Tribunale Palermo Sez. III sent. 28 marzo 2017
Est. Petruzzella
Urbanistica.Opere precarie in Sicilia

Con riferimento alla dibattuta interpretazione dell’art. 20 della legge reg. sic. n. 4 del 2003 (rubricata opere “interne”, che per le opere definite precarie e di facile rimovibilità esonera dal permesso di costruire), va rilevato che da un punto di vista logico e tecnico la “precarietà strutturale” di un’opera, intesa come “facile rimovibilità”, difficilmente può andare disgiunta da un tipo di funzionalità limitata nel tempo. Oltretutto deve restare fermo il principio che ogni tipo di opera anche “precaria” non possa violare le prescrizioni urbanistiche  e che non sarebbe costituzionalmente compatibile una disciplina regionale che esonerasse un'opera comportante trasformazione edilizia o urbanistica dalla necessità del permesso di costruire. Al riguardo non può nemmeno trascurarsi : che le c.d. opere precarie : possono essere di tipo e incidenza anche molto diversa tra loro; che il  “criterio strutturale” non riceve una indicazione normativa e l'individuazione della “facile rimozione” non è chiara; che comunque le opere precarie e di facile rimozione, siano esse ancorate o poggiate etc.., debbano connettersi con l’elemento fondante della disciplina urbanistica, costituito della “trasformazione edilizia del territorio” ex art. 3 e 10 del T.U.E. e art. 36 della l.reg. n. 71/78.


 

N. 9763/2016 RGTRIB – N.21721/2014 RGNR

TRIBUNALE DI PALERMO

SEZIONE III PENALE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice, dott.ssa Marina Petruzzella; all’udienza del 28 marzo 2017, ha emesso . . SENTENZA

nei confronti di xxx, assente, difeso di fiducia dall’avvocato xxx;

IMPUTATO

  1. del reato di cui agli artt. 81 cpv 3 lett. e 10, 29, 31, 44 B del d.p.r. 380 2001, per avere realizzato senza premunirsi del prescritto permesso a costruire le seguenti opere edilizie comportanti trasformazione edilizia del territorio comunale, in Palermo Via Basilea 4 (circolo del bridge circoletto), in un lotto di terreno di metri quadri 4000 (Fg 10 particella 1796 subalterno 12) una struttura in legno con copertura di tela plastificatia avente una superficie di metri quadri 130 circa, altezza massima di metri 3,50 circa, i cui pilastri risultano imbullonati in piastre metalliche annegate in apposite basi di calcestruzzo,

  2. del reato degli articoli 93 95 d.p.r. 380 2001 per avere iniziato i lavori abusivi descritti al capo A in zone a rischio sismico senza averne dato preventivo avviso al sindaco e all’ufficio del genio civile di Palermo;

  3. del reato previsto e punito dagli articoli 94 95 d.p.r. 82.001 per avere iniziato i lavori in zone a rischio sismico senza essere munito della preventiva autorizzazione dell’ufficio tecnico del genio civile competente.

Fatti accertati a Palermo il 22 settembre 2014.

Conclusioni delle parti

Pm: condanna mese uno di arresto euro 12.000, 00 di ammenda;

Difensore: assoluzione perché il fatto non sussiste, in subordine l’assoluzione per particolare tenuità unità del fatto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Pm presso il Tribunale di Palermo, con atto del 27 ottobre 2015 citava xxx davanti al Tribunale per l’udienza del 8 novembre 2016 per rispondere dei reati di cui esattamente in epigrafe, accertati a Palermo il 22 settembre 2014.

All’udienza dell’8 novembre 2016, nell’assenza dell’imputato, regolarmente avvisato, il giudice dichiarava l’apertura del dibattimento ed ammetteva l’esame dei testi e dell’imputato, come richiesti dal PM e dal difensore.

All’udienza del 14 febbraio 2017, venivano escussi i testi Renda e Cusimano .

All’udienza del 14 marzo 2017 veniva espletato l’esame dell’imputato. Il difensore chiedeva un differimento perché potesse essere esaminato il consulente di parte (della cui citazione non aveva prova), chiedendo al contempo l’audizione di un teste cui aveva fatto riferimento l’imputato durante l’esame (non ammesso dal giudice).

All’udienza del 28 marzo 2017 veniva escusso il consulente di parte ing. xxx, e , quindi, raccolte le conclusioni del Pm e del difensore, il giudice, all’esito della camera di consiglio, emetteva sentenza, dando lettura del dispositivo in atti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I.

All’esito dell’istruttoria dibattimentale risulta accertato che l’opera di cui si discute non è, come sostenuto dall’imputato, una struttura precaria, tale da rientrare nelle definizioni di cui all’art. 20 della legge n. 4 del 2003 della Regione Sicilia, ma un’opera che per dimensioni e conseguenti caratteristiche strutturali fuoriesce del tutto da qualsivoglia possibile definizione di precarietà, e che al contrario, ai sensi dell’art. 3 lett. E del DPR 380/2001, ha comportato una trasformazione del territorio urbano, e quindi soggetta alla disciplina del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 10 stesso DPR.

Ed infatti si tratta di un’ingombrante struttura quadrata in legno, della superficie di circa mq 130, saldamente ancorata al suolo (con calcestruzzo e ferro), aperta su tutti e quattro i lati, con un tetto spiovente, alto al colmo 3,50 metri, formato da una trave centrale (che funge da colmo ed alta quindi circa 3,50 metri) e da un’intelaiatura a spiovente, costituita da tredici travi per ognuna delle due falde, allineate tra loro in modo equidistante, i cui spazi tra l’una e l’altra sono chiusi da liste di tela bianca plastificata, e sorrette da due file di quattro pilastri alti non meno di 3 metri ciascuno. Gli undici pilastri di legno, che in totale sorreggono il tetto, sono imbullonati in piastre metalliche, annegate in basi di calcestruzzo .

Un elemento non trascurabile dal punto di vista dell’impatto anche ambientale è che la struttura sorge sul terreno di circa 4000 mq, di pertinenza dell’immobile sede del circolo del bridge denominato xxx , in via Basilea 4, all’interno della lottizzazione di fondo Anfossi, nella nota località balneare di Mondello (cnfr. fotografie acquisite in atti).

L’opera è in breve una sorta di ingombrante tettoia -o di pergolato, come preferisce definirla il consulente di parte, ma del peso e del volume anomali per una struttura per definizione leggera qual’è un ordinario pergolato - dal notevole impatto visivo e ambientale, destinata a fare ombra alle auto dei frequentatori del circoletto del bridge. Essa è stata costruita, su iniziativa dell’imputato, in assenza di un permesso di costruire e senza la redazione, la presentazione e le comunicazione prescritte dalla legge in relazione al rischio sismico ( tra le altre, per la definizione di pergolato, cnfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 2134, del 27 aprile 2015
La giurisprudenza amministrativa, in mancanza di una definizione legislativa di pergolato, ha avuto modo di affermare che esso può essere inteso come un manufatto avente natura ornamentale, realizzato in struttura leggera di legno o altro materiale di minimo peso, facilmente amovibile in quanto privo di fondamenta, che funge da sostegno per piante rampicanti, attraverso le quali realizzare riparo e/o ombreggiatura di superfici di modeste dimensioni. Si è, inoltre, precisato che la nozione di pergolato non muta se alle piante si sostituiscono i pannelli fotovoltaici, sicché gli stessi devono essere collocati in modo tale da lasciare spazi per il filtraggio della luce e dell’acqua e non devono caratterizzarsi come copertura stabile e continua degli spazi sottostanti.. Cnfr.pure Cass. III n. 16.4.2008 : “ Nel caso in esame la prevenuta, anziché realizzare un pergolato, ha costruito una tettoia che è cosa diversa strutturalmente dall'opera assentita e che, peraltro, è di notevoli dimensioni perché si estende per due lati dell'intero fabbricato. Invero, mentre il pergolato, costituisce una struttura aperta sia nei lati esterni che nella parte superiore ed è destinato a creare ombra, la tettoia può essere utilizzata anche come riparo ed aumenta quindi l'abitabilità dell'immobile ”).

