TAR Molise Sez.I n.43 del 17 febbraio 2012
Beni Culturali. Esercizio attività imprenditoriale e vincolo

Se gli organi competenti hanno per legge il potere di interdire o sospendere lavori già iniziati prima dell’avvio del procedimento di imposizione del vincolo ed eventualmente di disporne la rimessione in pristino con spese a proprio carico e previo rimborso di quelle sostenute dal privato sino alla notifica della sospensione, ciò implica la codificazione per legge della prevalenza dell’esigenza di tutela paesaggistica rispetto al diritto del privato di eseguire lavori ed opere pur legittimamente autorizzate ma in contrasto con le predette esigenze di tutela successivamente venute in evidenza.

N. 00043/2012 REG.PROV.COLL.

N. 00023/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 23 del 2011, proposto dalla Ditta Felice Giovanni Antonio S.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Carmen Di Iorio e Aurelia Di Iorio, con domicilio eletto presso il loro studio in Campobasso, via Monte Santo 2;

contro

Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro pro tempore, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise in persona del direttore regionale pro tempore, Regione Molise – Assessorato per le Attività Produttive Direzione Generale II - Servizio Pianificazione e Sviluppo Attività Industriali ed Estrattive, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata per legge in Campobasso, via Garibaldi, 124;

nei confronti di

Ditta Felice Vincenzo & Figli Snc;

per l'annullamento

previa sospensiva, della nota 28.10.10 prot. 4684 del Ministero per i Beni e le Attività Culturali - Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise; della determinazione dirigenziale dell'8.11.10, n. 145 della Regione Molise - Assessorato alle Attività Produttive - Direzione Generale II^ - Servizio Pianificazione e Sviluppo Attività Industriali Estrattive; in parte qua del Decreto ministeriale di vincolo del 23.7.2009 che inibisce la coltivazione di cave precedentemente autorizzate, nonchè di ogni atto presupposto, connesso e/o conseguente.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Molise e della Regione Molise;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 novembre 2011 il dott. Luca Monteferrante e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

La ditta ricorrente è stata autorizzata alla coltivazione di cava per l’estrazione di calcare in località “Colle Grosso” nel Comune di San Giuliano del Sannio (CB) per effetto della delibera di Giunta regionale n. 3782/93 e del decreto regionale n. 1433/1988.

Il perimetro originario della cava è stato successivamente ridotto in conseguenza della imposizione con D.M. 16.11.1994 di un vincolo paesaggistico collegato alla emersione di evidenze archeologiche.

L’originaria autorizzazione rilasciata dalla Regione Molise è stata via via prorogata sino al 31.12.2012.

Con decreto ministeriale del 23 luglio 2009 l’intero territorio del Comune di San Giuliano del Sannio in cui è ricompresa l’area di cava è stato dichiarata di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136 del d. lgs. 42/2004.

La Regione Molise con nota n. 2072 del 16.2.2010 ha sospeso l’autorizzazione all’attività estrattiva in attesa del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica e con successiva nota n. 3398 del 9.3.2010 è stata contestata alla ditta la violazione del predetto ordine di sospensione.

Con determina dirigenziale regionale n. 133 del 23.9.2010, adottata sulla base del parere del Servizio Beni ambientali della Regione n. 21385 del 21.9.2010, i predetti provvedimenti sono stati revocati sul presupposto che l’obbligo di munirsi dell’autorizzazione paesaggistica non potrebbe che riguardare attività successive all’imposizione del vincolo.

Il Direttore regionale del MIBAC con nota prot. 4684 del 28.10.2010 ha ordinato alla ditta ricorrente l’immediata sospensione dei lavori sul presupposto della nullità dei provvedimenti regionali di revoca dell’ordine di sospensione dell’attività di cava, ritenendo indispensabile il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica stante il vincolo imposto con il D.M. 23.7.2009 e conseguentemente lese le prerogative statali in materia, stante il mancato coinvolgimento della Soprintendenza competente; ha pertanto invitato la Regione ad intervenire in autotutela per annullare i propri provvedimenti di revoca.

Con determina dirigenziale n. 145 del 8.11.2010 la Regione Molise ha revocato il provvedimento di revoca n. 133/2010 e quello presupposto n. 21385/2010, ordinando alla ditta ricorrente l’immediata sospensione dei lavori, mentre il collegato provvedimento con il quale era stata contestata la violazione dell’originario ordine di sospensione veniva definitivamente archiviato con determina dirigenziale n. 35 del 4.4.2011.

