pen.), con celebrazione dell’udienza preliminare per quello del comma 1 e su citazione diretta del p.m. per quello del comma 2 (art. 550, comma 2, cod. proc. pen.).

2.13 Devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici (art. 518 -terdecies cod. pen.)

Il grado maggiore di lesione dell’integrità del bene si ha con la fattispecie di cui al novello art. 518- terdecies cod. pen., che, fuori dai casi previsti dall’art. 285 cod. pen., punisce, al comma primo, con la reclusione da dieci a sedici anni la commissione di «fatti di devastazione o il saccheggio aventi ad oggetto beni culturali o paesaggistici ovvero istituti e luoghi della cultura ».

Ricorrendo alla consueta tecnica della riproduzione della fattispecie generale codicistica con la specificazione dell’oggetto materiale e con un aggravamento di pena (rispetto alla già severa cornice edittale prevista nell’art. 419 cod. pen. 259), il legislatore del 2022 ha coniato un autonomo titolo delittuoso speciale avente ad oggetto – in termini più ampi rispetto agli altri reati di coeva introduzione – i «beni culturali e paesaggistici» (da intendersi alla stregua dell’art. 2 cod. beni culturali: v. retro § 1.3) nonché gli «istituti e luoghi della cultura», elemento (non descrittivo ma anch’esso) normativo da identificarsi ai sensi dell’art. 101 cod. beni culturali, rientrandovi i musei, le biblioteche e gli archivi, le aree e i parchi archeologici, i complessi monumentali.

In tema di elemento materiale, attesa l’incompiuta significatività lessicale del termine «devastazione» – da riempire, secondo la dottrina, insistendo sui principi di offensività e di proporzione, giacché implica un fenomeno di primaria grandezza, di diffusa e grave distruzione, senza potersi esaurire in un semplice danno, per quanto recato a molti oggetti o particolarmente distruttivo 260 – si deve fare rinvio all’elaborazione giurisprudenziale in ordine alla fattispecie generale di cui all’art. 419, comma primo, cod. pen., secondo cui l’elemento oggettivo “consiste in qualsiasi azione, posta in essere con qualsivoglia modalità, produttiva di rovina, distruzione o anche di un danneggiamento - comunque complessivo, indiscriminato, vasto e profondo - di una notevole quantità di cose mobili o immobili, tale da determinare non solo un pregiudizio del patrimonio di uno o più soggetti, e con esso il danno sociale conseguente alla lesione della proprietà privata, ma anche un’offesa e un pericolo concreti dell’ordine pubblico, inteso come buon assetto o regolare andamento del vivere civile, cui corrispondono, nella collettività, l’opinione e il senso della tranquillità e della sicurezza” (così Sez. 6, n. 37367 del 6/5/2014, Seppia, Rv. 261932-01 261; conf. Sez. 1, n. 22633 del 1/4/2010, Della Malva, Rv. 247418-01; Id., n. 16553 del 1/4/2010, Orfano e altro, Rv. 246941-01).

Dunque, al tralatizio danneggiamento qualificato nella sua intensità ( qualitativa e quantitativa) dall’idoneità a ledere l’ordine pubblico, va aggiunto, a questo speciale titolo di reato, l’idoneità a ledere il patrimonio culturale 262, qui tutelato da tutte quelle condotte massimamente aggressive che possono incidere sia sulla conservazione che sulpubblico godimento del patrimonio medesimo 263, senza tuttavia attentare alla sicurezza dello Stato (v. art. 285 cod. pen., fatto espressamente salvo nell’incipit della norma). A questa stregua, andranno adeguate – o rimeditate – alla mutata oggettività giuridica quelle affermazioni giurisprudenziali predicate sotto il corrispondente art. 419 cod. pen. secondo cui, trattandosi di reato contro l’ordine pubblico, “è indifferente la gravità del danno in concreto prodotto, purché sia accertato che i fatti posti in essere abbiano leso non soltanto il patrimonio, ma anche l’ordine pubblico” (così Sez. 1, n. 26830 dell’8/3/2001, Mazzotta, Rv. 219899-01 264; conf. Id., n. 21845 del 6/4/2004, Barbarano e altri, Rv. 228212-01; Sez. 1, n. 3759 del 7/11/2013, Chiacchieretta e altri, Rv. 258600-01). Invero, rispetto al rapporto tra danneggiamento comune e nuovo art. 518- duodecies cod. pen. (v. retro § 2.12), “qui il passaggio è differente e forse più complicato, perché non si tratta di un trasferimento dalla tutela del patrimonio privato a quello culturale ma dalla tutela del patrimonio a quella dell’ordine pubblico (titolo nel quale è compreso l’art. 419 c.p.) al patrimonio culturale (sede della nuova fattispecie). Per giustificare la nuova fattispecie è assolutamente necessario affermarne e sottolinearne la plurioffensività, valorizzando altresì le impostazioni dottrinali e giurisprudenziali che insistono sulla pregnanza del fatto tipico” 265.

Quanto all’elemento soggettivo del reato, è rappresentato dal dolo generico, consistente nella consapevolezza di porre in essere fatti di devastazione che superano la gravità ordinaria del delitto-base che lo costituisce (danneggiamento), involgendo oltre all’ordine pubblico (così già Sez. 1, n. 26830 del 8/3/2001, cit., Rv. 219900-01) pure il patrimonio culturale; come nell’art. 419 cod. pen. è necessario che l’agente non solo si rappresenti e voglia la condotta distruttiva da lui posta in essere, ma anche che agisca nonostante abbia percepito che tale condotta si inserisce in un contesto che la rende concausa di un evento di devastazione (così Sez. 6, n. 37367 del 6/5/2014, cit., Seppia, Rv. 261934-01).

Circa le modalità di commissione del reato, il delitto non ha natura necessariamente plurisoggettiva, cosicché può essere realizzato anche da un singolo agente, la cui condotta abbia prodotto un effetto distruttivo su larga scala (così, da ultimo, riguardo all’art. 419 cod. pen., Sez. 1, n. 9520 del 3/12/2019, dep. 2020, P., Rv. 278502-01). Ai fini della sussistenza dell’eventuale responsabilità a titolo concorsuale (art. 110 cod. pen.), non è necessario che l’agente compia materialmente un atto di danneggiamento, purché partecipi consapevolmente ai disordini diffusi (arg. Sez. 1, n. 11912 del 18/1/2019, Oppedisano, Rv. 275322-02; conf. Sez. 1, n. 3759 del 7/11/2013, cit., Rv. 258601-01).

In tema di elemento soggettivo, la punibilità delle condotte incriminata è limitata alle sole ipotesi dolose. S’è scelto, infatti, di non sanzionare le forme di danneggiamento dovute a colpa: sebbene queste ultime siano ormai frequenti 266.

Diversamente dall’art. 419, comma secondo, cod. pen., non è annesso alcun regime circostanziale speciale, ferma l’applicabilità del catalogo di aggravanti comuni di cui all’art. 518-sexiesdecies cod. pen. (v. postea § 2.15).

In tema di concorso di reati, la clausola di salvezza che apre l’incriminazione (« fuori dai casi previsti dall’art. 285 cod. pen.») mira ad escludere il più mite trattamento sanzionatorio previsto dall’art. 518- terdecies nei casi in cui la devastazione o il saccheggio siano sorretti dallo scopo di attentare la sicurezza dello Stato 267.

Rispetto alle condotte di devastazione e saccheggio di beni culturali che vengano commesse nel corso di un conflitto armato o di missioni internazionali, laddove queste cadano su oggetti protetti ai sensi della Convenzione dell’Aja del 1954 o del Secondo Protocollo del 1999 268, trova invece applicazione la fattispecie (a sua volta) speciale di «devastazione e saccheggio di beni culturali protetti» di cui all’art. 9 della legge 16 aprile 2009 n. 45 269, applicabile in danno dei beni situati sul territorio italiano e estero 270, che però è punita con la stessa pena prevista dall’art. 419, comma primo, cod. pen.; il mancato coordinamento dei livelli edittali tra il nuovo art. 518- terdecies con tale fattispecie speciale ha determinato – secondo la prima dottrina – l’esito “piuttosto paradossale di punire meno severamente condotte il cui disvalore può ritenersi certamente non minore di quello caratterizzante offese recate in un contesto di pace e, dunque, di complessiva minore vulnerabilità dei beni culturali” 271.

In tema di responsabilità degli enti, l’inedito art. 25-duodevicies aggiunto al d.lgs. n. 231 del 2001 prevede, in relazione alla commissione di questo reato-presupposto, l’applicazione della sanzione pecuniaria da 500 a 1.000 quote. Se poi la persona giuridica (o una sua unità organizzata) viene stabilmente utilizzata allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di questo reato-presupposto, si applica altresì la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività (art. 16, comma 3, del d.lgs. n. 231 del 2001).

Passando agli istituti processuali, il delitto è perseguibile d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.).

L’adozione della custodia cautelare in carcere e delle altre misure personali è consentita (art. 280, commi 1 e 2, cod. pen.). Non è consentito l’arresto obbligatorio in flagranza, alla luce del principio di stretta legalità, poiché l’art. 380, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. menziona nominatim il delitto di devastazione e saccheggio di cui all’art. 419 cod. pen. (ancorché sanzionato meno gravemente) 272; è possibile, invece, l’arresto facoltativo in flagranza (art. 381, comma 1, cod. proc. pen.), al pari del fermo di indiziato di delitto (art. 384, comma 1, cod. proc. pen.), ammesso anche nei confronti dei soggetti di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011 (art. 77 d.lgs. n. 159 del 2011).

Sono consentite le intercettazioni (art. 266, comma 1, lett. a, cod. proc. pen.).

In ragione della pena massima prevista, superiore a dieci anni, il reato è di competenza del Tribunale collegiale (art. 33-bis, comma 2, cod. proc. pen.).

2.14 Contraffazione di opere d’arte (art. 518- quaterdecies ) e correlata causa di non punibilità (art. 518- quinquiesdecies cod. pen.).

Il novellatore del 2022 ha trasferito nel Codice penale, tal quale, anche il delitto di contraffazione di opere d’arte, collocandolo in seno all’inedito art. 518-quaterdecies cod. pen., che punisce al comma primo (più severamente del passato) con la reclusione da uno a cinque anni e la multa da 3.000 a 10.000 euro le condotte già sanzionate 273 dal previgente art. 178 cod. beni cult., ora abrogato dall’art. 5, comma 2, lett. b), della stessa legge n. 22 del 2022, a sua volta corrispondente all’art. 128 del d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, norma a sua volta riproduttiva dei precetti già contenuti negli artt. 3, 4, 5, 6 e 7 della legge 20 novembre 1971, n. 1062 (cd. Legge Pieraccini) 274. Ne consegue la perdurante validità della pregressa elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria 275.

In punto di bene giuridico, risalenti arresti hanno chiarito da tempo come le norme penali sulla contraffazione o alterazione di opere d’arte, nonostante l’utilizzo di locuzioni proprie dei delitti di falso, tutelino in via principale la regolarità e l’onestà degli scambi nel mercato artistico e dell’antiquariato, con particolare riferimento alla tutela dei consumatori (Sez. 3, n. 11253 del 20/10/1995, Bevilacqua, Rv. 204200-01); solo eventualmente, in alcuni precetti, tale interesse principale concorre con la cd. fede pubblica, giacché la peculiarità di questi reati è quella di essere caratterizzati da condotte plurime ed eventualmente plurioffensive (Sez. 3, n. 11253 del 20/10/1995, cit., Rv. 204202-01). Anche secondo la dottrina, le disposizioni in tema di contraffazione di opere d’arte riguardano solo indirettamente e comunque eventualmente la protezione dei beni culturali 276, sicché l’odierno inserimento nel codice penale di questa fattispecie sembra dettato dalla mera finalità di riunire e coordinare le disposizioni in vario modo attinenti alla materia dei beni culturali 277.

A siffatto indirizzo porta anche l’indicazione dell’ oggetto materiale che è qui specificamente costituito, a vario titolo, da « opere di pittura, scultura, grafica, da oggetti di antichità, di interesse storico od archeologico ». Detti beni sono qui presi in considerazione “non per il loro valore culturale (quando lo abbiano) ma per la loro attitudine a costituire oggetto di commercio nel mercato artistico e di antiquariato” 278.

Quanto all’elemento materiale, sono (alternativamente) punite tre distinte ipotesi criminose (a loro volta articolate in termini di norme a più fattispecie 279), variamente tendenti allo scopo della contraffazione, ed una serie di fattispecie collaterali, falsificatorie e commerciali. In particolare è alternativamente punito:

1) chiunque, al fine di trarne profitto, contraffà, altera o riproduce un’opera di pittura, scultura o grafica ovvero un oggetto di antichità o di interesse storico o archeologico 280 (cd. contraffazione di opere d’arte propriamente detta);

2) chiunque, anche senza aver concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione, pone in commercio, detiene per farne commercio, introduce a questo fine nel territorio dello Stato o comunque pone in circolazione, come autentici, esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di opere di pittura, scultura o grafica, di oggetti di antichità o di oggetti di interesse storico o archeologico (cd. mercato di opere false) 281;

3) chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere od oggetti, indicati ai numeri 1) e 2) contraffatti, alterati o riprodotti (cd. “falsa autenticazione”) 282;

4) chiunque, mediante altre dichiarazioni, perizie, pubblicazioni, apposizione di timbri o etichette o con qualsiasi altro mezzo, accredita o contribuisce ad accreditare, conoscendone la falsità, come autentici opere od oggetti indicati ai numeri 1) e 2) contraffatti, alterati o riprodotti (cd. falsa perizia) 283.

Quanto all’elemento soggettivo, il dolo è specifico ed è connotato da un profitto patrimoniale (così già Sez. 3, n. 11253 del 20/10/1995, cit., Rv. 204202-01) nell’ipotesi criminosa del n. 1 284, mentre quella del n. 2 richiede il fine specifico di fare commercio, il che – secondo la dottrina – confermerebbe il ruolo qui “assolutamente secondario rivestito dalla tutela del patrimonio storico-artistico”, giacché la presenza di tale finalità “indirizza l’interpretazione della norma verso una direzione offensiva di stampo patrimoniale” 285; nelle restanti ipotesi di cui ai nn. 3 e 4, il dolo è generico, con la particolarità, per l’ipotesi n. 3, del “correttivo” che esplicitamente esige, ai fini della rilevanza penale, che il soggetto sia a conoscenza della falsità dell’opera autenticata, senza che basti, a tal fine, la mera “accettazione del rischio” della falsità 286.

Ai sensi del comma secondo dell’art. 518- quaterdecies, come già nel previgente art. 178, comma 4, cod. beni cult., è «sempre» ordinata la confisca degli esemplari contraffatti, alterati o riprodotti delle opere e degli oggetti indicati nel comma primo, salvo che si tratti di cose appartenenti a persone estranee al reato; resta fermo che « [d]elle cose confiscate è vietata, senza limiti di tempo, la vendita nelle aste dei corpi del reato ». Si tratta di una disciplina confiscatoria speciale287 rispetto a quella prevista per la generalità degli altri reati contro il patrimonio culturale dall’art. 518-duodevicies (v.postea § 2.17): essa è obbligatoria anche inmancanza di condanna (come confermato dall’avverbio « sempre» che, altrimenti, non avrebbe ragion d’essere: così, sull’identico art. 178, comma 4, cod. beni cult., Sez. 3, n. 30687 del 4/5/2021, Andreoli, Rv. 282079-01 288, in motiv., secondo la quale la misura avrebbe formalmente natura di sanzione amministrativa), sicché essa va disposta pure in caso di sentenza di proscioglimento, improcedibilità o di assoluzione non nel merito, qualora sia stata comunque accertata la falsità del bene (v. già Sez. 3, n. 22038 del 12/2/2003, Pludwinski, Rv. 225318-01 289, in tema di improcedibilità dell’azione penale per morte del reo); essa, inoltre, è incondizionata, soggettivamente non illimitata 290 e, in quanto tale, applicabile anche alle sentenze di assoluzione con formule diverse dall’insussistenza del fatto; unica deroga all’obbligatorietà della confisca riguarda l’ipotesi in cui le cose appartengano a persone estranee al reato (cfr. Sez. 2, n. 18041 del 7/4/2004, Cardinale, Rv. 228639-01, in motiv., secondo la quale la restituzione dell’opera contraffatta in favore del terzo in buona fede comporta, ai sensi dell’art. 537 cod. proc. pen., l’applicazione sul bene d’arte della dichiarazione di non corrispondenza al vero). La giurisprudenza pregressa ha spiegato che questa ipotesi confiscatoria dei falsi d’arte non è assimilabile alla confisca obbligatoria prevista dall’art. 240, comma secondo, n. 2, cod. pen., in quanto non riguarda beni di natura intrinsecamente criminosa, sicché, ove disposta in assenza di condanna, essa postula, avendo comunque natura sanzionatoria, l’accertamento incidentale del fatto di reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo (così, da ultimo, Sez. 3, n. 30687 del 4/5/2021, cit. 291; cfr. altresì, sulla confisca di cose di interesse archeologico già prevista per il reato di ricerche archeologiche di cui ai previgenti artt. 175 cod. beni cult. gente e, prima ancora, 68 l. n. 1089 del 1939, Sez. 2, n. 35065 del 24/4/2009, Cicchetti e altri, Rv. 244946-01; nel senso, invece, del carattere repressivo di tale ipotesi speciale di confisca, in quanto capace di colpire anche beni privi di un rapporto di diretta derivazione causale del delitto, v. già Sez. 3, n. 22038 del 12/2/2003, cit., in motiv.).

Quanto al regime circostanziale, rispetto all’art. 176 cod. beni cult., occorre rilevare che l’aumento di pena per il caso del reato commesso nell’esercizio di attività professionale è incluso nella generale previsione di cui all’art. 518-sexiesdecies, comma primo, n. 2, cod. pen.; inoltre tanto la pena accessoria di cui all’art. 30 cod. pen. quanto quella della pubblicazione della sentenza (art. 36 cod. pen.) sono ora previste nell’ultimo comma del cit. art. 518-sexiesdecies (v. postea § 2.15) 292.

Quanto alla responsabilità degli enti conseguente alla commissione di questo reato-presupposto, l’art. 25-septiesdecies del d.lgs. n. 231/2001 prevede l’applicazione, al comma 3, della pena pecuniaria da 300 a 700 quote e, al comma 5, delle sanzioni interdittive per una durata non superiore a due anni.

Passando agli istituti processuali, il delitto è perseguibile d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.).

In ragione dei limiti edittali, è consentita l’adozione della custodia cautelare e delle altre misure coercitive (art. 280, commi 1 e 2, cod. proc. pen.). Esclusa la possibilità dell’arresto obbligatorio in flagranza, l’arresto facoltativo è senz’altro consentito (art. 381, comma 1, cod. proc. pen.), in ragione del limite massimo di pena. Non è possibile procedere al fermo di indiziato di delitto (art. 384, comma 1, cod. proc. pen.), salvo che per i soggetti di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159 del 2011 (art. 77 d.lgs. n. 159 del 2011).

Non sono consentite le intercettazioni.

Il reato è di competenza del Tribunale monocratico (art. 33-ter, comma 2, cod. proc. pen.), su rinvio a giudizio del giudice dell’udienza preliminare.

Le disposizioni incriminatrici di cui all’art. 518-quaterdecies cod. pen. non si applicano, per espressa esclusione ora inserita, a seguire, nell’inedito art. 518- quinquiesdecies cod. pen. - autonomamente rubricato « Casi di non punibilità» - a colui che « riproduce, detiene, vende, pone in vendita o altrimenti diffonde opere di pittura, di scultura, di grafica, ovvero copie o imitazioni di oggetti di antichità o di interesse storico o archeologico, dichiarate espressamente non autentiche, mediante annotazione scritta sull’opera o sull’oggetto, o quando ciò non sia possibile per la natura o le dimensioni della copia o dell’imitazione, mediante dichiarazione rilasciata all’atto dell’esposizione o della vendita. Non si applicano del pari ai restauri artistici che non abbiano ricostruito in modo determinante l’opera originale ».

La norma esentativa riproduce testualmente il disposto dell’ art. 179 cod. beni cult., ora abrogato dall’art. 5, comma 2, lett. b), della legge n. 22 del 2022, a sua volta riproduttivo dell’art. 125 del d.lgs. n. 490 del 1999, a sua volta corrispondente all’art. 8 della legge n. 1062 del 1971.

Come si è rilevato sotto la previgente previsione, è chiara la ratio della norma di favore: “se la repressione del falso artistico ha come punto di fuga la tutela della correttezza e trasparenza del mercato artistico, questa non può in alcun modo essere pregiudicata da un’opera asseritamente non autentica, e formalmente dichiarata tale, e neppure da un intervento di restauro scarsamente significativo” 293. La risalente giurisprudenza di legittimità formatasi sull’originaria disposizione l’ha qualificata non in termini di “speciale causa di non punibilità”, bensì come “elemento negativo del precetto”, ovvero come norma chiarificatrice dello stesso laddove fissa i limiti e le modalità attraverso le quali possono circolare le copie di opere d’arte, sicché essa esclude la punibilità dei soggetti che dichiarino con differenti modalità legislativamente previste la non autenticità delle cose riprodotte, tutelando la lealtà del commercio e la regolarità degli scambi (così Sez. 3, n. 11253 del 20/10/1995, Bevilacqua, Rv. 204201-01; nel senso che l’imitazione, o la riproduzione, non punibile di opere d’arte assume rilievo solo se chi riproduce, detiene, pone in vendita o altrimenti diffonde copie delle opere, dichiara espressamente la non autenticità delle stesse v. già Sez. 3, n. 4084 del 25/2/2000, Ginori, Rv. 216161-01; conf. Id., n. 48695 del 4/11/2003, Viglietta, Rv. 226867-01; nel senso che per la configurabilità del reato non è necessario che l’opera sia qualificata come autentica, ma è sufficiente che manchi la dichiarazione espressa di non autenticità, poiché la punibilità del fatto è esclusa in caso di dichiarazione espressa di non autenticità all’atto dell’esposizione o della vendita, mediante annotazione scritta sull’opera o sull’oggetto ovvero, quando ciò non sia possibile per la natura o le dimensioni della copia o dell’imitazione, con dichiarazione rilasciata all’atto dell’esposizione o della vendita, v. Sez. 6, n. 39474 del 24/9/2008, Trancalini, Rv. 242126-01).

La previsione – meglio definibile, nonostante l’intitolazione dell’odierna rubrica, in termini di “causa di limitazione del reato” 294 – è giudicata con favore dalla dottrina in considerazione anche dello sviluppo del mercato dei cd. “falsi d’autore”, fedeli riproduzioni pittoriche di quadri famosi 295.

2.15 Circostanze aggravanti (art. 518 -sexiesdecies cod. pen.)

Quanto al regime aggravatore applicabile alla generalità delle fattispecie contenute nel Titolo VIII-bis, il nuovo art. 518-sexiesdecies , comma primo, cod. pen. annette, con carattere di unitarietà, presupposti circostanziali prima diffusi tra varie previsioni 296 quando un reato contro il patrimonio culturale:

  1. «cagiona un danno di rilevante gravità». Trattasi, in parte qua, della riproposizione della circostanza aggravante comune di cui all’art. 61, n. 7, cod. pen., alla cui copiosa elaborazione giurisprudenziale si fa rinvio (ad es., rispetto al momento valutativo, coincidente con quello in cui il reato è stato commesso, v. Sez. 2, n. 36311 del 12/7/2019, Raicevic, Rv. 277032-01; sull’accertabilità mediante presunzioni, v. Sez. 5, n. 18393 del 25/2/2022, Torrisi, non mass.), segnalandosi una sua futuribile applicazione – suggerita da attenta dottrina – quando siano oggetto del danno beni culturali particolarmente qualificati in quanto inclusi nella World List ai sensi della Convenzione UNESCO del 1972 297 ;

  2. « è commesso nell’esercizio di un’attività professionale, commerciale, bancaria o finanziaria ». Si tratta della riproposizione dell’identica aggravante speciale dell’autoriciclaggio (art. 648-ter.1, comma primo, cod. pen.), ovvero, ma solo in parte, di quella dell’usura (art. 644, comma quinto, n. 1, cod. pen.) nonché, limitatamente alla previsione del fatto commesso « nell’esercizio di attività professionale», di quella del riciclaggio (art. 648-bis, comma secondo, cod. pen.) e dell’impiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita (art. 648-ter, comma terzo, cod. pen.). Avendo natura oggettiva, si estende a tutti i concorrenti nel reato (così, in tema di riciclaggio, Sez. 6, n. 43534 del 24/4/2012, Lubiana, Rv. 253796-01);

  3. « è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, preposto alla conservazione o alla tutela di beni culturali mobili o immobili ». Si tratta di aggravante soggettiva che valorizza la qualifica pubblicistica propria degli ordinamenti, come il nostro, nei quali l’amministrazione e la tutela dei beni culturali è affidata al potere amministrativo ed al suo apparato burocratico 298 . Atteso il compiuto riferimento alle nozioni pubblicistiche di cui agli artt. 357 e 358 cod. pen., essa non è applicabile ai privati concessionari e a coloro i quali svolgono semplici compiti di custodia, non facilmente inquadrabili tra i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio 299 . Sul piano pratico, una problematica potrebbe essere data dal rapporto tra la più favorevole (per il reo) fattispecie di appropriazione indebita di beni culturali (art. 518- ter: v. retro § 2.3) aggravata dalla circostanza in questione, rispetto al delitto di peculato (art. 314 cod. pen.), assai più grave quanto al profilo edittale e all’applicazione delle pene accessorie 300 ;

  4. « è commesso nell’ambito dell’associazione per delinquere di cui all’art. 416 del codice penale ». L’aggravante, oltre alla protezione indiretta rispetto ai reato-scopo che non hanno trovato una specificità all’interno del Titolo VIII-bis 301 , mira a colpire, direttamente, gli episodi di traffico illecito di opere d’arte che si connotano per una qualche forma di organizzazione, anche rudimentale, fino ad attingere le cd. archeomafie 302 . Invero, “la criminalità organizzata è un fenomeno frequente nel mercato dell’arte, è caratterizzata da un’elevata specializzazione e ha bisogno di figure con competenze ed esperienza in campi diversi, dai ‘tombaroli’ o ladri, agli intermediari, trasportatori e autisti, funzionari doganali, mercanti d’arte, esperti, restauratori, dipendenti di case d’asta, ecc.” 303 : è necessaria, quindi, una qualche forma di organizzazione, spesso inquadrabile nella (piuttosto ampia) definizione di “gruppo criminale organizzato” data dall’art. 2, lett. a) e c), della Convenzione delle Nazioni unite contro il crimine organizzato transnazionale (UNTOC) 304 , stante il necessario coinvolgimento di una pluralità di soggetti, con ruoli diversi e in paesi diversi, nella “filiera” del commercio di beni culturali di origine illecita 305 . Orbene, laddove tale organizzazione soddisfi anche i requisiti strutturali (più stringenti) dell’associazione per delinquere 306 – quindi almeno tre concorrenti uniti da un vincolo non occasionale, bensì esteso ad un (generico) programma criminoso comune volto a commettere una pluralità di delitti offensivi dell’interesse collettivo alla protezione del patrimonio culturale – oltre alla contestazione dell’art. 416 cod. pen., i reati-fine trovano un ulteriore inasprimento sanzionatorio in forza della novella previsione circostanziale (nella pregressa giurisprudenza di legittimità, per fattispecie, anche cautelari, ove è stata contestata l’associazione per delinquere finalizzata a reati-scopo riguardanti beni culturali, cfr.: Sez. 2, n. 47918 del 7/12/2011, Rv. 252058-01, Medici e altri, non mass. sul punto: fattispecie relativa al noto caso “Medici” 307 ; Sez. 3, n. 56402 del 22/11/2018, Lacroce, non mass.; Sez. 3, n. 11762 del 17/3/2008, Patermo, non mass.; Sez. 1, n. 7116 del 21/1/2012, Maschio, non mass.: fattispecie relativa ad incidente di esecuzione).

Le aggravanti del novello art. 518-sexiesdecies sono tutte ad effetto speciale (art. 63, comma terzo, cod. pen.) avendo il legislatore previsto, al comma primo, l’aumento della pena da un terzo alla metà; non ha però previsto alcuna “blindatura”, sicché tali circostanze sono ordinariamente “bilanciabili” ai sensi dell’art. 69 cod. pen.

In base al successivo comma secondo dell’art. 518- sexiesdecies, se i reati compresi nel Titolo VIII-bis sono commessi « nell’esercizio di un’attività professionale o commerciale», quindi al verificarsi dell’ipotesi circostanziale sub 2), si applicano le pene accessorie dell’interdizione da una professione o da un’arte (art. 30 cod. pen.) e la pubblicazione della sentenza di condanna (art. 36 cod. pen.) (nel senso dell’irrogabilità di tali pene anche nell’ipotesi del tentativo, in assenza di una previsione che le limiti espressamente all’ipotesi consumata, v., rispetto all’art. 515 cod. pen., Sez. 3, n. 24190 del 24/5/2005, Bala, Rv. 231947-01; conf. Id., n. 2196 del 14/5/1996, Volpe, Rv. 206268-01).