Il fatto è pacifico perché è stato ammesso dallo stesso xxx, il quale fonda la sua difesa, si ripete, sostenendo che si tratti di opera di tipo precario, secondo la definizione di cui art. 20 della legge regionale n. 4 del 2003 , per la costruzione della quale non sarebbe stato necessario, in base alla medesima normativa, alcun permesso né alcun espletamento di sorta in ordine al rischio e alla disciplina edilizia connessa alla sicurezza delle costruzioni.

Mette tuttavia conto di riferire, sia pur brevemente, i contenuti delle deposizioni testimoniali, delle dichiarazioni dello stesso imputato e del suo consulente tecnico di parte.

Il teste Renda, della polizia municipale, ha ricordato il sopralluogo da lui compiuto il 22 settembre 2014, disposto a seguito di una segnalazione, al quale partecipò con i colleghi Furia e Ceraulo, presso il circoletto del bridge gestito dall’imputato, nell’ambito della pure enunciata lottizzazione di Fondo Anfossi. Nell’occasione, ha riferito il teste, in presenza dell’imputato fu constatato che l’opera in oggetto, come sopra descritta, fosse stata realizzata in assenza di permesso di costruire e o di ogni altra comunicazione, e di tale accertamento -anche con riferimento alla natura dei materiali utilizzati- fu redatta una relazione, a cura del tecnico designato dall’ufficio operante del comune.

Il teste ing. Cusimano in udienza ha riferito semplicemente che presso l’ufficio tecnico del Comune era in corso, mentre si celebrava il processo, la predisposizione del provvedimento sanzionatorio, irrogato ai sensi articolo 31 DPR 380/2001, diretta alla demolizione e alla rimessione in pristino dei luoghi (ha aggiunto che è stata predisposta dal suo ufficio la sanzione ex art. 31 e non ai sensi dell’art. 33 stesso DPR, come si era ipotizzato in origine -che prevede la stessa sanzione in ipotesi di ristrutturazione-, in quanto l’opera è stata considerata dai tecnici del comune una “nuova realizzazione” e non una ristrutturazione). L’ing. Cusimano ha precisato che la decisione di sanzionare l’abuso è scaturita dall’esito dell’istruttoria della pratica, affidata all’architetto del comune Robello. Il teste ha altresì ricordato il numero dato alla segnalazione dalla Polizia municipale operante (n. 233.014) ed altresì che questa riguardasse non solo l’imputato, in qualità di conduttore, ma anche i proprietari che gli avevano concesso in locazione l’immobile e il terreno di pertinenza, presso cui è stato realizzato l’abuso, signori xxxo, xxx e xxx. A domanda della difesa ha aggiunto che non gli risultava che il suo ufficio avesse mai ricevuto alcuna istanza di sanatoria ai sensi art. 36 DPR 380/2001 né in relazione all’art. 20 della legge regionale n.4/2003.

L’imputato, durante il suo esame, ha dichiarato di essere gestore del club del bridge dal 2011 e di aver preso l’immobile in locazione da xxx, che -ha dichiarato anche- è proprietaria di diverse ville nell’ambito della stessa lottizzazione e abitante della villa accanto a quella a lui locata (che -ha dichiarato- ha una superficie di circa 1424 mq ed è adibita a circoletto del bridge).

Ha sostenuto di avere montato sul terreno della villa la struttura di cui è processo non nell’immediatezza del sopralluogo della Polizia municipale, ma alla fine dell’inverno del 2012, e che il materiale utilizzato per costruirla lo aveva già acquistato di seconda mano alcuni anni primi, su internet, e tenuto conservato in un altro terreno (in via Caboto, nella sede del circoletto che gestiva in precedenza), sottolineando che si tratterebbe di un pergolato appoggiato al terreno, “ovviamente fissato”, imbullonato, per essere reso più stabile, a dei blocchetti di calcestruzzo poggiati per terra, che hanno anche la funzione -ha pure sottolineato- di livellare l’appoggio di alcune travi di legno rispetto ad altre, dato che sono tutte poggiate direttamente sul suolo di terra e che questo non era ben spianato. Ha aggiunto che aveva chiesto consiglio a tali geometra xxx e architetto xxx per conoscere se per realizzare un pergolato fosse necessario un permesso e che gli era stato risposto che sarebbe stato sufficiente rispettare le distanze dei 5 metri dal muro di recinzione (senza specificare tra l’altro, nota il giudice, se avesse mai rivelato le dimensioni dell’opera che intendeva realizzare). A domanda del giudice ha risposto che l’aveva fatto realizzare non da una ditta specializzata ma da un operaio, un ragazzo che lavorava con lui, che ogni tanto lo aiutava nella manutenzione xxx.

L’ingegnere xxx, tecnico di parte, ha dichiarato di essersi recato sul posto venti giorni prima della sua audizione in udienza e di avere constatato che lo stato dei luoghi fosse identico a quello delle fotografie scattate dalla Polizia giudiziaria al momento del sopralluogo. Ha tra l’altro precisato che le travi che disegnano le falde del tetto, intervallate da teloni di cellophane, e che i pilastri di legno sono imbullonati in piccole cuffie d’acciaio, ancorati al suolo attraverso piccole pozzanghere di calcestruzzo, .. per tenere ferme e quindi evitare anche il contatto del legno col terreno . Ha rimarcato che è una struttura amovibile, per smontare la quale non si dovrebbe demolire alcuna parte in muratura o in cemento armato, la cui realizzazione -ha quindi sostenuto- ai sensi dell’art. 20 della legge regionale n. 4 del 2003, in deroga alla normativa statale, può avvenire senza il permesso di costruire e senza alcuna necessità di depositare presso l’ufficio del Genio civile i calcoli riguardanti la sicurezza sismica, così come chiarito –ha aggiunto- nella nota del responsabile del Genio civile di Trapani, allegata alla relazione scritta predisposta dal medesimo ing. xxx.

Lo stesso perito di parte ha ricordato che tuttavia sulla definizione delle opere precarie in Sicilia esiste un caos interpretativo, ribadendo ancora una volta la validità della enunciata nota del Genio civile di Trapani, secondo cui sarebbe precaria ai sensi della normativa della regione Sicilia ogni sorta di struttura edilizia facilmente smontabile, senza appunto necessità di demolizioni di parti in muratura o cemento armato.

L’ingegnere xxx ha pure sostenuto che le caratteristiche dell’opera di cui è processo rispondano a quelle di un “pergolato”, essendo le travi del tetto intervallate da teloni e non potendosi quindi parlare di una copertura in senso stretto. Ha ricordato che sull’area non grava un vincolo paesaggistico, che esiste il vincolo sismico, ma che con riguardo alle strutture in legno di tal genere in Sicilia non sarebbe necessarie le comunicazioni previste per le costruzioni (cnfr. anche relazione dell’ing. xxx del 24 marzo 1017).