La società ricorrente con ricorso notificato il 30.12.2010 e depositato il 28.1.2011 ha impugnato la determina del direttore regionale del MIBAC n. 4684/2010 ed la conseguente determina regionale n. 145/2010 nonché, in parte qua, il D.M. 23 luglio 2009 impositivo del vincolo, deducendo i seguenti motivi di censura:

1. Violazione e falsa applicazione degli artt. 146 e 150 del d. lgs. 42/2004. Travisamento dei fatti. Eccesso di potere sotto diversi profili. Difetto di istruttoria. Difetto di motivazione. Illegittimità derivata.

Lamenta che la disciplina di cui agli artt. 146 e 150 del d. lgs. 42/2004 non si applicherebbe alle attività estrattive autorizzate precedentemente all’imposizione dei vincoli. Inoltre nel caso di specie non sarebbe stata accertata alcuna incompatibilità dell’attività di cava con il vincolo sopravvenuto, tanto più che sull’area insisteva altro vincolo imposto con D.M. del 16 novembre 1994. Infine contesta che negli altri comuni pure interessati dal vincolo imposto con D.M. 23.7.2009 le cave precedentemente autorizzate proseguirebbero regolarmente la loro attività senza essere colpite da provvedimenti inibitori o sospensivi.

2. Eventuale illegittimità del D.M. 34 luglio 2009 laddove interpretato nel senso di inibire la coltivazione di cave precedentemente autorizzate. Travisamento dei fatti. Eccesso di potere sotto diversi profili. Difetto di motivazione. Illegittimità derivata.

Il D.M. in questione sarebbe sostanzialmente riproduttivo di analogo decreto di vincolo del 2 aprile 1999; poiché un tale ultimo decreto è stato giudicato illegittimo con sentenza di questo TAR n. 74 del 11.2.2002 analogamente dovrebbe ritenersi illegittimo il nuove decreto di vincolo in quanto adottato sulla base dei medesimi presupposti di fatto giudicati incongrui dal TAR.

Si sono costituiti in giudizio il MIBAC e la Regione Molise per resistere al ricorso concludendo per la sua reiezione in quanto infondato nel merito.

Alla camera di consiglio del 24.2.2011 con ordinanza n. 37/2011 è stata accolta la domanda cautelare.

Alla pubblica udienza del 16 novembre 2011 la causa è stata infine trattenuta in decisione.

Il ricorso è infondato.

La società ricorrente si duole della illegittimità dei provvedimenti impugnati in quanto la necessità del previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, addotta quale presupposto giustificativo dell’ordine di sospensione dell’attività di cava, non terrebbe nella debita considerazione la preesistenza dell’attività imprenditoriale nell’area rispetto alla imposizione del vincolo: in ciò vi sarebbe pertanto un profilo di irragionevolezza oltre che una lesione della tutela dell’affidamento.

L’impianto critico della censura poggia anche su quanto di recente affermato da Cons. Stato, VI, 17 giugno 2010, n. 3851 secondo cui nell’esegesi degli artt. 139 e 146 del d. lgs. 42/2004 si deve ritenere che il sopravvenuto vincolo paesaggistico non sia opponibile, e dunque non imponga la richiesta di autorizzazione paesaggistica, tra l’altro, nei casi di interventi edilizi che siano già stati autorizzati sotto il profilo edilizio o anche sotto quello paesaggistico in virtù di un precedente regime e di cui sia già iniziata l’esecuzione; una tale interpretazione sarebbe giustificata dalla necessità di tutelare l’affidamento di chi ha ottenuto il rilascio del titolo edilizio che, anche in considerazione e nei limiti di quanto previsto dall’art. 15, comma 4, del t.u. in materia edilizia n. 380/2001, non potrebbe vedere rimessa in discussione la validità ed eseguibilità del titolo edilizio per effetto di un sopravvenuto vincolo paesaggistico.