2.16 Circostanze attenuanti (art. 518- septiesdecies cod. pen.)

Il successivo art. 518- septiesdecies cod. pen. disciplina il regime attenuante speciale applicabile ai reati previsti dal novello Titolo VIII-bis.

Al comma primo si prevede la diminuzione “secca” di un terzo (e non fino ad un terzo: art. 65, n. 3, cod. pen.) della pena quando i suddetti reati cagionino «un danno di speciale tenuità» ovvero comportino «un lucro di speciale tenuità quando anche l’evento dannoso o pericoloso [id est: il danno penale o criminale: così Sez. U, n. 24990 del 30/1/2020, D.K., Rv. 2794999-01308] sia di speciale tenuità». La previsione circostanziale riproduce la generale attenuante “patrimonialistica” di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., rispetto alla quale – secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità – non si deve avere riguardo soltanto al valore venale del corpo del reato, dovendosi compiere una valutazione criminale nella sua globalità (v. ad es. Sez. 5, n. 344 del 26/11/2021, dep. 2022, Ghirasam, Rv. 282402-01), con riguardo al pregiudizio complessivo e al disvalore sociale recati con la condotta dell’imputato, in termini effettivi o potenziali (ex plurimis Sez. 3, n. 18013 del 5/2/2019, Loussaief, Rv. 275950-01; conseguentemente, l’esiguità del valore del bene trafugato, già valorizzata ai fini della concessione delle attenuanti generiche, può essere valutata anche a questi fini di speciale tenuità del danno: così Sez. 5, n. 11554 del 10/2/2022, Marino, Rv. 282876-01).

Il comma secondo dell’art. 518-septiesdecies prevede invece la diminuzione da un terzo a due terzi (art. 63, comma terzo, cod. pen.) in favore di chi abbia consentito l’individuazione dei correi o abbia fatto assicurare le prove del reato o si sia efficacemente adoperato per evitare che l’attività delittuosa fosse portata a conseguenze ulteriori o abbia recuperato o fatto recuperare i beni culturali oggetto del delitto. Viene qui inserita ad ampio spettro premiale ma senza alcun “privilegio” 309 l’attenuante ad effetto speciale delravvedimento operoso e della collaborazione post delictum, coniata ab origine per i reati di criminalità organizzata e vieppiù estesa nella legislazione penale degli ultimi lustri, per ritenuta contiguità criminologica, a svariati settori. In proposito, la sedimentata giurisprudenza di legittimità richiede uno specifico accertamento giudiziale, caso per caso, in ordine all’utilità ed alla proficuità delle dichiarazioni collaborative, prescindendo dalla qualità degli elementi probatori già emersi e dalla spontaneità da parte del collaborante della revisione critica del proprio operato (ex multis Sez. 1, n. 48646 del 19/6/2015, Marti e altro Rv. 265851-01) con una valutazione giudiziale insuscettibile di censura in sede di legittimità, ove supportata da motivazione logica ed esaustiva (così, ad es., sull’attenuante dell’art. 73, comma settimo, del d.P.R. n. 309 del 1990, Sez. 4, n. 3946 del 19/1/2021, Hamri, Rv. 280385-01; conf. Id., n. 7956 del 2015, P.G. in proc. Vitali, Rv. 262438-01; Id., n. 3853 del 16/2/1996, Maccaferri, Rv. 205189-01), esigendosi una concreta e fattiva attività di collaborazione, volta ad evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori e a coadiuvare gli organi inquirenti nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e la cattura degli autori dei delitti, non essendo sufficiente un mero atteggiamento di resipiscenza, la confessione delle proprie responsabilità o la descrizione di circostanze di secondaria importanza (così, rispetto all’attenuante già prevista dall’art. 8 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991, n. 203, da ultimo Sez. 1, n. 52513 del 14/6/2018, L., Rv. 274190-01; conf. Sez. 6, n. 36570 del 26/6/2012, Russo e altri, Rv. 253393-01).

Rispetto all’ipotesi attenuante finora offerta dall’art. 177 cod. beni cult., contestualmente abrogato dall’art. 5, comma 2, lett. b), della stessa legge n. 22 del 2022, e prima ancora già prevista dall’art. 126 d.lgs. n. 490 del 1999, muta, in senso ampliativo, la natura ed il contenuto della previsione circostanziale, non più centrata in sostanziale sovrapposizione all’art. 62, n. 6, cod. pen. sulla prospettiva del recupero dei beni 310: mentre, infatti, l’art. 177 cit. circoscriveva la riduzione della pena (anche in quel caso da uno a due terzi) qualora il colpevole avesse fornito una collaborazione decisiva o comunque di notevole rilevanza per il recupero dei beni illecitamente sottratti o trasferiti all’estero, “l’odierno contributo collaborativo diviene rilevante anche quando non abbia consentito quello che, impregiudicate le condanne dei correi, dovrebbe essere il primo obiettivo di una legislazione in tema di beni culturali: ossia la reintegrazione dello status quo311.

Come le circostanze aggravanti, anche per quelle attenuanti il legislatore del 2022 non ha annesso alcuna “blindatura”, sicché sono ordinariamente “bilanciabili” (art. 69 cod. pen.).

2.17 Confisca (art. 518- duodevicies cod. pen.).

Oltre alle modifiche di parte generale in tema di confisca “allargata” (v.retro § 2.1), il legislatore del 2022 all’art. 518-duodevicies cod. pen. detta un’articolata disciplina generale in tema di confisca obbligatoria e per equivalente.

Il comma primo, generalizzando l’ipotesi confiscatoria già contenuta nell’abrogato art. 174, comma 3, cod. beni cult., prevede che il giudice disponga «in ogni caso la confisca delle cose indicate all’ art. 518-undecies cod. pen.» - ossia dei « beni culturali, cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturali » (v. retro § 2.11) - che hanno costituito l’oggetto del reato, «salvo che queste appartengano a persona estranea al reato» (cfr. già Corte cost. n. 2 del 1987; Id., n. 1 del 1997) 312.

Da notare, anzitutto, in punto di tecnica legislativa, che il riferimento all’art. 518-undecies è stato operato per così dire “ quoad res”, ossia al (solo) fine di individuare l’oggetto su cui ricade la misura ablatoria, quindi non va inteso nel sensoriduttivo come se la confisca fosse da limitarsi “all’ipotesi incriminatrice dell’art. 518 -undecies, essendo invece applicabile a tutti i delitti del Titolo VIII-bis313 .

In secondo luogo, non è richiesta a questi fini di ablazione dell’oggetto del reato, per espressa dizione legislativa (che riproduce l’art. 174, comma 3, cod. beni cult.),una sentenza di condanna o di applicazione pena - titoli richiesti invece agli effetti confiscatori del comma 2 dell’art. 518-duodevicies (v. postea) - donde la sua applicabilità anche nei casi in cui l’autore del fatto non sia punibile o il reato sia estinto (come confermato dal successivo periodo) e, in generale, in tutti i casi in cui “il giudizio penale si sia definito con sentenza di proscioglimento per cause che non riguardino la materialità del fatto e non siano tali da interrompere il rapporto fra la res quae necesse auferre ed il delitto commesso” (così, sull’abrogato art. 174, comma 3, cod. beni cult., Sez. 3, n. 22 del 30/11/2018, dep. 2019, Clark, cit., in motiv.; Id., n. 49438 del 4/11/2009, P.G. in proc. Zerbone, Rv. 245862-01). Ciò in coerenza con natura essenzialmente “recuperatoria di carattere amministrativo” (e non penale) di questa ipotesi di confisca, già valorizzata dalla pregressa giurisprudenza (cfr., sempre sull’art. 174, comma 3, cit., Sez. 3, n. 42458 del 10/6/2015, Almagià, Rv. 265046-01 314; conf. Id., n. 19692 del 21/3/2018, Gour, Rv. 272870-01; Id., n. 22 del 30/11/2018, dep. 2019, Clark, cit., in motiv. 315) ed oggi senz’altro da ribadire, siccome ricollegata alla (tendenziale) titolarità pubblica del bene culturale che, per l’appunto, giustifica il suo recupero al patrimonio dello Stato a prescindere dall’esistenza di una statuizione condannatoria. Il problema si pone, semmai, rispetto ai beni culturali di proprietà privata, che ben possono essere oggetto di uno dei reati del Titolo VIII-bis: in questo caso, non sembra potersi parlare di natura “propriamente” restitutoria della confisca, giacché è innegabile la componenteafflittiva, seppure declinata in modo peculiare 316.

Al secondo periodo del comma primo dell’art. 518- duodevicies cod. pen., con un’evidente “incursione” nella disciplina processuale, si stabilisce che « [i]n caso di estinzione del reato, il giudice procede a norma dell’articolo 666 del codice di procedura penale », quindi nelle forme dell’incidente di esecuzione. Detta previsione, stante il disposto generale di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., deve ritenersi rientrante tra quelle previste da « altre ipotesi di legge» per le quali è possibile procedere all’ablazione della res, nel caso il reato sia dichiarato prescritto, solo a seguito di avvenuto accertamento incidentale della responsabilità dell’imputato, operato in sede di appello o di legittimità, il quale costituisca conferma di una condanna emessa nel grado di giudizio precedente (v. da ultimo, in materia di confisca urbanistica, Sez. U, n. 13539 del 30/4/2020, Perroni, Rv. 278870-01 317). In forza di essa, si dovrebbe poter superare quell’indirizzo giurisprudenziale in base al quale, non essendo il bene culturale una res intrinsecamente criminosa, come tale da confiscarsi obbligatoriamente ex art. 240, comma secondo, n. 2, cod. pen., ma semplicemente soggetto ad un particolare regime autorizzatorio, in caso di prescrizione del reato lo stesso va dissequestrato e restituito all’avente diritto (cfr. ad es. Sez. 2, n. 7885 del 1/2/1995, dep. 1996, Iurlo, Rv. 205605-01 318; conf. Id., n. 10586 del 7/4/2009, Crescenzi, Rv. 244157-01; Id., n. 35065 del 24/4/2009, Rv. 244946-01), da individuarsi secondo la normativa civilistica e alle disposizioni speciali (Sez. 3, n. 13984 del 9/11/1999, P.M. in proc. Zaccherini e altro, Rv. 215052-01) 319.

Infine, riproponendosi pedissequamente la formula del previgente art. 174, comma 3, cit., l’ultimo periodo del comma primo in esame specifica che « [l]a confisca ha luogo in conformità alle norme della legge doganale relative alle cose oggetto di contrabbando » (cfr. già Sez. 2, n. 1253 del 28/2/1995, Vallorali, Rv. 201589-01).

Al comma secondo dell’art. 518-duodevicies si prevede la confisca obbligatoria, in questo caso solo in caso di condanna o di patteggiamento per uno dei delitti previsti dal nuovo Titolo VIII-bis, « delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto , il profitto o il prezzo , salvo che appartengano a persone estranee al reato » (sulla nozione di prodotto del reato, che rappresenta il risultato empirico, cioè le cose create, trasformate, adulterate o acquisite mediante il reato, v. ad es. Sez. F, n. 44315 del 12/9/2013, Cicero e altri, Rv. 258636-01; conf. Sez. U, n. 9149 del 3/7/1996, Chabni, Rv. 205708-01 320; sulla nozione di profitto del reato, da identificarsi col vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito, v. per tutte, Sez. U, n. 31617 del 26/6/2015, Lucci, Rv. 264436-01 321; sulla nozione di prezzo del reato, che equivale al compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un soggetto a commettere il reato v., da ultimo, Sez. 1, n. 5221 del 14/10/2020, dep. 2021, Golino, Rv. 280737-02). La disposizione è attuativa degli obblighi internazionali assunti dal nostro Paese con la ratificata Convenzione di Nicosia in tema di sanzioni (art. 14, par. 3322: v. retro § 1.1).

Giova rilevare, agli effetti sia del comma primo che del comma secondo, come nella giurisprudenza di legittimità la valutazione di non estraneità al reato venga intesa in senso piuttosto restrittivo, non essendo considerato tale, oltre naturalmente al concorrente nel reato (art. 110 cod. pen.), il connivente e chiunque abbia tratto un qualsiasi vantaggio rimanendo comunque in rapporto con la res, riducendosi quindi il campo dell’applicazione dell’eccezione, in sostanza, al solo terzo acquirente dibuona fede 323 (cfr. ad es. Sez. 3, n. 19692 del 21/3/2018, Gour, Rv. 272870-01; Id., n. 42458 del 10/6/2015, cit.; Id., n. 49438 del 4/11/2009, P.G. in proc. Zerbone, cit.; funditus, con riferimento al famoso caso dell’Atleta Vittorioso di Lisippo, statua greca attualmente parte della collezione del Getty Museum di Los Angeles a seguito di illegale esportazione, v. Sez. 3, n. 22 del 30/11/2018, dep. 2019, cit., non mass. sul punto 324, ove la Corte ha ulteriormente precisato che non è estraneo chi, attraverso il suo comportamento, anche solo colposo o colpevolmente negligente, abbia dato causa al fatto costituente illecito penale o comunque abbia tratto consapevole giovamento, da intendersi in qualsivoglia condizione di favore che sia derivata al soggetto dalla sua non estraneità al fatto astrattamente costituente reato 325).

Il successivo comma terzo dell’art. 518- duodevicies cod. pen. consente, nei casi in cui non sia possibile procedere alla confisca diretta del prodotto, del prezzo o del profitto del reato ai sensi del comma secondo, la confiscaper equivalente” (o cd. “di valore”) del denaro, dei beni e delle altre utilità delle quali il responsabile abbia la disponibilità anche per interposta persona, per un valore corrispondente al prodotto o al profitto del reato. A prima lettura 326, si è riconosciuto un buon effetto preventivo-deterrente a tale misura ablatoria che, non supponendo un rapporto di pertinenzialità tra il reato e i beni confiscati, non può propriamente considerarsi una misura di sicurezza (come tale soggetta solo al solo principio di legalità) ma assume natura sanzionatoria, con conseguente predicato divieto ex art. 25, comma secondo, Cost. di applicazione retroattiva 327 (nel senso, però, della natura solo “parzialmente sanzionatoria” della confisca per equivalente, “in quanto connotata piuttosto da una funzione ripristinatoria diretta al riallineamento degli squilibri patrimoniali generati dall’illecito, sicché non implica la sua attrazione nell’area della sanzione penale in senso stretto v., con riferimento all’art. 578- bis cod. proc. pen., Sez. 2, n. 19645 del 2/4/2021, Consentino, Rv. 281421-01; conf. Sez. 6, n. 14041 del 9/1/2020, Malvaso, Rv. 279262-01 328, secondo cui tale forma di ablazione, pur avendo un prevalente carattere afflittivo e sanzionatorio, persegue anche l’esigenza di privare l’autore del reato di un valore equivalente a quanto illecitamente conseguito dalla commissione del reato, sicché non presuppone necessariamente una pronuncia di condanna).

Infine, il comma quarto dell’art. 518-duodevicies cod. pen. detta una disciplina operativa che consente di utilizzare le navi, le imbarcazioni, i natanti e gli aeromobili, le autovetture e i motocicli sequestrati nel corso di operazioni di polizia giudiziaria a tutela dei beni culturali in ulteriori attività strumentali alla loro protezione: si prevede che tali mezzi siano affidati dall’autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi di polizia che ne facciano richiesta per l’impiego in attività di tutela dei medesimi.

2.18 Fatto commesso all’estero (art. 518- undevicies cod. pen.)

A chiusura delle norme ricomprese nel Titolo VIII-bis, l’art. 518-undevicies cod. pen. ne estende il campo di applicazione anche ai fatti «commessi all’estero in danno del patrimonio culturale nazionale».

La previsione recepisce una risalente suggestione dottrinaria che aveva auspicato de iure condendo, in ragione del “valore universale dei beni culturali”, l’abbandono, in subiecta materia, del principio nazionalistico di “territorialità” in favore di quello di “universalità” 329.

Rispetto ai limiti generali stabiliti per l’applicazione della legge penale italiana dagli artt. 9 e 10 cod. pen., l’odierna previsione derogatoria è assai ampia non distinguendosi, ai dichiarati effetti “universalistici”, tra fatto commesso dal cittadino italiano ( principio di personalità) e fatto commesso all’estero dal cittadino straniero presente in territorio italiano ( principio di universalità temperato); a fini sostanziali, quindi, non è richiesta la condizione di procedibilità della presenza dell’autore del fatto nel territorio italiano.

Per effetto della novella disposizione, il rinvio contenuto nell’art. 7, n. 5, cod. pen., in tema di reati commessi all’estero, ad « ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge stabiliscono l’applicabilità della legge italiana » trova qui ulteriore attuazione di parte speciale, la cui ratio empirico-criminologica è da rinvenire nel caratterenaturaliter transnazionale dei crimini contro ilcultural heritage (v. retro § 1) 330.

Trattasi di norma ampliativa della giurisdizione italiana anche rispetto alle previsioni dell’art. 12 della Convenzione di Nicosia 331 e va coordinata processualmente, ai fini dell’individuazione del giudice (e del p.m.) competente per territorio, con l’art. 10 cod. proc. pen. 332.

A livello investigativo-procedurale, la previsione estensiva della punibilità per fatti commessi in territorio estero suppone l’attivazione di efficaci strumenti di cooperazione investigativa e giudiziaria: aspetto sul quale la Convenzione di Nicosia non ha previsto una disciplina di dettaglio, affidandosi (art. 19) essenzialmente al reticolo di trattati in materia formatosi nei decenni intercorsi dall’adozione della precedente Convenzione di Delfi del 1985 333. In ambito europeo, la progressiva estensione delle competenze di Eurojust ed EUROPOL 334 al traffico illecito di beni culturali potrà offrire una concreta operatività alla clausola in esame, in uno con l’attivazione, da parte delle competenti procure, degli Ordini Europei di Indagine penale (OEU -), di cui al d.lgs. n. 108 del 2017 335) ai fini della raccolta “transnazionale” delle prove nello spazio giudiziario unionale 336.

Quanto ai possibili conflitti di giurisdizione che in forza dell’odierna clausola potrebbero insorgere in ragione del contemporaneo svolgimento, in Stati diversi, di procedimenti penali aventi il medesimo oggetto, va ricordato che alcuni organismi sovranazionali, quali l’OCSE e l’Unione europea si sono variamente occupati del fenomeno forgiando strumenti – ritenuti in dottrina più o meno funzionali 337 – per prevenire e ricomporre eventuali sovrapposizioni delle pretese punitive statali 338.

2.19 Possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno e di apparecchiature per la rilevazione dei metalli (art. 707- bis cod. pen.)

All’interno del Libro III del Codice penale, dopo l’art. 707, l’art. 1, lett. b), della legge n. 22 del 2022 ha infine introdotto l’inedito art. 707-bis recante la nuova contravvenzione di « possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli », punita con la pena (congiunta) dell’arresto fino a due anni e dell’ammenda da 500 a 2.000 euro.

Il fatto incriminato riguarda chiunque sia «colto in possesso» dei suddetti apparati dei quali «non giustifichi l’attuale destinazione, all’interno di aree e parchi archeologici» (v. art. 101, comma 2, cod. beni cult.), «di zone di interesse archeologico» (art. 142, comma 1, lett. m, cod. beni cult.) « se delimitate con apposito atto dell’amministrazione competente, o di aree in cui siano in corso lavori sottoposti alle procedure di verifica preventiva dell’interesse archeologico » (art. 28, comma 4, cod. beni cult. e 25 cod. contratti pubblici).

La nuova contravvenzione – che costituisce “un’ipotesi marginale ma che dà il senso dell’approfondimento dell’intervento legislativo” 339, denotando la volontà del legislatore di apprestare una tutelaanticipata dei beni culturali 340 – integra una sorta di “barriera preventiva” rispetto agli scavi clandestini, introducendo uno specifico reato di sospetto e dipossesso341, accostabile, in ragione della natura di pericolo astratto, alla fattispecie contravvenzionale di ricerche archeologiche abusive dell’art. 175 cod. beni cult. (realizzabile indipendentemente dal rinvenimento degli oggetti, in quanto la rilevanza penale della condotta deriva dall’assenza di permesso per la ricerca: così Sez. 3, n. 9927 del 7/5/2015, Sarullo, Rv. 266764-01; conf. Id., n. 44967 del 26/10/2007, Liberatore e altri, Rv. 238276-01), della quale l’art. 707-bis cod. pen. costituisce un’anticipazione (ulteriore) di tutela 342. Secondo i primi commentatori, la presenza di questa contravvenzione di pericolo (unitamente all’altra fattispecie di pericolo, stavolta delittuosa, di cui all’art. 518-novies cod. pen.: v. retro § 2.9) dimostra che la linea di demarcazione dell’odierna riforma dello statuto penale dei beni culturali basata sulla tipologia di offesa – tra codice dei beni culturali, con i reati di pericolo astratto (che sono stati mantenuti), e codice penale, con i reati di danno – non è stata rigorosamente rispettata 343.

Quanto al profilo contenutistico del novello art. 707-bis, la peculiarità, e relativa rarità, degli strumenti in questione e la circoscrizione della rilevanza della condotta di possesso ai casi in cui il soggetto sia colto in aree dotate di precisa connotazione e chiaramente individuabili, unitamente alla giustificabilità del possesso stesso – secondo una prima lettura “giustificazionista” 344 – “indicano una fattispecie imperniata non sulla detenzione in sé, bensì anche su uno specifico quomodo del possesso ‘sospetto’ 345, atto a connotarlo in termini di pericolosità oggettiva e qualificata e sembrano quindi deporre in favore di una compatibilità della fattispecie, in questo specifico caso, coi principi costituzionali”.

L’oggetto materiale su cui ricade la condotta incriminata è costituito dai cd. metal detectors: apparecchi sofisticati per il rilevamento dei metalli nel sottosuolo, non sempre utilizzati con spirito hobbistico, che costituiscono il principale strumento di lavoro dei cd. “tombaroli” 346. Il loro impiego – allo stato non disciplinato da alcuna normativa amministrativa 347 e che viene oggi direttamente vietato, alle tipizzate condizioni, dalla legge penale – “provoca danni, anche involontari, in primo luogo perché essi non possono selezionare con precisione l’oggetto della ricerca e pertanto segnalano spesso la presenza di oggetti in metallo insignificanti, e poi perché vengono utilizzati nei pressi e all’interno di strutture, in ceramica o pietra, che nel corso della ricerca possono subire danni irreparabili” 348.

Ai fini dell’elemento soggettivo, trattandosi di contravvenzione sarebbe punibile indifferentemente per dolo o per colpa (art. 42, comma 2, cod. pen.), anche se la struttura del fatto tipico sembra riflettere una natura ontologicamente dolosa.

Passando agli istituti processuali, trattandosi di contravvenzione, è procedibile d’ufficio (art. 50 cod. proc. pen.).

Non è possibile accedere all’oblazione (artt. 162 e 162-bis cod. pen.), data la prevista pena congiunta.

Il reato è di competenza del Tribunale monocratico (art. 33-ter, comma 2, cod. proc. pen.), su citazione diretta del pubblico ministero (art. 550, comma 1, cod. proc. pen.).

3. Modifica all’art. 9, comma 1, della legge n. 146 del 2006 in materia di operazioni sotto copertura (art. 2 legge n. 22 del 2022) .

L’art. 2 della legge n. 22 del 2022 modifica in senso estensivo lacausa di non punibilità di cui all’ art. 9, comma 1, della legge n. 146 del 2006 inserendo, alla nuova lett. b-bis), il riferimento ai novelli artt. 518- sexies e 518-septies cod. pen. (v. retro §§ 2.5 e 2.6), sicché d’ora in poi saranno consentite operazioni “sotto copertura” «al solo fine di acquisire elementi di prova» anche in relazione ai novelli delitti di riciclaggio e di autoriciclaggio di beni culturali agli ufficiali di polizia giudiziaria degli organismi specializzati nel settore dei beni culturali, anche avvalendosi di agenti, ausiliari o per interposta persona (comma 5), con prevista facoltà di omissione o ritardo nel compimento di atti di propria competenza dandone immediato avviso al p.m. (comma 6, su cui v. Sez. 6, n. 25508 del 22/5/2017, P.M. in proc. Garcia, Rv. 270940-01), ferma restando l’illiceità delle operazioni che si concretizzino in un incitamento o in un’induzione al crimine del soggetto indagato (così Sez. 6, n. 12204 del 4/2/2020, Giannone, Rv. 278730-01, secondo cui è inutilizzabile la prova acquisita dall’agente infiltrato che abbia determinato l’indagato alla commissione di un reato e non quella acquisita con l’azione di mero disvelamento di una risoluzione delittuosa già esistente, rispetto alla quale l’attività dell’infiltrato si presenti solo come occasione di estrinsecazione del reato; conf. Sez. 6, n. 51678 del 30/10/2014, Ursino, Rv. 261449-01).

4. Modifica al d.lgs. n. 231 del 2001 in materia di responsabilità delle persone giuridiche (art. 3 legge n. 22 del 2022).

In attuazione degli artt. 13 e 14, par. 2, della Convenzione di Nicosia (v. retro § 1.1), l’art. 3 della legge n. 22 del 2022 modifica in senso estensivo il d.lgs. n. 231 del 2001 prevedendo la responsabilità amministrativa degli enti in relazione ai novelli delitti contro il patrimonio culturale. Trattasi, all’evidenza, di intervento in malam partem, applicabile irretroattivamente (artt. 25, comma secondo, Cost. e 7 CEDU; 2 d.lgs. n. 231 del 2001) ai fatti-reato commessi dalle persone giuridiche a partire dal 23 marzo 2022.

La riforma investe varie categorie di soggetti collettivi che si muovono nel complesso scenario della gestione e circolazione dei beni culturali 349, con compiti di responsabilità diffusa anche nella salvaguardia del patrimonio culturale 350, quali esemplificativamente: gli enti museali, le case d’asta, le fondazioni, le associazioni, le società partecipate e tutte le istituzioni private in genere, anche se prive di finalità lucrative, costituite in forma societaria o associativa, coinvolte a vario titolo nel settore dei beni culturali 351.

L’art. 3 in commento integra il catalogo dei reati-presupposto mediante l’inserimento nella (sempre più corposa) “parte speciale” del “micro-sistema” sulla 231 dei seguenti articoli, ciascuno dei quali raggruppa due insiemi di illeciti-presupposto:

- l’art. 25-septiesdecies ( Delitti contro il patrimonio culturale), per i quali il legislatore ha diversificato, nei commi 1, 2, 3 e 4, la comminatoria delle pene pecuniarie, come sopra specificate nel corso della disamina articolo per articolo delle novelle incriminazioni costituenti reato-presupposto (v. retro § 2); al comma 5 prevede altresì che, nel caso di condanna, l’applicazione per la durata non superiore a due anni delle sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, del d.lgs. n. 231 del 2001, ossia:

a) l’interdizione dall’esercizio dell’attività;

b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;

d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;

e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Il successivo art. 25- duodevicies ( Riciclaggio di beni culturali e devastazione e saccheggio di beni culturali) , prevede in relazione a questi due delitti (artt. 518-sexies e 518-terdecies cod. pen.) – e non anche in relazione al delitto di autoriciclaggio di beni culturali, che non è stato quivi inserito nonostante l’affinità offensiva – l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 1.000 quote. Nel caso in cui l’ente, o una sua unità organizzativa, venga stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di tali delitti, si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività. Da rilevare che per questi due reati-presupposto, ritenuti più gravi rispetto a quelli elencati nel precedente art. 25- septiesdecies, il legislatore ha previsto la (sola) sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività, da applicare quando l’ente sia utilizzato allo scopo prevalente di commettere tali delitti 352; laddove non ricorra questa ipotesi, non sono contemplate le altre sanzioni interdittive meno afflittive, a differenza di quanto previsto per i reati presupposto contro il patrimonio culturale di cui al precedente art. 25- septiesdecies.

L’armamentario sanzionatorio apprestato dal novellatore sul versante delle persone giuridiche – già proposto in passato dalla dottrina in prospettivade lege ferenda 353 – è ritenuto in grado di svolgere “un’efficace azione preventiva e reintegrativa” 354 e un “traguardo significativo” nel rilievo che, non di rado, le attività di import-export illecito di beni culturali si svolgono nell’ambito di compagini societarie lecite (si pensi alle case d’asta) ovvero destinate principalmente al traffico illecito, magari mascherate con attività di copertura di vario genere 355.

A prima lettura si è osservato che “il nuovo catalogo di illeciti amministrativi sembra poter avere una solida base di prevenzione in procedure fondate sul rispetto del codice dei beni culturali. Presentano invece possibili criticità la ricettazione e riciclaggio di beni culturali, visto che possono derivare da un ampio elenco di delitti. C’è da chiedersi fino a che punto debba spingersi nei controlli sull’origine del bene l’ente che voglia acquistarlo, anche solo per collezionismo (si pensi alle fondazioni culturali). Per evitare di estendere in modo sproporzionato le responsabilità, appare ragionevole pensare che la condotta esigibile sia solo la verifica del rispetto delle norme del Codice dei beni culturali in ordine alla provenienza e all’alienabilità del bene, e non anche l’accertamento della liceità delle somme con cui è stato acquistato dalla controparte. Un accertamento di fatto impossibile, soprattutto nell’ambito del commercio internazionale” 356.