Rileva il giudice che alla conclusione , già sopra anticipata, che l’opera in oggetto non rientri nella definizione di struttura precaria, ai sensi dell’art. 20 della legge Reg. Sicilia n.4/2003, e che quindi i reati esattamente attribuiti dal Pm all’imputato sotto i capi d’accusa siano stati da lui consumati, si perviene attraverso l’analisi del testo della medesima norma e della giurisprudenza della Corte di Cassazione, dei TAR siciliani, del CGA e della pronunce Corte costituzionale, afferenti al tema.

II.

Disposizioni normative statali e regionali connesse alle questioni relative

alle “opere precarie”. Giurisprudenza e principi costituzionali.

Ai fini della corretta individuazione della tipologia delle cosiddette “opere precarie” e della disciplina effettivamente applicabile anche in Sicilia è necessario non trascurare che le norme già più volte citate della legislazione siciliana vanno inquadrate innanzitutto nell'ambito del sistema della disciplina urbanistico-edilizia generale e quindi nell’ambito della stessa materia delle “strutture precarie” (rubricate Opere interne), di cui al medesimo art. 20 della legge reg. n.4 del 2003, che trova la sua origine nell'art. 9 della legge reg. n. 37 del 1985. Come è noto la Regione siciliana, soltanto con la legge n. 16 del 2016 ha recepito, con modifiche, il DPR 380/2001 (t.u. edilizia) 1 . E’ pure noto che comunque del DPR 380/2001 (t.u. edilizia) nell’ordinamento regionale siciliano hanno trovato applicazione tutte le norme direttamente richiamate nella legislazione regionale medesima (artt. 9 e 16 del D.P.R. n. 380, con riferimento, rispettivamente, all'art. 9 del D.P.R. 327/01 e l'art. 18 della l.r. n. 4/2003), ovvero recepite in forza di rinvio “dinamico” operato da norme regionali, ovvero inerenti a materie non disciplinate dal legislatore siciliano, come ad esempio, le norme della parte seconda del DPR 380/2001, riguardanti la “ normativa tecnica per l'edilizia” (cfr. CGA, Sezioni Riunite n. 791/05 del 14/3/2006, n. 167/07 del 6/3/2007, n. 404/08 del 23/9/2008, n. 279 del 22/9/2009 e n. 344/03 del 17/5/2010; Cass. III. n.55296, del 30.12.2016, Calderaro:“Quanto alle violazioni alle disposizioni antisismiche, le norme regionali -nella specie L.R. Sicilia n. 4\2003- si applicano limitatamente alla materia dell'urbanistica e non possono quindi essere estese alla diversa disciplina edilizia antisismica e a quella per le costruzioni in conglomerato cementizio armato, attenendo tali materie alla sicurezza statica degli edifici, come tale rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ex art. 117 , comma secondo, Cost. , sicché tali opere continuano a essere soggette ai controlli preventivi previsti dalla.legislazione.nazionale” ).

Opere per cui è necessario un provvedimento amministrativo o una comunicazione, ai della

normativa della Reg. Sicilia e del DPR 380/2001.

L'art. 36 della legge reg.Sic. n.71/1978 prevede il rilascio della concessione edilizia per “ l'esecuzione di qualsiasi attività comportante trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio comunale, nonché il mutamento della destinazione degli immobili” (vedasi l'analoga disposizione dettata dall'art. 1 della legge 28/1/77, n. 10, la c.d. legge “Bucalossi”, che non contempla però l'ipotesi della modifica di destinazione d'uso degli edifici).

L'art. 20, comma 1, lett. d), della stessa legge reg. qualifica come “ ristrutturazione edilizia”, necessitante di concessione edilizia, quegli interventi che prevedono l”inserimento di nuovi elementi” sull'edificio (analoga disposizione è prevista dall'art. 3, comma 1, lett. d, DPR 380/2001).

L'art. 5 della legge reg. n. 37/1985 (come integrato dall'art. 5 della l.r. n. 26/86) consente il rilascio dell'autorizzazione edilizia con procedimento semplificato, con riguardo ad una serie di opere edilizie e interventi che hanno una limitata anche se non trascurabile incidenza sul territorio (manutenzione straordinaria, pertinenze, recinzioni, prefabbricati, ecc.), non soggette alla corresponsione degli oneri concessori ex art. 3 della legge n. 10/77, ché non comportano di fatto alcun carico urbanistico ”.

L'art. 6 della citata l.r. n.37/85 elenca una serie di “opere” irrilevanti dal punto di vista urbanistico-edilizio – perché riguardanti l'attività agricola (fatta eccezione per la “ manutenzione ordinaria”) - per le quali non necessita acquisire alcun titolo o effettuare alcuna comunicazione al comune.

L'art. 1, comma 6, della legge 21/12/2001, n. 443 (applicabile in virtù del recepimento ex art. 14 della l.r. n. 26/03/02, n. 2) consente l'esecuzione delle opere assentibili a mezzo di concessione o autorizzazione edilizia, mediante la c.d. D.I.A., in atto oggetto di disciplina con gli articoli 22 e 23 del T.U.E. (“I n alternativa a concessioni e autorizzazioni edilizie, a scelta dell'interessato, possono essere realizzate in base a semplice denuncia di attività ”).

Il DPR 380/2001 prevede agli artt. 12 (“Presupposti per il rilascio del permesso di costruire”), 10 (“Interventi subordinati a permesso di costruire”), comma 1 e 3 (“ Definizione degli interventi edilizi”), comma 1, lett. e), alinea e.1, e.5 ed e.6, 4, comma 1 (“ Contenuto necessario dei regolamenti edilizi comunali”), testualmente rispettivamente: -“ Il permesso di costruire è rilasciato in conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente ”; “ Costituiscono interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio e sono subordinati a permesso di costruire : interventi di nuova costruzione; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia .... che comportino ... modifiche ...dei prospetti ”; - Ai fini del presente testo unico si intendono per ... d) interventi di ristrutturazione edilizia” anche quelli che prevedono “l'inserimento di nuovi elementi” ...e) i nterventi di nuova costruzione: e. 1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o seminterrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsti alla lettera e.6); ...e.5) l'istallazione di manufatti leggeri anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro oppure come magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee; e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale”; - Il regolamento ... deve contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi. ”.

Opere precarie” nella legislazione statale e in quella della regione siciliana

Secondo un assunto sintetico tratto da alcune sentenze della Corte di Cassazione -su cui da ultimo, come si vedrà meglio di seguito, la stessa Corte ha fatto definitiva chiarezza, superandolo- mentre il DPR 380/2001 definisce la precarietà di un’opera in base ad un criterio funzionale-temporale, in quanto diretta ad assolvere ad un’utilità limitata nel tempo, invece l’art. 20 della legge della reg. n.4 del 2003 definirebbe la precarietà eminentemente in base al parametro strutturale della facile rimozione, e quindi liberalizzerebbe una serie di opere interne, come la chiusura di terrazze la copertura di spazi interni, la chiusura di verande e balconi con strutture precarie (cnfr. in questo senso Cass. III del 9 luglio 2008.; ma in senso diverso Cass. III n. 30657 del 20.12.2016, dep. il 20.6.2017 Rv. 270210, Calabro' e altro, secondo cui “ In materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con i detti principi - Fattispecie relativa alla realizzazione di una tettoia per la quale la Corte ha ritenuto necessario il permesso di costruire, ai sensi degli artt. 3, 10 e 31 T.U. Urbanistica, essendo tali disposizioni destinate a prevalere sulla disciplina dettata dall'art. 20, comma primo, legge Regione Sicilia 16 aprile 2003, n. 4 secondo cui, in deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggette a concessioni e/o autorizzazioni né sono considerate aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie).