Senonchè la stessa sezione del Consiglio di Stato con sentenza 10 settembre 2009, n. 5459 ha esaminato una fattispecie simile in cui si controverteva sulla possibilità che una normativa regionale sopravvenuta di tutela del paesaggio, disponesse il dimezzamento della cubatura già assentita in forza di risalente convezione di lottizzazione in buona parte già eseguita e con opere di urbanizzazione relative all’intervento da completare già avviate ed ha ritenuto, anche con riferimento alle dedotte censure di illegittimità costituzionale dello ius superveniens, che la normativa regionale sopravvenuta, di particolare rigore, trova piena giustificazione nell’esigenza di salvaguardare un paesaggio di incomparabile bellezza (si trattava di un insediamento alberghiero lungo un tratto della costa sarda), precisando che “nella valutazione comparativa di contrapposti interessi, quello generale alla salvaguardia del paesaggio, anche a tutela delle generazioni future, e quello individuale e imprenditoriale allo sviluppo degli insediamenti turistici, trova piena legittimità costituzionale la previsione regionale, estesa anche alle lottizzazioni in corso”.

Inoltre non ricorrono nel caso di specie le condizioni per il ricorso all’analogia prospettato da Cons. Stato 3851/2010 in quanto nella materia edilizia il conflitto risolto dall’art. 15, comma 4 è tra diritto di proprietà (lo ius edificandi, in particolare, che ne rappresenta una facoltà) e la potestà di pianificazione urbanistica mentre nel caso del vincolo paesaggistico sopravvenuto il conflitto da risolvere è tra il diritto di proprietà e la tutela del paesaggio che, ai sensi dell’art. 9 della Costituzione, riveste una posizione di rilievo assoluto ed incomprimibile nella gerarchia dei valori costituzionali (cfr. Cons. Stato, IV, 5 luglio 2010, n. 4246).

Ed infatti la Corte Costituzionale ha reiteratamente rimarcato il rilievo “primario ed assoluto” che l’art. 9 della Costituzione riconosce alla tutela del paesaggio. A partire, quanto meno, dalla fondamentale sentenza n. 151/1986, la Corte ha infatti riconosciuto la primarietà del valore estetico culturale del paesaggio che impedisce di subordinarne la tutela a qualsiasi altro interesse ivi compresi quelli economici (cfr. altresì Corte Cost. 641/1987, 367/2007; 101/2010).

Ne discende che la tutela dell’affidamento ingenerato dal rilascio di un precedente titolo abilitativo all’esercizio dell’attività imprenditoriale riveste carattere recessivo rispetto alle esigenze di tutela del paesaggio, quale valore primario ed assoluto nella gerarchia dei valori costituzionali sicchè giammai lo ius edificandi, quale facoltà del diritto di proprietà, e lo stesso diritto di intrapresa economica possono prevalere sulle predette esigenze di tutela, salva la necessità di accertare in concreto, in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, come rendere gli interessi antagonisti compatibili con le esigenze primarie di tutela del paesaggio in applicazione dei canoni generali di ragionevolezza e proporzionalità.

Una tale sintesi tra interessi e valori potenzialmente confliggenti appare recepita dallo stesso codice dei beni culturali.

A mente dell’art. 150, comma 1, del d. lgs. 42/2004 “Indipendentemente dall'avvenuta pubblicazione all'albo pretorio prevista dagli articoli 139 e 141, ovvero dall'avvenuta comunicazione prescritta dall'articolo 139, comma 3, la regione o il Ministero hanno facoltà di: a) inibire che si eseguano lavori senza autorizzazione o comunque capaci di recare pregiudizio al paesaggio (2); b) ordinare, anche quando non sia intervenuta la diffida prevista alla lettera a), la sospensione di lavori iniziati.

Il successivo articolo 151 aggiunge che “Qualora sia stata ordinata, senza la intimazione della preventiva diffida prevista dall'articolo 150, comma 1, lettera a), la sospensione di lavori su immobili ed aree di cui non sia stato in precedenza dichiarato il notevole interesse pubblico, ai sensi degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, l'interessato puo' ottenere il rimborso delle spese sostenute sino al momento della notificata sospensione. Le opere già eseguite sono demolite a spese dell'autorità che ha disposto la sospensione”.

Dall’esegesi dei richiamati disposti normativi risulta evidente che se gli organi competenti hanno per legge il potere di interdire o sospendere lavori già iniziati prima dell’avvio del procedimento di imposizione del vincolo ed eventualmente di disporne la rimessione in pristino con spese a proprio carico e previo rimborso di quelle sostenute dal privato sino alla notifica della sospensione, ciò implica la codificazione per legge della prevalenza dell’esigenza di tutela paesaggistica rispetto al diritto del privato di eseguire lavori ed opere pur legittimamente autorizzate ma in contrasto con le predette esigenze di tutela successivamente venute in evidenza.

