Cass. Sez. III n. 32021 del 6 agosto 2007 (Up 6 giu. 2007)
Pres. Papa Est. Squassoni Ric. Marcianò ed altri
Caccia e animali. Tabellazione aree protette

Non va confusa la disciplina che regola i parchi nazionali prevista dalla L. 394-1991 , con quella dettata dall' art. 10 L.157-1992 , relativa alla pianificazione faunistica e venatoria, che prevede la perimetrazione delle aree interessate con apposite tabelle ; solo in questo caso, è necessaria una visibile segnalazione che individui le zone protette in mancanza della quale il soggetto non è in grado di percepire l'ambito dell' area tutelata. I parchi nazionali sono sottratti alla necessità di perimetrazione essendo istituiti e delimitati con appositi provvedimenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale completi di tutte le indicazioni tecniche e topografiche necessarie. Dal momento di tale pubblicazione sorge, ex art.5 cp, la presunzione di conoscenza dell' estensione del parco da parte di tutti i consociati e costituisce onere di chi si introduce nella zona di notiziari degli esatti confini della area onde evitare comportamenti di rilevanza penale

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. PAPA Enrico - Presidente - del 06/06/2007
Dott. DE MAIO Guido - Consigliere - SENTENZA
Dott. TARDINO Vincenzo Luigi - Consigliere - N. 1713
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - N. 011806/2007
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) MARCIANÒ RODOLFO N. IL 16/10/1950;
2) ORLANDO ATTILIO N. IL 26/07/1948;
3) ORLANDO ANTONIO N. IL 06/10/1945;
avverso SENTENZA del 07/06/2005 TRIBUNALE di LOCRI;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Izzo Gioacchino che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con sentenza 7 giugno 2005, il Tribunale di Locri ha ritenuto Marcianò Rodolfo, Orlando Attilio e Orlando Antonio responsabili del reato previsto dalla L. n. 394 del 1991, art. 30, (per avere introdotto nel Parco Nazionale di Aspromonte un fucile) ed ha condannato ciascuno alla pena di Euro trecento di ammenda. Per giungere a tale conclusione, il Giudice ha ritenuto accertato l'elemento materiale del reato in esito ad un controllo effettuato sulle auto ove si trovavano gli imputati.
Relativamente allo elemento soggettivo, il Tribunale ha reputato circostanza inconferente l'assenza di tabulazione perimetrale dell'aera del Parco dal momento che le zone inserite nel territorio protetto risultavano da un provvedimento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale; di conseguenza, gli imputati sono venuti meno al dovere strumentale che incombeva loro di informarsi sul regime giuridico della zona nella quale avevano introdotto i proprio fucili da caccia con relativo munizionamento.
Avvero la sentenza, gli imputati hanno proposto appello che la Corte territoriale ha qualificato ricorso per Cassazione essendo la sentenza solo sindacabile a sensi dell'art. 593 c.p.p., u.c.. Nell'atto di impugnazione, deducono difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando:
- che,in assenza della tabulazione del territorio (che era stata affidata ad un pubblico incanto e poi non effettuata), è impossibile per un profano comprendere la linea di confine del Parco:
- che la mancata conoscenza della illiceità del fatto non derivava da ignoranza della legge penale, ma da elementi positivi che hanno indotto in errore gli imputati (quali lo scorretto funzionamento delle fonti di informazioni, le assicurazioni di persone qualificate ed i precedenti giudizi assolutori);
- che, pertanto, sussistono le condizioni, evidenziate dalla Corte Costituzionale, per ritenere l'error juris giustificabile;
- che sono state male interpretate le risultanze istruttorie. Le deduzioni non sono meritevoli di accoglimento.
Deve, innanzi tutto, precisarsi come il Giudice di merito abbia avuto cura di evidenziare le fonti probatorie in base alla quali ha proceduto alla ricostruzione storica dei fatti per cui è processo ;
la motivazione sul punto è congrua, completa, corretta e, pertanto, insindacabile in sede di legittimità.
Di contro, gli imputati sostengono un travisamento dei fatti con argomentazioni prive della necessaria concretezza e non segnalano alcuna prova, connotata con il requisito della decisività, che sia idonea a superare la tenuta logica della sentenza in esame. In diritto, i ricorrenti sostengono la loro buona fede e la ignoranza inevitabile della legge penale per la impossibilità di comprendere, in assenza di tabulazione, di avere superato i confini della area protetta.
In tale modo, gli imputati confondono la disciplina che regola i parchi nazionali prevista dalla L. n. 394 del 1991, loro contestata, con quella dettata dalla L. n. 157 del 1992, art. 10, relativa alla pianificazione faunistica e venatoria, che prevede la perimetrazione delle aree interessate con apposite tabelle; solo in questo caso, è necessaria una visibile segnalazione che individui le zone protette in mancanza della quale il soggetto non è in grado di percepire l'ambito dell'area tutelata.
Come correttamente rilevato dal Tribunale, i parchi nazionali sono sottratti alla necessità di perimetrazione essendo istituiti e delimitati con appositi provvedimenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale completi di tutte le indicazioni tecniche e topografiche necessarie. Dal momento di tale pubblicazione sorge, ex art. 5 c.p., la presunzione di conoscenza dell'estensione del parco da parte di tutti i consociati e costituisce onere di chi si introduce nella zona di notiziari degli esatti confini della area onde evitare comportamenti di rilevanza penale (ex plurimis: sentenza Sezione terza 10616/2006).
Consegue che il difetto di tabulazione non è da iscrivere tra quelle cause di inconoscibilità della legge alle quali la sentenza 364/1988 della Corte Costituzionale ricollega l'ipotesi della ignoranza incolpevole e, quindi, scusabile. La Consulta ha riconosciuto un ruolo irrinunciabile alla "coscienza del disvalore penale" della condotta per la responsabilità penale dell'agente, ma ha chiarito che a tale fine è sufficiente "la possibilità di conoscenza dell'illiceità".
Nel caso in esame, l'ignorantia legis era collegata alla non ottemperanza del dovere di informazione e di conoscenza che (secondo la citata sentenza della Consulta) incombe ad ogni soggetto, che intraprende una attività normativamente regolata, in vista della osservanza dei precetti penali.
Sul punto, i ricorrenti sostengono di avere avuto inesatte informazioni dagli organi a ciò deputati con deduzioni generiche e non segnalano alcun argomento concreto a sostegno del loro assunto;
la giurisprudenza di legittimità è univoca nel contrastare la tesi difensiva e quella di merito non è oscillante sicché non può costituire la fonte che ha confermato gli imputati nella convinzione della liceità del loro comportamento.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 giugno 2007.
Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2007