Le disposizioni della legge statale relative alle c.d. “opere precarie” sono contenute nel DPR 380/201, nel suo articolo 6, comma 1, lett. c) e comma 9, lett. b), che le individuano rispettivamente : a) nelle “ opere temporanee per attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico, ad esclusione di attività di ricerca di idrocarburi, e che siano eseguite in aree esterne al centro edificato; b) nelle “opere dirette a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee e ad essere immediatamente rimosse al cessare della necessità e, comunque, entro un termine non superiore a novanta giorni . In entrambi i casi “ gli interventi sono eseguiti senza nessun titolo abilitativo ”. 2

Nella legislazione regionale , riguardo alle “opere precarie”, si ribadisce ancora una volta, viene innanzitutto in rilievo l’art. 20 della legge reg. n.4 del 2003, che trova la sua origine nell'art. 9 della legge reg. n. 37/85,i cui rispettivi testi si riportano di seguito. 3

Art. 9, legge R. S. n. 37/85 “Opere interne ”.

1." Non sono soggette a concessioni nè ad autorizzazioni le opere interne alle costruzioni che non comportino modifiche della sagoma della costruzione, dei fronti prospicienti pubbliche strade o piazze, nè aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari, non modifichino la destinazione d'uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari , non rechino pregiudizio alla statica dell'immobile e, per quanto riguarda gli immobili compresi nelle zone indicate alla lett. A dell'art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 97 del 16 aprile 1968, rispettino le originarie caratteristiche costruttive.

Ai fini dell'applicazione del presente articolo non è considerato aumento delle superfici utili l'eliminazione o lo spostamento di pareti interne o di parte di esse. Non è altresì considerato aumento di superficie utile o di volume nè modificazione della sagoma della costruzione la chiusura di verande o balconi con strutture precarie .

2.Nei casi di cui al comma precedente, contestualmente all'inizio dei lavori, il proprietario dell'unità immobiliare deve presentare al sindaco una relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi e il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme igienico-sanitarie vigenti.

3.Le sanzioni di cui all'art. 10, ridotte di un terzo, si applicano anche nel caso di mancata presentazione della relazione di cui al precedente comma.

4.Le disposizioni di cui ai commi precedenti non si applicano nel caso di immobili vincolati ai sensi delle leggi 1 giugno 1939, n. 1089 e 29 giugno 1939, n. 1497 e successive modificazioni ed integrazioni.

Gli spazi di cui all'art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765 , così come integrato e modificato con l'art. 31 della legge regionale 26 maggio 1973, n. 21 , costituiscono pertinenze delle costruzioni, ai sensi e per gli effetti degli articoli 817, 818 e 819 del codice civile".

Art. 20 l.r. n. 4/2003 “Opere interne (integrato dall'art. 12 della L.R. 15/2006)

1. In deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggette a concessioni e/o autorizzazioni né sono considerate aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a metri quadrati 50 e /o la copertura di spazi interni con strutture precarie , ferma restando l'acquisizione preventiva del nulla osta da parte della Soprintendenza dei beni culturali ed ambientali nel caso di immobili soggetti a vincolo.

2. Nei casi di cui al comma 1, contestualmente all'inizio dei lavori il proprietario dell'unità immobiliare deve presentare al sindaco del comune nel quale ricade l'immobile una relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi ed il rispetto delle norme di sicurezza e delle norme urbanistiche, nonché di quelle igienico-sanitarie vigenti, unitamente al versamento a favore del comune dell'importo di cinquanta euro per ogni metro quadro di superficie sottoposta a chiusura con struttura precaria.

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano anche alla chiusura di verande o balconi con strutture precarie come previsto dall'articolo 9 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37 ; per tali casi è dovuto l'importo di venticinque euro per ogni metro quadro di superficie chiusa.

4. Ai fini dell'applicazione dei commi 1, 2 e 3 sono da considerare strutture precarie tutte quelle realizzate in modo tale da essere suscettibili di facile rimozione . Si definiscono verande tutte le chiusure o strutture precarie come sopra realizzate, relative a qualunque superficie esistente su balconi, terrazze e anche tra fabbricati. Sono assimilate alle verande le altre strutture, aperte almeno da un lato, quali tettoie, pensiline, gazebo ed altre ancora, comunque denominate, la cui chiusura sia realizzata con strutture precarie, sempreché ricadenti su aree private .

5. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, altresì, per la regolarizzazione delle opere della stessa tipologia già realizzate .

6. Il proprietario o il concessionario di immobili e/o parti di essi oggetto dell'applicazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 non può vantare diritti nei confronti di terzi in dipendenza della situazione sopravvenuta, né può in alcun modo essere variata la destinazione d'uso originaria delle superfici modificate.

7. I proprietari di edifici regolarmente realizzati adibiti esclusivamente ad attività commerciali o produttive possono regolarizzare, previa richiesta di autorizzazione, le opere eseguite per l'adeguamento degli stessi edifici a sopravvenute norme di sicurezza e/o igienico-sanitarie con il limite del 10 per cento della superficie utile inizialmente assentita e per un massimo di sessanta metri quadri.

8. Rimane soggetto ad autorizzazione edilizia il recupero abitativo realizzato mediante frazionamento di unità immobiliari non sottoposte a vincoli previsti dalla normativa vigente in un maggior numero di unità immobiliari. Tale frazionamento è consentito a condizione che siano rispettate le prescrizioni urbanistiche nonché quelle igienico-sanitarie riguardanti le condizioni di abitabilità previste dai regolamenti vigenti e siano rispettati i limiti di volume previsti dall'articolo 7 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37 e che le superfici delle unità immobiliari ricavate non risultino inferiori ai limiti stabiliti dall'articolo 48 del regio decreto 28 aprile 1938, n. 1165, modificato dall'articolo 5 della legge 2 luglio 1949, n. 8. Tale recupero abitativo può essere realizzato a condizione che non comporti la modifica del prospetto dell'edificio e non pregiudichi la statica dell'immobile.”

Giurisprudenza amministrativa ed evoluzione della giurisprudenza

penale, relativa all’art. 20 della legge reg. 4/2003

Rileva il giudice che da un punto di vista logico e delle caratteristiche delle tecniche costruttive, la “precarietà strutturale” di un’opera, intesa come “facile rimovibilità”, difficilmente può andare disgiunta da un tipo di funzionalità temporaneamente limitata. Oltretutto resta fermo il principio che ogni tipo di opera anche “precaria” non possa violare le prescrizioni urbanistiche territoriali e che non sarebbe costituzionalmente compatibile una disciplina regionale che esoneri la realizzazione di un'opera comportante trasformazione edilizia o urbanistica dalla necessità di permesso di costruire.

