Cons.Stato, Sez. VI n. 3753 del 26 giugno 2012
Caccia e animali.Diniego ampliamento azienda faunistico-venatoria.
E’ legittimo il diniego della Giunta Provinciale di ampliamento di una azienda faunistico-venatoria (155 ettari, oltre il 10% della superficie totale dell’azienda interessata), con parere contrario del Comune interessato, e in palese contrasto con le disposizioni del piano faunistico-venatorio in materia di istituzione, trasformazione o modifica dei confini delle aziende venatorie, situate nel territorio provinciale. A tale riguardo, già nell’art. 16 della legge statale 11 febbraio 1992, n. 157 è posto un limite massimo alla porzione di territorio, assegnabile alle aziende in questione (15%, ridotto all’11% nel piano applicabile nel caso di specie). (segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 03753/2012REG.PROV.COLL.
N. 05077/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5077 del 2008, proposto dalla società Azienda Agricola S. Uberto S.n.c. di Valter Aleotti & C., rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Carullo, con domicilio eletto presso l’avv. Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;
contro
Provincia di Bologna, rappresentata e difesa dagli avvocati Adriano Giuffrè, Elena Giometti e Cristina Barone, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Camozzi n.1;
per la riforma della sentenza del t.a.r. emilia-romagna – bologna, sezione i, n. 00713/2007, resa tra le parti, concernente diniego di autorizzazione per l’ampliamento di un’azienda faunistico-venatoria
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Provincia di Bologna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 maggio 2012 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Damiani per delega dell'avv. Carullo e Francesca Giuffrè per delega dell'avv. Adriano Giuffrè;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
E’ sottoposta all’esame del Collegio una questione di ampliamento di azienda faunistico-venatoria: ampliamento negato con delibera della Giunta Provinciale di Bologna n. 435 del 13.7.1998 e da valutare ai sensi dell’art. 16 della legge 11.2.1992, n. 157, nonché dell’art. 43 della legge della Regione Emilia Romagna 15.2.1994, n. 8.
Con sentenza del locale Tribunale Amministrativo Regionale n. 713/07 del 29.5.2007 il ricorso, al riguardo proposto dall’azienda agricola S.Uberto, è stato respinto, tenuto conto dei criteri stabiliti nella citata normativa, nonché dal piano faunistico-venatorio per il 1994 e dal bando della Giunta provinciale del 22.1.1996 per il rilascio dell’autorizzazione richiesta. Detti criteri – implicanti esercizio di discrezionalità tecnica – avrebbero infatti impedito di rilasciare il titolo abilitativo richiesto, per una domanda di ampliamento di ben 155 ettari (oltre il 10% della superficie totale dell’azienda interessata), con parere contrario del Comune interessato e senza che potesse configurarsi alcuna disparità di trattamento, risultando accolte solo domande di ampliamento per superfici molto inferiori a quella di cui si discute. Una domanda di riduzione di detta superficie a 65 ettari, presentata il 12.6.1998, non avrebbe vincolato l’Amministrazione alla relativa disamina, in quanto tardiva rispetto al termine prescritto dal bando (31.3.1996).
In sede di appello (n. 5077/08, notificato il 12.6.2008) la citata azienda agricola S.Uberto s.n.c. di Valter Aleotti & C. precisava di avere presentato nei termini (28.2.1996) la propria domanda di ampliamento, con successiva richiesta di integrazioni documentali e conseguente interruzione dei termini del procedimento, nel corso del quale veniva anche formalizzata una richiesta di riduzione della superficie, oggetto dell’originaria domanda: richiesta, quest’ultima, mai esaminata dall’Amministrazione.
