TAR Lombardia (MI) Sez. I sent. 7 del 11 gennaio 2010
Beni Culturali. Prelazione artistica

Il procedimento disciplinato dall’art. 60 d.lgs. 41/2004 – a mente del quale “Il Ministero ha facoltà di acquistare i beni culturali alienati a titolo oneroso al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione” – al di là della denominazione legislativa di “diritto di prelazione”, integra l’esercizio di un potere ablatorio di natura reale che realizza un trasferimento coattivo di beni culturali che costituiscono, a loro volta, un classico esempio di “proprietà conformata”. Presupposto del procedimento - si è posto in evidenza sul piano generale - è il negozio o l’atto a titolo oneroso che produrrebbe l’effetto di trasferimento, in uno con la dichiarazione di alienare del proprietario del bene culturale. Con la precisazione che gli effetti del negozio o dell’atto oneroso debbono considerarsi sottoposti ad una condicio juris sospensiva, destinata ad avverarsi solamente se nei due mesi successivi alla denuncia l’amministrazione non emana il provvedimento e non esercita il cd. diritto di prelazione .
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO



N.00007/2010 REG.SEN.
N. 01218/2002 REG.RIC.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Prima)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


Sul ricorso numero di registro generale 1218 del 2002, proposto da:
Finarte Casa D'Aste Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall'avv. Bruno Cavallone, presso il cui studio ha eletto domicilio in Milano, via Visconti di Modrone, 1;

contro

Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro p.t.; Soprintendenza Beni Culturali ed Ambientali di Milano, in persona del Soprintendente p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Milano, presso i cui uffici è domiciliata per legge in Milano, via Freguglia, 1;

nei confronti di

Micheli Francesco, Ufficio Esecuzioni Mobiliari Tribunale Milano;

per l'annullamento,

quanto meno parziale,

del decreto ministeriale del 1.2.2002 con il quale è stato esercitato il diritto di prelazione relativamente alla vendita all’asta di un dipinto di Gaudenzio Ferrari raffigurante “Natività della Vergine”, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente, in particolare dell’ordinanza della Soprintendenza Milanese con la quale si ordina la consegna del dipinto all’amministrazione.


Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero per i Beni e le Attività Culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Designato relatore nell'udienza pubblica del giorno 04/12/2009 il dott. Hadrian Simonetti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:


FATTO


Con il presente gravame la ricorrente Casa d’Aste, premettendo di avere curato quale commissionaria nominata dal Giudice delle esecuzioni mobiliari del Tribunale di Milano la vendita all’asta del dipinto di Gaudenzio Ferrari indicato in epigrafe, vendita aggiudicata al sig. Francesco Micheli per un importo di 1.219.500.000 di vecchie lire, comprensivo di 169.500.000 per diritti d’asta, ha impugnato il decreto con il quale il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha esercitato il diritto di prelazione di cui agli artt. 59 e ss d.lgs. 490/1999 nella parte in cui ha escluso dal computo del prezzo i diritti d’asta.

A fondamento del gravame e della relativa domanda di annullamento, ha dedotto la violazione del citato art. 59 d.lgs. 490/1999 in uno con il difetto di motivazione del decreto, richiamando il precedente della pronuncia del Consiglio di Stato n. 3241/2001.

Si è difeso il Ministero contestando la fondatezza del ricorso.

Alla pubblica udienza del 4.12.2009, in vista della quale entrambe le parti costituite hanno depositato memorie illustrative, la causa è stata discussa ed è passata in decisione.


DIRITTO


Osserva il Collegio, in premessa, come l’oggetto della controversia verta sulla legittimità del provvedimento impugnato (non già nei suoi presupposti ma) nella sola parte relativa alla determinazione del prezzo della cd. prelazione artistica esercitata dal Ministero per i beni e le attività culturali a norma degli artt. 59 e ss d.lgs. 490/1999, controvertendosi se l’importo complessivamente dovuto dall’amministrazione all’alienante debba comprendere o meno, oltre al corrispettivo in senso stretto dell’originaria alienazione, anche i diritti di provvigione spettanti alla Casa d’asta; e come, quindi, la causa petendi dedotta con il presente gravame, proposto non dall’alienante bensì dal commissionario (art. 1731 e ss c.c.), sia relativa ad una pretesa creditoria nei confronti dell’amministrazione .

Così riassunti i termini essenziali della controversia, sulla scorta anche delle eccezioni sollevate dalla difesa erariale, si può quanto meno dubitare tanto della giurisdizione del giudice amministrativo, in merito ad una controversia che parrebbe avere ad oggetto essenzialmente un diritto di credito; quanto della legittimazione ad agire dell’odierna ricorrente, atteso che, come rilevato persuasivamente dall’Avvocatura, il provvedimento impugnato “spiega i propri effetti ablatori sulla parte acquirente e quelli determinativi del prezzo da corrispondere sulla parte alienante, ma nessun effetto, se non in via di mero fatto, sulla posizione dell’intermediario”.

Nel merito, il ricorso è peraltro infondato e va comunque respinto.

Sulla scorta di autorevole e condivisa dottrina, deve muoversi dalla premessa secondo cui il procedimento disciplinato ratione temporis dall’art. 59 d.lgs. 490/1999, prima ancora dall’art. 31 l. 1089/1939, attualmente dall’art. 60 d.lgs. 41/2004 – a mente del quale “Il Ministero ha facoltà di acquistare i beni culturali alienati a titolo oneroso al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione” – al di là della denominazione legislativa di “diritto di prelazione”, integra l’esercizio di un potere ablatorio di natura reale che realizza un trasferimento coattivo di beni culturali che costituiscono, a loro volta, un classico esempio di “proprietà conformata” (cfr., ancora di recente, Cons. St., VI, n. 267/2009).