E’ quindi utile partire dall’esame della sentenza della Corte di Giustizia Amministrativa, n. 923 del 15 ottobre 2009, in cui vi si affrontavano già proprio i suddetti temi fondamentali dell'istituto ex art. 20 della legge reg. n. 4 del 2003. In essa la CGA affermava :

La chiusura totale della tettoia, determinando un vano con propria volumetria e sagoma (tra l’altro con una superficie di circa 96,36 mq.), comporta che essa comunque non possa rientrare tra le opere per le quali è ammissibile la procedura semplificata di cui al citato art. 20.

La norma in questione richiede altresì, ai fini della sua applicabilità, che l’opera da realizzare o di cui si chiede la sanatoria sia caratterizzata dal requisito della precarietà. La struttura di che trattasi risulta saldamente collegata con l’immobile principale e realizzata con travi e pilastri tra loro saldati e, pertanto, non si può ragionevolmente ritenere che essa sia facilmente rimuovibile e, quindi, precaria, come è invece prescritto. In tema di strutture precarie o di facile rimuovibilità, giurisprudenza consolidata ritiene, infatti, che non sia necessaria alcuna concessione edilizia soltanto allorché l’opera non costituisca trasformazione urbanistica del territorio e sia costituita da intelaiature non infisse né al pavimento né alla parete dell’immobile cui può (e deve) essere semplicemente addossata, né deve essere chiusa in alcun lato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7/11/2005, n. 6193). Occorre, inoltre, avere riguardo alla destinazione d’uso dell’opera; sicché una struttura destinata a dare una utilità prolungata nel tempo non può considerarsi precaria e, quindi, come tale realizzabile senza autorizzazione . Concludendo sul punto: la struttura realizzata dall’appellante non può essere considerata precaria e facilmente rimuovibile, atteso che la stessa è perfettamente ancorata al suolo ed all’edificio, le travi ed i pilastri sono saldati tra loro; è chiusa con strutture in metallo ed in vetro; ha una destinazione d’uso non limitata nel tempo , essendo adibita, quale laboratorio per abiti da sposa, ad attività artigianale e/o commerciale, per cui non è regolarizzabile ai sensi dell’art. 20 della l.r. n. 4/2003. Inoltre, per affermare l’erroneità della tesi secondo cui a nulla rileva che la struttura di che trattasi ricade in zona C1, dove non è consentita la realizzazione di tettoie, pensiline e/o coperture di alcun genere, per essere la disposizione di cui al citato art. 20 derogatoria anche delle norme urbanistiche, sarà sufficiente richiamare proprio la prescrizione della stesso art. 20, nella parte in cui dispone che, nei casi ivi previsti, contestualmente all’inizio dei lavori, il proprietario dell’unità immobiliare deve presentare al sindaco del comune nel quale ricade l’immobile una relazione a firma di un professionista abilitato alla progettazione, che asseveri le opere da compiersi ed il rispetto delle norme di sicurezza e delle “norme urbanistiche ” nonché di quelle igienico-sanitarie vigenti. Il ché è appunto quanto dire che le strutture precarie di cui all’art .20 possono essere realizzate senza autorizzazioni e/o concessione purché, ovviamente, siano compatibili con gli strumenti urbanistici vigenti, e con i relativi vincoli . Ciò comporta che, se nella zona C1 non possono essere realizzate opere come tettoie, pensiline e coperture in genere per espressa previsione urbanistica (come asseritamente accade nel caso che ci occupa) è evidente che la tettoia posta in essere ... è abusiva e non suscettibile di sanatoria.”

In estrema sintesi in tale sentenza la CGA sanciva che il requisito della “facile rimozione” delle “strutture precarie” previste dall'art. 20, comporta che le opere:

a) non possano costituire “ trasformazione urbanistica del territorio” (e quindi hanno rilevanza le dimensioni delle opere, che devono essere ridotte, e/o il loro “carico urbanistico”); b) che non siano infisse al suolo o a parete, dovendo invece “essere semplicemente addossata”; c) che non risultino chiuse, tali da costituire “un vano con propria volumetria e sagoma”; d)che posseggano “una destinazione d'uso limitata nel tempo ; e) che non siano in contrasto con le previsioni dello strumento urbanistico comunale, non derogabile in quanto l’opera precaria stessa è oggetto di “relazione tecnica” che asseveri il rispetto delle “ norme urbanistiche”.

Quel che più rileva di detta pronuncia è la condizione della destinazione d'uso non limitata nel tempo” rispetto all'uso originale, comportando il venir meno della possibilità per le opere di cui all'art. 20 di perdurare nel tempo, indipendentemente dalle loro caratteristiche di “facile rimozione” (la pronuncia era in linea con una parte delle pronunce della Sezione Consultiva del CGA e dei tribunali amministrativi) .

Riguardo alla giurisprudenza della Sez. III della Corte di Cassazione penale, sempre relativa all'applicazione dell'art. 20 cit., particolare rilievo ha assunto nel suo iter interpretativo, la sentenza n. 33039 del 2006, afferente al caso della realizzazione di “una tettoia in elementi lamellari di abete, di circa mq 132 , priva di elementi di chiusura laterali, i cui puntelli di sostegno risultano infissi per mezzo di bulloni metallici al piano di calpestio di una terrazza privata di copertura di un edificio ”. In essa la Suprema corte faceva rinvio innanzitutto al contenuto della sentenza della Corte costituzionale n. 303/2003, secondo la quale lo Stato ha “ mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi edilizi come appartenenti alla potestà di dettare i principi della materia ” , rilevando che i citati art. 9 e art. 20 della legge regionale devono pertanto rispettare tali principi fondamentali e in ogni caso devono essere interpretate in modo da non collidere con essi .

La medesima sentenza, citando giurisprudenza propria e del Consiglio di Stato (Sez. V n. 394 dell'8/4/99 e n. 675 del 22/7/92) e del C.G.A. (sentenza n. 345 del 15/10/91), evidenziava che “ la trasformazione di un balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, mediante chiusura a mezzo di istallazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, non costituisce realizzazione di una pertinenza, né intervento di manutenzione straordinaria e di restauro, ma è opera soggetta a concessione edilizia/permesso di costruire ”. Statuiva altresì che la “ mancanza di precarietà di una trasformazione urbanistico-edilizia del territorio è elemento essenziale che deve sempre esistere perché si possa riconoscere la necessità del permesso di costruire ”.

Tuttavia la stessa pronuncia sosteneva che le disposizioni ex art. 20 procedevano alla identificazione in via di eccezione di determinate opere precarie, non soggette a permesso di costruire, privilegiando ( rispetto alla interpretazione pur condivisa dal CGA per la Regione Siciliana, con la sentenza 23.10.1998, n. 633) il "criterio strutturale" (della facile rimovibilità) a scapito di quello "funzionale" (dell’uso realmente precario e temporaneo della costruzione), concludendo che tali disposizioni non possono essere applicate al di fuori dei casi espressamente previsti.

