Cass. Sez. III n. 30398 del 8 settembre 2025 (UP 12 giu 2025)
Pres. Ramacci Rel. Zunica Ric. Cortigiani
Caccia e animali.Alimentazione dei suini e reato di cui all’art. 727 c.p.

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 727 cod. pen., la detenzione di animali in condizioni produttive di gravi sofferenze consiste non solo in quella che può determinare un vero e proprio processo patologico nell’animale, ma anche in quella che produce meri patimenti, quali devono essere ritenuti quelli provocati nella vicenda in esame ai maiali presenti nell’allevamento dell’imputato, costretti ad alimentarsi con mangime  frammisto alle proprie deiezioni e in una zona circoscritta, con conseguente contesa tra di essi da cui sono derivate condizioni di dimagrimento o lesioni cutanee per i suini più fragili. Del resto, l’allegato 1 punto 6 del d. lgs. n. 122 del 2011 (“attuazione della direttiva 2008/120/CE che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini”) dispone che “tutti suini devono essere nutriti almeno una volta al giorno. Se i suini sono alimentati in gruppo e non «ad libitum» o mediante un sistema automatico di alimentazione individuale, ciascun suino deve avere accesso agli alimenti contemporaneamente agli altri suini del gruppo”, dovendosi ritenere evidentemente che l’accesso agli alimenti debba essere effettivo e salubre.


RITENUTO IN FATTO 
1. Con sentenza del 7 ottobre 2024, il Tribunale di Siena condannava Enzo Cortigiani alla pena di 15.450 euro di ammenda, in quanto ritenuto colpevole dei reati, unificati dal vincolo della continuazione, di cui agli art. 727 cod. pen. (capo A, originariamente avente ad oggetto il delitto ex art. 544 ter cod. pen.), 256, comma 1 lett. a, del d. lgs. n. 152 del 2006 (capi B e C) e 650 cod. pen. (capo D); fatti accertati in Gaiole in Chianti fino all’8 ottobre 2021.
L’imputato, invece, veniva assolto, perché il fatto non sussiste, dall’ulteriore reato di cui all’art. 348 cod. pen. (contestato al capo E).
2. Avverso la sentenza del Tribunale toscano, Cortigiani, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi.
Con il primo, la difesa, in relazione al reato di cui al capo A, così come riqualificato dal Tribunale, ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 727, comma 2, cod. pen. e il vizio di motivazione, osservando che il buono stato di salute degli animali, accertato da tutti i veterinari escussi in dibattimento, era idoneo a escludere uno degli elementi costitutivi della fattispecie, ossia il grave stato di sofferenza degli animali in relazione alle loro modalità di detenzione.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza è il giudizio del Tribunale sulla mancata sussistenza della forza maggiore e del caso fortuito, non essendosi tenuto conto di talune evenienze idonee a incidere quantomeno sulla configurabilità dell’elemento soggettivo, come l’insorgenza dell’emergenza pandemica, che aveva provocato il raddoppio della popolazione animale, e il deterioramento dell’allevamento nelle porzioni oggetto degli attacchi dei lupi.
Il terzo motivo è dedicato al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., rimarcandosi al riguardo il difetto di motivazione della sentenza impugnata a fronte della specifica richiesta difensiva, desumibile dal verbale del 7 ottobre 2024, richiesta che si fondava sulla occasionalità della condotta e sull’esiguità del danno e del pericolo.
Con il quarto motivo, ci si duole della mancata motivazione da parte del Tribunale rispetto all’omessa concessione delle attenuanti generiche, richieste in sede di discussione all’udienza del 7 ottobre 2024, non essendosi tenuto conto della condizione di incensurato dell’imputato, della sua età avanzata, del minimo grado della colpa e delle eccezionali condizioni dettate dalla pandemia che hanno reso impossibile la macellazione dei suini, con conseguente incolpevole ed eccezionale aumento della popolazione animale.
CONSIDERATO IN DIRITTO 
Il ricorso è infondato.