Presupposto del procedimento - si è posto in evidenza sul piano generale - è il negozio o l’atto a titolo oneroso che produrrebbe l’effetto di trasferimento, in uno con la dichiarazione di alienare del proprietario del bene culturale. Con la precisazione che gli effetti del negozio o dell’atto oneroso debbono considerarsi sottoposti ad una condicio juris sospensiva, destinata ad avverarsi solamente se nei due mesi successivi alla denuncia l’amministrazione non emana il provvedimento e non esercita il cd. diritto di prelazione (v. ora l’art. 61 co. 4 d.lgs. 42/2004).

Autorevole dottrina si è interrogata, inoltre, se il trasferimento coattivo in favore dello stato si realizzi autonomamente rispetto al negozio che sarebbe stato produttivo di alienazione in proprietà ovvero si realizzi con una sostituzione dell’amministrazione all’acquirente, propendendo per la prima alternativa, anche in ragione del dato normativo (in origine l’art. 32 co. 3 l. 1089/1939, cui corrisponde ora l’art. 61 co. 5 d.lgs. 42/2004) secondo cui “le clausole del contratto di alienazione non vincolano lo Stato”.

Nel peculiare caso di specie, come già premesso, l’atto oneroso è consistito nell’aggiudicazione di una vendita all’asta nell’ambito di una procedura di esecuzione forzata mobiliare, nel cui ambito l’odierna ricorrente (non era parte sostanziale dell’atto ma) era stata nominata quale commissionaria e solamente in tale veste si è resa autrice della denuncia di alienazione notificata all’amministrazione.

Ciò posto, reputa il Collegio che, in linea generale, ad onta della richiamata decisione del Consiglio di Stato n. 3241/2001 (peraltro preceduta da pronunce di segno differente, come ad esempio Tar Lazio, Roma, II, n. 2623/1999, a comprova dell’inesistenza di orientamenti consolidati sul punto), dal prezzo in senso stretto dell’atto di alienazione debbano distinguersi tanto le spese accessorie (v. art. 1475 c.c.) quanto i compensi spettanti ad eventuali mandatari o commissionari (v. artt. 1709 e 1733 c.c.) scelti da una delle parti, per la conclusione dell’atto in questione, e a questa legati da un distinto rapporto contrattuale (di mandato o di commissione) i cui effetti, come ben noto, non vincolano e non impegnano i terzi.

La tesi di parte ricorrente, che fa leva sul ricordato precedente del Consiglio di Stato, sembra voler equiparare la casa d’asta ad un comune mediatore, dimenticando però come, ragionando in tali termini, dovrebbe pur sempre farsi applicazione della disciplina prevista in tema di mediazione e, segnatamente, dell’art. 1757 c.c. secondo cui “se il contratto è sottoposto a condizione sospensiva, il diritto alla provvigione sorge nel momento in cui si verifica la condizione”.

Orbene, poiché in premessa si è ricordato come l’originario atto di alienazione fosse per legge condizionato sospensivamente al mancato esercizio della cd. prelazione artistica e poiché invece l’amministrazione ha tempestivamente esercitato il proprio potere ablatorio sul bene, ne conseguirebbe che, per tale via, nessun diritto alla provvigione sarebbe mai sorto.

Né può fondarsi un obbligo di pagare la provvigione, questa volta a titolo di commissione, a carico dello stato in favore della Casa d’Asta, assumendo che l’amministrazione si sia sostituta all’acquirente quale parte dell’originaria alienazione. Ad una ricostruzione in tal senso della fattispecie in esame ostano, infatti, almeno due elementi normativi.

Il primo è stato già ricordato in precedenza, laddove si è evidenziato come “le clausole del contratto di alienazione non vincolano lo Stato”.

Il secondo dato si ricava dalla previsione secondo cui “la proprietà del bene passa allo Stato dalla data dell’ultima notifica” (del provvedimento all’alienante ed all’acquirente), il che vale ad escludere la retroattività dell’acquisto in capo all’amministrazione a far data dall’originario atto fra i privati, a differenza di quanto accade invece nei casi di “vera” prelazione legale (v., a proposito di quella urbana e di quella agraria, Cass. III, n. 1743/2006).

La tesi, appena ricordata, della sostituzione è espressamente contemplata anche nella parte motiva del provvedimento impugnato ed è stata motivatamente disattesa (cfr. il secondo considerato), senza che possa assumere rilevanza, ai fini dell’art. 3 co. 3 l. 241/1990, la mancata allegazione al decreto del parere dell’Avvocatura Generale dello Stato del 3.10.1997, dal momento che di tale atto (prodotto nel presente giudizio) era stata offerta una sintesi esaustiva, riportandone per esteso il nucleo essenziale del ragionamento.

Ne consegue che, nel peculiare caso in esame, la pretesa di parte ricorrente può trovare ristoro solamente nelle forme e nei modi di cui all’art. 533 c.p.c. per il quale, nell’espropriazione mobiliare, “il compenso del commissionario è stabilito dal giudice dell’esecuzione con decreto”; con l’ulteriore precisazione che, sulla base delle allegazioni di parte, non è dato neppure sapere se, in tale ambito, la Casa d’Asta abbia già fatto valere tale diritto ed abbia già ricevuto il relativo compenso.

In conclusione, per le tutte le ragioni sin qui evidenziate, il ricorso è infondato e va respinto.

Si ravvisano giusti motivi, in ragione della complessità dei temi trattati e della presenza di contrasti giurisprudenziali, per compensare integralmente le spese tra le parti costituite.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, prima sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 04/12/2009 con l'intervento dei Magistrati:

Piermaria Piacentini, Presidente

Hadrian Simonetti, Referendario, Estensore

Mauro Gatti, Referendario


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/01/2010