Ai fini del meccanismo della compliance, i modelli di organizzazione, gestione e controllo (art. 6 del d.lgs. n. 231 del 2001) andranno all’uopo implementati da parte delle istituzioni museali, case d’asta e di tutti gli enti interessati favorendo l’adozione di modelli idonei ad agevolare le attività di reporting357 ed a favorire gli obblighi di collaborazione che le societas potrebbero attuare, ispirandosi alle Linee Guida delle Nazioni Unite per la prevenzione e repressione del traffico di beni culturali del 2014 358 ed alle misure pre-penali di cui alla Convenzione di Nicosia, ad esempio: nel tracciamento dell’origine degli oggetti d’arte e della catena proprietaria; nella registrazione (e nel regolare aggiornamento), presso archivi elettronici istituiti (od implementati) appositamente, di tutti i dati relativi ai beni culturali di cui sono in possesso 359; nell’introduzione, ove non già presenti, di sistemi (auspicabilmente informatici, per migliorare la tracciabilità) di licenze di esportazione e importazione per i beni culturali; nell’adozione di registri (ancora una volta, auspicabilmente elettronici) delle transazioni commerciali riguardanti opere d’arte e di antiquariato, laddove non già previsti; nel monitoraggio delle compravendite di questi beni su Internet, possibilmente con il coinvolgimento e la responsabilizzazione dei gestori delle piattaforme potenzialmente utilizzate a questo fine; nella segnalazione presso le autorità competenti di attività sospette 360. “Attraverso siffatte pratiche, si avrebbe maggior contezza circa l’esatta entità del patrimonio culturale, la collocazione dei beni artistici e il loro valore: condizioni le quali, se effettive, renderebbero meno agevole l’agire criminoso in questo ambito 361.

In generale, occorre rammentare che la giurisprudenza di legittimità è nel senso che incombe sul soggetto collettivo l’onere, con effetti liberatori, della dimostrazione della loro previa adozione ed efficace attuazione, prima della commissione del reato (così Sez. U, n. 38343 del 24/4/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261112-01 362) e dell’istituzione di un organismo di vigilanza provvisto di autonomi ed effettivi poteri di controllo che risulti sottoposto alle dirette dipendenze del soggetto controllato (derivandone, altrimenti, l’inidoneità a fini esimenti del m.o.g. secondo Sez. 2, n. 52316 del 27/9/2016, Riva e altri, Rv. 268964-01), mentre compete al giudice di merito, investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l’esistenza, prima della commissione del fatto, di un modello organizzativo e la sua efficace attuazione o meno nell’ottica prevenzionale (Sez. 4, n. 43656 del 24/9/2019, Compagnia Progetti e costruzioni srl, Rv. 277358-01 363), fermo restando il principio che l’eventuale mancanza del modello, di per sé, non può implicare un automatico addebito di responsabilità, per la cui sussistenza il p.m. deve fornire positiva dimostrazione della sussistenza di una “colpa di organizzazione” dell’ente (così, da ultimo, Sez. 4, n. 18413 del 18/2/2022, Cartotecnica grafica vicentina s.r.l., non mass.).

5. Modifica alla legge n. 394 del 1991 in materia di aree protette (art. 4 legge n. 22 del 2022)

In tema di aree protette l’art. 4 della legge n. 22 del 2022 modifica il comma 3 dell’art. 30 della legge 6 dicembre 1991, n. 394: norma in forza della quale – nella formulazione antecedente all’odierno intervento – in caso di violazioni costituenti ipotesi di reato perseguiti ai sensi degli artt. 733 e 734 cod. pen., il giudice o, in caso di flagranza, gli addetti alla sorveglianza dell’area, per evitare l’aggravamento o la continuazione del reato, possono disporre il sequestro di quanto adoperato per commettere gli illeciti.

Come emerge[va] dalla littera legis, la norma oggi interpolata prende[va] in considerazione le ipotesi in cui condotte poste in essere in violazione delle disposizioni contenute nella stessa legge n. 394 del 1991 fossero idonee a configurare anche le contravvenzioni codicistiche espressamente richiamate, che sanzionano, rispettivamente, il danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale e la distruzione o il deturpamento di bellezze naturali. Tale esplicito richiamo – è stato osservato nell’unico precedente di legittimità in subiecta materia – “costituisce evidente conferma della possibilità del concorso tra i reati sanzionati dalla legge quadro e le due contravvenzioni contenute nel codice penale, ma, nel disciplinare i poteri di natura cautelare, non ne limita affatto l’esercizio a queste sole ipotesi, nel senso che non preclude[va] in nessun caso la possibilità di procede al sequestro preventivo. (Sez. 3, n. 28736 del 27/4/2018, Faenza, Rv. 273306-01, in motiv.). La previsione era stata definita “ultronea”, dal momento che l’art. 321 cod. proc. pen. già prevede la possibilità del sequestro preventivo, e al tempo stesso “mal coordinata”, in quanto il termine «giudice» è indicato in maniera impropria, non avendo il legislatore storico considerato che prima dell’entrata in vigore della legge n. 394 del 1991 (28/12/1991) l’art. 321 cod. proc. pen. era stato modificato dal d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12 (entrato in vigore il 15/2/1991), il quale, con l’art. 15, comma 1, lett. a) e b), aveva modificato il comma 3 dell’art. 321 cod. proc. pen. e introdotto, nel medesimo articolo, il comma 3-bis, prevedendo quindi la possibilità, per il pubblico ministero e la polizia giudiziaria, di procedere al sequestro preventivo (così Sez. 3, n. 28736 del 27/4/2018, Faenza, cit., in motiv.).

La novella in commento, oltre a sostituire il riferimento agli artt. 733 e 734 cod. pen. con il richiamo ai nuovi reati di cui alTitolo VIII-bis e al reato di cui all’art. 733- bis cod. pen., adeguando quindi la previsione al nuovo assetto codicistico in tema di tutela penale dei beni culturali, sopprime la suddetta (pleonastica) precisazione relativa alla possibilità per il giudice di disporre il sequestro.

Per il resto lascia, infine, opportunamente invariata la previsione – l’unica che finora manteneva una propria operatività (così, ancora, Sez. 3, n. 28736 del 27/4/2018, Faenza, cit., in motiv.) – che, in caso di violazione costituente reato, estende la possibilità di disporre il sequestro agli addetti alla vigilanza dell’area protetta (nel caso in cui costoro non rivestano la qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria).

6. Abrogazioni.

Delle abrogazioni delle fattispecie delittuose (di danno) già contenute nel codice di settore, siccome contestualmente inserite nel nuovo Titolo VIII- bis in ossequio al principio della riserva di codice, si è detto nel corso della trattazione.

Restano ferme, nel quadro sanzionatorio del codice dei beni culturali, lecontravvenzioni previste dagli artt. 169 (Opere illecite), 171 ( Collocazione e rimozione illecita di culturali), 172 ( Inosservanza delle prescrizioni di tutela indiretta 364 ), 175 (violazioni in materia di ricerche archeologiche), nonché la norma di chiusura dell’art. 180 cod. beni cult. (Inosservanza dei provvedimenti amministrativi) che sanziona, attraverso un rinvio quoad poenam all’art. 650 cod. pen., l’inosservanza degli ordini impartiti dall’autorità preposta alla tutela dei beni culturali in conformità del titolo II della parte IV del cod. beni cult.

Il redattore: Aldo Natalini

Il Vice Direttore Il Direttore

Gastone Andreazza Maria Acierno

Allegati

  1. Estratto G.U. n. 68/2022: legge 9 marzo 2022, n. 22

  2. Estratto G.U. n. 31/2022: legge 21 gennaio 2022, n. 6

1 In all. 1 alla presente relazione.

2 Per un primo commento, v. G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale nel codice penale: prime riflessioni sul nuovo Titolo VIII-bis , in Sistema penale <www.sistemapenale.it>, 29/4/2022; in termini sostanzialmente identici, sulla corrispondente proposta di legge A.C. n. 893-A.S. n. 882, Id., La riforma dei reati contro il patrimonio culturale: per un sistema progressivo di tutela , ibidem, 2/2/2022; G. De Marzo, La nuova disciplina in materia di reati contro il patrimonio culturale , in Foro italiano, 2022, n. 4, coll. 125 ss.; C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali. Sul persistere miope di una politica criminale ricondotta alla deterrenza punitiva , in Archivio penale online, 2022, n. 1; A. Natalini, Riforma ipertrofica e casistica, senza una norma definitoria, in Guida al dir., 2022, n. 13, pagg. 27 ss.; Id., Dal furto di reperti al saccheggio: innesti «ortopedici» poco chiari , ibid., pagg. 32 ss.; Id., Fino a sei anni di carcere e confische contro i guasti degli scavi clandestini , ibid., pagg. 34 ss.; Id.,Per i beni importati dall’estero colmato un vuoto normativo,ibid., pagg. 39 ss.; Id.,Attrezzature da «tombaroli», il semplice possesso è reato, ibid., pagg. 43 ss.; Id., Scatta l’operazione sotto copertura per scoprire il «nuovo» riciclaggio , ibid., pagg. 45. Per un’analisi del progetto di riforma dei reati contro il patrimonio culturale condotta sulla corrispondente proposta di legge A.C. n. 293-A.S. n. 882, prima dell’approvazione definitiva in legge n. 22 del 2022, cfr. L. D’Agostino, Dalla “vittoria di Nicosia” alla “navetta” legislativa: i nuovi orizzonti normativi nel contrasto ai traffici illeciti di beni culturali, in Diritto penale contemporaneo – Rivista trimestrale, 2018, n. 1, pagg. 85 ss.; A. Visconti, La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano. Rapporti con le fonti internazionali, problematiche applicative e prospettive di riforma , in Legislazione penale < www.lalegislazionepenale.eu>, 19/12/2021, pagg. 12 ss.; R.E. Omodei, Il traffico di beni culturali: un caso studio delle distorsioni e dei limiti nel contrasto ai traffici illeciti , in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2021, n. 3, pagg. 1010 ss.

3 L’iniziale proposta di legge A.C. n. 893, presentata nella corrente legislatura il 9 luglio 2018 alla Camera dei deputati, d’iniziativa dei deputati Orlando e Franceschini (cfr. XVIII Legislatura, Camera dei deputati, atto n. 893) approvata definitivamente con la legge n. 22 del 2022 qui in commento, riproduce l’identico testo del disegno di legge A.S. n. 2864, recante « Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale », presentato nella scorsa legislatura dagli allora ministri Orlando e Franceschini, approvato il 22 giugno 2017 solo in prima lettura dalla Camera la quale, dopo lo svolgimento di un’indagine conoscitiva, aveva trasformato in una serie di novelle al codice penale l’iniziale disegno di legge delega del Governo Gentiloni (v. A.C. n. 4220), recante « Delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria in materia di reati contro il patrimonio culturale » (n. 646) (cfr. XVII legislatura, Senato della Repubblica, atti nn. 2864, 514, 646, 1046 e 2632-A). Tale proposta di legge delega recuperava, a sua volta, in larga parte, il testo unificato proposto durante la XVI legislatura, il 18 aprile 2012, nella II Commissione Giustizia del Senato della Repubblica dai relatori senatori Casson e Allegrini (pur con profili relativi ai reati ambientali, qui espunti) sulla base del disegno di legge A.S. n. 3016, approvato dal Consiglio dei ministri il 22 settembre 2011, e del disegno di legge presentato dal senatore Rutelli A.S. n. 962. Il citato disegno di legge del Governo A.S. n. 3016 riprendeva, a sua volta un precedente disegno di legge d’iniziativa governativa della XV legislatura (A.C. n. 2806), presentato nel giugno 2007, sottoposto all’esame della Commissione giustizia in sede referente e il cui iter si era anche in quel caso interrotto a seguito della fine della legislatura.

4 «[…] Queste norme ci pongono all’avanguardia nella tutela dei beni culturali ed artistici, sia sul fronte della normativa interna che nell’adeguamento a quanto previsto dalle convenzioni internazionali, specificamente dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sui reati relativi ai beni culturali, adottata a Nicosia il 19 maggio 2017»: così la relazione illustrativa della corrispondente proposta di legge A.C. n. 893 (in XVIII Legislatura, Camera dei deputati, atto n. 893, pag. 1).

5 Cfr. già F. Mantovani,Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1976, pagg. 55 ss.; S. Moccia,Riflessioni sulla tutela penale dei beni culturali, ivi, 1993, pagg. 1302 ss.; Azon, Il regime dei beni culturali nell’ordinamento vigente e nelle prospettive di riforma , in Ricerca sui beni culturali, Vol. I, Quaderni di studi legislativi a cura della Camera dei deputati , Roma, 1975, pagg. 93 ss. Da ultimo v. C. Sotis, La tutela penale dei beni culturali mobili. Osservazioni in prospettiva de iure condendo, in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparato e internazionale , Milano, 2015, pagg. 111 ed ivi per ampi richiami bibliografici; P. Carpentieri, La tutela penale dei beni culturali in Italia e le prospettive di riforma: i profili sostanziali , in Beni culturali e sistema penale, a cura di S. Manacorda-A. Visconti, Milano, 2013, pag. 35.

6 Cfr. ex plurimis S. Manacorda, La circolazione illecita dei beni culturali nella prospettiva penalistica , in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparato e internazionale , cit., pagg. 6-8.; A. Manna, Introduzione al settore penalistico del Codice dei beni culturali e del paesaggio , in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Gli illeciti penali , a cura di A. Manna, Milano, 2005, pagg. 1010-17; V. Manes,La tutela penale, in Diritto e gestione dei beni culturali, a cura di C. Barbati-M. Cammelli-G. Sciullo, Bologna, 2011, pagg. 289 s.; Id., La circolazione illecita dei beni artistici e archeologici. Risposte penali ed extra penali a confronto , in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparato e internazionale, cit., pagg. 93 s.; A. Massaro,Diritto penale e beni culturali: aporie e prospettive, in Patrimonio culturale. Profili giuridici e tecniche di tutela, Roma, 2017, pagg. 186 ss.; C. Perini, Itinerari di riforma per la tutela penale del patrimonio culturale , in Legislazione penale < www.lalegislazionepenale.eu>, 19/2/2018, pagg. 17-21; V. Militello, I traffici illeciti nel Mediterraneo e le organizzazioni criminali transnazionali , in Studi in onore di Antonio Fiorella, Vol. I, a cura di M. Catenacci-V.N. D’Ascola-R. Rampioni, Roma, 2021, pag. 290; A. Visconti,Diritto penale dei beni culturali, in Diritto online Treccani - Approfondimenti enciclopedici, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, 2019, online (DOI 10.7394/DOL-741); Id., La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano. Rapporti con le fonti internazionali, problematiche applicative e prospettive di riforma , cit., pagg. 1 ss.; R.E. Omodei, Il traffico di beni culturali, cit., pagg. 1014 s.

7 Dato peculiare – secondo L. D’Agostino, Dalla “vittoria di Nicosia” alla “navetta” legislativa: i nuovi orizzonti normativi nel contrasto ai traffici illeciti di beni culturali, cit., pag. 84 – “perché in controtendenza rispetto alle vicissitudini legislative di altre leggi complementari”: la “staticità” nel sistema di tutela penale dei beni culturali, le cui figure di reato sono per lo più ricalcate sulle fattispecie in precedenza contemplate dalla legge n. 1089 del 1939, è imputabile – ricorda l’A. – al fallimento, almeno negli ultimi anni, di due progetti di riforma legislativa. Sulle necessità di aggiornamento delle fattispecie incriminatrici del codice dei beni culturali v. altresì A. Visconti, Contraffazione di opere d’arte e posizione del curatore d’archivio , in Aedon - Rivista di arti e diritto online, 2020, n. 1, § 2.

8 G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale nel codice penale: prime riflessioni sul nuovo Titolo VIII-bis , cit., pagg. 9 ss.; Id., La riforma dei reati contro il patrimonio culturale: per un sistema progressivo di tutela , cit., pagg. 11.

9 Così la relazione illustrativa della corrispondente proposta di legge A.C. n. 893 (in XVIII Legislatura, Camera dei deputati, atto n. 893, pag. 1), presentata alla Camera dei deputati il 9 luglio 2018 d’iniziativa dei deputati Orlando e Franceschini, modificata dal Senato (A.S. n. 882), ed approvata in via definitiva dal Parlamento (A.C. n. 893-B) il 3 marzo 2022, recante « Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale », promulgata il 9 marzo 2022.

10 Come ricorda R.E. Omodei, Il traffico di beni culturali, cit., pagg. 979 ss., il mercato dei traffici illeciti di beni culturali coinvolge, di norma, differenti Stati e consta di diverse fasi illecite, caratterizzate a loro volta dalla presenza di variegati attori criminali. Come emerge dalla letteratura criminologica internazionale, gli oggetti d’arte illecitamente ottenuti vengono a volte trasferiti direttamente dai Paesi d’origine in cui sono saccheggiati (cd. source countries) ai Paesi di “mercato” (cd. market countries) e già questo implica una transnazionalità; altre volte passano attraverso i cd. Paesi di transito (cd. transit countries: tra i più importanti Singapore, Hong Kong, Macao), che svolgono un ruolo chiave nelle operazioni di riciclaggio favorendo l’entrata di questi beni, sotto mentite spoglie, anche nel mercato legittimo: cfr. L. Natali, Patrimonio culturale e immaginazione criminologica. Panorami teorici e metodologici , in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale, cit., pag. 53. In tema v. anche A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pagg. 6 ss.; A. Massaro, Diritto penale e tutela dei beni culturali: coordinate ricostruttive a partire dall’ordinamento italiano , in Il traffico illecito di beni culturali, Roma, 2021, pagg. 32 ss.; V. Manes, La circolazione illecita dei beni artistici e archeologici. Risposte penali ed extrapenali a confronto , cit., pagg. 84 ss. In prospettiva processuale, sugli aspetti della collaborazione internazionale e degli strumenti di cooperazione semplificata in Europa, correlati alla transnazionalità del fenomeno, v. L. Luparia, La tutela penale dei beni culturali nella dimensione processuale: avvertenze e proposte nello scenario di riforma , in Circolazione dei beni culturali, cit., pagg. 249 ss. Nella letteratura internazionale, cfr. C. Forrest, International Law and the Protection of Cultural Heritage, 2010, Abingdon-New York, pagg. 136 ss.; I.A. Stamatoudi, Cultural Property Law and Restitution, Cheltenham-Nirtampton, 2011, pagg. 189 ss.; J. Blake, International Cultural Heritage Law, Oxford-New York, 2015, pagg. 29 ss.; S. Mackenzie-N. Brodie-D. Yates-C. Tsirogiannis, Trafficking Culture. New Directions in Researching the Global Market in Illicit Antiquities , London-New York, 2020, pagg. 31 ss.

11 Sulla pluralità di fattori che alimentano la “cifra” oscura del fenomeno cfr. A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pagg. 2 ss., secondo la quale qualsiasi stima circa le dimensioni del fenomeno, in termini di episodi criminosi, numero di oggetti trafficati, valori di mercato mobilitati, è oltremodo difficoltosa e incerta, tanto che, dopo aver a lungo pubblicizzato il presunto “dato” secondo cui il traffico di beni culturali sarebbe, per estensione, il terzo mercato illecito dopo quelli di droga e armi (così il numero monografico dell’UNESCO Courier, ottobre-dicembre 2020: E.O. Ramírez, Editorial, ibidem, pag. 3; A. Bardon, 50 Years of the Fight against Illicit Trafficking of Cultural Goods , ibidem, pag. 5), la stessa INTERPOL ha recentemente rimosso tale affermazione dal suo sito internet. Per la prospettiva vittimologica, cfr. L. Natali, Patrimonio culturale e immaginazione criminologica. Panorami teorici e metodologici , in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale, cit., pagg. 76 ss., secondo il quale anche le vittime dei crimini contro i beni culturali rimangono confinate in un’area poco illuminata. Nella letteratura internazionale cfr. ex multis M. Durney-B. Proulx,Art Crime: A Brief Introduction, in Crime Law Soc. Change 2011, 56, 127 s.; M. Balcells, One Looter, Two Looters, Three Looters… The Discipline of Cultural Heritage Crime within Criminology and Its Inherent Measurement Problems , in The Palgrave Handbook of Art Crime, a cura di D. Chappell-S. Hufnagel, London, 2019, pagg. 40-49; M.A. Renold, The Legal and Illegal Trade in Cultural Property to and throughout Europe: Facts, Findings and Legal Analysis , Joint European Commission-UNESCO Project Engaging the European Art Market in the Fight against the Illicit Trafficking of Cultural Property , study for the capacity-building conference, 20-21/3/2018, in < www.unesco.org>, pagg. 8-9. In termini critici sull’approccio “disinvolto” all’uso, in questo ambito, di dati numerici in realtà non verificati e non verificabili cfr. M. Durney,Reevaluating Art Crime’s Famous Figures, in International Journal of Cultural Property, 2013, n. 20, pagg. 221-232; M. Sargent-J.V. Marrone-A. Evans-B. Lilly-E. Nemeth-S. Dalzell, Tracking and Disrupting the Illicit Antiquities Trade with Open Source Data , Santa Monica, 2020, in <www.rand.org>, pagg. 69-85.

12 Cfr. M. Jones, Why Fakes?, in Id., Fake? The Art of Deception, London, 1990, pagg. 11-12; H. Bellet, Falsari illustri (trad. it. di E. Romano), Milano, 2019, pag. 27.

13 Cfr. sul punto, per tutti, R.E. Omodei, Il traffico di beni culturali, cit., pag. 1010. Per un quadro statistico relativo al nostro Paese, cfr. i dati raccolti e pubblicati ogni anno dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio culturale (scaricabili sul sito < www.tpcweb.carabinieri.it/SitoPubblico/pubblicazioni>). Per un’analisi di tali dati v. S. Ciotti Galletti,Furti e traffico internazionale di opere d’arte, in Rassegna italiana di criminologia, 2013, n. 1, pagg. 68-73 e, più recentemente, L. Natali, op. ult. cit., pagg. 38-49. A titolo di esempio, le statistiche del 2019 (ultima annata disponibile prima che le limitazioni alla circolazione delle persone e alle attività commerciali non essenziali legate alla pandemia di Covid-19 influissero anche sulle attività criminali e investigative: cfr. Comando Carabinieri TPC, Attività operativa 2020, Roma, 2021, pag. 7) evidenziano la scoperta di 20 scavi archeologici clandestini e 345 furti di opere d’arte o antichità, il deferimento all’autorità giudiziaria di 77 persone per reati in materia archeologica, 29 per furto e 533 per ricettazione di beni culturali, e il recupero di 857.003 oggetti (cfr. Comando Carabinieri TPC, Attività operativa 2019, Roma, 2020, pag. 6). Con specifico riferimento al traffico dall’Italia e dalla Grecia, v. S. Beltrametti,Dati e analisi sul traffico illecito di beni culturali, in Aedon - Rivista di arti e diritto online, 2013, n. 1.

14 Per una rassegna degli “archeocrimini” nella prassi operativa v. l’apposita rubrica della testata online JCHC,The Journal of Cultural Heritage Crime, in < www.journalchc.com>. Il termine “archeomafie” è stato coniato da Legambiente nel 1999 ed oggi pienamente utilizzato nel linguaggio comune e dalla dottrina. V. ad es. V. Manes,La tutela penale, cit., pag. 290; Id., La circolazione illecita dei beni artistici, cit., pag. 89, ove parla di “crocevia criminoso”; L. Grossi, Le Archeomafie: le possibili intersezioni fra la criminalità organizzata e l’organizzazione del crimine , in AA.VV., Il traffico illecito dei beni culturali, Università degli Studi Roma Tre, Roma, 2021, pagg. 70 ss.

15 A livello internazionale, per una sintesi dei principali e più aggiornati risultati della ricerca criminologica in tema, v. S. Mackenzie-N. Brodie-D. Yates-C. Tsirogiannis, Trafficking Culture. New Directions in Researching the Global Market in Illicit Antiquities , London-New York, 2020, passim.

16 Sul punto cfr. N. Brodie-J. Doole-P. Watson, Stealing History. The Illicit Trade in Cultural Material, Cambridge, 2000, pag. 13, P.B. Campbell, The illicit antiquities trade as a transnational criminal network: characterizing and anticipating trafficking of cultural heritage, in International Journal of Cultural Property, 2013, pagg. 114 ss.; S. Mackenzie, The market as criminal and criminals in the market: reducing opportunities for organized crime in the international Antiquities market , in Crime in the Art and Antiquities World. Illegal Trafficking in Cultural Property, a cura di S. Manacorda-D. Chappell, New York-Dordrecht, pagg. 74-77.

17 Si parla di “grey market dell’arte e dell’antichità in generale perché, diversamente da altri ambiti economici del tutto illeciti (“black”), come la droga o le armi, è parte integrante di un mercato in sé pienamente lecito (“white”), essendo anzi tradizionalmente connotato da un certo status e prestigio sociale (così S. Mackenzie, Illicit Deals in Cultural Objects as Crimes of the Powerful, in Crime Law Soc. Change, 2011, pagg. 56, 133-153); esso subisce poi un pesante “inquinamento” per effetto degli oggetti di provenienza illegale sulla base di una pluralità di fattori. Cfr. R.E. Omodei, Il traffico di beni culturali: un caso studio delle distorsioni e dei limiti nel contrasto ai traffici illeciti , cit., pag. 980; V. Manes, La circolazione illecita dei beni artistici e archeologici, cit., pag. 90; A. Visconti, Diritto penale dei beni culturali, cit., § 2.1,; nella letteratura internazionale, P.B. Campbell,The illicit antiquities trade, cit., pag. 117; L. Massy,The antiquity art market: Between legality and illegality, in International Journal of Social Economics, 2008, pagg. 729 ss.; S. Mackenzie-D. Yates, What Is Grey About the ‘Grey Market’ in Antiquities, in The Architecture of Illegal Markets: Towards an Economic Sociology of Illegality in the Economy , a cura di J. Beckert-M. Dewey, Oxford-New York, 2016, pagg. 70-86; B.A. Bowman, Transnational Crimes against Culture. Looting at Archeological Sites and the “Grey” Market in Antiquities , in Journal of Contemporay Criminal Justice, 2008, Vol. 24, n. 3, pagg. 225-242; S. Mackenzie-N. Brodie-D. Yates-C. Tsirogiannis, Trafficking Culture, cit., pagg. 35-39.

18 Si pensi all’Iraq, alla Siria o alla Libia, ma anche a episodi come gli assalti al museo delle Antichità del Cairo o a quello archeologico di Al Qantara nel corso della rivoluzione egiziana del 2011: cfr. A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 4 ed ivi per indicazioni bibliografiche. Nell’analizzare specificamente i gruppi Facebook con base in Siria è emerso come il 36% dei post che offrono in vendita reperti archeologici provengano in modo chiaramente identificabile da zone di conflitto; inoltre, il 44% dei post che propongono tali oggetti hanno origine in Paesi direttamente confinanti con zone di conflitto: cfr. Cfr. A. Al-Azm-K.M. Paul-S. Graham, Facebook’s Black Market in Antiquities. Trafficking, Terrorism, and War Crimes , Antiquities Trafficking and Heritage Anthropology Research (ATHAR) Project, June, 2019, online, in <www.atharproject.org>). Per un’interessante riflessione criminologica sul fenomeno della distruzione di opere d’arte da parte dell’Isis, in riferimento ad un’operazione di “scorched earth” che ha interessato molte zone della Siria, Iran e Libia con l’obiettivo dichiarato di “annullare” il locale senso di appartenenza e “cancellare” la dimensione collettiva della memoria, v. G. Travaini-L. Natali-C. Viggiani-G. Calcini,Quando la vittima è l’arte: gli attacchi dell’Isis, in Rassegna italiana di criminologia, 2019, n. 2, pagg. 149 ss.

19 Condizioni di instabilità politica e arretratezza economica alimentano altresì il fenomeno degli “scavi di sussistenza” ( subsistence diggers), in cui trovano impiego popolazioni locali in difficoltà nel reperimento delle risorse minime necessarie alla sopravvivenza, oltre a consentire ai criminali che gestiscono il traffico in loco di beneficiare della estrema debolezza (o totale disgregazione) delle agenzie di law entorcement, altro enorme ostacolo a qualsiasi attività di scoperta, investigazione e recupero: così A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 4. Nella letteratura criminologica, nel senso di preferire all’espressione “subsistence diggers”, quella di “ nested subsistence economies”, per descrivere contesti in cui gli scavi archeologici clandestini fanno parte di più ampie strategie di sopravvivenza di popolazioni deprivate che mescolano, in un insieme difficilmente districabile, attività lecite, illecite e criminose, cfr. S. Mackenzie-N. Brodie-D. Yates-C. Tsirogiannis, Trafficking Culture, cit., pagg. 4 e 27-29.

