Cass. Sez. III sent.26379 del 18
luglio 2005 (C.c. 21 aprile 2005)
Pres. Postiglione Est. Onorato Ric. PM in proc. Zunino
Rifiuti - Ecopiazzole - Sequestro
L'attività svolta presso le c.d. ecopiazzole è attività di gestione di
rifiuti che necessita della preventiva autorizzazione o, qualora ne ricorrano i
presupposti, deve essere assoggettata alle procedure semplificate. L'assenza di
titolo abilitativo configura il reato di cui all'art. 51 D.Lv. 22-97e legittima
il sequestro
Svolgimento del
processo
I
- Con ordinanza del 28 settembre 2004 il tribunale
di Savona, accogliendo l'appello dell'interessato,
ha annullato il provvedimento del 26 luglio 2004 con cui il g.i.p. presso lo
stesso tribunale aveva
respinto l'istanza di dissequestro di un'area di circa 400 mq. sita nel comune di
Celle, contenente rifiuti urbani ingombranti e rifiuti speciali, in parte anche
pericolosi.
L'area, presso cui i rifiuti erano conferiti dalla ditta appaltatrice del servizio di raccolta o direttamente dai cittadini, era stata sottoposta a sequestro preventivo, con decreto del 26 luglio 2004, in cui il g.i.p. aveva ravvisato a carico del sindaco di Celle, Remo Zunino, il reato di cui all'art. 51, comma 1, lett. a) e b) D.Lgs. 22/1997, per aver questi gestito uno stoccaggio dì rifiuti nella stessa area senza la necessaria autorizzazione.
II
tribunale savonese, con la suddetta ordinanza, ha ordinato il dissequestro,
ritenendo che ricorresse il fumus
delicti ma non il periculum in
mora, atteso che doveva escludersi nella fattispecie
una lesione dell'interesse sostanziale alla integrità e salubrità
dell'ambiente.
2
- II procuratore della Repubblica di Savona ha proposto ricorso per
violazione di legge.
Sostiene che il periculum di cui all'art. 321 c.p.p. coincide con la prosecuzione dell'attività di gestione dei rifiuti in assenza della dovuta autorizzazione (interesse formale). Aggiunge, inoltre, che anche l'interesse sostanziale risultava pregiudicato giacché la stessa ordinanza impugnata ha ammesso che parte dei rifiuti giaceva esposta alle intemperie e a contatto col suolo.
Motivi
della decisione
3 - Contrariamente alle conclusioni orali del pubblico ministero requirente, il ricorso è fondato e merita accoglimento.
E' pacifico tra le parti che il comune di Celle aveva istituito senza alcuna autorizzazione regionale una c.d. piazzola ecologica o ecopiazzola, destinata alla raccolta differenziata di rifiuti urbani.
Come risulta dalla ordinanza impugnata la ecopiazzola comunale era stata istituita sulla base delle linee guida emanate dalla Provincia di Savona, secondo le quali, in base al combinato disposto degli artt. 6 e 21 del D.Lgs. 22/1997, spetta ai comuni il potere di regolamentare la gestione dei rifiuti, intesa come attività di raccolta, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti stessi, comprensiva del controllo delle relative operazioni. Secondo questa tesi, la ecopiazzola altro non sarebbe che un centro di raccolta dei rifiuti urbani, che i comuni possono gestire in regime di privativa e disciplinare con regolamento e quindi in assenza di autorizzazione.
Questa tesi è però giuridicamente infondata.
La
competenza che l'art. 21, comma 1, D.Lgs. 22/1997, attribuisce ai comuni di
esercitare in regime di
privativa la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento,
non esclude che le attività di smaltimento o di recupero esercitate nell'ambito
della più vasta gestione
dei rifiuti debbano essere sempre
soggette alle autorizzazioni regionali
imposte dall’art. 28 o alle procedure
semplificate affidate alle province ex artt.. 31, 32
e 33; così come non esclude che le aziende municipalizzate e le imprese
concessionarie che
esercitano attività di raccolta, trasporto o smaltimento dei rifiuti debbano
essere iscritte all'albo
nazionale previsto dall'art. 30.
Parimenti
la competenza attribuita ai comuni dall'art. 21, comma 2, di disciplinare con appositi
regolamenti la gestione dei rifiuti, nel rispetto dei principi di efficienza,
efficacia ed economicità,
in particolare al fine di ottimizzare la raccolta e il trasporto dei rifiuti
urbani e di favorirne la
raccolta differenziata, non vanifica affatto la competenza che lo stesso decreto
Ronchi affida allo Stato,
in particolare per la determinazione dei requisiti soggettivi e tecnico-finanziari
per l'esercizio delle attività di gestione dei rifiuti [art. 18, comma 2, lett.
g)], alla Regione, in
particolare per l'autorizzazione delle operazioni di smaltimento e di recupero
[art. 19, comma 1, lett.
e)] e alla Provincia, in particolare per la verifica e il controllo dei
requisiti previsti per
l'accesso alle procedure semplificate di abilitazione [art. 20, comma 1 lett.
d)].
In
altri termini, il consiglio comunale, attraverso il regolamento che gli compete,
non può derogare alle suddette vincolanti disposizioni di legge che impongono un
preventivo controllo regionale o provinciale per determinate attività di
gestione dei rifiuti. Solo il sindaco, in situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela
della salute pubblica e dell'ambiente,
può derogare a tali disposizioni emettendo ordinanza contingibile e urgente secondo
i precisi limiti di tempo, di contenuto e di procedura stabiliti dall'art. 13
dello stesso D.Lgs.
22/1997. Ma nel caso di specie non risulta alcuna ordinanza sindacale di questo
tipo.