Una volta perfezionatosi il procedimento di apposizione del vincolo, l’attività privata resterà dunque soggetta al potere di verifica circa la propria compatibilità col valore estetico culturale tipizzato dal vincolo e laddove la valutazione dia esito negativo al privato spetterà, ai sensi del richiamato art. 151, il rimborso delle spese sostenute siano all’adozione del provvedimento di sospensione; occorrerà poi verificare in concreto, di volta in volta, se il principio di tutela dell’affidamento imponga di riconoscere altresì forme di indennizzo per le mancate occasioni di guadagno rispetto alla naturale scadenza dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività in essere, analogamente a quanto previsto dall’art. 21 quinquies della legge 241 del 1990, venendosi in tal caso a configurare (sostanzialmente anche se non formalmente) una fattispecie di revoca dell’originario provvedimento abilitativo (come accade nel caso di specie per l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di cava la cui naturale scadenza era stata fissata dalla regione, in sede di rinnovo, al 31.12.2012).

Sotto diversa angolazione la società ricorrente lamenta l’illegittimità dell’ordine di sospensione attesa la mancata verifica in concreto della compatibilità dell’attività di cava con il vincolo paesaggistico sopravvenuto.

Il motivo è infondato

L’ordine di sospensione adottato sia dal direttore regionale del MIBAC che dal competente ufficio regionale è finalizzato non a vietare l’attività in questione ma ad impedirne il prosieguo in mancanza di una tale verifica di compatibilità con il vincolo paesaggistico sopravvenuto che deve tuttavia essere condotta nell’ambito del distinto procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

Una volta presentata la relativa istanza ed accertata, in ipotesi, la compatibilità dell’attività in questione con il contenuto del vincolo, l’ordine di sospensione cesserà di produrre effetti.

L’esistenza di un pregresso vincolo nell’area imposto con D.M. 16.11.2004, lungi dall’evidenziare profili di eccesso di potere, conferma l’astratta possibilità di coesistenza tra attività di cava ed istanze di tutela paesaggistica che devono tuttavia essere verificate in concreto nella sede all’uopo prevista dal legislatore che è quella del rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

Deduce ancora la ricorrente una pretesa disparità di trattamento senza tuttavia neppure indicare le società ed i luoghi, ricompresi nel perimetro del vincolo, in cui l’esercizio dell’attività di cava sarebbe stata esclusa dalla necessità della preventiva richiesta dell’autorizzazione paesaggistica e pertanto non interessata da provvedimenti di sospensione o inibitori.

Con un secondo motivo di doglianza la ricorrente impugna il decreto di vincolo deducendone la illegittimità per le motivazioni già fatte valere con riferimento a pregresso procedimento di tutela poi sfociato in provvedimento annullato dal TAR.

La censura articolata avverso il D.M. 23.7.2009 è irricevibile in quanto il decreto impositivo del vincolo è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 192 del 20.8.2009 e direttamente comunicato alla ricorrente con nota prot. 962 del 3.2.2010 dalla stessa depositata in giudizio (cfr. altresì doc. 4 in fascicolo ricorrente da cui emerge la piena conoscenza dell’apposizione del vincolo sin dal 22.2.2010) sicchè deve ritenersi irrimediabilmente spirato il termine di impugnazione di 60 giorni essendo la notifica del ricorso intervenuta in data 30.12.2010.

Il motivo è anche inammissibile in quanto la ricorrente ha omesso di documentare le circostanze di fatto che renderebbero irragionevole il provvedimento di tutela, essendosi limitata ad una acritica riproposizione della parte motiva della sentenza di questo TAR che ha annullato il D.M. 2 aprile 1999, adottato all’esito di una istruttoria risalente ad oltre dieci anni prima e neppure depositato in giudizio al fine di rendere possibile, quanto meno, il necessario accertamento circa la allegata sovrapponibilità delle valutazioni espresse con i due provvedimenti.

Per questi motivi il ricorso deve esser in parte respinto, in parte dichiarato irricevibile, mentre sussistono gravi motivi per disporre la compensazione integrale delle spese di giudizio, in difetto di orientamenti giurisprudenziali consolidati in materia.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Molise, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge, in parte lo dichiara irricevibile e compensa le spese di giudizio tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Campobasso nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Goffredo Zaccardi, Presidente

Pietro Morabito, Consigliere

Luca Monteferrante, Primo Referendario, Estensore





L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE










DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/02/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)