20 Le semplici modalità di trasporto del bene culturale, che solo raramente richiede particolari cautele, abbassano ulteriormente il rischio dell’operazione delittuosa: sul punto v. P.B. Campbell, The illicit antiquities trade as a transnational criminal network , cit., pagg. 114 s.; S. Mackenzie, The market as criminal, cit., pagg. 74 ss.

21 La presenza sul mercato di un amplissimo numero di beni di origine lecita, ma poco o punto documentata – unita a quella, pure assai consistente, di beni di provenienza originariamente illecita, o comunque discutibile, ma “liceizzata” dal trascorrere del tempo e da trasferimenti effettuati sotto regimi giuridici favorevoli alla posizione del possessore – consente una agevole “mimetizzazione” di oggetti di origine più recente e inequivocabilmente illegale, a loro volta poco o punto (o falsamente) documentati quanto a origine e passaggi di mano. In tema A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pagg. 5-6 e, specificamente, B.A. Bowman, Transnational Crimes against Culture, cit., pagg. 225-242.

22 Così A. Visconti, ult. op. cit., pag. 3.

23 In argomento L. D’Agostino, Dalla “vittoria di Nicosia” alla “navetta” legislativa: i nuovi orizzonti normativi nel contrasto ai traffici illeciti di beni culturali, cit., pagg. 78 ss.; E. Mottese, La lotta contro il danneggiamento e il traffico illecito di beni culturali nel diritto internazionale. La Convenzione di Nicosia del Consiglio d’Europa , Torino, 2020. Nella letteratura internazionale, cfr. M.M. Bieczyński, The Nicosia Convention 2017: A New International Instrument Regarding Criminal Offences against Cultural Property , in Santander Art and Culture Law Review, 2017, vol. 3, n. 2, pagg. 255-274; E. Mottese, Preventive Measures in the Council of Europe Convention on Offences relating to Cultural Property: An Overview , ibidem, 2018, vol. 4, n. 2, pagg. 121-142; D. Fincham, The Blood Antiquities Convention as a Paradigm for Cultural Property Crime Reduction , in Cardozo Arts & Entertainment Law Journal, 2019, vol. 37, n. 2, pagg. 299-336. Cfr. anche Explanatory Report to the Council of Europe Convention on Offences relating to Cultural Property , Nicosia, 19/5/2017.

24 Aperta alla firma nel giugno 1985 e mai entrata in vigore per mancato raggiungimento delle ratifiche necessarie da parte dei Paesi contraenti. La Convenzione venne firmata soltanto da sei Stati, tra cui l’Italia.

25 Così L. D’Agostino, op. ult. cit., pagg. 81 s., il quale ricorda che, tra i motivi della fallimentare esperienza della Convenzione di Delfi del 1985, spicca, anzitutto, la disomogeneità del disvalore penale che assume il traffico illecito di beni culturali nei Paesi di import (market countries) e nei Paesi di export (cd. source countries): sebbene alcune condotte offensive del patrimonio culturale fossero avvertite come meritevoli di sanzione penale da tutti gli Stati firmatari (si pensi al furto e al danneggia­mento), ve ne erano altre – tra cui l’importazione e lo scavo illeciti, la ricettazione, l’acquisto o la detenzione ingiustificata – la cui rilevanza penale veniva fortemente osteggiata da alcuni Paesi storicamente “importatori” (Regno Unito, Russia, Svizzera, Danimarca etc.). Più in generale, sulla distinzione tra source e market countries, che nella prassi si presenta spesso sfumata e “porosa”, cfr. A. Visconti, La repressione del traffico, cit. pag. 26 s., secondo cui tale distinzione è “utile sul piano euristico anche per spiegare risalenti e persistenti differenze tra ordinamenti dei diversi Paesi stranieri coinvolti nella circolazione internazionale dei beni”.

26 La Convenzione del Consiglio d’Europa sulle infrazioni coinvolgenti i beni culturali (trattato STCE n. 221) richiede almeno cinque ratifiche, inclusi almeno tre Stati membri del Consiglio d’Europa, ai fini della sua entrata in vigore internazionale (v. art. 27, comma 3). Dei 47 Stati membri dell’Organizzazione, la Convenzione sinora ha raccolto tredici firme (Cipro, Grecia, Armenia, Portogallo, San Marino, Slovenia, Ungheria, Russia, Ucraina, Montenegro, Lettonia, Messico e Italia), di cui sei seguite da ratifica (Cipro, Grecia, Lettonia, Messico – che, però, è “osservatore” nel Consiglio – Ungheria e Italia).

27 Pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 31 del 2022, entrata in vigore l’8 febbraio 2022, in all. 2 alla presente relazione.

28 Si tratta della Convenzione UNESCO di Parigi del 14 novembre 1970, entrata in vigore per l’Italia il 2 gennaio 1979, a seguito del deposito il 2 ottobre 1978 dello strumento di ratifica, per effetto della legge 30 ottobre 1975 n. 873.

29 In ragione del fatto che alcune source countries (come il Regno Unito o la Russia) non hanno istituito sistemi nazionali di designazione specifica dei beni culturali che, dunque, possono essere individuati soltanto per l’appartenenza a macrocategorie: cfr. L. D’Agostino, Dalla “vittoria” di Nicosia alla “navetta” parlamentare, cit., pag. 90.

30 Si tratta della Convenzione UNESCO di Parigi del 16 novembre 1972, entrata in vigore per l’Italia il 23 settembre 1978, a seguito del deposito il 23 giugno 1978 dello strumento di ratifica, per effetto della legge 6 aprile 1977 n. 184. Il richiamo al solo art. 1 della Convenzione Unesco del 1972 (e non anche all’art. 2) identifica la nozione di patrimonio naturale includendo: a) i monumenti naturali costituiti da formazioni fisiche e biologiche o da gruppi di tali formazioni di valore universale eccezionale in relazione all'aspetto estetico o scientifico; b) le formazioni geologiche e fisiografiche e le zone strettamente delimitate costituenti l'habitat di specie animali e vegetali minacciate, di valore universale eccezionale in relazione all'aspetto scientifico o conservativo; c) i siti naturali o le zone naturali strettamente delimitate di valore universale eccezionale in relazione all’aspetto scientifico, conservativo o estetico naturale) induce a ritenere consapevolmente ristretto l’ambito della convenzione ai soli beni culturali. Cfr. G. De Marzo, op. cit., col. 126.

31 In argomento G. De Marzo, op. cit., col. 125.

32 Il testo della Convenzione di Nicosia è stato elaborato lasciando aperta la possibilità per gli Stati di apporre una clausola di riserva all’obbligo di criminalizzare determinate condotte, dichiarando di volerle punire con sanzioni di carattere non penale: come rileva L. D’Agostino, op. ult. cit., pag. 82, si tratta di una facoltà invero piuttosto limitata, che non incide in modo significativo sull’impegno convenzionale degli Stati di dover assicurare uno standard comune di criminalizzazione delle condotte offensive del patrimonio culturale.

33 L’art. 3 pone l’obbligo per gli Stati di assicurare l’applicabilità delle disposizioni nazionali che sanzionano il furto e le altre forme di appropriazione indebita alle condotte riguardanti beni culturali mobili.

34 La disposizione è stata pensata per stigmatizzare le condotte di scavo non autorizzato commesse dai treasure hunters nei Paesi-fonte di beni culturali, che si pongono come anello iniziale della circolazione illecita di beni culturali. Trattandosi di reato avvertito con minore allarme nei Paesi che storicamente importano beni culturali, il secondo paragrafo della disposizione prevede la possibilità per i firmatari di riservarsi di sanzionare le relative condotte non con lo strumento penale. In termini, L. D’Agostino, Dalla “vittoria” di Nicosia, cit., pag. 83.

35 Le condotte di import figuravano tra le offese contro il patrimonio culturale già nella Appendice III alla Convenzione di Delfi del 1985, costituendo un ostacolo non secondario alla ratifica dell’accordo da parte di alcuni Stati-fonte. “Per questo motivo la strada dell’armonizzazione sul fronte penale ha dovuto cedere il passo ad una forma più flessibile di ravvicinamento delle legislazioni”: così L. D’Agostino, op. ult. cit., pagg. 83 s.

36 Sulla necessità di punire la distrazione di beni culturali dal Paese in cui questi si trovano o di evitare che la compravendita di questi ultimi si svolga sul mercato nero – come rileva L. D’Agostino, op. ult. cit., pag. 84 – si è registrata unanimità di vedute nel corso dei lavori della Convenzione. In particolare, la condotta di “acquisto” deve essere punita quando ha a oggetto beni culturali mobili che siano stati rubati, scavati illecitamente, importati o esportati in violazione della legge del Paese di destinazione o di origine, qualora il reo abbia conoscenza della provenienza delittuosa del bene. Si richiama inoltre l’attenzione sulla necessità di prevedere sanzioni penali anche per l’acquirente che “avrebbe dovuto conoscere” (“ should have known; aurait dû avoir connaissance de”) la provenienza delittuosa del bene (art. 7, par. 2). Alle stesse condizioni, gli Stati devevono punire, ex latere venditoris, anche la commer­cializzazione di beni culturali ( placing on the market), valutando anche qui l’opportunità di estendere il presidio penale anche ai fatti commessi potendo conoscere la provenienza delit­tuosa del bene (art. 8).

37 È irrilevante, ai fini della integrazione del reato, la proprietà pubblica o privata del bene culturale e tantomeno la circostanza che il reo abbia agito al fine di mobilizzarlo, in tutto o in parte, per poi renderlo disponibile sul mercato.

38 L. D’Agostino, op. ult. cit., pag. 83.

39 Per G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 12, tale previsione costituisce una “significativa novità rispetto al dibattito interno”. In argomento cfr. V. Aragona, La responsabilità delle persone giuridiche nella tutela penale dei beni culturali: dalle influenze internazionali alle prospettive de iure condendo, in Il diritto dei beni culturali. Atti del convegno Ogipac in memoria di P.G. Ferri , a cura di B. Cortese, Roma, 2021, pagg. 291 ss.

40 Secondo la Convenzione, la responsabilità collettiva dovrà inoltre essere assicurata nel caso in cui la commissione del reato sia stata causata da un deficit di controllo da parte dei soggetti in posizione apicale (art. 13, par. 2). Si prevede che, ferma la libertà degli Stati di plasmare il paradigma punitivo in base alla propria tradizione giuridica, l’applicazione delle sanzioni a carico dell’ente dovrà avvenire senza alcun pregiudizio per la responsabilità penale dell’autore del fatto (parr. 3 e 4).

41 In termini A. Visconti, La repressione del traffico, cit., pag. 12.

42 Cfr. diffusamente E. Mottese, La lotta contro il danneggiamento, cit., pagg. 65-77.

43 Contestano, tra l’altro, l’eccessivo rigore sanzionatorio che rischia di condurre ad esiti non accettabili sul piano della proporzionalità e della ragionevolezza: C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali. Sul persistere miope di una politica criminale ricondotta alla deterrenza punitiva , cit., pagg. 9 e 14, secondo la quale la funzione promozionale che si intende attribuire allo strumento penale circa la salvaguardia del patrimonio artistico “è tutta giocata sulla severità del trattamento sanzionatorio: nella convinzione che la minaccia della pena detentiva sia una componente irrinunciabile per garantire un’efficace tutela degli oggetti con valore culturale”; ma siffatta finalità “non sembra conseguibile, tuttavia, attraverso il ricorso enfatico al diritto penale retributivo” (ibidem, pag. 14); A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 34. Nel senso che affiora una diffusa tendenza alla sovrabbondanza e proliferazione ipertrofica delle nuove fattispecie casistiche improntate sulla “culturalità” del bene, con inevitabili – sin d’ora pronosticabili – problemi di “doppia tipicità”, cioè di ipotesi in cui uno stesso fatto può rientrare in più fattispecie, al di fuori delle situazioni di concorso apparente, v. A. Natalini, Riforma ipertrofica e casistica, senza una norma definitoria, cit., pagg. 27 ss. Anche G.P. Demuro, ult. op. cit., pag. 33, che pure condivide appieno le scelte di sistema operate con la riforma, denuncia la “tendenza alla proliferazione ipertrofica delle fattispecie”, già evidenziata con riferimento al sistema previgente al t.u. beni cult. da S. Moccia, Riflessioni sulla tutela penale dei beni culturali, cit., pagg. 1299 s., che aveva auspicato de iure condendo la revisione della disciplina penalistica sui beni culturali nel rispetto del canone dell’extrema ratio, “semplificata e improntata ai criteri di razionalità e proporzione”, affinché si rivelasse “fortemente produttiva sul piano dell’efficienza” (ibidem, pagg. 1297 s.). In senso critico cfr. anche E.R. Omodei, Il traffico di beni culturali, cit., pagg. 1013 s., secondo il quale [l’originaria proposta di legge A.C. n. 893 divenuta legge n. 22 del 2022] “procede ad un’indiscriminata criminalizzazione, pur senza riuscire a contrastare il fenomeno del traffico nei punti nevralgici”; da un lato, infatti, mantiene “pressoché inalterate” le norme incriminatrici della legislazione complementare in materia di alienazione, uscita e esportazione illecita, e scavo illegale, dall’altro “si lascia andare ad una estesa duplicazione normativa in relazione al furto, all’appropriazione indebita, alla ricettazione e al riciclaggio di beni culturali, con un notevole inasprimento delle pene”; scelta che – secondo l’A. – “lascia perplessi. È vero che astrattamente le norme permettono di meglio colpire i punti nevralgici del traffico di beni culturali (l’accesso e la ripulitura del bene), ma è altresì vero che tali norme si limitano a irrigidire il trattamento sanzionatorio senza aggiungere nulla all’armamentario dell’ordinamento per fronteggiare tale fenomeno, rischiando quindi di palesarsi quali soluzioni da copertina con scarsi effetti nella pratica di contrasto” (ibidem, pag. 1014).

44 S. Moccia, Riflessioni sulla tutela penale, cit., pagg. 1305 s., secondo cui la codificazione delle fattispecie aventi per oggetto il bene culturale ha “una significativa valenza in termini di integrazione sociale, in quanto avrebbe, probabilmente, a correggere l’ancora diffusa, erronea opinione che molti di tali fatti, spesso gravissimi sul piano della dannosità sociale, costituiscano dei ‘reati da gentiluomini’”; G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela, Milano, 2002, pag. 500; V. Manes, La circolazione illecita dei beni artistici, cit., pag. 93. Cfr. già la risalente proposta della cd. “Commissione Franceschini”, istituita con la legge 24 aprile 1964, n. 310 (i cui lavori sono stati pubblicati in tre volumi col titolo Per la salvezza dei beni culturali in Italia. Atti e documenti della Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico, artistico e del paesaggio , Roma, 1967), ove si suggeriva il trasferimento dei reati contro il patrimonio artistico nel codice penale.

45 Autorevolmente già F. Mantovani, Lineamenti, cit., pagg. 73-75, si espresse nel senso di far confluire nel codice penale solo i reati di danno, in un nuovo titolo autonomo da dedicarsi ai “delitti contro il patrimonio culturale”, mentre tutte le altre fattispecie costruite come reati di pericolo avrebbero dovuto avere natura contravvenzionale ed essere collocate – o restare – nella legislazione di settore; cfr. altresì S. Manacorda, La circolazione illecita, cit., pagg. 17-20, secondo il quale l’auspicata riconduzione a un unico testo extracodicistico di settore di tutte le fattispecie penali non solo non inciderebbe negativamente sull’accessibilità di questo corpus normativo, ma “avrebbe […] anche il pregio di coagulare in un unico testo il sistema tripartito dei delitti, delle contravvenzioni e degli illeciti amministrativi, ricorrendo alle diverse classi di illecito”, auspicabilmente con un’allocazione più razionale delle diverse condotte ritenute meritevoli di sanzione entro tali classi, “con le note conseguenze in tema di elemento psicologico, tentativo, recidiva, prescrizione e concorso”; il tutto con “effetti positivi in ordine agli elementi normativi extra-penali del fatto, quale in primis il bene culturale, che potrebbero continuare a ricevere una definizione unitaria e consentire operazioni ermeneutiche agili rinviando ad altra norma del medesimo testo”. Esprimeva già un sostanziale favore per una micro-codificazione settoriale organica nell’ambito della legislazione speciale, pur criticandone la concreta attuazione da parte del legislatore del 2004, A. Manna, Introduzione, cit., pag. 10.

46 La legge delega 23 giugno 2017, n. 103 aveva previsto, all’art. 85, « l’inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale ». In dottrina, ex plurimis, M. Donini, L’art. 3 bis c.p. in cerca del disegno che la riforma Orlando ha forse immaginato , in Diritto penale e processo, 2018, pagg. 429-445; Id., La riserva di codice (art. 3-bis c.p.) tra democrazia normante e principi costituzionali. Apertura di un dibattito , in Legislazione penale < www.lalegislazionepenale.eu>, 20/11/2018; M. Papa, Dal codice penale “scheumorfico” alle playlist: considerazioni inattuali sul principio della riserva di codice , in Diritto penale contemporaneo, 2018, n. 5, pagg. 129-155; E.M. Ambrosetti, Codice e leggi speciali. Progettare una riforma dopo la riserva di codice , in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2019, n. 1, pagg. 397-415; C.E. Paliero, La “riserva di codice” messa alla prova: deontica idealistica “versus” deontica realistica , in Criminalia, 2019, pagg. 31-59; G. Rotolo,Riserva di codice e legislazione penale complementare, in JusOnline, 2019, n. 3, pagg. 160-186.

47 Sul punto, per tutti, C. Fiore, Prospettive della riforma penale: il ruolo della legislazione speciale , in Democrazia e diritto, 1977, pagg. 689 ss.; Id.,Decodificazione e sistematica dei beni giuridici, in AA.VV., Beni e tecniche della tutela penale, a cura del C.R.S., Milano, 1987, pagg. 73 ss.

48 Su tale funzione cfr. C.E. Paliero, «Minima non curat praetor». Ipertrofia del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Padova, 1985, pag. 92.

49 In termini G.B. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 3.

50 Intitolazione auspicata, in preferenza rispetto a quella “Dei delitti contro il patrimonio estetico”, già da F. Mantovani, Lineamenti, cit., pag. 74.

51 Così L. D’Agostino, Dalla “vittoria” di Nicosia alla “navetta” parlamentare, cit., pag. 86. Per un parallelismo tra la riforma dei reati ambientali e quella (all’epoca in fase di discussione parlamentare) in materia di beni culturali, v. C. Petrini, Itinerari di riforma per la tutela penale del patrimonio culturale , in Legislazione penale <www.legislazionepenale.eu>, 19/2/2018, pagg. 1 ss.

52 R.E. Omodei, Il traffico di beni culturali, cit., pagg. 985 ss.

53 Oltre alla bibliografica indicata nella nt. 6 che precede, v. P. Carpentieri, La tutela penale dei beni culturali in Italia e le prospettive di riforma: i profili sostanziali , cit., pag. 35. sulle difficoltà poste dai diversi linguaggi del codice penale e della legislazione complementare; L. D’Agostino, op. cit., pagg. 84 s.

54 Il Costituente avvertì con estrema sensibilità l’esigenza di salvaguardare e sensibilizzare i beni di interesse archeologico, storico, artistico e paesistico e a tal fine inserì tra i principi fondamentali la disposizione di cui all’art. 9 Cost.: così S. Moccia, Riflessioni sulla tutela penale dei beni culturali, cit., pagg. 1302 ss. Sulla “lungimiranza” della disposizione dell’art. 9 Cost., da ultimo integrato con legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, che vi ha aggiunto un ulteriore comma a tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, v. L. Nazzicone,L’art. 9 della Costituzione, in La magistratura < www.lamagistratura.it>, 10/2/2022. Nella dottrina penalistica, sui riflessi legislativi della disposizione costituzionale, cfr. ex multis F. Mantovani, Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, cit., pagg. 59 ss.; G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pagg. 29 ss.; V. Manes, La tutela penale, cit., pagg. 290 s.; S. Manacorda, La circolazione illecita dei beni culturali nella prospettiva penalistica: problemi e prospettive di riforma , in Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno , cit., pag. 10 ss.; C. Perini, Itinerari di riforma, cit ., pagg. 5 ss. Tra i non penalisti, sulla dimensione costituzionale dei beni culturali, v. S. Settis, La tutela del patrimonio culturale e paesaggistico e l’art. 9 Cost. , Napoli, 2008, e, ancor prima, F. Merusi, Art. 9, in Commentario della Costituzione, diretto da G. Branca, Bologna-Roma, 1975, vol. I, pagg. 434 ss. Sul valore politamente caratterizzante dell’art. 9 Cost. ai fini dell’attribuzione alla Repubblica italiana della qualifica di Stato di cultura, v. già A.M. Sandulli, La tutela del paesaggio nella Costituzione, in Scritti in onore di Antonino Giuffrè, Milano, 1967, III, pagg. 896 ss.; Id., La tutela del paesaggio nella Costituzione, in Rivista giuridica dell’edilizia, II, 1967, pagg. 69 ss. Sulla genesi e la portata dell’art. 9 Cost. v. già F. Franceschini, L’impegno della costituzione per la salvaguardia dei beni culturali , in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea costituente, Firenze, 1969, II, pagg. 229 ss.

55 Secondo l’art. 167 TFUE, l’azione dell’Unione in questo settore deve essere intesa ad incoraggiare la cooperazione tra Stati membri, e a sostenere il « miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei» e la « conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale di importanza europea ». La natura peculiare del patrimonio culturale è altresì riconosciuta dall’art. 107 TFUE, che considera compatibili con il mercato interno gli aiuti concessi dagli Stati « destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell’Unione in misura contraria all’interesse comune ».

56 C. Perini, Itinerari di riforma, cit., pag. 21; A. Visconti, La repressione del traffico illecito, pag. 61.

57 Così efficacemente definita da S. Manacorda, La circolazione illecita dei beni culturali nella prospettiva penalistica: problemi e prospettive di riforma , cit., pag. 18, a proposito del dibattito circa la collocazione sistematica dei reati contro i beni culturali. L’A. riteneva possibili due opzioni: continuare ad investire sulla legislazione di settore, perfezionando l’appendice sanzionatoria al d.lgs. n. 42 del 2004; provvedere ad un’opera di risistemazione ed integrazione delle fattispecie del codice penale. Questa seconda alternativa – in effetti oggi attuata dalla legge n. 22 del 2022 – secondo l’A. contribuirebbe a rafforzare la rilevanza e la centralità del bene giuridico, ma si espone al rilievo di un’eccessiva dispersione delle fattispecie tra delitti e contravvenzioni inserite in diversi titoli del codice penale, così frustrando le esigenze di sistematicità che dovrebbero ispirare l’intervento riformatore. Investire sulla legislazione di settore, invece, presenta il pregio di coagulare in un unico testo il sistema sanzionatorio (composto di delitti, contravvenzioni, e illeciti amministrativi). Tale scelta permetterebbe inoltre all’interprete di operare un rinvio intra-sistematico alle disposizioni definitorie del Codice dei beni culturali, riempiendo di contenuto gli elementi normativi della fattispecie e preservando così una definizione unitaria dei relativi concetti.

58 A. Visconti, La repressione del traffico illecito, pag. 61, la quale ricorda, tuttavia, che già in passato il decisore politico era stato messo in guardia contro frettolose scelte di “codificazione” delle fattispecie penali a tutela del patrimonio culturale, evidenziandosi che, in prospettiva di riforma, dovrebbero essere attentamente soppesati non solo i (più attraenti) pro, ma anche i (meno vistosi, ma non per questo meno problematici) contro a tale opzione.

59 L. D’Agostino,Dalla “vittoria” di Nicosia alla “navetta” parlamentare, cit ., pag. 88.

60 Considerato che la collocazione nel corpo del codice non è un fattore neutro, proprio in virtù di quella funzione di richiamo, secondo la prima dottrina (G.P. Demuro,I delitti contro il patrimonio culturale, pag. 4; A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 62) la posizione ideale sarebbe stata non – come è avvenuto – la prossimità ai delitti contro l’economia pubblica, l’industria o il commercio (titolo VIII), ma insieme o subito dopo il titolo (VI-bis) dedicato ai delitti contro l’ambiente, dato che con questo bene giuridico il patrimonio culturale condivide l’essenza di bene-mezzo per la salvaguardia e lo sviluppo della personalità umana. Su tale affinità ma anche sui profili di innegabile differenziazione cfr., ex plurimis, G.P. Demuro, Beni culturali, cit., pagg. 11 s. e 33-39; L. Natali, Patrimonio culturale, cit., pagg. 64-70; D. Vozza, La tutela penale, cit., pagg. 141-143; A. Massaro, Diritto penale e beni culturali, cit., pagg. 179-183; C. Perini, Itinerari di riforma, cit., pagg. 1 s. e 37. Per possibili parallelismi tra le tecniche di tutela in campo ambientale e nel settore del patrimonio culturale, cfr. C. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, Torino, 2021, pagg. 3 ss. e 14 ss.

61 Cfr. G. Forti, L’ordinamento lessicale dei beni giuridici personali nella parte speciale del Codice Penale. Un’analisi quantitativo-strutturale sui codici di 20 paesi secondo la prospettiva delle “capacità” , in Tutela penale della persona e nuove tecnologie, a cura di L. Picotti, Padova, 2013, pagg. 362-551.

62 Sul concetto di cultural heritage, espressione che, nel tempo ha quasi completamente sostituito, nel lessico giuridico internazionale, quella di cultural property, in quanto più adatta a convogliare l’essenza di un bene “di categoria” percepito come uno dei più rilevanti interessi della comunità universale, cfr. A. Visconti, La tutela del patrimonio culturale mobile: esigenze di riforma alla luce degli impulsi internazionali , in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale, cit., pagg. 137 s., secondo la quale il concetto di cultural heritage – ove il termine heritage è “solo rozzamente traducibile in italiano come “patrimonio” – esprime un ampio ventaglio di significati e valori tra loro spesso contraddittori: uno particolaristico ed uno universalistico; uno materiale, economicistico, e uno immateriale, spirituale; uno statico e uno dinamico; in ogni caso risultano “intuitivamente comprensibili come componenti inestricabili di un valore complesso e di importanza essenziale per il genere umano nel suo insieme (tanto per le generazioni presenti, quanto per quelle future), oltre che per ciascun individuo, come oggetto di quel diritto fondamentale di partecipare alla ‘vita culturale’ riconosciuto fin dallaDichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo” ( ibidem, pagg. 144 s.).

63 Tale significato di orientamento (e di stimolo) sui valori riflette in genere la modernità di un codice nella legislazione di uno Stato, dato che tale modernità si misura proprio attraverso il suo grado di corrispondenza alle rappresentazioni di giustizia presenti nella società in determinato momento storico: G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 3. Su tali significati, in generale, M. Romano, Commentario sistematico del Codice penale, Vol. I, artt. 1-84, Milano, 2004, pagg. 2-3.

64 In termini V. Manes, La tutela penale, cit., pag. 290. Cfr. altresì C. Perini, Itinerari di riforma, cit., pag. 21.

65 Si tratta della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società (Convention on the Value of Culturale Heritage for Society) , siglata a Faro nel 2005, sottoscritta dall’Italia nel 2013, ratificata dal Parlamento con la legge 1° ottobre 2020, n. 133. All’art. 2 la Convenzione definisce il patrimonio culturale come “ un insieme di risorse ereditate dal passato che alcune persone identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, costantemente in evoluzione. Esso comprende tutti gli aspetti dell’ambiente derivati dall'interazione nel tempo fra le persone e i luoghi” . In generale, per una disamina delle origini della Convenzione di Faro cfr. C. Carmosino, La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società , in Aedon - Rivista di arti e diritto online, 2013, n. 1, la quale sottolinea che “la Convenzione di Faro affonda le sue radici nella guerra in ex Jugoslavia e nella relativa distruzione del patrimonio culturale, a seguito delle quali era sorta l'esigenza di rafforzare il ruolo del patrimonio come fattore di unificazione e di coesione sociale nell’avanzamento del processo di integrazione europea”. In tema v. anche l’editoriale di M. Cammelli,La ratifica della convenzione di Faro: un cammino da avviare, ivi, 2020, n. 3, pag. 186 s.

66 Secondo A. Gualdani, L’Italia ratifica la Convenzione di Faro: quale incidenza nel diritto del patrimonio culturale italiano?, in Aedon - Rivista di arti e diritto on line, 2020, n. 3, pag. 273, tale definizione non è più circoscritta - a differenza della Convenzione del 1972 sulla protezione sul piano del patrimoni culturale e naturale - ai beni artistici e storici, ma è estesa ai valori, credenze, saperi e tradizioni e a “tutti gli aspetti dell’ambiente derivati dall’interazione nel tempo fra le persone e i luoghi”. Tale nozione – secondo l’A. – non è sostitutiva o assorbente di quella contenuta nell’art. 2 cod. beni cult., ma va ad affiancarsi ad essa, essendo funzionale ad orientare le linee di azione e di politica degli Stati firmatari i cui obiettivi sono dichiarati nel preambolo della Convenzione (ibidem, pag. 274). In argomento cfr. altresì A. Lupo, La nozione positiva di patrimonio culturale alla prova del diritto globale , in Aedon - Rivista di arti e diritto online, 2019, n. 2.