Con riferimento alle modalità costruttive ed alla stabilità materiale dei manufatti la Corte riteneva che: a) la "sagoma" di una costruzione attiene alla sua conformazione e al suo perimetro sia verticale che orizzontale, e che la norma regionale pone eccezioni circa l'alterazione della sagoma, relativi soltanto al contorno orizzontale dell'edificio, mentre non stabilisce che le opere in questione possano realizzarsi in sopraelevazione dell’edificio, con la modificazione del perimetro verticale. Al riguardo osservava “ Non può ritenersi, cioè, che il legislatore regionale abbia inteso consentire sostanzialmente la generalizzata sopraelevazione di tutti gli edifici esistenti sul territorio isolano, sia pure con strutture da considerarsi "precarie" nel senso dianzi specificato, perché interventi siffatti, incidendo con modalità incrementative sui limiti di altezza del fabbricati normativamente fissati per le diverse zone territoriale omogenee, introducono modifiche rilevanti delle caratteristiche fondamentali sia del singolo edificio sia dell' aggregato urbano” ; b ) non può comunque considerarsi "realizzata in modo tale da essere suscettibile di facile rimozione" una tettoia di ampie dimensioni (pur sempre non intesa oggettivamente a soddisfare necessità contingenti e limitate nel tempo), realizzata sul terrazzo di copertura di un edificio e stabilmente incorporata, mediante plurimi puntelli di sostegno, alle opere murarie già esistenti, si da non potersi procedere alla separazione se non incidendo sull'integrità di dette opere. Affermava ancora “ Deve concludersi, pertanto, che la tettoia oggetto della fattispecie in esame (pur presentandosi, allo stato, priva di elementi di chiusura laterali) - la quale non è stata realizzata su una terrazza di collegamento, né copre spazi già aggettanti dell'edificio, ma si pone in elevazione dello stesso per una rilevante estensione- essendo idonea a determinare una stabile trasformazione del territorio , con incremento dei limiti di altezza e possibile incidenza anche sul computo delle distanze tra fabbricati, resta al di fuori dell' area di applicazione dell' art. 20 della legge regionale n.4/2003 .” In sintesi in base a tele pronuncia: a) risulta inibita la realizzazione di qualsivoglia “chiusura” di terrazze (in presenza o meno di tettoie già esistenti) in quanto l'art. 20 non consente alcuna modifica della sagoma dell'edificio in senso verticale; b) le dimensioni delle tettoie (nel caso esaminato di mq 134), unitamente alle caratteristiche costruttive (“stabilmente incorporate, mediante plurimi puntelli di sostegno”) non possono concretizzare la c.d. “facile rimozione” ; c) il “criterio strutturale” relativo alla facile amovibilità, sostituisce quello “funzionale” relativo all'uso realmente precario e temporaneo.

La sentenza della Corte n. 35011 del 18 settembre 2007 tratta i medesimi temi afferenti alle “opere precarie”, ma con riferimento all’ammissibilità di un manufatto di modeste dimensioni, di circa 14 mq (di gran lunga inferiore al limite di 50 mq indicato al comma 1 dell'art. 20: ndg), relativo alla “chiusura a copertura di una veranda, per una superficie di mt 3,70 X 3,85, posta al primo piano di un preesistente fabbricato, mediante pannelli coibentati con soprastante manto di tegole, che non

può comunque considerarsi “realizzato “ in modo tale da essere suscettibile di facile rimozione (essendo) vano di non ridotte dimensioni (non rivolto oggettivamente a soddisfare necessità contingenti e limitanti nel tempo, stabilmente incorporato alle opere murarie già esistenti, sì da potersi procedere alla separazione degli elementi successivamente inseriti se non incidendo sull'integrità di dette opere ”. Ciò nella considerazione che la veranda realizzata costituisce “ un nuovo locale autonomamente utilizzabile e difetta normalmente del carattere di precarietà trattandosi di opera destinata non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua

successiva rimozione, ma a durare nel tempo, ampliando così il godimento dell'immobile. Né può sostenersi che, nella specie, il manufatto realizzato fosse destinato alla protezione dagli agenti atmosferici allorchè si consideri che è stato ottenuto in concreto “un nuovo vano adibito ad ufficio ed in tal senso arredato ”, sicchè con la c.d. “veranda” è stato posto in essere un aumento della volumetria abitativa ed assicurato nuovo spazio al corpo immobiliare preesistente ” (tra l’altro il comma 6 dell'art. 20 riguarda il divieto di variare “la destinazione d'uso originaria delle superfici modificate”).

Importante ai fini della comprensione della ratio legis è pure la sentenza della Cassazione n. 35878 del 19 settembre 2008, con la quale viene affermato l'obbligo della concessione edilizia per una semplice struttura tubolare in ferro, da considerarsi tra le opere di “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio”, ai sensi dell'art. 10 “Interventi subordinati a permesso di costruire”, comma 1, lett. C del DPR 380/2001, stante la conseguente modifica del volume, della sagoma e dei prospetti, indicati come interventi di “ristrutturazione edilizia” (la modifica dei prospetti non è infatti derogabile in applicazione dell'art. 20).

La sentenza n. 4881 del 4/2/2010 aveva a riferimento una “struttura portante in legno, copertura in eternit e tamponatura con pannelli in lamiera zincata” di appena 16 mq. Affermava la necessità della concessione edilizia, essendo “irrilevante che i manufatti non siano costruiti in muratura oppure che abbiano modesta consistenza e ancora che non comportino incremento del carico insediativo, se idonei a modificare lo stato dei luoghi in quanto destinati almeno potenzialmente a perdurare nel tempo ”, escludendo in via assoluta (senza esplicitazioni di sorta) l'applicazione dell'art. 20, in quanto normativa che attiene alle sole “opere interne”; opere queste da considerare interne agli edifici e non già su aree esterne agli stessi, visibili da “pubbliche strade e piazze” (cnfr. TAR Palermo, Sez: III, n. 383 del 24/2/09, che, riguardo alla realizzazione di una tettoia di 30 mq – in lamiera e profilati metallici - afferma la necessità della “concessione edilizia in quanto trattasi di opera esterna”).

La sentenza n. 30657 del 20 dicembre 2016 Rv. 270210, ribadisce il giudice, nel percorso di una lettura sempre più costituzionalmente orientata dell’art. 20 della legge reg. 4 del 2003, consolida una decisa svolta in tale direzione.

Vi si ripete che in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale , e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con detti principi. Il caso esaminato dalla Corte riguarda la realizzazione di una tettoia avente una superficie di 50 metri quadri circa, alta di 3 metri circa, fissata da bulloni e con copertura in travetti e tavolato in legno , raggiungibile tramite una scala interna, già esistente, che la collegava al sottostante piano di proprietà degli stessi imputati e, tramite una porta, al vano scala condominiale (come accertato in data 8/10/2012 in Palermo). La Corte per la predetta opera ha ritenuto necessario il permesso di costruire, ai sensi degli artt. 3, 10 e 31 DPR 380/2001, affermando che tali disposizioni sono destinate a prevalere sulla disciplina dettata dall'art. 20, comma primo, legge Regione Sicilia 16 aprile 2003, n. 4 (nella parte in cui prevede che in deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggette a concessioni e/o autorizzazioni né sono considerate aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze di collegamento e/o la copertura di spazi interni con strutture precarie). 4

In sostanza, nota altresì il giudice, la Cassazione con la pronuncia in commento ha con maggiore incisività statuito la prevalenza del dettato costituzionale su ogni contraria interpretazione della normativa di una regione, sia pure a statuto speciale, dichiarando :