1. Iniziando dai primi due motivi, suscettibili di trattazione unitaria perché tra loro sostanzialmente sovrapponibili, deve osservarsi che la formulazione del giudizio di colpevolezza dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 727, comma 2, cod. pen. non presenta vizi di legittimità rilevabili in questa sede.
Ed invero occorre rilevare al riguardo che il Tribunale ha innanzitutto operato un’approfondita disamina delle fonti dimostrative disponibili, valorizzando in particolare gli accertamenti svolti nel 2021 dagli agenti del Nucleo investigativo di Polizia Ambientale, Agroalimentare e Forestale dei Carabinieri di Siena, a seguito di segnalazioni di alcuni cacciatori, relative alla presenza di suini di cinta senese incustoditi nei boschi circostanti l’allevamento di suini Villa II di Enzo Cortigiani, avente sede nel podere Ensoli del Comune di Gaiole in Chianti.
Nell’allevamento si trovavano 255 suini, che vivevano in stato semibrado, alimentandosi in parte con il cibo trovato nel bosco (le recinzioni erano danneggiate in più punti, per cui gli animali potevano allontanarsi) e in parte con quanto loro somministrato dall’allevatore, essendo al riguardo emerso che il cibo fornito dall’allevatore veniva fornito in una zona abbastanza circoscritta.
Ciò, come è stato accertato dal consulente del P.M., dottoressa Anna Carone, comportava non solo che il mangime finiva con il mischiarsi con le deiezioni degli animali, ma anche che nella zona dell’alimentazione si creava un grosso sovraffollamento di suini di categorie eterogenee (lattonzoli, suini grassi femmine, maschi castrati, magroni maschi e femmine di vario peso), il che dava luogo a competizioni per l’accesso al cibo, nelle quali l’animale più forte prevaleva sul più debole, giustificandosi in tal modo le lesioni cutanee riscontrate in certi suini e le condizioni di alcuni giovani animali sottopeso.
Inoltre, nel bosco circostante l’allevamento venivano trovate sette carcasse di suini privi del marchio auricolare, il che induceva gli agenti a ritenere che gli animali non erano stati perduti, essendo stati volutamente asportati i marchi.
Alla luce degli accertamenti di P.G., corroborati dalle dichiarazioni rese dai due dipendenti dell’allevamento di Cortigiani, Michele Malerba e Davide Forni, il Comune di Gaiole in Chianti adottava l’ordinanza n. 26 del 10 maggio 2021, con cui veniva prescritto all’imputato di provvedere al corretto smaltimento delle carcasse, alla completa custodia degli animali e alla corretta gestione degli effluenti di allevamento, ma tale ordinanza restava in parte non ottemperata.
Dunque, a carico di Cortigiani venivano contestati i reati di cui agli art. 544 ter cod. pen. (capo A, riferito alle condizioni in cui erano tenuti gli animali), art.
256, comma 1 lett. a, e comma 2, del d. lgs. n. 152 del 2006 (capi B e C, riferiti rispettivamente all’abbandono nel bosco delle carcasse e alla mancata adozione di dispositivi idonei alla regimentazione e al contenimento delle acque meteoriche e delle deiezioni degli animali), e art. 650 cod. pen. (capo D, riguardante l’inottemperanza dell’ordinanza n. 26/2021 adottata del Sindaco).
Ciò posto, il Tribunale ha ritenuto provati i fatti contestati, ma, rispetto a quelli di cui al capo A (l’unico cui si riferiscono le censure difensive), ha riqualificato la condotta ascritta all’imputato in 255 singoli episodi della contravvenzione di cui all’art. 727, comma 2, cod. pen., norma che sanziona la condotta di chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze. A tal fine, è stato evidenziato che non si ravvisava nel caso di specie né il requisito della crudeltà, necessario ai fini della configurabilità della fattispecie delittuosa originariamente contestata, né l’elemento soggettivo della consapevolezza da parte dell’imputato che le condizioni in cui teneva gli animali provocassero per loro sofferenze insopportabili e incompatibili con le loro caratteristiche etologiche, risultando i fatti riconducibili piuttosto a una condotta di tipo colposo, con riferimento al principale elemento di criticità rivelato dagli accertamenti investigativi, che, come detto, riguardava le modalità della distribuzione del cibo, con gli effetti negativi prima esposti derivanti dalla concentrazione degli alimenti in una zona circoscritta dell’allevamento (ossia la contemporanea presenza di mangimi e deiezioni e la costante competizione tra suini per il procacciamento del cibo).