67 Tale storica definizione si deve all’operato della cd. Commissione Franceschini: v. precedente nt. 44.

68 Cfr. V. Manes, op. ult. cit., pag. 291; C. Perini,Itinerari di riforma, cit., pag. 11; G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pag. 47 ss. Accenna alla teoria dei beni comuni (cd. commons: cfr. già Hardin, The Tragedy of the Commons, in Science, 1968, pagg. 1243 ss.; E. Ostrom, Governing the Commons. The Evolution of Institution for Collective Action, Cambridge, 1990) in ragione del carattere diffuso che li connota, C. Iagnemma, I nuovi reati, cit., pagg. 14 s., per la quale tali interessi manifestano le stesse esigenze di tutela che valgono per i beni culturali.

69 Secondo cui il valore enucleato appartiene a quella gamma di valori primari della Repubblica: “[…] Una tutela così concepita è aderente al precetto dell’art. 9 Cost., il quale, secondo una scelta operata al più alto livello dell’ordinamento, assume il detto valore come primario […] cioè come insuscettivo di essere subordinato a qualsiasi altro”. In dottrina v. A.R. Pelillo, I beni culturali nella giurisprudenza costituzionale: definizioni, poteri, disciplina , in Aedon - Rivista di arti e diritto online, 1998, n. 2, pagg. 35 ss.

70 V. Manes, loc. ult. cit. Nel senso che i beni culturali sono una “risorsa limitata” e “non rinnovabile” cfr. P.B. Campbell, The illicit antiquities trade, cit., pagg. 114 ss.

71 Al riguardo cfr. P.B. Campbell, The illicit antiquities trade as a transnational criminal network , cit., passim, che individua quattro diverse fasi: l’apprensione illecita del bene culturale, una successiva fase di prima intermediazione, la successiva “ripulitura” ed una ulteriore fase di seconda intermediazione. Dato che gli intermediari possono essere molteplici, R.E. Omodei, Il traffico di beni, cit., pag. 980 opta invece per una generale seconda fase comprensiva di tutti i possibili passaggi intermedi di ripulitura del bene compresi tra il momento di apprensione e l’acquisto finale da parte del collezionista/museo.

72 Per questa lucida classificazione, v. già F. Mantovani, Lineamenti, cit., pagg. 75 s.: «Le aggressioni alla conservazione, le quali investono la stessa integrità del patrimonio artistico, abbracciano: 1) le azioni di danneggiamento, che incidono sulla stessa essenza funzionale del bene artistico e si concretano nelle tipiche attività di distruzione, di deterioramento, di dispersione, ecc.; 2) le azioni di spoglio, che depauperano il patrimonio artistico della Nazione pur lasciando integra nella sua essenza funzionale la cosa artistica e si concretano, essenzialmente, nella sottrazione, clandestina, violenta, fraudolenta, nella alienazione e nella esportazione, clandestina o autorizzata, delle cose d’arte, cui si affiancano le varie attività di intermediazione e favoreggiamento».

73 Così, in termini critici, R.E. Omodei, op. cit., pag. 1014.

74 Criticità già posta in evidenza da S. Moccia, Riflessioni sulla tutela penale dei beni culturali, cit., pagg. 1299 s. e oggi ritenuta “ulteriormente e significativamente accentuata” anche da G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 33. In prospettiva de iure condendo di riforma organica della materia penale dei beni culturali, avvertiva i rischi degli “eccessi di una sterile panpenalizzazione, che a stento riuscirebbe ad andare oltre la mera risposta simbolica”, A. Massaro, Diritto penale e beni culturali, cit., pag. 192.

75 Problematica già denunciata con riferimento al sistema previgente del t.u. beni cult. di cui al d.lgs. n. 490 del 1999 da S. Moccia, Riflessioni sulla tutela penale dei beni culturali, cit., pagg. 1299 s., per il quale particolarmente grave era la presenza di casi di “doppia tipicità”, cioè di ipotesi in cui uno stesso fatto può rientrare in più fattispecie, al di fuori delle situazioni di concorso apparente, come accadeva nelle ipotesi di danneggiamento di cose proprie notificate, in rapporto alle disposizioni del codice dei beni culturali, da una parte, e quelle di cui al codice penale, negli artt. 635 e 733, dall’altra.

76 Così, in termini di adesivi, G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 24.

77 Come precisa R.E. Omodei, loc. ult. cit., i soggetti del traffico illecito, in questa fase finale, “mutano volto, caratterizzandosi spesso per essere esperti d’arte di fama e caratura anche internazionale, e che è possibile che il singolo che opera in tale ruolo sia in realtà ignaro della provenienza illecita del bene. Tale intermediazione, più o meno complessa, permette però all’oggetto di giungere a destinazione, ossia all’acquirente finale, disposto a pagare cifre consistenti per aggiudicarsi quel pezzo d’arte unico nel suo genere”. Cfr. altresì D. Gulino-S. Mabellini,Dai “beni culturali” all’“arte” contemporanea (parte I), in Rassegna dell’arma dei carabinieri, 2021, n. 2, pag. 123 che ricordano come i “ladri d’arte” agiscono per conto di intermediari, solitamente nazionali, che a loro volta riferiscono a broker internazionali, mentre al vertice della struttura gerarchica spiccano “prestigiosi musei stranieri, collezionisti esperti, gallerie d’arte, accademici facoltosi”, il cui ruolo all’interno del mercato si rivela fondamentale perché, di fatto, costituiscono l’anello di congiunzione tra il traffico illecito e il mercato illegale di opere d’arte.

78 In termini G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 30.

79 F. Mantovani, Lineamenti, cit., pag. 76.

80 C. Perini, Itinerari di riforma, cit., pag. 21.

81 Tale tipologia sistematica “presuppone un regime pubblicistico protettivo che assume come base una nozione di bene culturale nella quale il valore ideale si compenetra così profondamente nell’elemento materiale da formare un nuovo bene giuridico, che deve costituire oggetto di protezione diretta da parte dello Stato”: così G.P. Demuro, loc. ult. cit.

82 G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 126. In senso critico cfr. C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali. Sul persistere miope di una politica criminale ricondotta alla deterrenza punitiva , cit., pag. 7, secondo cui, a proposito delle diverse locuzioni utilizzate negli artt. 518-undecies («… cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico ») e art. 518-quaterdecies cod. pen. (« …opera di pittura, scultura o grafica ovvero un oggetto di antichità o di interesse storico o archeologico »), “non si comprende, a ben vedere, quale sia il discrimen tra le varie locuzioni”, né parimenti “è possibile stabilire se queste ultime indichino soltanto i beni culturali formalmente identificati come tali sul piano amministrativo”.

83 Altrimenti definibile come “unità linguistica giuridica” da intendersi alla stregua di altre norme giuridiche. Per tale diversa classificazione delle componenti linguistiche della fattispecie, che supera quella tradizionale tra elementi normativi giuridici e descrittivi – questi ultimi definiti come “unità linguistiche ordinarie, decifrabili alla stregua del linguaggio comune” – v. F. Giunta, Le tecniche normativa, in AA.VV.,Sussidiario di diritto penale. Parte speciale, inDisCrimen <www.discrimen.it/ipertesti>, pag. 151. Questa partizione – secondo l’A. – offre, tra l’altro, il vantaggio di poter qualificare nell’ambito delle prime gli elementi linguistici che rinviano a nozioni scientifiche, come ad esempio il concetto di sordomutismo, oppure ‘norme’ in senso improprio in quanto, essendo meramente descrittive e non anche prescrittive, non operano quali criteri di comportamento” (ibidem).

84 In senso critico rispetto a questa opzione “rinunciataria”, tra i primi commentatori (anche del corrispondente progetto di legge prima dell’approvazione della legge n. 22 del 2022), cfr. C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag., 7, secondo la quale tale mancanza rischia di “trascurare la funzione promozionale della personalità umana che si intende attribuire agli oggetti d’arte”; secondo A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pagg. 63, secondo cui è ipotizzabile che l’assenza di una definizione di bene culturale spingerà la giurisprudenza ad applicare a tutte le fattispecie del Titolo VIII-bis la soluzione ermeneutica prevalente con riferimento alle fattispecie codicistiche di danno a beni culturali, ritenendo quindi “l’applicabilità di tutti i delitti del nuovo titolo a tutti i beni culturali ‘reali’”, il tutto, però, “lasciando irrisolto il nodo dell’applicazione ‘formale’ o ‘sostanziale’ di tali definizioni extracodicistiche; L. Agostino,Dalla “vittoria” di Nicosia, cit., pag. 89; A. Natalini, Riforma ipertrofica e casistica senza una norma definitoria, cit., pagg. 28 s. In prospettiva de iure condendo aveva invece ritenuto “assolutamente da evitare” la previsione di una norma definitoria ad hoc C. Sotis, La tutela penale dei beni culturali mobili, cit., pag. 134, secondo il quale è “inopportuno moltiplicare le definizioni di bene culturale”, giacché quella emergente dalla specifica disciplina del codice dei beni culturali sarebbe comunque chiamata a convivere con una specifica, diversa e penalmente rilevante, così come dovrebbe convivere con la giurisprudenza che ritiene che la nozione penalmente rilevante sia quella sostanziale”. In questa prospettiva l’A. aveva proposto di “selezionare i beni culturali così come già definiti dalla normativa extrapenale in modo indiretto: segnatamente “facendo leva sul momento rappresentativo, sulla falsa riga di quanto ha già fatto il legislatore con l’art. 733” (ibidem, pag. 135).

85 Per una rassegna delle norme definitorie della parte speciale e delle diverse tecniche e funzioni delle stesse, cfr. per tutti D. Brunelli, Il diritto penale delle fattispecie criminose. Strumenti e percorsi per uno studio avanzato , Torino, 2019, pagg. 7 ss.

86 Esigenza espressa in dottrina in subiecta materia già da F.C. Palazzo, La nozione di cosa d’arte in rapporto al principio di determinatezza della fattispecie penale , in La tutela penale del patrimonio artistico, Milano, 1977, pagg. 236 ss. e ripresa, da ultimo, da A. Massaro, Diritto penale e beni culturali: aporie e prospettive, cit., pag. 185; Id., Illecita esportazione di cose di interesse artistico: la nozione sostanziale di bene culturale e le modifiche introdotte dalla legge n. 124 del 2017 (nota a Cass., Sez. 3, n. 10468 del 17/10/2017), in Diritto penale contemporaneo, 2018, n. 5, pagg. 119 e 122, ove si sottolineano le tensioni che il principio costituzionale di determinatezza è destinato a sopportare “in presenza di una nozione di bene culturale affidata a un non meglio precisato ‘oggettivo interesse culturale’ della cosa mobile”. Secondo A. Visconti, La repressione, cit., pag. 64, l’odierna riforma lascia “irrisolti e anzi potenziati” i problemi di determinatezza, conoscibilità e rimproverabilità storicamente ed endemicamente sollevati dal diritto penale dei beni culturali. Cfr. altresì G. Morgante, Art. 174, in Leggi penali complementari, a cura di T. Padovani, Milano, 2007, pag. 65, secondo cui «in mancanza di criteri obiettivi sulla base dei quali affermare la natura di bene culturale o paesaggistico di un determinato oggetto ovvero di un determinato luogo, si rischia innanzitutto di violare il fondamentale principio di tassatività-determinatezza della fattispecie penale dal momento che la sussistenza di un interesse culturale o paesaggistico del bene offeso verrebbe fatalmente a dipendere dall’arbitrium iudicis». Sulle “scorciatoie presuntive” nei processi penali che hanno ad oggetti beni culturali, più in generale, L. Luparia, La tutela penale dei beni culturali nella dimensione processuale: avvertenze e proposte nello scenario di riforma , in Circolazione dei beni culturali, cit., pag. 254. Per considerazioni de iure condendo relative all’elemento soggettivo v. C. Sotis, La tutela penale dei beni culturali mobili, cit., pagg. 133 ss.

87 Nella dottrina penalistica, sulle carenze di determinatezza del precetto e conseguenti compiti “creativi” dell’interprete, v. D. Brunelli, Il diritto penale delle fattispecie criminose, cit., pagg. 14 s., il quale ricorda che non sempre il legislatore assolve all’onere di redigere il precetto con contorni ben individuabili, ma spesso “appalta” al giudice la scoperta e l’individuazione di materiale non originariamente conteggiato e, d’altra parte, “il giudice non sempre è propenso a declinare l’invito”, con conseguente affiorare del fenomeno del cd. “diritto penale (di creazione) giurisprudenziale.

88 Quando gli elementi normativi qualificano un dato elemento di fattispecie attraverso la mediazione di una disposizione extrapenale – nella specie, l’art. 2 cod. beni cult. – essi determinano l’eterointegrazione della norma penale, nel senso che la norma incriminatrice, incorporando in sé i contenuti delle disposizioni extrapenali, assoggetta gli enunciati normativi così richiamati ai princìpi propri della disciplina penale. In argomento, per tutti, S. Bonini, L’elemento normativo della fattispecie penale. Questioni sistematiche e costituzionali , Trento, 2016, passim, favorevole ad una ascrizione sistematica degli elementi normativi al “fatto” tipico, in ragione di plurimi fattori, coinvolgenti fondamenti politico-criminali, dogmatici, strutturali, funzionali e di diritto positivo.

89 Secondo A. Visconti, Diritto penale dei beni culturali, loc. cit., una coerente applicazione dell’art. 47, comma terzo, cod. pen. imporrebbe l’assoluzione dell’imputato ogni volta che non sia raggiunta la prova “al di là di ogni ragionevole dubbio” (art. 533, comma 1, cod. proc. pen.) dell’effettiva consapevolezza del valore artistico, storico, archeologico o etnoantropologico della cosa. Cfr. altresì Id., La repressione, cit., pagg. 51 s., secondo cui “occorre guardarsi da semplificazioni in fase di accertamento che conducano, con automatismi inaccettabili, dalla prova della riconoscibilità (sul piano materiale) del valore culturale del bene o della conoscibilità della disciplina amministrativa, all’affermazione della sussistenza di una conoscenza effettiva e di una conseguente volontà criminosa (magari attraverso una “applicazione pigra” della categoria del dolo eventuale”. Secondo l’efficace esempio di V. Manes, La tutela penale, cit., pag. 309, “Caio non potrà essere chiamato a rispondere del delitto di impossessamento illecito ex art. 176 del d.lgs. n. 42 del 2004 [ora art. 518-bis, comma secondo, cod. pen., NdA] se, rinvenendo fortuitamente una pregiata anfora etrusca nel terreno di sua proprietà, non si era assolutamente reso conto della rilevanza culturale dell’oggetto, ritenendolo, ad esempio, un vecchio, ma ancora utile ‘coccio abbandonato’”. Lo stesso A. avverte però che ogni volta che la condotta sia connotata da elementi di sotterfugio e clandestinità la prova del dolo risulterà in buona sostanza agevole: V. Manes, La circolazione illecita, cit., pag. 95. Nello stesso senso, A. Massaro, Illecita esportazione, cit., pag. 124. Più in generale, sui concreti e costanti rischi di impoverimento dl dolo nelle fattispecie penali a tutela del patrimonio culturale cfr. ad es. A. Avila, Il possesso dei beni archeologici tra garanzie costituzionali e presunzioni di colpevolezza nella giurisprudenza della Suprema Corte (nota a Cass., n. 5714/2000), in Cassazione penale, 2001, pagg. 975-991; A. Visconti, La tutela penale del patrimonio culturale mobile: esigenze di riforma alla luce degli impulsi internazionali , in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale, cit., pagg. 179 s. Sulle più generali problematiche legate alla ricorrente tendenza alla ipernormativizzazione del dolo (specie eventuale) v., per tutti, L. Eusebi, La prevenzione dell’evento non voluto. Elementi per una rivisitazione dogmatica dell’illecito colposo e del dolo eventuale , in Studi in onore di Mario Romano, II, a cura di M. Bertolino-G. Forti-L’Eusebi, Napoli, 2011, pagg. 963-1003; Id., Verso la fine del dolo eventuale? (Salvaguardando, in itinere, la formula di Frank) , in Diritto penale contemporaneo, 2014, n. 1, pagg. 118-127; M. Donini, Il dolo eventuale: fatto-illecito e colpevolezza. Un bilancio del dibattito più recente , ibidem, pagg. 70-117; P. Astorina Marino, L’accertamento del dolo. Determinatezza, normatività e individualizzazione , Torino, 2018, pagg. 1-90.

90 Il perdurante utilizzo di un criterio selettivo delle “cose” culturali che non passa per una norma definitoria ad hoc ma resta affidato alla legislazione di settore è aderente a quella dottrina (ad es. C. Sotis, La tutela penale dei beni mobili culturali, cit., pag. 134) che, in prospettiva de iure condendo, aveva avvertito rispetto al rischio, altrimenti, di una “moltiplicazione” di definizioni, giacché una norma definitoria del concetto di bene culturale penalmente rilevante avrebbe finito per aggiungersi e non per sostituirsi alle attuali definizioni giù utilizzate sul terreno penale. Reputa preferibile legare la definizione “penalistica” di bene culturale a quella fornita dalla Convenzione UNESCO del 1970 – riproposta all’interno della Convenzione di Nicosia (v. retro § 1.1) – anziché richiamare le previsioni di diritto interno contenute nella normativa di settore, L. D’Agostino, Dalla “vittoria” di Nicosia alla “navetta” parlamentare, cit., pag. 90: “In questo modo si potrebbe ottenere un sicuro beneficio: l’utilizzo di un elemento normativo di fattispecie di ancoraggio internazionale – peraltro di così ampia condivisione – eliminerebbe alla radice ogni problema scaturente dall’applicazione della legge penale italiana a condotte che, il più delle volte sono commesse, in tutto o in parte, all’estero.

91 «Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli artt. 10 e 11 , presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà ». Tra le categorie richiamate dall’art. 10 cod. beni cult., vi rientrano anzitutto i beni culturali ex lege che, in quanto tali, non necessitano di alcun tipo di accertamento di “culturalità”; il comma 2 considera beni culturali ex lege, qualora appartenenti a soggetti pubblici (cioè, allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico): a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi; b) gli archivi e i singoli documenti; c) le raccolte librarie delle biblioteche (con talune esclusioni). Vi sono, poi, i beni culturali appartenenti a soggetti pubblici (Stato, regioni, enti pubblici territoriali e ogni altro ente pubblico) o a persone giuridiche private senza fine di lucro (art. 10, commi 1 e 4), che divengono tali solo a seguito della verifica dell’interesse culturale di cui all’art. 12, e quella dei beni culturali appartenenti a privati o a chiunque appartenenti (commi 3 e 4), che diventano tali solo a seguito della dichiarazione di interesse culturale di cui all’art. 13 cod. beni cult. In particolare, ai sensi dell’art. 10, comma 1, cod. beni cult. sono beni culturali le cose (immobili e mobili) appartenenti ai medesimi soggetti pubblici di cui sopra, nonché a persone giuridiche private senza fine di lucro, compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico: si tratta, cioè, delle cose per le quali sia intervenuta la verifica dell’interesse culturale. In base all’art. 10, comma 4, possono essere riconosciuti quali beni culturali: a) cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; b) cose di interesse numismatico che, in rapporto all'epoca, alle tecniche e ai materiali di produzione, nonché al contesto di riferimento, abbiano carattere di rarità o di pregio; c) manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, nonché libri, stampe e incisioni, con relative matrici, aventi carattere di rarità e di pregio; d) carte geografiche e spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio; e) fotografie, con relativi negativi e matrici, pellicole cinematografiche e supporti audiovisivi in genere, aventi carattere di rarità e di pregio; f) ville, parchi e giardini che abbiano interesse artistico o storico; g) pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico; h) siti minerari di interesse storico od etnoantropologico; i) navi e galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico; j) architetture rurali aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell’economia rurale tradizionale.

Infine, in base all’art. 10, comma 5, cod. beni cult., salvo quanto disposto dagli artt. 64 e 178, non sono soggette alla disciplina di tutela del codice le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato e altri enti pubblici territoriali o che presentano interesse culturale, che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni, nonché le cose, a chiunque appartenenti, che presentano un interesse artistico, storico, archeologico e etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre cinquanta anni.

92 Ai sensi del quale sono beni paesaggistici gli immobili e le aree indicati all’art. 134 cod. beni cult., costituenti espressione dei valori storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge.

93 A. Massaro, Illecita esportazione di cose di interesse artistico, cit., pagg. 118 ss. Rispetto all’odierna riforma, secondo A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 63, sarebbe stato preferibile che il legislatore offrisse una chiara ed univoca definizione di bene culturale “agli effetti penali”: definizione che, pur dovendo giocoforza ispirarsi a quella, formale, di settore, ben avrebbe potuto non essere circoscritta ai soli beni culturali dichiarati ma fosse esplicitamente estesa a tutti i beni culturali “reali” ma con una chiara presa di posizione, tra le opzioni lasciate aperte dal Codice dei beni culturali, in favore di un’individuazione formale e sostanziale e con una altrettanto esplicita esclusione dell’oggetto di tutela penale dell’arte contemporanea eccetto che in relazione alle fattispecie di contraffazione. Per una posizione diversa, v. C. Sotis, La tutela penale dei beni culturali mobili, cit., pagg. 134 s., mostratosi contrario, in prospettiva de iure condendo, ad un criterio selettivo fondato su una norma definitoria ad hoc a fini penali.

94 Su tale alternativa v. già F. Mantovani, Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, cit., pag. 64, che si espresse in senso favorevole – per esigenze di certezza giuridica – ad una soluzione che, su una previa catalogazione generale del patrimonio artistico nazionale, consentisse di far coincidere la tutela penale del patrimonio artistico dichiarato con quella del patrimonio reale (ibidem, 66). Il dilemma è ben illustrato da G.P. Demuro,Una proposta di riforma dei reati contro i beni culturali, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2002, pagg. 1361 ss.: se si cavalca la strada formale, la tutela penale ci guadagna in termini di certezza e di conoscibilità ma va fuori bersaglio perché la grande maggioranza dei beni culturali non sono dichiarati formalmente come tali; se invece si cavalca la strada reale, succede l’opposto.

95 Sicché il giudice (e prima ancora il p.m. in fase di indagine) deve limitarsi ad una semplice verifica formale di corrispondenza della res alle tipologie contemplate dal Codice dei beni culturali.

96 Sicché il giudice (e prima ancora il p.m. in fase di indagine) deve spingersi ad una verifica dell’effettiva presenza nell’oggetto investigato - magari avvalendosi di perito all’uopo nominato - di un interesse culturale specifico e, in caso di beni di proprietà privata, anche qualificato. Sul ruolo degli “esperti qualificati”, talora pressoché determinante, chiamati ad accertare la qualifica di “cosa d’arte”, v. già F.C. Palazzo, La nozione di cosa d’arte, cit., pag. 239.

97 In termini A. Visconti, La repressione, cit., pagg. 63 s., secondo la quale detta definizione “pur dovendo essere assolutamente agganciata a quella della legislazione di settore”, ben avrebbe potuto non essere circoscritta ai soli beni culturali dichiarati ( rectius: formalmente identificati) ai sensi del codice dei beni culturali, ed essere anzi esplicitamente estesa a tutti i beni culturali “reali”, ma “con una chiara presa di posizione, tra le opzioni lasciate aperte dal d.lgs. n. 42 del 2004 stesso, in favore di una individuazione formale o, al contrario, sostanziale […] degli stessi, e una altrettanto esplicita esclusione dall’oggetto della tutela penale dell’arte contemporanea, eccetto che in relazione alle fattispecie di contraffazione (anche in questo caso allineandosi alla disciplina di settore”).

98 G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 31.

99 Come rilevò già F. Mantovani, Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, cit., pagg. 67 s., la Costituzione prevede la tutela del patrimonio artistico “reale” senza distinzioni di ordine cronologico, sicché appare contrario al suo dettato escludere dalla tutela opere di incontestabile valore artistico e culturale – l’A. faceva riferimento, ad es. ai quadri di Picasso o De Chirico (ibidem, pag. 68) – solo perché l’autore è vivente o non è decorso il termine di cinquanta anni dall’esecuzione delle opere.

100 Così G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pagg. 31 s., secondo il quale tale indirizzo di base dell’odierna riforma è conforme alla nostra Costituzione che all’art. 9 indica quale compito fondamentale della Repubblica la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico: “Attuazione piena di tale compito può essere data solo attraverso un sistema di tutela che comprenda la totalità dei beni culturali, e ciò in considerazione del fatto che nel nostro sistema i beni culturali costituiscono un valore in sé, e la loro tutela non si impone – come invece avviene in altri ordinamenti – quale esplicazione della funzione sociale della proprietà privata e dunque quale limite di essa, ma piuttosto come espressione positiva e adempimento di un obbligo direttamente previsto dalla Costituzione”. Cfr. altresì la nota che precede.

101 Così G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 32.

102 Annotata in senso critico da A. Massaro, Illecita esportazione di cose di interesse artistico, cit., pag. 111, secondo la quale dalla nozione sostanziale di bene culturale derivano una serie di criticità sul versante della necessaria determinatezza della fattispecie e su quello dell’elemento soggettivo del reato (ibidem, pagg. 121 ss.).

103 Annotata da G. Pioletti, Considerazioni sull’obbligo di denuncia per il privato del trasferimento di beni culturali non notificati , in Cassazione penale, 2006, pagg. 47 ss.; A. Ferretti, Sulla mancata denuncia del trasferimento di proprietà di beni culturali: quando la tutela “reale” prevale su quella “dichiarata” , in Diritto e formazione, 2006, pagg. 203 ss.

104 Così A. Visconti, Diritto penale dei beni culturali, loc. cit.

105 Cfr. L. D’Agostino, Dalla “vittoria” di Nicosia alla “navetta” parlamentare, cit., pag. 88, a proposito del corrispondente progetto di riforma, poi divenuto legge n. 22 del 2022; G.P. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale: per un sistema progressivo di tutela , cit., pagg. 25 ss.

106 Con l’esclusione dei reati di rapina (art. 629) e di estorsione (629 cod. pen.), rispetto ai quali non è stata seguita la linea di “specificazione” che caratterizza la riforma del 2022: così A. Visconti, La repressione del traffico, cit., pag. 24.

107 Non si verte, infatti, nell’ipotesi in cui la norma speciale prende il posto di quella generale, abrogandola, ma di coesistenza di entrambe le norme nell’ordinamento penale.

108 È il caso più semplice di rapporto di specialità rilevante agli effetti dell’art. 15 cod. pen., laddove esiste una norma “speciale” a fronte di una norma “generale”: in tali casi la sovrapposizione di una norma sull’altra è completa, nel senso che l’intera sfera applicativa di una è compresa nella più ampia sfera applicativa dell’altra, sicché “la regola dell’applicazione della norma speciale a scapito di quella generale è anzitutto imposta dalla logica, giacché altrimenti, se dovesse prevalere la norma generale, la norma speciale non troverebbe un solo caso in cui essere applicata, dato appunto che tutti i casi che ‘regola’ sono anche regolati dalla norma generale. È logico, pertanto, che nella zona di sovrapposizione, che coincide interamente con la sfera applicativa della norma speciale, sia quest’ultima a prevalere; mentre la norma generale troverà applicazione nella zona non sovrapposta”. In termini D. Brunelli, Il diritto penale delle fattispecie criminose, cit., pag. 372, il quale, con riguardo al fenomeno abolitivo, rammenta che nella specialità unilaterale si possono individuare due classi di fatti, corrispondenti alle descrizioni di ciascuna delle due norme e con la particolarità che una di esse è già in astratto tutta ricompresa nell’altra; “ecco perché, dal punto di vista diacronico, quando una norma speciale prende il posto di quella generale, gli elementi specializzanti che contiene servono per ritagliare una nuova classe di fatti all’interno però del novero già definito in astratto dalla norma generale, e dunque a determinare il fenomeno dell’abrogazione parziale” (ibidem, pagg. 424 s.).

109 In funzione della peculiarità dell’elemento (unilaterale) specializzante contenuto nella norma speciale (rispetto alla norma comune), se esso è la specificazione di un elemento già presente nella fattispecie generale, si parla di specialità per specificazione (ad es. incendio boschivo), se invece non trova corrispondenza nella fattispecie generale e, dunque, costituisce un elemento aggiuntivo, si parla di specialità per aggiunta (ad es. rapina ed estorsione), laddove l’elemento aggiuntivo è il quid pluris non considerato dalla norma generale. In termini, ancora, D. Brunelli,op. ult. cit., pag. 373, il quale rammenta, tuttavia, che tale distinguo classificatorio non porta ad alcun pratico rilievo, poiché non è in discussione in alcuno dei gruppi l’operatività dell’art. 15 cod. pen.