La norma regionale, quindi, parrebbe derogare all'assetto regolativo delineato dal Testo unico edilizio . Sul punto osserva, tuttavia, il Collegio che secondo l'indirizzo interpretativo accolto da questa Corte "in materia urbanistica, le disposizioni introdotte da leggi regionali devono rispettare i principi generali stabiliti dalla legislazione nazionale, e conseguentemente devono essere interpretate in modo da non collidere con í detti principi" (così Sez. 3, n. 33039 del 15/06/2006, dep. 4/10/2006, P.M. in proc. Moltisanti, Rv. 234935, relativo proprio a una fattispecie in cui la Corte, diversamente da quanto previsto dalle leggi regione Sicilia 10 agosto 1985 n. 37 e 16 aprile 2003 n. 4, contenenti nuove norme in materia di controllo dell'attività urbanistica, edilizia e riordino urbanistico, ha ritenuto necessario il preventivo rilascio del permesso di costruire in vista della realizzazione di una tettoia; negli stessi termini v., nella giurisprudenza successiva, Sez. 3, n. 2017 del 25/10/2007, dep. 15/01/2008, Giangrasso, Rv. 238555). Pertanto, la norma statale dettata in materia di regolamentazione dell'attività edilizia, con la quale è stato previsto il regime dei titoli abilitativi, è destinata a prevalere sulla disciplina dettata dalla norma regionale, ancorché dettata da una regione a statuto speciale avente competenza esclusiva in materia urbanistica . Ciò conformemente a quanto ritenuto dalla stessa Corte costituzionale, la quale, con la sentenza n. 303/2003, ha affermato che, quanto all'attività urbanistico-edilizia, "lo Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla potestà di dettare i principi della materia" e che "costituisce un principio dell'urbanistica che la legislazione regionale e le funzioni amministrative in materia non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica amministrazione ". E del resto costituisce, altresì, principio della materia quello della "necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi ed espressi... e taciti... libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l'ambito applicativo". Pertanto, alla luce dell'art. 117 Cost .,,anche come modificato dalla Legge Costituzionale n. 3 del 2001, la legge n. 37 del 1985 e la legge n. 4 del 2003 della Regione Siciliana, dunque, devono rispettare, in ogni caso, i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale e quindi devono essere interpretate in modo da non collidere con detti principi generali (v., sul punto: Corte cost., sentenza n. 187 del 1997; nonché Sez. 3, n. 28560 del 26/03/2014, dep. 3/07/2014, Alonzo, Rv. 259938; Sez. 3, n. 2017 del 25/10/2007, dep. 15/01/2008, Giangrasso, Rv. 238555; Sez. 3, n. 24201 del 25/05/2005, dep.27/06/2005, David, Rv. 231948; Sez. 3, n. 4861, del 9/12/2004, dep. 10/02/2005, Garufi, Rv. 230914, in motivazione; Sez. 3, n. 6814 del 11/01/2002, dep. 20/02/2002, Castiglia, Rv. 221427) . 5

In ultima analisi la sentenza da ultimo in commento rappresenta un superamento dell’impasse creata da quelle precedenti pronunce, in cui da una parte si prendeva atto che alcune opere ex art. 20 legge reg. (le “verande” realizzate mediante la chiusura con “pannelli di vetri su intelaiatura metallica” di balconi e terrazze) in base alla normativa statale risultavano invece sottoposte al regime concessorio, e d’altra parte e contemporaneamente rinviavano al contenuto delle note sentenze della Corte Costituzionale n. 487/89 e n. 303/2003 e senza ipotizzare che potesse concretizzarsi l'illegittimità costituzionale delle norme regionali in discorso (ritenendo che il legislatore regionale, “ procedendo alla identificazione in via di eccezione di determinate opere precarie non soggette a permesso di costruire, privilegiano ...il criterio strutturale” a discapito di quello funzionale, e procedendo poi ad affiancare a quest’ultimo concetto quello secondo cui le disposizioni regionali “ non possono essere applicate al di fuori dei casi espressamente previsti ed in relazione alle stesse, anche nell'accentuazione del riferimento alle modalità costruttive ed alla stabilità materiale dei manufatti ” delle “strutture precarie” ivi elencate, così definite, nonostante non risulterebbero destinate ad essere rimosse).

Può essere utile aggiungere ancora che riguardo a tali precedenti postulati interpretativi della Cassazione, in dottrina era stato osservato che gli stessi non considerassero : a) che la “i dentificazione in via di eccezione di determinate opere precarie ”, non attenga ad una singola fattispecie, ma a svariate ipotesi (di incidenza anche molto diversa tra loro ad esempio sulla modificazione dei prospetti degli edifici; b) che il c.d. “criterio strutturale” di valutazione delle “opere precarie” non potesse essere risolutivo (molta giurisprudenza amministrativa non escludeva la sopravvivenza anche del “criterio funzionale”, stante l’assenza di qualsivoglia indicazione di legge in questo senso; c) che i criteri di individuazione della “ facile rimozione ” forniti dalla medesima giurisprudenza fosse non chiari; d) che comunque le opere precari e di facile rimozione, siano esse ancorate o poggiate o incastrate o legate, ecc. alla costruzione cui ineriscono, debbano intrinsecamente connettersi con l’ elemento fondamentale della disciplina urbanistica, costituito della “ trasformazione edilizia del territorio ” ex art. 3 e 10 del T.U.E. e art. 36 della l.r. n. 71/78 (secondo un’interpretazione, il termine “urbanistica” non compare nelle locuzioni normative in discorso, in ragione del fatto che le opere in argomento non possono comportare alcun ulteriore “ carico urbanistico”, in quanto il comma 4 dell'art. 20 prevede che “ non può in alcun modo essere variata la destinazione d'uso originaria delle superfici modificate ”).

Giurisprudenza della Corte Costituzionale

Per ragioni di completezza è bene focalizzare ancora alcune pronunce della Corte costituzionale afferenti al tema.

Con la sentenza n. 187/97 la Corte Costituzionale ha indicato la necessità di guardare alla norma oggetto del giudizio nel “contesto” normativo in cui essa è collocata, e ciò con riferimento all'art. 5 della legge r. n. 37/85 (norma “contigua” all'art. 9, in ragione della tipologia di opere dalla stessa disciplinate), nella parte in cui viene consentita la realizzazione di “prefabbricati” a mezzo di autorizzazione edilizia, anziché di concessione edilizia. Per la Consulta deve trattarsi di opere di “modeste dimensioni”, “adagiate al suolo e facilmente rimovibili, tali da non alterare stabilmente l'assetto del territorio”, in sostanza aventi carattere di precarietà in ragione della “facile rimozione”, proprio perché di “modeste dimensioni” e semplicemente “poggiate” e non ancorate ad edifici preesistenti. La sezione distaccata di Acireale della Pretura di Catania, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale in ordine alla realizzazione di opere abusive, riguardanti “una base aeroportuale costituita da un capannone di mq 494 circa, nonché da una pista di mq 900 circa per l'esercizio industriale dell'attività di trasporto aereo di persone e merci e di lavoro aereo con elicotteri”, ciò con riferimento al ritenuto contrasto della norma denunciata “con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, giacchè la sottrazione al regime della concessione avrebbe determinato l'irrilevanza penale di condotte che, in base alla legge statale, costituiscono reato , in contrasto col principio di riserva di legge statale in materia penale, e con principio di eguaglianza, per la disparità di trattamento tra i cittadini, che, per una medesima condotta, sarebbero sanzionati penalmente nel restante territorio nazionale e non, e senza alcuna giustificazione, nella sola Regione siciliana”.