Rispetto a ciascuno dei 255 suini dell’allevamento è stato dunque ritenuto configurabile il reato ex art. 727, comma 2, cod. pen., posto che le sofferenze patite dai maiali erano prevedibili, peraltro da un allevatore esperto come Cortigiani, ed evitabili, laddove siano state adottate maggiori cautele.
1.1. Orbene, la qualificazione giuridica operata dal Tribunale appare immune da censure, dovendosi richiamare sul punto la condivisa affermazione di questa Corte (Sez. 3, n. 14734 del 08/02/2019, Rv. 275391), secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 727 cod. pen., la detenzione di animali in condizioni produttive di gravi sofferenze consiste non solo in quella che può determinare un vero e proprio processo patologico nell’animale, ma anche in quella che produce meri patimenti, quali devono essere ritenuti quelli provocati nella vicenda in esame ai maiali presenti nell’allevamento dell’imputato, costretti ad alimentarsi con mangime non frammisto alle proprie deiezioni e in una zona circoscritta, con conseguente contesa tra di essi da cui sono derivate condizioni di dimagrimento o lesioni cutanee per i suini più fragili.
Del resto, l’allegato 1 punto 6 del d. lgs. n. 122 del 2011 (“attuazione della direttiva 2008/120/CE che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini”) dispone che “tutti suini devono essere nutriti almeno una volta al giorno.
Se i suini sono alimentati in gruppo e non «ad libitum» o mediante un sistema automatico di alimentazione individuale, ciascun suino deve avere accesso agli alimenti contemporaneamente agli altri suini del gruppo”, dovendosi ritenere evidentemente che l’accesso agli alimenti debba essere effettivo e salubre.
Resta solo da precisare che gli elementi addotti dalla difesa (attacchi dei lupi e diffusione della pandemia) non risultano idonei a sovvertire il giudizio sulla sussistenza del reato, trattandosi di circostanze che, oltre ad essere state dedotte in termini palesemente generici, risultano in ogni caso non direttamente correlate alle ravvisate carenze nella distribuzione degli alimenti ai suini.
1.2. In definitiva, in quanto scaturita da una disamina non irrazionale degli elementi probatori acquisiti, la valutazione del Tribunale circa la sussistenza e l’ascrivibilità a Cortigiani della condotta sanzionata dall’art. 727, comma 2, cod.
pen. resiste alle censure difensive, che si articolano nella sostanziale proposta di una rilettura alternativa (e invero frammentaria) delle fonti dimostrative disponibili, operazione questa che tuttavia non è consentita in sede di legittimità, essendo consolidata nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione (cfr. ex plurimis Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482), secondo cui, in tema di giudizio di cassazione, a fronte di un apparato argomentativo privo di profili di irrazionalità, come quello in esame, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito.
Di qui l’infondatezza delle doglianze difensive in punto di responsabilità.
2. A conclusioni analoghe deve pervenirsi rispetto al secondo motivo.
In ordine al difetto di motivazione rispetto alla richiesta di riconoscimento della particolare tenuità del fatto, occorre richiamare l’affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, Rv. 282097), secondo cui la richiesta di applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen.
deve ritenersi implicitamente disattesa dal giudice, qualora la struttura argomentativa della sentenza richiami, anche rispetto a profili diversi, elementi che escludono una valutazione del fatto in termini di particolare tenuità.
Alla luce di tale premessa interpretativa, deve osservarsi che il Tribunale, pur senza fornire esplicita risposta alla questione relativa all’applicabilità dell’art.