110 Di talché l’elemento specializzante – nella specie: il beneculturale – “si limita a mettere meglio a fuoco un aspetto della fattispecie generale, già in questa ricompreso”, ossia nel “significato del termine usato dalla norma generale è compreso il significato del termine specificato nell’altra norma”, senza che alcuna “novità venga introdotta con la norma speciale, nessun allargamento di orizzonte”. In termini D. Brunelli, loc. ult. cit., le cui esemplificazioni possono essere così riadattate:se affermiamo che qualcuno si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, diciamo anche che quella cosa può essere un bene culturale ; se affermiamo che qualcuno acquista o riceve od occulta beni provenienti da delitto, diciamo anche che quei beni possono essere culturali .

111 G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit ., pag. 33.

112 In dottrina su tale fenomeno, inquadrato strutturalmente nel confronto “diacronico” tra fattispecie speciale e fattispeciegenerale v., per tutti, D. Brunelli, Il diritto penale delle fattispecie criminose, cit., pagg. 420 ss., il quale ricorda che non è affatto detto che ogni abrogazione di disposizioni contenente fattispecie criminosa corrisponda ad un fenomeno abolitivo.

113 G.P. Demuro, loc. op. ult. cit.

114 La proposta di legge A.C. n. 893 (cfr. XVIII Legislatura, Camera dei deputati, atto n. 893) prevedeva inizialmente anche le fattispecie di illecita “detenzione” di beni culturali (originario art. 518- sexies), di danneggiamento, deturpamento e imbrattamento colposi (originario art. 518-decies) e di attività organizzata per il traffico illecito di beni culturali (originario art. 518-quaterdecies), poi soppresse. Avevano salutato con favore l’introduzione della figura di danneggiamento colposo, indicativa della ritenuta particolare importanza del bene giuridico sotteso, P. Severino, nel corso dell’audizione in Commissione giustizia alla Camera dei deputati nella seduta del 2 maggio 2017 in relazione all’A.C. 4220, e L. D’Agostino, op. cit., pag. 89, nel rilievo che “nell’impianto del codice la punibilità della colpa è riservata solo alle fattispecie delittuose poste a salvaguardia di beni giuridici fondamentali, come la personalità dello Stato, l’incolumità pubblica e quella individuale” ( ibidem, nt. 48). Sull’introduzione del (proposto ed infine soppresso) delitto di attività organizzata per il traffico illecito di beni culturali, in senso adesivo v. L. D’Agostino,loc. ult. cit., mentre in senso critico v. R.E. Omodei, Il traffico di beni culturali, cit., pagg. 1014 ss.

115 Per un’analisi ragionata deti statistici v. L. Natali, Patrimonio culturale e immaginazione criminologica, cit., pag. 45.

116 Presente in altri ordinamenti: per un’indagine comparata v. D. Vozza, La prevenzione e il contrasto al traffico illecito di beni culturali mobili tra spunti comparati e prospettive di riforma , in AA.VV., Circolazione dei beni culturali mobili e tutela penale: un’analisi di diritto interno, comparata e internazionale , cit., pag. 238.

117 In dottrina definito “un escamotage da D. Vozza, loc. ult. cit.

118 Nel senso dell’applicabilità dell’aggravante del furto di cose esposte alla pubblica fede cfr. M. Bellacosa, Patrimonio archeologico, storico, artistico nazionale (tutela penale del) , in Enciclopedia giuridica, Vol. XXII, Roma, 1990, pag. 4.

119 Anzitutto perché tale aggravante poteva essere completamente elisa dal concorso di circostanze attenuanti ritenute dal giudice prevalenti nel giudizio di bilanciamento; inoltre, rimaneva dubbia la riconducibilità all’aggravante dei beni culturali di proprietà privata; infine, sul piano pratico, irragionevolmente si equiparava, dal punto di vista della norma applicabile, il furto di opere d’arte a quello degli autoveicoli parcheggiati sulla pubblica via e a quello compiuto nei supermercati. In termini G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 10.

120 G.P. Demuro, loc. ult. cit.

121 Fattispecie relativa al furto del dipinto della “Madonna del Cardellino” – attribuito al Perugino e al Pinturicchio – custodito all’interno della Chiesa Collegiata di San Giovanni Battista di Cantiano. In motivazione la Corte, richiamando integralmente la massima estratta da Sez. 2, n. 1721 del 25/11/1975, dep. 1976, Betenazzo, Rv. 132232-01 (v. nota che segue), ha affermato che l’essere il dipinto di particolare pregio “costituiva e costituisce maggiore integrazione all’ambientazione della vita della Chiesa e la conseguente riverenza”.

122 Così massimata da questo Ufficio: “Ai fini della sussistenza dell’aggravante della destinazione delle cose a pubblica riverenza, secondo una giurisprudenza risalente da cui non vi è motivo di discostarsi, rileva solo il fatto che le cose siano esposti nel locale di un tempio, siano o meno consacrati o concretamente adibiti alle sacre funzioni, in quanto il solo fatto dell’esposizione, conferisce pregio ed ornamento al tempio stesso, e riverenza dei fedeli, suscitando negli stessi, per la materiale integrazione nell’obiettività del tempio e per l’ambientazione nella vita della Chiesa, sentimento di devozione ed un particolare rispetto di carattere religioso”.

123 Così massimata da questo Ufficio: “Le pitture di soggetto religioso esistenti nelle chiese rientrano nelle cose previste dall’art. 625 n. 7 cod. pen (come cose destinate a pubblica reverenza), giacché esse non soltanto conferiscono pregio e ornamento al tempio, ma sono destinate altresì alla reverenza dei fedeli, in quanto, per il soggetto rappresentato, per la materiale integrazione nell’obiettività del tempio, per l’ambientazione nelle funzioni religiose e nella vita della Chiesa, si fondono nella considerazione e nel rispetto portato al tempio dai fedeli in una concezione unitaria del vincolo della fede”.

124 «Each Party shall ensure that the offence of theft and other forms of unlawful appropriation as set out in their domestic criminal law apply to movable cultural property» (cfr. all. 2 alla presente relazione). Dalla Relazio­ne illustrativa della Convenzione si apprende che, pur potendo una simile estensione sembrare scontata – dal momento che lo stesso concetto di “ bene mobile” renderebbe applicabili le fattispecie penali in questione, indipendentemente dalla sua valenza “culturale” – essa è in realtà necessaria per attivare i canali di cooperazione internazionale e le disposizioni sul rientro dei beni culturali sottratti. Cfr. Explanatory Report to the Council of Europe Convention on Offences relating to Cultural Property , pag. 7, disponibile sul sito istituzionale del Consiglio d’Europa (in <www.coe.int/en>).

125 Già l’art. 1, comma 2, letto a), del disegno di legge A.S. n. 646 dell’8 luglio 2013 prevedeva l’introduzione del delitto di furto di bene culturale, consistente nel porre in essere “ la condotta prevista dall’articolo 624 del codice penale sui beni

di cui all’articolo 10 del decreto legislativo n. 42 del 2004 ”: proposta a suo tempo ritenuta “tutto sommato condivisibile” da D. Vozza, op. ult. cit., pag. 238, il quale rilevava, tuttavia, delle criticità nell’abbinata sanzione “da uno a sei anni”.

126 Critico sull’opzione R.E. Omodei, Il traffico di beni culturali, cit., pag. 1014, secondo il quale si sarebbe potuto prevedere un’aggravante specifica del furto.

127 Punito, nell’ipotesi-base, con la reclusione da sei mesi a tre anni e la multa da 154 a 516 euro.

128 Così G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 13, che giudica la nuova incriminazione quanto mai opportuna.

129 Definizione tralatizia ma impropria secondo A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pagg. 22, posto che manca in questa fattispecie l’elemento della sottrazione della cosa né è richiesto il fine di profitto.

130 In termini A. Visconti, op. ult. cit., pagg. 22 s.

131 Così G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 128.

132 Soluzione che però - secondo G. De Marzo, loc. ult. cit. - «appare più un’aprioristica valorizzazione dell’elemento speciale per specificazione che non l’utilizzo del canone della specialità del corpo normativo» (che, ad es., giustifica la prevalenza dell’art. 218 l. fall. rispetto all’art. 641 cod. pen.: T. Padovani, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2012, pag. 390.

133 Nell’ipotesi base l’art. 624-bis cod. pen. prevede la reclusione da quattro a sette anni e la multa da 927 a 1.500 euro, mentre nell’ipotesi-base il furto di beni culturali prevede la reclusione da due a sei anni ed eguale pena pecuniaria (multa da 927 a 1.500 euro).

134 F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2013, pag. 488. Nello stesso senso S. Vinciguerra,Diritto penale italiano. I. Concetto, fonti, validità, interpretazione, Padova, 2009, pag. 529, il quale ricorda che il criterio dell’applicazione della disposizione che prevede la sanzione più grave non è estraneo al nostro ordinamento, come dimostra l’art. 301 cod. pen.

135 Secondo G.B. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 13, data la particolarità dell’oggetto tutelato e per evitare discussioni sul fine di profitto e confusioni col movente psicologico, sarebbe stato forse preferibile evitare la previsione di un dolo specifico aggiuntivo.

136 Su cui questo Ufficio ha redatto relazione di contrasto n. 10/2019.

137 Come ricorda opportunamente G.B. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 13, non basterà più, come nella previgente forma circostanziale di protezione penale (artt. 624 e 625, n. 7, cod. pen.), la conoscibilità del carattere culturale del bene sottratto.

138 Su cui v. in dottrina G.P. Demuro, sub art. 176, in Commento articolo per articolo alla parte quarta (Sanzioni [artt. 160-181]) del d.lgs. 22/1/2004 , in Legislazione penale, 2004, pagg. 463 ss. Sulla corrispondente fattispecie del precedente testo unico (art. 125 d.lgs. n. 490 del 1999) v. G. Pioletti, sub art. 125, in La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali, a cura di M. Cammelli, Bologna, 2000, pagg. 386 ss.; L. Riccio,sub d.lgs 490/1999, in Commentario breve alle leggi penali complementari, a cura di F.C. Palazzo-C.E. Paliero, Padova, 2003, pagg. 454 ss.

139 Così G.P. Demuro, sub art. 176, cit., pag. 464.

140 Norma ab origine testualmente richiamata – ma solo quoad poenam ­– dal corrispondente reato di cui all’art. 67 della legge 1° giugno 1939 n. 1089, poi rifluito nell’art. 176 cod. beni cult. che ha poi previsto un’autonoma cornice sanzionatoria sia pure identica a quella del furto comune. Nel senso che il reato di impossessamento di beni archeologici o artistici di cui al previgente art. 67 della legge n. 1089 del 1939, è fattispecie autonoma e distinta dal reato di furto, richiamato solo per la determinazione della pena, con conseguente inapplicabilità della norma sulla perseguibilità a querela di parte aggiunta all’art. 624 cod. pen. dalla legge 25 giugno 1999, n. 205, v. Sez. 3, n. 21580 del 24/4/2001, Paluzzi, Rv. 219025-01; conf., sotto il vigore dell’art. 176 cod. beni cult., Sez. 3, n. 3700 del 3/12/2004, dep. 2005, Vania, Rv. 230665-01.

141 Cfr. G.P. Demuro, Sub art. 176, in Commento articolo per articolo, cit., pagg. 463 s.; P.G. Ferri, Uscita o esportazione illecite, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio. Gli illeciti penali , a cura di A. Manna, Milano, 2005, pag. 240; V. Manes, La circolazione illecita, cit., pag. 99; P. Cipolla, Rapporti tra impossessamento di beni culturali e ricerche archeologiche clandestine, nella tematica del concorso di norme , in Cassazione penale, 2008, pagg. 3795 ss.

142 In termini G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 13.

143 In termini A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 22, secondo la quale la minore lesività di questa fattispecie rispetto al furto di beni culturali avrebbe giustificato semmai la sua collocazione insieme alla nuova fattispecie speciale di appropriazione indebita di bene culturale, punita meno severamente (v. postea § 2.3) per quanto più dell’art. 176 cod. beni cult., anche in ragione del fatto che il soggetto attivo rimane un “soggetto qualificato”.

144 Norma extrapenale – già richiamata dal previgente art. 176 beni cult. ed oggi tradotta nella che segna l’ambito di operatività della fattispecie: G.P. Demuro, sub art. 176, cit., pag. 463.

145 Si tratta delle « cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico » secondo l’espressione del codice civile. Vi rientrano, ad es., le cose di interesse numismatico “non solo quando non solo quando abbiano carattere di rarità o di pregio, ma anche quando, a prescindere dall’accertamento della presenza di tali caratteri, siano state ritrovate nel sottosuolo o sui fondali marini”: così Sez. 3, n. 37861 del 4/4/2017, P.M. in proc. Rolfo, Rv. 270642-01.

146 Le statistiche del 2019 registrano il sequestro di 45.801 beni archeologici e paleontologici. Cfr. Comando Carabinieri TPC, Attività operativa 2019, cit.

147 Così, sulla previgente – identica – incriminazione G.P. Demuro, sub art. 176, cit., pag. 464.

148 Sugli “attentati al patrimonio artistico non ancora acquisito” v. già F. Mantovani, Lineamenti, cit., pag. 89 con riferimento alla legge del 1939.

149 Sulle conseguenze in tema di colpevolezza, quando l’interesse culturale rappresenta un elemento valutativo (o normativo extragiuridico) v. G.B. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pagg. 222 ss.

150 L’art. 91, comma 2, cod. beni cult. precisa, infatti, che tra i materiali di risulta che per contratto siano stati riservati all’impresa di demolizione non sono comprese le cose che abbiano l’interesse di cui all’art. 10, comma 3, lett. a), cod. beni cult.: dal richiamo a tale articolo già contenuto nel (previgente) art. 176 cod. beni cult. deriva[va] – sino al 22 marzo 2022 – l’integrazione del reato di impossessamento illecito di beni culturali statali quando l’interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico fosse «particolarmente importante»: così G.B. Demuro, sub art. 176, cit., pag. 464.

151 Così G. De Marzo, La nuova disciplina. cit., col. 129.

152 In termini, condivisibilmente, G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 14.

153 Parla di tutela penale “preventiva”, o meglio “avanzata” del patrimonio artistico, G. Flora, La tutela penale preventiva del patrimonio artistico nella legge 1° giugno 1939 n. 1089, in AA.VV., La tutela penale del patrimonio artistico. Atti del sesto simposio di studi di diritto e procedura penali promosso dalla fondazione «Avv. Angelo Luzzani» (Como, 25-26 ottobre 1975), Milano 1977, pagg. 197 e 201. L’attribuzione esclusiva allo Stato del potere di effettuazione delle ricerche archeologiche deriva dall’esigenza – preventiva – di evitare l’illecita appropriazione dei beni ritrovati: così G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 8.

154 G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 14 sottolinea in proposito l’eccessivo frazionamento di condotte prodromiche ed il problematico rapporto fra gli artt. 175 cod. beni cult. ed il novello art. 707-bis cod. pen.

155 G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 14. Negli stessi termini, sotto il corrispondente art. 176 cod. beni cult., Id., Sub art. 176, in Commento articolo per articolo, cit., pagg. 463 s.

156 In termini V. Manes, La tutela penale, in Diritto e gestione dei beni culturali, cit., pag. 301.

157 Ancora V. Manes, loc. op. ult. cit.

158 Così, condivisibilmente, G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 127.

159 Cfr. G.B. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 14.

160 Secondo l’autorevole classificazione di F. Mantovani, Lineamenti della tutela penale, cit., pag. 79 ss.

161 La pena è stata così elevata per effetto dell’art. 1, comma 1, lett. u), della legge 9 gennaio 2019, n. 3.

162 L’anacronismo potrebbe dipendere dal fatto che il procedimento legislativo culminato nell’approvazione della legge n. 22 del 2022 è iniziato prima del 2019: così G.B. Demuro, loc. op. ult. cit. Come osserva G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 129, il legislatore del 2022, forse credendo di inasprire le pene, in realtà le ha ridotte.

163 G.B. Demuro, op. loc. ult. cit.

164 Così Visconti, La repressione del traffico illecito, cit. pag. 23.

165 In termini G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., coll. 128 s.

166 Così G. De Marzo, op. ult. cit., col. 130.

167 Con riferimento ai compassi edittali previsti dall’art. 518- quater a prima lettura si è censurato, nel quadro dell’odierna legge di riforma, un “eccesso di entusiasmo sanzionatorio” che rischia di compromettere la proporzionalità e ragionevolezza delle previsioni edittali: la ricettazione di un bene di modestissimo rilievo culturale e valore economico viene ad essere punita, pur attestandosi sul minimo edittale, con quattro anni di reclusione congiunta a multa di 1.032 euro, ovvero con pene minime pari alla metà del massimo edittale della reclusione prevista per la ricettazione “comune” e al doppio della pena pecuniaria minima per questa stessa fattispecie: in termini A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pagg. 34 s. Nello stesso senso, v. altresì, C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag. 9.

168 G.P. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale, cit., pag. 14. Reputa invece “ridondante” la previsione sulla ricettazione di beni culturali perché ha “l’unico effetto di innalzare le già elevate sanzioni previste dalle disposizioni generali”, R.E. Omodei, Il traffico di beni culturali, cit., pag. 1014, secondo cui le norme generali vigenti “sono strumenti già adeguati al contrasto penale di tale fase di ripulitura tipica di ogni traffico, e le loro eventuali carenze operative sono dovute più ai limiti di accertamento tipici del diritto penale che alla conformazione delle specifiche fattispecie”.

169 In termini G.P. Demuro, La riforma dei reati, cit., pag. 15.

170 Annotata da T. Scovazzi,Un atleta non ancora giunto a destinazione, in Rivista di diritto internazionale, 2019, pagg. 511 ss.; A. Lanciotti, Il “Getty Bronze”: prima un giallo archeologico, poi un rebus giuridico. Profili internazionalistici , in Archivio penale 2019, n. 1, pagg. 175-190; M. Montagna, Il “Getty Bronze”: prima un giallo archeologico, poi un rebus giuridico. Profili processualistici , ibidem, pagg. 193-212; C. Santoriello, Il “Getty Bronze”: prima un giallo archeologico, poi un rebus giuridico. Profili intertemporali , ibidem, pagg. 213-22.

171 Nel senso che trattasi di prova “diabolica” v., per tutti, G. Pioletti, Dubbi di legittimità costituzionale sulla presunzione di illiceità del possesso privato di oggetti archeologici, in Rivista di polizia, 1996, pagg. 3 ss.; Id., Sulla probatio diabolica della legittimità del possesso di cose di interesse archeologico, in Cassazione penale, 1997, pagg. 517 ss. Cfr. altresì V. Manes, La circolazione illecita, cit., pag. 100; F.E. Salamone, Argomenti di diritto penale dei beni culturali, Torino, 2017, pag. 93.

172 Così G.P. Demuro, ult. op. cit., pagg. 15 e 16.

173 Su cui v. relazione di questo Ufficio n. 19/2009.

174 Così G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 130.

175 In termini G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 130.

176 Su cui v. relazione di contrasto di questo Ufficio n. 6/2016.

177 Annotata da C. Rossi, Ricettazione, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza criminosa e trasferimento fraudolento di valori, in Cassazione penale, 2017, pagg. 1100 ss.

178 Nella letteratura internazionale, sulle pratiche più sofisticate di “riciclaggio” di beni culturali di origine illegale, ove si costruisce a tavolino un paper trail di documentazione di provenienza atta a farli apparire come perfettamente legittimi cfr., ad es., A.J.G. Tijhuis, The Trafficking Problem: A Criminological Perspective , in Crime in the Art and Antiquities World. Illegal Trafficking in Cultural Property , cit., pagg. 87-97.

179 Giudica ridondante l’introduzione della fattispecie in questione, come pure di quella di ricettazione di beni culturali, R.E. Omodei, Il traffico di beni, cit., pag. 1014, secondo cui “hanno l’unico effetto di innalzare le già elevate sanzioni previste dalle disposizioni generali”.

180 Auspicava tale introduzione già P.G. Ferri, Uscita o esportazione illecite, cit., pag. 252. Critico, invece, in prospettiva de iure condendo, si è mostrat oC. Sotis, La tutela penale, cit., pagg. 116 ss. e 132 s. Perplessa sull’introduzione di questo reato e del successivo di autoriciclaggio di beni culturali, C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag. 9, secondo la quale tale opzione confermerebbe la “tendenza – già maturata nelle applicazioni giurisprudenziali degli artt. 648-bis e 648-ter.1 cod. pen. – ad allontanarsi da quello che costituiva il fulcro originario dell’intento preventivo di tali disposizioni, inerente senza dubbio ad operazioni di carattere lato sensu finanziario, per privilegiare condotte riguardanti, invece, oggetti materiali: il che appare coinvolgere un contesto criminologico differente, talora riferibile anche a fatti di rilievo marginale, che necessiterebbe di un approccio sanzionatorio autonomo”.

181 Sul punto, per tutti, G.P. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale, cit., pagg. 18 s.

182 Cfr. A. Giraldi-P. Sorbello, L’arte del terrore: degradare la cultura per finanziare la guerra , in Il traffico illecito di beni culturali, Roma, 2021, pagg. 94 ss. Ancora in tema, con un particolare approfondimento sulle “zone franche”, territori cioè sottratti al regime doganale ordinario per effetto di una finzione di extraterritorialità, come luogo di deposito di opere d’arte, P. Sorbello, Beni culturali e tutela mediata. La prospettiva antiriciclaggio , in Il diritto dei beni culturali. Atti del convegno Ogipac in memoria di P.G. Ferri , a cura di B. Cortese, Roma, 2021, spec. pagg. 271 ss.

183 In termini, ancora, G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 18.

184 Annotata da A. Zacchia, La natura del reato di riciclaggio, in Cassazione penale, 2017, pagg. 2824.

185 Annotata da S. Scippa,Gli elementi costitutivi del reato di riciclaggio, in Cassazione penale, 2018, pagg. 4236 ss.

186 Così G.P. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale, cit., pag. 18.

187 G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 131.

188 Annotata da F. Brizzi, Il delitto di autoriciclaggio: prime indicazioni “operative” della giurisprudenza di legittimità , in Archivio penale online, 2016, n. 2.

189 Così G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 131.

190 Ancora, G. De Marzo, loc. op. ult. cit.

191 In termini G.P. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale, cit., pag. 18.

192 Così G.P. Demuro, loc. op. ult. cit.

193 Così G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 132. In senso critico, rinviene una “certa rigidità punitiva” nel novello art. 518-octies cod. pen., C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag. 9, poiché qualora le stesse condotte abbiano ad oggetto una scrittura privata qualunque, in forza dell’avvenuta abrogazione degli artt. 485 e 489, comma secondo, cod. pen., il soggetto agente non subirebbe alcuna conseguenza sanzionatoria.

194 A. Visconti, La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano , cit., pag. 36, ritiene che l’opinabile scelta dei livelli edittali, davvero elevati per un’ipotesi isolata di rilevanza penale di una condotta altrimenti costituente mero illecito civile, possa spiegarsi probabilmente con l’intento di attrarre la fattispecie de qua nell’ambito di applicazione degli strumenti di cooperazione UNTOC, permettendone la qualificazione come «reato grave» ai sensi dell’art. 2 lett. b) della stessa.

195 G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 19.

196 Così G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 19.

197 Da ultimo, cfr. G.L. Perdonò, L’uso illecito e le violazioni in materia di alienazione: riproposizione di vecchi schemi a fronte della rinuncia alle chances offerte dalle nuove frontiere della politica criminale , in Il Codice dei beni culturali e del paesaggio. Gli illeciti penali , a cura di A. Manna, Milano, 2005, pagg. 104 ss.

198 Nel dettaglio questa fattispecie sanziona il mancato rispetto delle procedure autorizzatorie: di beni appartenenti al demanio culturale, di beni culturali diversi da quelli demaniali appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali; di beni culturali appartenenti a soggetti pubblici diversi da quelli territoriali o a persone giuridiche private senza fine di lucro, compresi gli enti ecclesiastici (v. artt. 55 e 56 cod. beni cult., già richiamati nell’abrogato art. 173, lett. a), cod. beni cult.). La funzione dell’autorizzazione è di accertare che l’alienazione non nuoccia alla tutela dei beni e comunque non ne pregiudichi il pubblico godimento. A tal fine nel provvedimento di autorizzazione sono indicate le destinazioni d’uso compatibili con il carattere storico o artistico degli immobili e tali da non recare danno alla loro conservazione (v. art. 55, comma 2, cod. beni cult.). Cfr. per tutti G.P. Demuro, op. ult. cit., pagg. 19 s.

199 Come osserva G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 20, la nuova norma ripete in parte l’imprecisione della disposizione abrogata (art. 173, lett. b, cod. beni cult.), essendo la denuncia del trasferimento della detenzione limitata dalla legge n. 106 del 2011 ai soli beni mobili. Con riferimento all’ipotesi più frequente nella pratica, cioè la vendita di beni immobili vincolati, essendo impossibile la loro dispersione – secondo l’A. – “dovrebbe assumere rilevanza un differente profilo di rischio, giacché l’omessa denuncia impedirebbe allo Stato di avere conoscenza del titolare (del bene e) degli obblighi di protezione e di conservazione e l’omessa denuncia impedirebbe di esercitare – nel caso di alienazioni a titolo oneroso – la prelazione. Ora, se le finalità della denuncia paiono giustificabili e rispondere a una esigenza pratica con riferimento al settore assolutamente marginale dell’alienazione di beni mobili, così non è rispetto ai beni immobili. Quanto alla possibilità per lo Stato di avere conoscenza del titolare del bene, in concreto la Soprintendenza può facilmente conoscere il nuovo proprietario e acquisire comunque le informazioni di cui alla denuncia attivando gli stessi strumenti di ricerca dei proprietari che utilizza al momento dell’avvio del procedimento di vincolo, cioè attraverso il potere ispettivo, la collaborazione dei comuni e i controlli informatici diretti con la Conservatoria. L’ipotesi più frequente è che la denuncia sia fatta in ritardo (magari anche di pochi giorni), spesso a causa della brevità del termine di denuncia rispetto alle formalità connesse alla stipula dell’atto. Questa violazione, che pure concreterebbe il delitto in esame, non provoca alcun danno, in quanto alla denuncia tardiva consegue comunque l’avvio del procedimento di prelazione (con allungamento del termine a 180 giorni) a vantaggio di Stato, Regioni, province e comuni. In definitiva si viene a conoscenza del reato perché lo dichiara lo stesso autore, con ciò dimostrando la propria mancanza di dolo. L’eccessivo rigore è dimostrato anche dalla equiparazione di cui all’art. 59, comma 5, cod. beni cult., per il quale si considera non avvenuta la denuncia priva delle indicazioni previste o con indicazioni incomplete o imprecise, mentre anche in tale ipotesi – come di solito accade in ambito amministrativo – sarebbe sufficiente la richiesta di integrazione o di precisazione, con conseguente decorso del termine di prelazione dall’arrivo della documentazione completa” ( ibidem, pag. 21).

200 Questo delitto è una conseguenza del fatto che il contratto non spiega gli effetti suoi propri sino a quando non sia realizzata la condizione sospensiva prevista: il mancato esercizio della prelazione rappresenta una condicio juris (negativa). In questa fase, nella quale si paralizzano gli effetti del contratto, la consegna della cosa (e dunque l’immissione nel possesso) è vietata dall’art. 61, comma 4, cod. beni cult. e punita con le sanzioni dell’articolo in esame. In termini G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 21.

201 G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 20.

202 Così V. Manes, La tutela penale, cit., pag. 300.

203 V. Manes, loc. op. ult. cit.

204 V. Manes, loc. op. ult. cit.

205 V. Manes, op. ult. cit., pag. 292.

206 V. Manes, loc. op. ult. cit. Proprio per questa ragione secondo G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 20, “sarebbe stato preferibile lasciare nella sede originaria” questa incriminazione, “anche perché, se intento della riforma doveva essere quello di portare nel codice penale le fattispecie di danno, qui non c’è danno ma pericolo”.

207 Finora, sul fronte dell’importazione di beni culturali allogeni oggetto di condotte illecite oltre confine era previsto solo il delitto previsto a protezione del patrimonio culturale subacqueo dall’art. 10, comma 7, della legge n. 159 del 2009, il quale sanziona con la reclusione fino a due anni e con la multa da 50 a 500 euro l’ introduzione e la commercializzazione in territorio italiano di beni recuperati mediante un intervento non autorizzato a norma della Convenzione UNESCO del 2001 (ratificata con la suddetta legge n. 159 del 2009). Cfr. A. Frigerio, L’entrata in vigore in Italia della Convenzione UNESCO 2001 sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo , in Aedon - Rivista di arti e diritto online, 2010, n. 2; A. Visconti, Diritto penale dei beni culturali, cit., § 3.3.