Premesso quanto sopra, la medesima azienda contestava la dichiarata tardività dei motivi aggiunti e ribadiva le censure di omessa acquisizione del parere dell’INFS, nonchè delle risultanze raggiunte il 20.2.1998 da un gruppo di lavoro, incaricato di effettuare i necessari approfondimenti; la motivazione del provvedimento, in ogni caso, sarebbe stata “carente o lacunosa”, con mero rinvio alla nota del Servizio Tutela e Sviluppo Fauna PG n. 74087 in data 8.7.1998 e senza valutazione comparativa con altre istanze assentite, per aziende collocate nel medesimo territorio collinare, con successiva indebita integrazione della motivazione stessa in sede difensiva. Ingiustificato, inoltre, sarebbe stato l’omesso esame di una richiesta di riduzione dell’ampliamento di cui trattasi, seguita ad un incontro con le autorità provinciali, pur in presenza di assenso conseguito da altra analoga richiesta. Illegittimo, infine, avrebbe dovuto ritenersi il parere della Consulta Provinciale per la Protezione della Fauna e i Problemi venatori, in quanto reso solo in forma orale, pur costituendo la verbalizzazione forma necessaria di tutti gli atti collegiali.
La Provincia di Bologna, costituitasi in giudizio, ribadiva la tardività dei motivi aggiunti, notificati il 5.6.2006, in quanto tutti gli atti e i pareri posti a base del provvedimento impugnato erano in quest’ultimo citati, anche con estratto del testo riportato fra virgolette. Quanto al parere dell’INFS, si sarebbe trattato di adempimento non richiesto per meri ampliamenti, mentre il parere orale, reso dalla Consulta Provinciale, oltre che tardivamente contestato, non sarebbe stato comunque censurabile, poichè, prima del regolamento adottato il 7.12.2004, avrebbe dovuto ritenersi sussistente il principio di libertà delle forme; si sarebbe trattato, comunque, di parere endo-procedimentale e non vincolante, la cui sussistenza ed il cui contenuto – in quanto riportati nel provvedimento – dovrebbero ritenersi comprovati fino a querela di falso.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello non possa trovare accoglimento.
Da confermare, in primo luogo, appare la valutazione di tardività dei motivi aggiunti, in quanto indirizzati avverso atti presupposti, puntualmente citati nel provvedimento gravato e, pertanto, suscettibili di immediato apprezzamento, in base a criteri di ordinaria diligenza (anche a prescindere, peraltro, dal carattere almeno in parte reiterativo di censure, comunque valutate e respinte nella sentenza appellata, nonchè, qui di seguito, nuovamente esaminate). Deve inoltre essere sottolineato come le prospettazioni difensive della medesima parte appellante risultino riferite, in via pressoché esclusiva, a vizi di forma o di procedura, per una domanda di ampliamento dei confini dell’azienda, in palese contrasto con i criteri indicati nel bando, approvato dalla Giunta Provinciale il 22.1.1996 e pubblicato il 28.2.1996, nonché con le disposizioni del piano faunistico-venatorio, approvato con deliberazioni del Consiglio Provinciale nn. 80 e 159 del 1994, in materia di istituzione, trasformazione o modifica dei confini delle aziende venatorie, situate nel territorio provinciale. A tale riguardo, già nell’art. 16 della legge statale 11.2.1992, n. 157 è posto un limite massimo alla porzione di territorio, assegnabile alle aziende in questione (15%, ridotto all’11% nel piano applicabile nel caso di specie); in base all’art. 4 del citato bando, inoltre, si disponeva che fossero prese in considerazione le domande di ampliamento “solo se giustificate da esigenze di razionalizzazione e/o arrotondamento dei confini esistenti”, con ulteriore previsione di prioritaria assentibilità delle domande riferite a zone di pianura e di montagna, mentre in ambito collinare e di bassa montagna – essendovi già maggiore concentrazione di aziende del genere – era previsto che le proposte fossero prese in considerazione “solo se supportate da ampio accordo delle categorie interessate e degli enti locali”; sempre in rapporto agli ampliamenti, infine, nel medesimo piano faunistico si ribadiva come gli stessi dovessero qualificarsi “come semplici ritocchi o adeguamenti di confine, atti a superare difficoltà tecniche di gestione”.