131 bis cod. pen., tuttavia ha offerto in più parti della sentenza chiare indicazioni idonee a escludere una valutazione di particolare tenuità del fatto.
Rileva in tal senso il fatto che il Tribunale ha ritenuto configurabile il reato di cui all’art. 727, comma 2, cod. pen. di cui al capo A in relazione a ben 255 suini presenti nell’allevamento, il che evidentemente connota la condotta dell’imputato come tutt’altro che occasionale, non potendosi peraltro sottacere che Cortigiani è stato contestualmente ritenuto colpevole di altre tre reati contravvenzionali (due violazioni ambientali e la mancata ottemperanza dell’ordinanza del Sindaco di provvedere al corretto smaltimento delle carcasse, alla completa custodia degli animali e alla corretta gestione degli effluenti di allevamento), ciascuno dei quali collegato alla gestione illegale del suo allevamento, il che denota l’abitualità dell’agire illecito, oggettivamente non compatibile con una valutazione del fatto in termini di particolare tenuità.
In definitiva, se è vero che il giudice monocratico non si è soffermato ex professo sulla richiesta di applicazione dell’art. 131 bis cod. pen., è tuttavia altrettanto vero che dalla lettura complessiva della motivazione si desume che vi è stato un rigetto implicito, e invero non illogico, della sollecitazione difensiva.
Di qui l’infondatezza della doglianza articolata nel terzo motivo.
3. Parimenti infondato è il quarto motivo di ricorso.
Ed invero, premesso che, anche in tema di attenuanti generiche, il rigetto della relativa richiesta può essere implicito, ove siano adeguatamente esposte le ragioni poste a fondamento della determinazione del trattamento sanzionatorio che si rivelino ostative a un’ulteriore mitigazione della pena (cfr. Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, Rv. 275057), deve innanzitutto osservarsi che, nel caso di specie, il Tribunale ha individuato il reato più grave in quello di cui al capo C (art. 256, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 152 del 2006), punito con la pena alternativa dell’arresto e dell’ammenda, optando per la sola pena pecuniaria, applicata nella misura minima di 2.600 euro, essendosi a tal fine tenuto conto dello status di incensurato di Cortigiani. Sulla pena base così individuata, è stato operato l’aumento di 50 euro di ammenda per ciascuna delle 257 contravvenzioni satellite (ossia i 255 episodi del reato di cui all’art. 727, comma 2, cod. pen., capo A, l’ulteriore reato di cui all’art. 256, commi 1 e 2 del d. lgs. n. 152 del 2006 contestato al capo B, e il reato di cui all’art. 650 cod. pen., capo D), essendo stata ritenuta congrua la misura di tali aumenti nell’ottica di offrire una risposta sanzionatoria proporzionata alla complessiva gravità della vicenda, connotata dalla chiara volontà dell’imputato di perseguire un risparmio di spesa, non potendosi spiegare diversamente le scelte di seppellire le carogne, di abbandonarle nel bosco, di non impedire che gli effluenti terminassero nei terreni dell’allevamento, e di far gestire 255 suini solo a due lavoratori, creando un sistema automatico di somministrazione del cibo foriero di problematiche per la salute dei suini (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata).
Orbene, da tali pertinenti considerazioni si deduce che il Tribunale, pur valorizzando l’entità complessiva dei fatti e la condizione di incensurato dell’imputato ai fini della determinazione della pena, rivelatasi tutt’altro che eccessiva a fronte della pluralità degli addebiti elevati a carico del ricorrente, non ha tuttavia ritenuto possibile un’ulteriore mitigazione della pena avuto riguardo a una serie di elementi oggettivi di indubbia pregnanza negativa, tali da rendere non illogico l’implicito diniego delle invocate attenuanti generiche.
4. In conclusione, stante l’infondatezza delle censure sollevate, il ricorso proposto nell’interesse di Cortigiani deve essere rigettato, con onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12.06.2025