Premessi
questi principi, si deve quindi stabilire la natura delle operazioni di gestione
dei rifiuti effettuate nella isola o piazzola ecologica al fine di verificare se
esse necessitavano delle
autorizzazioni, iscrizioni o comunicazioni prescritte dal D.Lgs. 22/1997.
In linea di fatto il tribunale di Savona ha accertato che la ecopiazzola de qua non era "destinata esclusivamente al conferimento di rifiuti urbani ingombranti da parte dei cittadini", ma costituiva un "sito ove lo stesso servizio pubblico" conferiva "rifiuti in vista del loro smaltimento definitivo o recupero" e compiva "un'attività di cernita e separazione degli stessi" e infine li accumulava provvisoriamente "in attesa della periodica attività di smaltimento".
Del resto che non si trattasse di semplice raccolta di rifiuti, come sostenuto dal comune di Celle e dalle linee guida provinciali, si desume dalla semplice considerazione che per raccolta si intende l'operazione di prelievo, di cernita e di raggruppamento dei rifiuti per il loro trasporto [art. 6, comma 1, lett. e)], sicché essa è necessariamente effettuata nel luogo di produzione dei rifiuti. Cosa che è pacificamente esclusa nella fattispecie di causa.
Ne deriva che la ecopiazzola doveva qualificarsi come centro di stoccaggio ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. 1) D.Lgs. 22/1997, in cui i rifiuti venivano accumulati lontano dal luogo di produzione in attesa dello smaltimento o dei recupero definitivi: in esso si effettuavano perciò attività di smaltimento, consistenti nel deposito preliminare in vista di altre operazioni di smaltimento definitive (punto D15 in relazione ai punti da DI a D14 dell'Allegato B del D.Lgs. 22/1997) o attività di recupero, consistenti nella messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una operazione definitiva di recupero (punto R13 in relazione ai punti da Rl a R12 dello stesso Allegato B).
Per questa ragione la gestione della piazzola, indipendentemente dalla sua conformità o meno all'apposito regolamento comunale, doveva essere preventivamente autorizzata dalla Regione ai sensi dell’art. 28 o doveva essere comunicata alla Provincia per la procedura semplificata di abilitazione ai sensi degli artt. 32 e 33, se ricorrevano i presupposti di cui all'art. 31.
Poiché nella fattispecie mancavano queste prescritte forme di abilitazione sussiste il fumus del contestato reato di cui all'art. 51 comma 1 D.Lgs. 22/1997.
4 - Come ha sostenuto il pubblico ministero ricorrente, ricorre però anche il periculum in mora, che giustifica il sequestro preventivo dell'area destinata alla ecopiazzola ai sensi dell’art. 321 c.p.p..
Infatti la esigenza cautelare richiesta dalla norma codicistica deve essere verificata in relazione all'oggetto proprio del reato ipotizzato, che è dato dall'interesse della pubblica amministrazione competente a controllare preventivamente lo smaltimento e il recupero dei rifiuti per assicurarne la corrispondenza agli standards ambientali prescritti dalla legge. Perciò la esigenza cautelare sussiste sino a quando la disponibilità comunale della ecopiazzola può favorire la menzionata gestione dei rifiuti in assenza delle dovute abilitazioni amministrative, e può dirsi cessata solo quando intervenga nei modi dovuti l'autorizzazione regionale o la comunicazione alla provincia ai sensi della menzionata procedura semplificata. In altri termini, il periculum in mora - contrariamente alla tesi del tribunale savonese - permane sino a quando viene minacciato o leso l'interesse strumentale al controllo preventivo della pubblica amministrazione competente; e non viene meno solo perché il giudice accerta, esercitando indebitamente un potere riservato alla pubblica amministrazione, che l'interesse sostanziale della correttezza ecologica non è pregiudicato. Spetta infatti alla pubblica amministrazione competente, e non al giudice, effettuare questa verifica preventiva: ed è proprio questo l'interesse formale tutelato dalla norma penale.
5 - Per tutte queste considerazioni la impugnata ordinanza deve essere annullata senza rinvio, con l'effetto di ripristinare il provvedimento del 26 luglio 2004 con cui il g.i.p. del tribunale di Savona ha respinto l'istanza di dissequestro della ecopiazzola.
Va infatti osservato che nel caso di specie non è applicabile l'art. 624 bis c.p.p., introdotto dall'art. 6, comma 5, della legge 26 marzo 2001 n. 128, secondo cui la corte di cassazione, nel caso di annullamento della sentenza d'appello, dispone la cessazione della misura cautelare.
Da una parte, considerato il suo tenore letterale, questa norma non prevede la caducazione della misura cautelare quando viene annullata - come nel caso presente - una ordinanza (non una sentenza) emessa dal tribunale in sede d'appello ex art. 322 bis c.p.p..
Dall'altra parte è ormai chiarito che la norma è frutto di un difetto di coordinamento durante l'approvazione della suddetta legge 128/2001, sicché, secondo i criteri ermeneutici desumibili dal sistema e dai lavori preparatori, essa deve interpretarsi come limitata al caso in cui la misura cautelare (personale) sia stata disposta contestualmente alla sentenza di condanna in appello ai sensi dell'art. 275, comma 2 ter, c.p.p., introdotto appunto dall'art. 14 comma 1 lett. c) della citata legge 128/2001 (v. in tal senso Cass. Sez. I, n. 29679 del 25 luglio 2001, Chiofalo, rv. 219890; v. anche Cass. Sez. III, n. 10156 del 12 marzo 2002, Poggi, rv. 221113).
Nel caso di specie la misura cautelare del sequestro è stata invece disposta dal g.i.p. del tribunale di Savona con decreto del 26 luglio 2004, ed è stata poi revocata dal tribunale con l'ordinanza impugnata e annullata in questa sede.