208 Relativo all’introduzione e all’importazione di beni culturali (inG.U.U.E. L 151-1 del 2019): «Art. 3 ( Introduzione e importazione di beni culturali) - 1. È vietata l’introduzione dei beni culturali di cui alla parte A dell’allegato, rimossi dal territorio del paese in cui sono stati creati o scoperti in violazione delle disposizioni legislative e regolamentari di tale paese. Le autorità doganali e le autorità competenti adottano tutte le misure opportune qualora si tenti di introdurre i beni culturali di cui al primo comma. […]

Art. 11 (Sanzioni). - Gli Stati membri stabiliscono le norme in materia di sanzioni applicabili alle violazioni del presente regolamento, e adottano tutte le misure necessarie a garantire l’applicazione di tali norme. Le sanzioni previste sono effettive, proporzionate e dissuasive. Gli Stati membri comunicano alla Commissione le norme relative alle sanzioni applicabili all’introduzione di beni culturali in violazione dell’articolo 3, paragrafo 1, entro il 28 dicembre 2020. Gli Stati membri comunicano alla Commissione le norme relative alle sanzioni applicabili alle altre violazione del presente regolamento, in particolare alla resa di false dichiarazioni e alla presentazione di informazioni false, entro il 28 giugno 2025. Gli Stati membri comunicano senza indugio alla Commissione qualsiasi modifica successiva di tali norme e misure».

209 «Each Party shall ensure that, when committed intentionally, the importation of movable cultural property, the importation of which is prohibited pursuant to its domestic law on the grounds that it has been: stolen in another State; excavated or retained under circumstances described in Article 4 of this Convention; or exported in violation of the law of the State that has classified, defined or specifically designated such cultural property in accordance with Article 2 of this Convention; constitutes a criminal offence under its domestic law where the offender knew that the cultural property had been stolen, excavated or exported in violation of the law of that other State». La disposizione convenzionale non solo confina l’obbligo di criminalizzazione ai casi in cui lo Stato contraente già possieda una disciplina che proibisca l’importazione degli oggetti richiamati, ma in realtà consente (art. 5, comma 2) anche di optare per sanzioni di natura non penale, attraverso apposita dichiarazione depositata al momento della ratifica: cfr. A. Visconti, La repressione, cit., pag. 32 nt. 148; E. Mottese, La lotta contro il danneggiamento, cit., pagg. 68 s.

210 A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 31. In senso critico, in relazione ai profili di conoscibilità e di comprensibilità del nuovo precetto, avente una forte componente normativa, cfr. C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag. 12, che mette in relazione tali problematiche alla non facile praticabilità della “legislazione amministrativa relativa alla procedura di importazione”.

211 G.P. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale, cit., pag. 21.

212 A. Visconti, La repressione, cit., pag. 31, la quale – ad ulteriore dimostrazione dell’inadeguatezza – rammenta altresì che le fattispecie generali in materia di contrabbando sono state interessate da interventi “poco mediati di depenalizzazione e ripenalizzazione in anni recenti” (ibidem, pag. 31 e in part. nt. 146).

213 Già F. Mantovani, Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, cit., pag. 110. Più di recente v. altresì, nello stesso senso, G.P. Demuro, Una proposta di riforma dei reati contro i beni culturali, cit., pag. 1367; Id., Beni culturali, cit., pag. 152; C. Sotis, La tutela penale dei beni culturali, cit., pagg. 130-132.

214 Cfr. la bibliografia indicata nella precedente nt. 10.

215 G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 132; A. Visconti, La repressione, cit., pag. 33, secondo cui tale clausola evita il rischio di bis in idem sostanziale che nell’applicazione pratica della norma potrebbe insorgere con le fattispecie di (re)immissione sul mercato di beni di origine illecita.

216 V. Manes, La tutela penale, cit., pag. 299.

217 In dottrina A. Visconti, La repressione del traffico illecito di beni culturali nell’ordinamento italiano , cit., pagg. 29 s., aveva segnalato il “tallone di Achille” della fattispecie di esportazione illecita, costituito dal (previgente) trattamento sanzionatorio, poiché “l’alternativa tra pena detentiva e pena pecuniaria, per altro di assai modesta entità rispetto a condotte essenzialmente motivate da profitto, non appare ragionevole né realmente dissuasiva”. Della stessa opinione anche P.G. Ferri, Uscita o esportazione illecite, cit., pag. 180 e M. Trapani, Riflessioni a margine del sistema sanzionatorio previsto dal c.d. codice dei beni culturali , in Patrimonio culturale. Profili giuridici e tecniche di tutela, a cura di E. Battelli- B. Cortese-A. Gemma-A. Massaro, Roma, 2017, pag. 245.

218 Quando essa sia richiesta ai sensi del regolamento Ce 116/2009, relativo all’esportazione di beni culturali al di fuori dei confini dell’UE. Come ricorda A. Visconti, La repressione, cit., pag. 28 nt. 131, allo stato sono presenti discrepanze tra le soglie di valore monetario sopra le quali, per determinate categorie di beni culturali (che superino anche le soglie di vetustà previste), è necessaria la licenza di esportazione europea, e le soglie di valore monetario previste agli stessi fini nell’Allegato A al Codice dei beni culturali, “discrepanze probabilmente dovute a un errore di trasposizione nei passaggi dal regolamento del 1992 a quello del 2009 e nel passaggio dalla Lira all’Euro”; stante la prevalenza del diritto europeo su quello interno e la diretta applicabilità dei regolamenti UE – secondo l’A. – dovrebbero essere le soglie previste dal regolamento 116/2009 a trovare applicazione e, conseguentemente, l’esportazione senza licenza europea di beni di valore inferiore dovrebbe essere considerata penalmente irrilevante. Per approfondimenti v. E. Romanelli, Photographs as “Cultural Property” under Italian and European Union Law: A Complex Picture , in Santander Art Cultural Law Review, 2019, vol. 5, n. 2, pag. 149. Cfr. anche F. Lafarge, L’esportazione dei beni culturali dal territorio dell’Unione europea nel Testo Unico dei beni culturali , in La nuova disciplina dei beni culturali e ambientali. Commento al Testo Unico approvato con il d.lg. 29 ottobre 1999, n. 490 , a cura di M. Cammelli, Bologna, 2000, pag. 219; F. Lemme,La tutela internazionale dei beni culturali e ambientali, in Manuale dei beni culturali, a cura di N. Assini-P. Francalacci, Padova, 2000, pag. 16.

219 A. Visconti, La repressione del traffico, cit., pag. 42; G.P. Demuro, Beni culturali, cit., pagg. 154 e 159, anche con riguardo alla forzatura frequentemente operata dalla giurisprudenza per ricondurre alla figura del reato permanente molte altre fattispecie del codice dei beni culturali (ibidem, pagg. 320-326). De lege ferenda, aveva auspicato una riscrittura o integrazione della fattispecie di esportazione tale da consentire un inquadramento come reato permanente, ad es., P.G. Ferri, Uscita o esportazione illecite, cit., pag. 179.

220 R. Mußgnug, Europäischer und nationaler Kulturgüter-Schutz, in Aktuelle Fragen des Kulturgüterschutzes, a cura di R. Mußgnug-G. Roelleckem, Heidelberg, 1998, pagg. 11 ss.; G.P. Demuro, Beni culturali e tecniche di tutela penale, cit., pagg. 149; V. Manes, La circolazione illecita dei beni artistici e archeologici, cit., pagg. 93 s.; A. Massaro, Illecita esportazione di cose di interesse artistico, cit., pag. 113.

221 Così, sotto il previgente art. 174 cod. beni cult., V. Manes, loc. ult. cit. e A. Massaro, loc. ult. cit.

222 L’art. 65 cod. beni cult. prevede, al comma 1, il generale divieto di uscita definitiva dal territorio nazionale dei beni culturali mobili previsti dall’art. 10, commi 1, 2 e 3; al comma 2, vieta l’uscita di cose mobili appartenenti a soggetti pubblici o a enti privati senza fine di lucro, che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni (non più cinquanta, come prima della legge n. 124 del 2017), fino a quando non sia stata effettuata la verifica dell’interesse culturale prevista dall’art. 12, nonché dei beni, a chiunque appartenenti, che rientrino nelle categorie di cui all’art. 10, comma 3 e che il Ministero abbia temporaneamente escluso dall’uscita perché quest’ultima risulterebbe dannosa per il patrimonio culturale.

223 L’art. 65, comma 3, cod. beni cult. stabilisce che è soggetta ad autorizzazione l’uscita definitiva dei seguenti beni: a) cose, a chiunque appartenenti, che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore, fatta eccezione per le cose di cui all’allegato A, lettera B, numero 1, sia superiore ad euro 13.500 (limite di valore inserito dal legislatore del 2017); b) archivi e singoli documenti, appartenenti a privati, che presentino interesse culturale; c) cose rientranti nelle categorie di cui all’articolo 11, comma 1, lett. f), g) ed h), a chiunque appartengano. L’interesse culturale cui fa riferimento la lett. a) dovrebbe intendersi come «un generico “interesse culturale” non ancora accertato e qualificato. Cfr. D. Nardella, Art. 65, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di M. Cammelli, Bologna, 2004, pagg. 297 s.; M. Fiorilli, in Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di G. Leone-A.L. Tarasco, Padova, 2006, pagg. 433 ss.

224 L’art. 65, comma 4, cod. beni cult. infine, individua i beni che sono oggetto di libera circolazione, la cui uscita non è dunque sottoposta ad autorizzazione, ma solo a particolari oneri dichiarativi da parte dell’interessato. L’originario comma 4 dell’art. 65 prevedeva che fossero soggette al regime di libera circolazione le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d’arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalisse ad oltre cinquanta anni, con chiaro riferimento alle opere di arte contemporanea (art. 11, comma 1, lett. d). A questa categoria di beni, con il limite temporale però innalzato a settanta anni, l’attuale formulazione dell’art. 65, comma 4 aggiunge le cose che presentino interesse culturale, siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore sia inferiore ad euro 13.500, fatta eccezione per le cose di cui all’allegato A, lettera B, numero 1 (reperti archeologici, reperti derivanti dallo smembramento di monumenti, incunaboli, manoscritti). Cfr. D. Nardella, loc. op. ult. cit.; M. Fiorilli, loc. op. ult. cit.

225 Ovvero le opere di pittura, scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d’arte di autore vivente o la cui esecuzione non risalga a oltre settant’anni.

226 Tale legge, in primo luogo, ha innalzato da cinquanta a settanta anni il limite di carattere temporale previsto dall’art. 11, comma 1, lett. d), cod. beni cult.; in secondo luogo ha esteso il regime di libera circolazione alle opere di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, sempre che il valore delle stesse non superi i 13.500 euro, scattando in caso contrario l’obbligo di autorizzazione. Sulle modifiche apportate dalla legge n. 124 del 2017 v. A. Massaro, Illecita esportazione di cose di interesse artistico, cit., pagg. 115 e 122 ss. Per considerazioni differenti sull’ampliamento in questione, che ha suscitato in effetti molte polemiche tra gli operatori del settore, cfr. F. Giannini, “Con la riforma dell’esportazione non avremo più il controllo”. Intervista ad Anna Stanzani , in Finestra sull’arte, 28 aprile 2017 e Id., Morandi? Sarebbe felice vedendo le sue opere girare per il mondo. Intervista a Leonardo Piccinini , ivi, 26 aprile 2017. In relazione alle specifiche ripercussioni in ambito penale della legge n. 124 del 2017, cfr. altresì A. Visconti, The Reform of Italian Law on Cultural Property Export and Its Implications for the “Definitional Debate”: Closing the Gap with the European Union Approach or Cosmetics? Some Systemic Considerations from a Criminal Law Perspective , in Santander Art and Culture Law Review, 2019, vol. 5, n. 2, pagg. 172-182.

227 Al riguardo A. Massaro, Illecita esportazione di cose di interesse artistico, cit., pag. 115.

228 P.G. Ferri, Uscita o esportazione illecite, cit., pag. 166.

229 A. Massaro, op. ult. cit., pag. 117. Nel senso che l’assenza di attestato rappresenta una nota di completamento dell’illiceità della condotta tipica, che nella struttura del reato è comunque elemento (normativo) costitutivo del reato e, dunque, soggetto alla disciplina dell’errore, G.P. Demuro, sub art. 174, cit., pag. 459.

230 Così anche G.P. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale, cit., pag. 22.

231 Così A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 44.

232 Sull’attuale incriminazione, a prima lettura, in senso critico C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag. 12, secondo cui “anche l’attuale disciplina solleva, dunque, criticità in ordine alla conoscibilità e alla comprensibilità del precetto da parte del soggetto agente, specie ove questi non sia un operatore professionale del settore”. In passato, sottolineava con particolare veemenza questa criticità sulla previgente incriminazione, M. Trapani, Riflessioni a margine, cit., pag. 245. La dottrina in passato ha spesso evidenziato le ricadute negative, sul piano sia oggettivo (determinatezza) sia soggettivo (dolo), della tecnica normativa utilizzata nell’ambito dei reati contro il patrimonio culturale in generale e nella costruzione del delitto di esportazione illecita in particolare: cfr. ad es. G. Morgante, Beni culturali, in Leggi penali complementari, I, a cura di T. Padovani, Milano, 2007, pagg. 77-79; P. Carpentieri, La tutela penale, cit., pagg. 35-42; V. Manes, La tutela penale, cit., pagg. 308-312; A. Massaro, Diritto penale e beni culturali, cit., 185 ss.; Id., Illecita esportazione, cit., pagg. 121-124. In generale in tema di conoscibilità e riconoscibilità del precetto penale, in particolare in ambiti normativi tecnicamente complessi, si veda da ultimo G. Rotolo, ‘Riconoscibilità’ del precetto penale e modelli innovativi di tutela. Analisi critica del diritto penale dell’ambiente , Torino 2018, in part. 55-99.

233 Il problema si pone, in particolare, in caso di esportazione non autorizzata di beni non previamente dichiarati: così A. Visconti,op. ult. cit., pag. 40. Cfr. altresì A. Massaro, Illecita esportazione, cit., pag. 119, secondo cui i continui rinvii alla disciplina di settore rischiano di generare delle “vertigini combinatorie” che sacrificano l’intellegibilità del testo e riverberano i propri effetti sul piano dell’elemento soggettivo, posto che l’oggetto del dolo finisce per sovrapporsi all’ambito di operatività dell’errore sul precetto. Secondo G.P. Demuro, Beni culturali, cit., pagg. 158 s., queste situazioni vanno inquadrate come errori sulla legge penale ex art. 5 cod. pen., in modo da evitare vuoti di tutela che si creerebbero, rispetto a condotte colpose, laddove fosse ammessa, invece, l’operatività dell’art. 47, comma terzo, cod. pen., dal momento che, anche a voler aderire all’impostazione secondo la quale la punibilità della condotta, ove l’errore sia dovuto a colpa, permane, per implicito richiamo al comma primo (cfr. ad es. G. Grasso,Considerazioni in tema di errore su legge extrapenale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1976, pagg. 138-178; D. Pulitanò, L’errore di diritto nella teoria del reato, Milano, 1976, pagg. 349-352; M. Gallo, Dolo (dir. pen.), in Enciclopedia del diritto, vol. XIII, Milano, 1989, pag. 765), laddove la fattispecie sia prevista come reato colposo, il nostro ordinamento non contempla una fattispecie di esportazione colposa.

234 In termini A. Visconti, loc. op. ult. cit.

235 V. Manes, loc. ult. cit., con riferimento al previgente art. 174, comma 2, cod. beni cult.

236 In termini, ma riferendosi alla previgente attenuante di cui all’art. 177 cod. beni cult., G.P. Demuro, sub art. 174, in Commento articolo per articolo alla parte quarta (Sanzioni [artt. 160-181]) del d.lgs. 22/1/2004 , cit., pag. 459.

237 L’art. 65, comma 4-bis, cod. beni cult. prevede per i beni culturali oggetto di libera circolazione la cui uscita è sottoposta solo a particolari oneri dichiarativi che «l ’interessato ha l’onere di comprovare al competente ufficio di esportazione, mediante dichiarazione ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che le cose da trasferire all’estero rientrino nelle ipotesi per le quali non è prevista l’autorizzazione, secondo le procedure e con le modalità stabilite con decreto ministeriale. Il competente ufficio di esportazione, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle di cui all’articolo 10, comma 3, lettera d- bis ), avvia il procedimento di cui all’articolo 14, che si conclude entro sessanta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione ».

238 Per riferimenti v. A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 30. Nel senso che, qualora per un bene necessitante autorizzazione per l’esportazione vengano presentate false dichiarazioni che inducano l’Amministrazione a una errata valutazione e al rilascio dell’attestato/licenza, poteva configurarsi un falso ideologico punibile secondo lo schema degli artt. 48 e 479 cod. pen., v. già P.G. Ferri, Uscita o esportazione illecite, cit., pag. 168.

239 Sul punto G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 133.

240 Giudica favorevolmente tale ipotesi confiscatoria, A. Visconti, La repressione del traffico, cit., pag. 52, tradizionalmente ritenuto un “punto di forza” della fattispecie di cui all’art. 174 cod. beni cult.

241 In proposito, F. Mantovani, Lineamenti, cit., pagg. 79 ss.

242 Si consegue così il risultato dell’autonomia della fattispecie di danneggiamento di beni culturali già iniziata nel 2016, sulla traccia di quanto avviene in altri ordinamenti (si pensi al § 304 del codice penale tedesco e agli artt. 321-324 del codice penale spagnolo): così G.P. Demuro, La riforma dei reati, cit., pag. 24.

243 G.P. Demuro, op. loc. ult. cit.

244 C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag. 10, secondo la quale “la condotta de qua appare difficilmente distinguibile rispetto a quella dell’inservibilità: dal punto di vista semantico, infatti, le due espressioni collimano”; inoltre essa sarebbe sovrapponibile per “identità di significato” a quella, punita però meno gravemente nel comma secondo, di destinazione del bene culturale ad uso incompatibile con il carattere storico-artistico.

245 Sul punto G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 133.

246 G.P. Demuro, op. ult. cit., pagg. 25 s.

247 «Each Party shall ensure that the following conducts constitute a criminal offence under its domestic law, when committed intentionally: the unlawful destruction or damaging of movable or immovable cultural property, regardless of the ownership of such property; the unlawful removal, in whole or in part, of any elements from movable or immovable cultural property, with a view to importing, exporting or placing on the market these elements under the circumstances described in Articles 5, 6 and 8 of this Convention ».

248 Cfr. «Art. 518-decies. ( Danneggiamento, deturpamento e imbrattamento colposi di beni culturali o paesaggistici ). - Chiunque, con una o più azioni, commette per colpa taluno dei fatti di cui all’articolo 518-novies è punito con la reclusione fino a due anni» (cfr. XVIII Legislatura, Camera dei deputati, atto n. 893, pag. 6).

249 G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 133.

250 Così G.P. Demuro, La riforma dei reati, cit., pag. 26. Già F. Mantovani, Lineamenti, cit., pag. 77, definiva l’art. 733 cod. pen. “una contravvenzione ‘gigante’, di rara verificazione pratica, richiedendo i tre rigorosi estremi del « rilevante pregio artistico» della cosa danneggiata, della conoscenza di tale rilevanza da parte dell’agente e, addirittura, del « nocumento al patrimonio artistico nazionale». Cfr. altresì V. Manes, La tutela, cit., pag. 298.

251 A. Visconti, Diritto penale dei beni culturali, cit., § 3.1, la quale ricorda che l’art. 733 cod. pen. “richiede un rapporto qualificato tra bene e soggetto attivo, anche se vi è contrasto circa il fatto che tale rapporto debba necessariamente ed esclusivamente consistere nella proprietà del bene, o possa qualificarsi anche come possesso o detenzione, in particolare in relazione alla posizione dei legali rappresentati di persone giuridiche eventualmente titolari del bene”.

252 Così G.P. Demuro, La riforma dei reati, cit., pag. 25. Contra C. Iagnemma, loc. ult. cit., secondo cui tale locuzione corrisponderebbe a quella dell’inservibilità e di non fruibilità del comma primo cui il legislatore ha annesso maggior disvalore.

253 In termini già G.P. Demuro, sub art. 170, in Commento articolo per articolo alla parte quarta (Sanzioni [artt. 160-181]) del d.lgs. 22/1/2004 , cit., pag. 451.

254 Arresto da sei mesi a un anno e ammenda da euro 775 a 38.734,50.

255 G.P. Demuro, sub art. 170, cit., pag. 451.

256 G.P. Demuro, La riforma dei reati, cit., pag. 23, secondo il quale previsione speciale in tema di sospensione condizionale della pena denota “la necessità di prestare attenzione al bene concretamente leso” (ibidem, pag. 9).

257 G.P. Demuro, La riforma dei reati, cit., pag. 25.

258 G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 22.

259 Punito da otto a quindici anni di reclusione.

260 G.P. Demuro, La fattispecie di devastazione: una sua descrizione, tra offensività e ragionevolezza (nota a Cass., Sez. 6, n. 37367 del 6/5/2014, Seppia), in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2015, n. 3, pagg. 1521 ss.; Id., La riforma dei reati, cit., pag. 27. In termini critici, rispetto al principio costituzionale di determinatezza, C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag. 11, secondo la quale è evidente, con questa fattispecie incriminatrice, come il legislatore del 2022 “abbia finito per trascurare quanto imposto dal principio di determinatezza, servendosi di termini generici che affidano al giudice il compito di definire il perimetro delle condotte rilevanti”.

261 Annotata da G.P. Demuro, La fattispecie di devastazione: una sua descrizione, tra offensività e ragionevolezza , cit., pagg. 1521 ss.

262 Ancora G.P. Demuro, La riforma dei reati, cit., pag. 27.

263 Per questo esemplare schema classificatorio sulle azioni di aggressione al patrimonio artistico v. già F. Mantovani, Lineamenti, cit. pagg. 75 ss.

264 Annotata da M. Piccardi, in Cassazione penale, 2002, pagg. 2753 ss. (nota redazionale).

265 In termini G.P. Demuro, La riforma dei reati, cit., pagg. 26 s. Secondo C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag. 11, l’art. 518-terdecies cod. pen., “per la sua collocazione sistematica, difficilmente potrebbe essere inteso come una norma posta a tutela dell’ordine pubblico. Né, del resto, vi sono elementi della fattispecie che depongono in tal senso”.

266 Così, in termini critici, C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag. 11, la quale fa riferimento a quanto già rilevato da F. Mantovani, Lineamenti della tutela penale, cit., pag. 96, circa la frequenza delle condotte colpose.

267 Così G. De Marzo, La nuova disciplina, cit., col. 133.

268 Ai sensi dell’art. 1 della Convenzione del 1954 e dell’art. 1, lett. b), del Secondo Protocollo del 1999. Cfr. A.M. Maugeri, La tutela dei beni culturali nell’ambito dei conflitti armati: la l. 16.4.2009, n. 45 , in Legislazione penale, 2010, n. 1, pagg. 6-8.

269 Recante « Ratifica ed esecuzione del II Protocollo relativo alla Convenzione dell'Aja del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, fatto a L’Aja il 26 marzo 1999 ». Cfr. A.M. Maugeri, La tutela dei beni culturali, cit., pagg. 9 ss. La stessa legge n. 45 del 2009 contiene ulteriori fattispecie speciali ascrivibili alla fase di illecito procacciamento di beni culturali, legate al contesto di conflitto armato in cui venga recata offesa al patrimonio culturale:

si richiama, ad es., il delitto di impossessamento illecito di beni culturali protetti (art. 10, comma 1, legge n. 45 del 2009), punito con reclusione da uno a cinque anni e con la pena della reclusione da due a otto anni se la condotta ricade su beni sottoposti a protezione rafforzata ai sensi del Secondo Protocollo (per la cui definizione v. artt. 1 e 11 del medesimo); il delitto di illecita rimozione o illecito trasferimento di beni culturali protetti (art. 11, comma 1, legge n. 45 del 2009), punito con la reclusione da due a otto anni. Tutte queste fattispecie speciali sono rimaste collocate, malgrado la natura delittuosa, nelle sedi attuali anche a seguito della odierna forma: sul punto A. Visconti, La repressione, cit., pag. 25.

270 La fattispecie è commissibile da chiunque se fatto è commesso in danno di beni situati sul territorio italiano; se il fatto è commesso in danno di beni situati in territorio estero, la fattispecie si applicherà in ogni caso laddove autore del fatto sia un cittadino italiano (principio di personalità), mentre risulterà applicabile al cittadino straniero quando questi si trovi in territorio italiano (principio di universalità mitigato) ex art. 6 della legge n. 45 del 2009. In entrambe tali ultime due ipotesi, non si applicano i limiti stabiliti dagli artt. 9 e 10 cod. pen., salva appunto la condizione di procedibilità della presenza dello straniero sul territorio nazionale. Cfr. A.M. Maugeri, op. ult. cit., pag. 9.

271 Così A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 24.

272 In termini G. De Marzo, op. ult. cit., coll. 133 s.

273 Con la reclusione da tre mesi a quattro anni e con multa da 103 a 3.099 euro.

274 In precedenza, il falso artistico era punito come truffa, falso in scrittura privata nel caso di opere sottoscritte e in talune ipotesi come violazione del diritto d’autore: sul punto U. Pioletti,Sub art. 178, in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di Cammelli, Bologna, 2007, pag. 738 e, più diffusamente, F. Lemme, La contraffazione e alterazione d’opere d’arte nel diritto penale , Padova, 1995, pagg. 6 ss. Cfr. in argomento altresì M. Bellacosa, Patrimonio archeologico, storico e artistico nazionale (tutela penale del), cit., pag. 6; P. Coco, Teoria del falso d’arte, Padova, 1988; G. Marini, Note minime in materia di c.d. falso d’arte, inStudi senesi, 1989, pagg. 86 ss.; G.C. Rosi,Opere d’arte (contraffazione o alterazione di), in Digesto discipline penalistiche, Vol. IX, Torino, 1995, pagg. 1 ss.; V. Manes, La tutela penale, cit., pagg. 234 ss.

275 Secondo A. Visconti, Contraffazione di opere d’arte e posizione del curatore d’archivio, cit., pag. 8, le fattispecie dell’art. 178 cod. beni cult. “presentano alcuni rilevanti problemi di precisione e di obsolescenza, soprattutto in rapporto alla consistente evoluzione delle forme di espressione artistica, oltre a problemi probatori legati principalmente alla complessità dell’elemento soggettivo da accertare. E se, rispetto a quest’ultimo profilo, una revisione legislativa non appare né necessaria né opportuna, stante il delicatissimo bilanciamento, operato per il tramite della calibrazione del dolo, tra diversi interessi meritevoli di tutela, sotto il primo aspetto una riformulazione della fattispecie appare quanto mai urgente, così come sarebbe necessaria una regolamentazione legislativa delle attività di autenticazione (in particolare sotto il profilo dell’individuazione e positivizzazione di standard minimi di diligenza, prudenza e perizia da seguire nel rilascio di expertise e/o nelle attività di archiviazione e inserimento in cataloghi ragionati, nonché, eventualmente, dell’istituzione di albi di soggetti specificamente qualificati) e, correlativamente, una ‘rivitalizzazione’ dell’art. 64 cod. beni cult”.

276 Recentemente, L. Malnati, La falsificazione dei reperti archeologici nel commercio clandestino , in AA.VV., L’arte non vera non può essere arte, Roma, 2018, pagg. 69 ss., e ivi anche D. Calaon, Falsi, copie e repliche nel XXI secolo. Idee, materialità e contesti intorno alla contraffazione in archeologia , pagg. 396 ss.; nello stesso senso I. Ercole, Falsi d’arte e confisca in assenza di condanna, tra tentativi definitori e prassi applicativa (nota a Sez. 3, n. 30687 del 5/8/2021), in Sistema penale, 8 giugno 2022, pag. 6.

277 Così G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 28.

278 G.P. Demuro, I delitti contro il patrimonio culturale, cit., pag. 28.

279 Così già U. Pioletti, op. ult. cit., pag. 740.

280 La condotta di contraffazione si risolve nella creazione di un’opera attribuendole una parvenza diversa dall’identità reale; l’alterazione identifica una modificazione o un’aggiunta sull’opera che ne muti i connotati originali; la riproduzione, invece, identifica la duplicazione dell’opera secondo caratteristiche identiche all’originale: così, sotto il previgente art. 178 cod. beni cult., V. Manes, La tutela penale, cit., pag. 304.

281 Con questa disposizione si intende contrastare il fenomeno del falso d’arte nel momento nevralgico dell’immissione sul mercato delle opere contraffatte, momento in cui le potenzialità dannose delle precedenti condotte illecite di falsificazione sono più prossime a produrre effetti. Considerata questa prossimità di offesa, la norma anticipa la soglia di intervento penale sino a reprimere condotte anche solo prodromiche alla “messa in commercio”, come la semplice detenzione per il commercio, la mera introduzione nel territorio dello Stato al fine di commercio, ovvero ancora la semplice “messa in circolazione”, come autentici, di esemplari contraffatti. In termini V. Manes, La tutela penale, cit., pag. 305.

282 La ragion d’essere di una previsione autonoma per questa tipologia di condotta va ravvisata nella particolare attitudine ingannatoria del cd. falso expertise, cioè nella dichiarazione di autenticità rilasciata da un esperto relativa ad un’opera falsa: ancora V. Manes, loc. ult. cit.