Nella situazione in esame, l’azienda appellante risulta avere presentato domanda di ampliamento per una superficie aggiuntiva, la cui entità e ubicazione (155 ettari in area collinare) apparivano di per sé incompatibili con le esigenze indicate nel bando e risultavano, in effetti, rapportate a ben diverse “prospettive di miglioramento del territorio ed incremento della redditività del medesimo….anche quale habitat idoneo all’incremento del capriolo e della pernice rossa”. Localizzazione, consistenza e motivazioni del richiesto ampliamento – cui si aggiungeva il parere negativo, espresso al riguardo del Comune di Monterenzio, previa consultazione con le associazioni di categoria – rendevano, con ogni evidenza, estremamente ridotti i margini di discrezionalità tecnica dell’Amministrazione provinciale, tanto che – al termine di un’istruttoria, i cui tempi appaiono anche eccessivamente dilatati – può ragionevolmente ritenersi che sia stato emesso un provvedimento negativo, il cui contenuto sul piano amministrativo non avrebbe potuto essere diverso, con conseguente carattere non invalidante dei vizi procedurali segnalati, ai sensi dell’art. 21 octies della legge n. 241/1990, nel testo introdotto dall’art. 14 della legge n. 15/2005. Quando infatti, come nel caso di specie, una domanda appaia del tutto incompatibile con i parametri, dettati per il corretto esercizio della discrezionalità tecnica, il rigetto della medesima si configura – previo mero accertamento – come atto dovuto, soggetto alla medesima “ratio” applicativa della predetta norma, risultando contrario a principi di economia procedimentale l’annullamento di un atto per vizi di forma o del procedimento, in presenza di presupposti che ne rendano non sostanzialmente modificabile il contenuto. Quanto sopra, anche a prescindere dall’infondatezza di censure, come quella riferita all’omessa acquisizione del parere dell’INFS (Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica), trattandosi di parere previsto solo per l’istituzione – e non anche per l’ampliamento – delle aziende faunistico venatorie, a norma dell’art. 16, comma 1 della citata legge n. 157/1992 e dell’art. 43, comma 1, della legge regionale n. 8/1994. Ugualmente irrilevante appare l’acquisizione, o meno, delle risultanze raggiunte da un gruppo di lavoro, incaricato di approfondimenti istruttori, risultando – per quanto già detto e quindi in base ai dati “ab origine” disponibili – del tutto comprensibili le motivazioni del diniego, pur essendo poi state le stesse integrate, “ad abundantiam”, con riferimento ad atti istruttori inizialmente non disponibili. Indimostrata – e comunque infondata – appare la censura di disparità di trattamento: sia per l’eccepita (da parte della Provincia) diversità di altre domande di ampliamento accolte in area collinare, sia perché la ricordata, notevole difformità della domanda dell’appellante rispetto ai parametri richiesti rendeva, come già ricordato, sostanzialmente dovuto il diniego, con conseguente improponibilità al riguardo della censura di eccesso di potere per disparità di trattamento, come generalmente riconosciuto per gli atti vincolati. Analoghe considerazioni escludono la rilevanza delle censure riferite sia al parere, reso solo oralmente, della Consulta provinciale, sia all’omessa considerazione espressa della domanda, con cui si riduceva l’entità dell’ampliamento, non risultando in alcun modo illustrato dalla medesima appellante come si potessero considerare rispettati i ricordati parametri, previsti dal bando e dal piano faunistico-venatorio, per un ampliamento (comunque molto consistente) di 65 ettari, anche a prescindere dalle argomentazioni, secondo cui la riduzione sarebbe stata “bilanciata”, nel caso di specie, dalla costituzione di una nuova azienda per la superficie residua (90 ettari).
Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto; le spese giudiziali, da porre a carico dell’azienda soccombente, vengono liquidate nella misura di €. 5.000,00 (euro cinquemila/00).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge l'appello, come in epigrafe proposto; condanna l’appellante al pagamento delle spese giudiziali, a favore della Provincia di Bologna, nella misura di €. 5.000,00 (euro cinquemila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Roberta Vigotti, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 26/06/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)