283 Si tratta di condotte che, negli effetti, vengono considerate dalla legge in modo analogo alla falsa autenticazione, purché contribuiscano a corroborare la precedente falsità, cioè accreditino la falsa rappresentazione sotto il profilo dell’originalità dell’opera, della provenienza, ovvero dell’attribuzione o della paternità della stessa: così V. Manes, op. loc. ult. cit., con riguardo al previgente art. 178 cod. beni cult.

284 Non rileva quindi a questo titolo di reato la finalità di semplice esercizio artistico, o di mero godimento personale, ovvero per farne dono ad un amico: così, sotto il previgente art. 178 cod. beni cult., V. Manes, La tutela penale, cit., pag. 304.

285 G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 28.

286 Così V. Manes, La tutela penale, cit., pag. 305, che, sotto il previgente art. 174 cod. beni cult., segnalava come la prova del dolo possa rendere molto delicato l’accertamento, essendo le valutazioni di autenticità spesso del tutto opinabili. “L’aver ritenuto in buona fede ‘originale’ un’opera che poi si scopre non esserlo non può certo essere ritenuta condotta sufficiente a integrare il reato, essendo al più indice di imperizia, o magari di errore neppure attribuibile a colpa” ( ibidem, pag. 305).

287 In termini G. De Marzo, op. cit., col. 134.

288 Commentata da I. Ercole, Falsi d’arte e confisca in assenza di condanna, tra tentativi definitori e prassi applicativa , in Sistema penale, 8 giugno 2022, secondo la quale le argomentazioni della sentenza annotata, ritenute non sempre convincenti, non riesce a superare il riconoscimento di intrinseca pericolosità dei beni oggetto di confisca obbligatoria in assenza di condanna.

289 Commentata da P. Cipolla, I limiti soggettivi alla confiscabilità delle opere di pittura, scultura e grafica provento di falsificazione , in Cassazione penale, 2005, pagg. 559 ss.

290 Definizione ripresa da P. Cipolla, op. ult. cit., pag. 571.

291 Secondo I. Ercole, Falsi d’arte e confisca in assenza di condanna, cit., pag. 18, la natura sanzionatoria riconosciuta da questa pronuncia e, soprattutto, la dichiarata non assimilabilità della previsione all’art. 240, comma secondo, n. 2, cod. pen., “non appare del tutto convincente, né sufficientemente argomentata, in ragione di presupposti di ordine anzitutto letterale”: invero, il divieto, generalizzato, della vendita nelle aste dei corpi di reato delle cose confiscate – ribadito, oggi, nell’art. 518-quaterdecies, comma secondo, cod. pen. – sarebbe espressione, per l’appunto, della natura intrinsecamente pericolosa della res, in quanto, nelle opere d’arte “falsificate” la frode è strutturata nell’opera, sicché questa è oggettivamente pericolosa per il mercato dell’arte e non può essere rimessa in circolazione senza mettere in pericolo il bene protetto.

292 Sul punto G. De Marzo, op. cit., col. 134.

293 Così V. Manes, La tutela penale, cit., pag. 305.

294 Secondo I. Ercole, Falsi d’arte e confisca in assenza di condanna, cit., pag. 9, l’intitolazione della rubrica è impropria, trattandosi, a ben vedere, come già affermato dalla giurisprudenza, di un elemento negativo della fattispecie.

295 G.P. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale, cit., pag. 29.

296 Così G. De Marzo, op. cit., col. 134. Secondo C. Iagnemma, op. cit., pag. 13, sarà piuttosto difficile immaginare di commettere uno dei delitti contro il patrimonio artistico che non sia aggravato ai sensi delle molteplici circostanze di nuovo conio.

297 In termini C. Perini, Itinerari di riforma per la tutela penale del patrimonio culturale , cit., pag. 37.

298 G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 29, il quale ricorda che analoga aggravante è prevista nell’ordinamento penale spagnolo (art. 322 codigo penal) ed in quello francese (artt. 432-15 code pénal).

299 Così G.P. Demuro, loc. ult. ult., secondo il quale il novellatore avrebbe potuto tener conto anche di tali soggetti, rispetto ai quali è individuabile eguale ratio aggravatrice rispetto al fatto commesso dai pubblici funzionari.

300 Sul punto cfr. G.P. Demuro, loc. ult. cit.

301 Secondo A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 24 offre una protezione penale indiretta rispetto anche ad eventuali fatti di rapina o di estorsione commessi in ambito associativo aventi per oggetto beni culturali (reati-fine che restano presidiati dalle corrispondenti fattispecie comuni ex artt. 628 e 629 cod. pen., non avendo trovato una “linea” di specialità come per le altre fattispecie delittuose contro il patrimonio).

302 Cfr. precedente nt. 14.

303 “Tutti questi soggetti spesso lavorano insieme, nell’ambito di un’organizzazione strutturata in modo piramidale o reticolare di proporzioni transnazionali, ed effettuano l’acquisto illegale dei beni culturali e la loro esportazione illecita dal Paese d’origine, la produzione di expertise al fine di innalzarne il prezzo, l’attività di riciclaggio finalizzata ad attribuire agli oggetti una falsa provenienza lecita… i reati contro il patrimonio culturale non sono più, come in passato, commessi tipicamente da piccoli delinquenti, contadini o modesti abitanti di città che il destino ha fatto trovare prossimi a siti meravigliosi, o da piccoli mercanti che hanno raccolto i risultati delle razzie o dei furti commessi dai primi. L’aggressione generalizzata al patrimonio culturale che oggi ci troviamo ad affrontare è sferrata… da organizzazioni transnazionali di criminali che possono contare su una potente struttura commerciale, mezzi logistici importanti e, talvolta, sulla complicità e il sostegno delle istituzioni politiche e amministrative dello Stato”: così già la relazione dell’esperto italiano riportata nel Digesto di casi di criminalità organizzata. Raccolta commentata di casi e lezioni apprese , UNDOC (United Nations Office on Drug and Crime), Nazioni unite, Vienna-New York, 2012, § 251, pag. 115 (scaricabile in < www.unodc.org/documents/organized-crime/ItalianDigest_Final291012.pdf >), ove sono riportati, oltre ai casi italiani di esportazione di manufatti archeologici, i suggerimenti di natura tecnica sulla mutua assistenza giudiziaria e i passi fondamentali da compiere per rafforzare la cooperazione internazionale.

304 United Nations Convention against Transnational Organized Crime ( in G.U. n. 85 del 2006, pagg. 97 ss.). «Art. 2 (Terminologia). – Ai fini della presente convenzione: a) “gruppo criminale organizzato” indica un gruppo strutturato esistente, per un periodo di tempo, composto da tre o più persone che agiscono di concerto al fine di commettere uno o più reati gravi o reati stabiliti dalla presente convenzione, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o altro vantaggio materiale». […] c) “gruppo criminale strutturato” s’intende un gruppo che non si è costituito fortuitamente per la commissione estemporanea di un reato e che non deve necessariamente prevedere ruoli formalmente definiti per i suoi membri, continuità nella composizione o una struttura articolata». Cfr. E. Ahmetaj, UNTOC (United Nations Convention against Transnational Organized Crime) , in Archivio penale online, 2013, n. 2, pagg. 8 ss. con riferimento al fenomeno della contraffazione industriale associato allo sviluppo e all’internazionalizzazione del commercio.

305 In termini A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 37. Cfr. altresì L. Natali, Patrimonio culturale e immaginazione criminologica, cit., pagg. 57 ss. ed ivi per i richiami alla letteratura criminologica internazionale.

306 Ancora A. Visconti, loc. op. ult. cit.

307 Dal nome di uno dei capifila di un “consorzio” criminale con ramificazioni in Svizzera e altrove, con ogni probabilità responsabile, tra l’altro, dell’uscita dall’Italia del famoso Cratere di Eufronio, acquistato dal Metropolitan Museum of Art di New York nel 1972 e recuperato, tramite un accordo tra il museo e il Governo italiano, nel 2008. In questa vicenda il trafugamento dei reperti a opera dei tombaroli incontrava nella figura di Giacomo Medici, mercante d’arte, il passaggio principale per il successivo trasferimento all’estero: il Medici, attraverso contatti con Robert Bob Hecht, autorevole mercante d’arte, era riuscito a trafugare migliaia di reperti archeologici rivendendoli a musei e case d’asta internazionali.

Il caso, nelle sue varie sfaccettature, è stato oggetto di studio approfondito nella letteratura internazionale. Cfr.ex plurimis D. Gill-C. Chippindale,From Boston to Rome: Reflections on Returning Antiquities, in International Journal of Cultural Property, 2006, vol. 13, n. 3, pagg. 311-331; Id., From Malibu to Rome: Further Developments on the Return of Antiquities , ibidem, 2007, vol. 14, n. 2, pagg. 205-240; A.K. Briggs, Consequences of the Met-Italy Accord for the International Restitution of Cultural Property , in Chicago Journal of International Law, 2007, vol. 7, n. 2, pagg. 623-653; P. Watson-C. Todeschini, The Medici Conspiracy: The Illicit Journey of Looted Antiquities. From Italy’s Tomb Raiders to the World’s Greatest Museum , New York, 2007; D. Chappel-K Polk, ‘Unraveling the “Cordata”: Just How Organised Is the International Traffic in Cultural Objects?’ in Crime in the Art and Antiquities World. llegal Trafficking in Cultural Property , a cura di S. Manacorda- D. Chappell, cit., pagg. 100 s.; P.B. Campbell, The Illicit Antiquities Trade, cit., pagg. 118 s.

308 In motivazione la S.C. ha ribadito che l’esistenza nel caso concreto di un’effettiva, specifica offesa del bene giuridico protetto, qualunque esso sia, rappresenta condizione indefettibile per l’applicazione della fattispecie astratta; l’intensità e il grado di quell’offesa costituiscono il presupposto del giudizio di utilità e necessità della relativa pena, a prescindere dalla natura dell’interesse tutelato.

309 Secondo C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag. 14, proprio per questa ragione “c’è il rischio che la persona non vi faccia conto” in quanto tali circostanze premiali “potrebbero soccombere nel giudizio di bilanciamento”.

310 Cfr. già G.P. Demuro, sub art. 177, in Commento articolo per articolo alla parte quarta (Sanzioni [artt. 160-181]) del d.lgs. 22/1/2004 , cit., pag. 465, che annetteva natura oggettiva alla circostanza “non bastando il ravvedimento ma l’effettivo recupero”.

311 In termini G. De Marzo, op. cit., col. 135. Contra A. Visconti, La repressione, cit., pag. 29, secondo cui, invece, la nuova previsione premiale assume una “connotazione leggermente meno favorevole” rispetto al previgente art. 177, ove non era ravvisabile l’“obbligazione di risultato” a carico del collaborante d’ora in poi richiesta. Critica C. Iagnemma, loc. op. ult. cit., per la quale “la motivazione premiale inerente, in particolare, alla circostanza del ravvedimento operoso post delictum di cui all’art. 518-septiesdecies, comma secondo, cod. pen. non può che apparire sbiadita”.

312 In argomento v. L. Luparia, La tutela penale dei beni culturali nella dimensione processuale: avvertenze e proposte nello scenario di riforma , cit., pagg. 257 ss.

313 Ciò si presta a risolvere il problema - avvertito da taluno in dottrina (cfr. P. Cipolla, Sulla obbligatorietà della confisca di beni culturali appartenenti allo Stato illecitamente esportati , in Giurisprudenza di merito, 2011, n. 9, pagg. 2202 s.) – della disparità di trattamento, dal punto di vista delle misure ablative, tra beni culturali oggetto di illecita esportazione (già oggetto di confisca obbligatoria ex art. 174, comma 3, cod. beni cult.) e beni culturali oggetto di impossessamento illecito ex art. 176 cod. beni cult. [ora 518-bis, comma primo, seconda parte cod. pen.] o ricettazione comune ex art. 648 cod. pen., fino alla legge n. 22 del 2022 oggetto di confisca facoltativa ai sensi della disciplina generale dell’art. 240, comma primo, cod. pen. Cfr. A. Visconti, La repressione, cit., pag. 59.

314 Annotata da R. Muzzica, Confisca dei beni culturali e prescrizione: contro o oltre Varvara? , in Diritto penale contemporaneo < www.archiviodpc.dirittopenaleuomo.org>, 23/11/2015; A. Viglione, Prescrizione del reato e confisca dei beni culturali , sanzione penale o misura amministrativa?, in Cassazione penale, 2016, n. 11, pagg. 4176 ss.

315 Contra M. Montagna, Il “Getty Bronze”: prima un giallo archeologico, poi un rebus giuridico. Profili processualistici , cit., pagg. 193-212, la quale afferma la natura afflittivo-sanzionatoria connaturata a tale misura ablativa, tale da richiedere di per sé, pur ritenendo presenti ulteriori rilevanti finalità (quale quella recuperatoria), l’assoggettamento di questa confisca alla pienezza delle garanzie costituzionali e convenzionali in tema di legalità, irretroattività, presunzione di non colpevolezza e proporzionalità. In generale, sul requisito della “proporzionalità” e sull’interferenza col diritto di proprietà come declinato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, cfr. da ultimo M. Di Lello Finuoli, La confisca ante delictum e il principio di proporzione, Torino, 2021, pagg. 268-274.

316 Cfr. A. Visconti, La repressione, cit., pag. 57.

317 Su cui v. relazione di questo Ufficio n. 60/2020. Su tale sentenza cfr. ex plurimis A. Bassi, Confisca urbanistica e prescrizione del reato: le Sezioni unite aggiungono un nuovo tassello alla disciplina processuale della materia , in Sistema penale, 2020, n. 5, pagg. 285-301; L. Capriello, Confisca urbanistica e prescrizione del reato presupposto: le Sezioni Unite chiariscono la portata applicativa del principio (ri)affermato da Corte EDU, G.I.E.M. c. Italia , in Cassazione penale, 2020, pagg. 4053-4069; A. Costantini, Nuovi equilibri e vecchie contraddizioni in tema di confisca urbanistica: i rapporti con la prescrizione del reato e il principio di proporzione nell’interpretazione delle Sezioni Unite , in Diritto penale e processo, 2020, pagg. 1197-1208; R. Belfiore, Nuovi punti fermi sui meccanismi processuali che regolano prescrizione del reato e confisca urbanistica , ibidem, pagg. 1209-1217; A.M. Maugeri, La confisca urbanistica alla ricerca di un difficile equilibrio tra le esigenze dell’efficienza e i principi della materia penale , in Archivio penale online, 2020, n. 3, pagg. 1-60; M. Pierdonati, Confisca urbanistica e prescrizione del reato di lottizzazione abusiva. Dal consolidamento della condanna “in senso sostanziale” all’interpretazione estensiva dell’art. 578-bis c.p.p. , in Lexambiente, 2020, n. 2, pagg. 89-110; A. Quattrocchi, Le Sezioni unite su confisca urbanistica e poteri del giudice dell’impugnazione in ipotesi di prescrizione del reato di lottizzazione abusiva: tra i punti fermi, permane insoluto il nodo della proporzionalità della misura , in Sistema penale, 2020, n. 7, pagg. 199-225.

318 Così massimata da questo Ufficio: “In assenza del presupposto costituito da una pronuncia di condanna, non può essere disposta la confisca di cui al primo comma dell’art. 240 cod. pen. qualora venga dichiarata la prescrizione del reato di ricettazione di reperti archeologici di particolare valore; ne' può applicarsi, in tali ipotesi, il precetto di cui al comma secondo, n. 2, della medesima disposizione - in tema di confisca obbligatoria - trattandosi di beni il cui trasferimento, pur se assoggettato a particolari condizioni o controlli, non rende gli stessi illeciti e la cui detenzione non può reputarsi vietata in assoluto, bensì subordinata a determinate condizioni volute dalla legge”.

319 Cfr. P. Cipolla, Sulla obbligatorietà della confisca di beni culturali, cit., pagg. 2203 s.

320 Su cui v. relazione di questo Ufficio n. 19/1996.

321 Su cui v. relazione di questo Ufficio n. 7/2015.

322 « Each Party shall take the necessary legislative and other measures, in accordance with domestic law, to permit seizure and confiscation of the: a) instrumentalities used to commit criminal offences referred to in this Convention; b) proceeds derived from such offences, or property whose value corresponds to such proceeds ».

323 Rileva criticamente E. Mottese,La confisca di beni culturali illecitamente esportati, in Rivista di diritto internazionale, 2019, pagg. 1098-1099, che i due profili attinenti all’estraneità del terzo al reato e alla verifica della buona fede nell’acquisizione del bene, benché tipicamente sovrapposti in giurisprudenza, si presentano logicamente distinti, attenendo il secondo alla questione – intrinsecamente diversa da quella della estraneità o meno del terzo al reato – dell’appartenenza del bene al terzo stesso.

324 Cfr. T. Scovazzi, Un atleta non ancora giunto a destinazione, cit., pagg. 511 ss.; A. Lanciotti, Il “Getty Bronze”: prima un giallo archeologico, poi un rebus giuridico. Profili internazionalistici , cit., pagg. 175-190; C. Santoriello, Il “Getty Bronze”: prima un giallo archeologico, poi un rebus giuridico. Profili intertemporali , cit., pagg. 213-22; M. Montagna, Il “Getty Bronze”: prima un giallo archeologico, poi un rebus giuridico. Profili processualistici , cit., pagg. 193-212.

325 Nella specie la Corte ha ritenuto «del tutto irrilevante […] il fatto […] che il G. Museum sia un’istituzione filantropica la quale non preveda alcun costo a carico dei soggetti che ne visitino le sale e che ne possano, in tal modo, apprezzare le opere d’arte ivi custodite», giacché è certamente rinvenibile un giovamento nella posizione di chi, in condizione di non estraneità rispetto alla commissione del reato, si trovi nel possesso del bene culturale, a prescindere dalla destinazione di questo alla produzione di un beneficio materiale in favore del detentore. Nella valutazione di “non estraneità” intesa in tali rigorosissimi termini, la Corte ha soppesato una serie di indici – definiti in dottrina di “cecità volontaria” da parte del terzo attuale possessore (A. Visconti, La repressione, cit., pag. 53) – tra cui il fatto che il fondatore, J.P. Getty, avesse abbandonato il progetto di acquisire la statua greca alla collezione in seguito alle perplessità espresse in merito alla liceità dell’origine del bene dal Metropolitan Museum of Arts e che, in seguito, coloro che decisero invece l’acquisto fecero affidamento su dichiarazioni relative alla regolarità dell’esportazione dell’opera provenienti esclusivamente da consulenti legali della parte venditrice; ciò in aggiunta alla notorietà dell’esistenza in Italia di un contenzioso penale coinvolgente la scultura.

326 G.P. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale, cit., pag. 32.

327 G.P. Demuro, loc. op. ult. cit.

328 Annotata da B. Rossi, La confisca ex art. 322-ter c.p. è applicabile anche con la sentenza di prescrizione ex art. 578-bis c.p.p. , in Cassazione penale, 2021, pagg. 237 ss.

329 F. Mantovani, Lineamenti della tutela penale del patrimonio artistico, cit., pag. 110.

330 Così, per tutti, V. Manes, La circolazione illecita, cit., pag. 86. Proprio muovendo dalla (allora proposta) introduzione di tale previsione relativa alla punibilità dei fatti commessi all’estero, L. D’Agostino, op. cit., pag. 90 e nt. 60 aveva proposto de iure condendo di legare la definizione “penalistica” di bene culturale non già al diritto interno bensì a quella – ampiamente condivisa – fornita dalla Convenzione UNESCO, in ragione delle esigenze di uniforme applicazione della legge penale anche a condotte commesse fuori dai confini nazionali.

331 Così G. De Marzo, op. cit., col. 135.

332 In senso adesivo v. D. Gulino-S. Mabellini,Dai “beni culturali” all’“arte” contemporanea (parte I), in Rassegna dell’arma dei carabinieri, 2021, n. 2, pag. 121, che apprezzano l’introduzione di questa “ulteriore forma di giurisdizione extraterritoriale, fondamentale per il perseguire tutti quei casi rimasti in passato impuniti per difetto di giurisdizione”.

333 Cfr. diffusamente E. Mottese, La lotta contro il danneggiamento e il traffico illecito di beni culturali nel diritto internazionale. La Convenzione di Nicosia del Consiglio d’Europa , Torino, 2020, pagg. 150-168.

334 In argomento cfr. M. Romani, Servizi di polizia internazionale, cooperazione giudiziaria e terzo pilastro dell’Unione europea , Padova, 2009.

335 Attuativo della direttiva dell’Unione europea n. 2014/41/UE sull’Ordine europeo di indagine penale ( European Investigation Order - EIO) ed entrato in vigore il 28 luglio 2017.

336 La prova viene raccolta secondo la lex loci, ma lo Stato che chiede l’esecuzione dell’EIO (Stato di emissione) può indicare formalità specifiche, consone al proprio diritto, che rendano la prova ammissibile o utilizzabile. C’è insomma una combinazione tra lex loci e lex fori. Il limite è quello dell’atto o delle formalità che siano contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento dello Stato richiesto (Stato di esecuzione). Per i profili operativi sia sul lato attivo (in cui l’Italia sia lo Stato di emissione), sia su quello passivo (in cui l’Italia sia lo stato di esecuzione), a margine della circolare del ministero della giustizia del 26-30 ottobre 2017, cfr. E. Selvaggi, La circolare del ministero della giustizia sul cd. ordine europeo di indagine , in Diritto penale contemporaneo <www.archiviodpc.dirittopenaleuomo.org> , 7/11/2017.

337 L. Luparia, La tutela penale dei beni culturali nella dimensione processuale , cit., pag. 262.

338 Cfr. ad es., l’art. 4 della Convenzione OCSE del 1997 sulla lotta alla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, firmata a Parigi il 17 dicembre 1997, ratificata con la legge 29 settembre 2000, n. 300; la Convenzione del Consiglio d’Europa del 2001 sul contrasto al cybercrime, firmata a Budapest il 23 novembre 2001, ratificata con la legge 18 marzo 2008, n. 18; l’art. 15 della Convenzione ONU del 2000 sul crimine organizzato transnazionale, firmata a Palermo il 15 novembre 2000, ratificata con la legge 16 marzo 2006, n. 146; l’art. 42, par. 5, della Convenzione ONU del 31 ottobre 2003, ratificata con la legge del 3 agosto 2009 n. 116.

339 G.P. Demuro, La riforma dei reati contro il patrimonio culturale, cit., pag. 24.

340 In termini L. D’Agostino, Dalla “vittoria” di Nicosia alla “navetta” parlamentare, cit., pag. 86 nt. 36, a proposito del corrispondente reato di possesso contenuto nella precedente proposta di legge governativa presentata nella precedente legislatura (A.C. n. 4220), allora in fase parlamentare.

341 Per questo inquadramento, cfr. A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 21 e C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag. 13. Nella dottrina penalistica in tema di reati di possesso cfr. per tutti: A.M. Maugeri, I reati di sospetto dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 370 del 1996: alcuni spunti di riflessione sul principio di ragionevolezza, di proporzione e tassatività , in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1999, pagg. 434-486 (parte I) e pagg. 944-988 (parte II); R. Calisti, Il sospetto di reati. Profili costituzionali e prospettive attuali , Milano 2003; V. Manes,La pervicace resistenza dei “reati di sospetto”, in Giustizia costituzionale, 2008, n. 3, pagg. 2539-2547; M. Mantovani, La struttura dei reati di possesso, in <www.penalecontemporaneo.it>, 7/11/2012; I. Salvadori, I reati di possesso. Un’indagine dogmatica e politico-criminale in prospettiva storica e comparata , Napoli, 2016, passim.

342 Per questa ragione - secondo G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 30 - la nuova contravvenzione avrebbe potuto trovare più congrua collocazione nella legislazione complementare, insieme agli altri reati di pericolo astratto, accanto all’art. 175 cod. beni cult.

343 G.P. Demuro, op. ult. cit., pag. 33.

344 In termini A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pagg. 21-22. Contra C. Iagnemma, I nuovi reati inerenti ai beni culturali, cit., pag. 14, che giudica “inaccettabile” che debba essere il soggetto agente a dover “provare la legittima destinazione delle apparecchiature in uso”: tale inversione dell’onere della prova non sarebbe giustificabile “alla luce del principio secondo il quale spetta all’accusa dimostrare, ogni oltre ragionevole dubbio, la responsabilità dell’imputato. Tanto più che da tale inversione dell’onere della prova non dipende un provvedimento patrimoniale accessorio, ma la stessa configurazione del reato”.

345 M. Mantovani, La struttura dei reati di possesso, cit., pag. 4.

346 Ancora, G.P. Demuro, loc. ult. cit.

347 Secondo G.P. Demuro, loc. ult. cit., da tempo presenta carattere urgente la relativa regolamentazione.

348 G.P. Demuro, loc. ult. cit.

349 Cfr. P.G. Ferri, Uscita o esportazioni illecite, cit., pag. 178.

350 Cfr. G.L. Perdonò, L’uso illecito e le violazioni in materia di alienazione: riproposizione di vecchi schemi a fronte della rinuncia alle chances offerte dalle nuove frontiere della politica criminale , in Il codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di A. Manna, cit., pagg. 120 ss.

351 Cfr. L. Amineddoleh,Museum Have a Responsibility to Protect Cultural Heritage, in Aedon - Rivista di arti e diritto online, 2013, n. 2.

352 Secondo L. D’Agostino, op. ult. cit., pag. 89 nt. 50 con tale previsione interdittiva massima il legislatore dimostra di aver preso in considerazione proprio l’eventualità di una fenomenologia criminale attuata da soggetti collettivi dediti principalmente (e non marginalmente) al traffico illecito di beni culturali.

353 Cfr. S. Manacorda, La circolazione illecita, cit., pag. 24; P. Carpentieri, La tutela penale, cit., pag. 45.

354 C. Perini, Itinerari di riforma per la tutela penale del patrimonio culturale , cit., pag. 21.

355 L. D’Agostino, Dalla “vittoria” di Nicosia alla “navetta” parlamentare, cit., pag. 89. Negli stessi termini v. D. Gulino-S. Mabellini, Dai “beni culturali” all’“arte” contemporanea (parte I), cit., pag. 121, che parlano di “ruolo imprescindibile acquisito dalle entità societarie nel traffico illecito di beni culturali e del riciclaggio di capitali sporchi attraverso investimenti nel mercato dell’arte su scala mondiale”.

356 Così G. Camera, in Quotidiano NT Plus diritto del 23/3/2022.

357 C. Iagnemma, I nuovi reati, cit., pag. 15.

358 International Guidelines for Crime Prevention and Criminal Justice Responses with Respect to Trafficking in Cultural Property and Other Related Offences , A/Res/69/196, adottate dall’Assemblea generale il 18 dicembre 2014. In argomento cfr. A. Visconti, Le prospettive internazionali di tutela penale: strategie sanzionatorie e politico-criminali , in Beni culturali e sistema penale, cit., cit., pagg. 139-159.

359 In attuazione della Convenzione UNESCO di Parigi del 14 novembre 1970, ratificata dall’Italia con la legge n. 873 del 1975 cit., l’art. 63 cod. beni cult. sancisce per coloro i quali esercitano il commercio di «cose antiche» l’obbligo di tenere un registro dove annotare le operazioni eseguite con riguardo ai predetti oggetti. Tale misura s’è dimostrata, tuttavia, del tutto inefficace non essendo corredata da un adeguato sistema di controllo: per tutti, V. Manes, La circolazione illecita di beni artistici e archeologici. Risposte penali ed extrapenali a confronto , cit., pagg. 108 s.

360 Cfr. A. Visconti, La repressione del traffico illecito, cit., pag. 65, che elenca tali misure nell’ambito di quelle pre-penali di protezione del patrimonio e contrasto al traffico previste dalla Convenzione di Nicosia – non considerate dalla legge n. 22 del 2022 – che dovrebbero essere “selezionate e implementate valorizzando anche le nuove tecnologie e strutturate secondo standard maggiormente uniformi in tutti i paesi interessati dal movimento internazionale dei beni culturali”.

361 In termini C. Iagnemma, loc. op. ult. cit., secondo la quale si tratta “di predisporre un sistema responsivo, costruito secondo una logica icasticamente descritta come piramidale, che abbia come finalità quella di favorire l’adesione spontanea dell’interessato alle specifiche cautele prescritte: risultando secondaria l’irrogazione della pena. Seguendo siffatta logica scalare, la risposta sanzionatoria andrebbe attivata soltanto qualora la richiesta di conformità agli obblighi di collaborazione, pur essendo stata rinnovata a ogni gradino della tutela scalare, rimanga ineseguita” (ibidem, pag. 17).

362 Su cui v. relazione di questo ufficio n. 18/2013.

363 Annotata da G. Amato, Al giudice la verifica su esistenza e regole del modello di gestione. in Guida al diritto, 2019, n. 2, pag. 70; da M. Paone, Contestazione dell’illecito amministrativo: controlli giurisdizionali e oneri patrimoniali , in Diritto penale e processo, 2020, n. 8, pag. 1089 ss.

364 Ossia delle prescrizioni date dal Ministero dei beni culturali ai sensi dell’art. 45, comma 1, delle misure cautelari contenute nell’atto di cui all’art. 46, comma 4, cod. beni cult.