La Corte cost., rigettando la questione, ha ritenuto che l’espressione " impianto di prefabbricati ad una sola elevazione non adibiti ad uso abitativo ", debba interpretarsi secondo il suo significato letterale e tenendo conto del contesto nel quale è collocata, dovendosi trattare di "impianto" di prefabbricati che, evidentemente ,siano del tutto realizzati prima dell'installazione sul suolo e, in quanto tali, necessariamente di modeste dimensioni, mentre non può trattarsi di edifici, sia pure ad una sola elevazione, costruiti con strutture prefabbricate, mediante l'utilizzazione di una tecnica costruttiva che non implica limiti dimensionali e consente di realizzare edifici idonei a determinare una trasformazione urbanistica del territorio ; che "l'impianto di prefabbricati" é compreso, nella disposizione denunciata, in un elenco di opere per le quali é richiesta l'autorizzazione anzichè la concessione edilizia, giacchè si tratta sempre di opere di modeste dimensioni e tali da non determinare un nuovo o maggiore carico urbanistico ..;”.

La sentenza n. 201/92, in ordine agli altri interventi edilizi, quali sono le “recinzioni” di cui al citato art. 5 della l.r. n. 37/85, ha rigettato l’ipotizzata violazione dell'art. 25, comma 2 e 3 della Corte, affermato che “l'art. 5 della legge del 1985, n. 37, nel prevedere espressamente la costruzione di recinzioni tra le opere da eseguire previa autorizzazione e senza che sia richiesta la concessione edilizia, non introduce elementi di difformità rispetto alla legge statale; integra piuttosto la formula da questa adottata, alla ricerca di una maggiore chiarezza nel contesto di previsioni che, tutte, escludono un nuovo carico urbanistico.

La sentenza n. 303/2003, richiamata nelle già citate sentenze della Corte di Cassazione, circa il fatto che l'art. 20 l. reg. debba essere interpretato alla stregua dei “principi fondamentali” della legislazione statale, nei cui confronti non può pertanto porsi (la norma regionale) in collisione; e pertanto, a ciò conseguirebbe che il regime giuridico di talune opere (tettoie, verande, ecc) non può essere diverso tra le due legislazioni, dovendo le medesime opere, essere assoggettate al medesimo istituto della “comunicazione”. Titolo abilitativo questo, che unitamente agli altri istituti (concessione edilizia, autorizzazione edilizia, D.I.A., S.C.I.A.), non può avere ambiti di applicazione diversi, avendo lo Stato mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenenti alla potestà di dettare i principi della materia “ governo del territorio ”, seppur rimanga “ libero il legislatore regionale di ampliarne o ridurne l'ambito applicativo ”; entro limiti di ragionevolezza, certamente travalicati, qualora ciò comporti refluenze nella materia penale, di competenza statale.

A quest'ultimo aspetto si riallaccia anche alla sentenza n. 487/89 che, seppur riferita all'annullamento di una norma della Regione siciliana (l'art. 3, comma 1, l.r. n.26/86) in materia di sanatoria edilizia, affronta il problema delle norme regionali, cui “ non è precluso concorrere a precisare, secundum legem, presupposti d'applicazione di norme penali statali ”, ma non possono certo “individuare situazioni” il cui ambito di applicazione “individuato in una legge statale, non può essere esteso o ristretto ad opera di legge regionale (neppure di quelle che dispongono in materia c.d. <esclusiva>)”. A tal riguardo la Corte ricorda il “principio di proporzionalità inteso non soltanto quale proporzione tra gravità del fatto e sanzione penale bensì, anche e sopratutto, quale <criterio generale> di congruenza degli strumenti normativi rispetto alle finalità da perseguire, conferma che soltanto lo Stato è in grado, avendo piene consapevolezza di tutti gli strumenti idonei a compiutamente realizzare la direttiva in esame, d'effettivamente garantire, sotto questo aspetto, la comunità.”

Lo stesso principio, come si è visto, oltre che per gli aspetti penali descritti dalla Corte, deve valere anche con riguardo al rapporto “congruo” e che deve sussistere tra titolo abilitativo edilizio (anche tacito) e rilevanza delle opere da realizzare.

Dall’esame giurisprudenziale esposto ,

con riferimento ai citati articoli 9 e 20 si ricavano il concetto di “ facile rimozione” delle strutture precarie inteso in senso effettivo, quello della “visibilità e impatto” delle medesime strutture, seppur definite dal legislatore come “opere interne” (ci si riferisce in particolare alle questione dei prospetti, della sagome, dei volumi e delle superfici di dimensioni modeste), cui è strettamente connesso quello della “trasformazione edilizia” del territorio eventualmente attuata da detti interventi, al fine di individuare il titolo abilitativo edilizio “corrispondente” in base alla vigente disciplina urbanistico-edilizia.

A lla luce in particolare della citata giurisprudenza delle Sezioni riunite del CGA e delle più recenti sentenze della Corte di Cassazione, qualsivoglia manufatto ascrivibile tra le fattispecie dell'art. 20, allorquando assuma quelle dimensioni tali da potersi annoverare tra le opere oggetto di concessione edilizia (in base alla pacifica giurisprudenza su tale tema) non potrà essere oggetto della comunicazione di cui al comma 2 dello stesso art. 20, a nulla rilevando che la relativa struttura risulti suscettibile di “ facile rimozione ” e risulti conforme alle previsioni degli atti regolamentari e normativi degli strumenti urbanistici comunali vigenti. Diversamente, la norma regionale violerebbe l'art. 25 della Costituzione, perché la sottrazione al regime della concessione edilizia di talune fattispecie (le opere che comportano trasformazione urbanistica e/o edilizia del territorio) determinerebbe la sottrazione dal regime penale, comportamenti che costituiscono reato in base alla legge statale (incidendo sul principio di riserva statale nella materia penale), sia l'art. 3 della Costituzione per disparità di trattamento tra i cittadini, perché a fronte della medesima condotta, si applicherebbero sanzioni penali nel resto d'Italia rispetto a quelli della Regione Siciliana, nell'ipotesi in cui ovviamente tali opere fossero realizzate abusivamente . Il criterio di prevalenza tra più interpretazioni possibili è quello della maggiore conformità alla Costituzione, anche con riferimento alla fattispecie del principio del buon andamento e dell'imparzialità sancito dall'art. 97, comma 1, il cui rispetto per costante giurisprudenza implica una verifica della ragionevolezza delle disposizioni normative. Sotto questo profilo pertanto, contravverrebbe con detto principio ritenere che opere di obiettiva trasformazione del territorio ( che è pacifico in giurisprudenza, si concretizza a prescindere dai materiali edilizi utilizzati), possano non ricadere nel regime concessorio e sfuggire così all'ordinaria verifica “preventiva” degli enti locali (vedasi Corte Costituzionale n. 303/2003 citata), così come sarebbe irragionevole pensare che con il semplice istituto della comunicazione (che, si evidenzia, comporta la contestualità dell'inizio dei lavori), si possano realizzare volumi edilizi in sopraelevazione di circa 150 mc (50 mq di terrazzo da “chiudere” X 3 mt di altezza) alla stregua del semplice spostamento di un tramezzo divisorio all'interno di un edificio (vedasi Cort. Cost. n.127/97) .

CONCLUSIONI con riferimento al caso di specie

Risulta pertanto accertato che l’imputato sia incorso nella violazione di cui all’art. 44 lett. B DPR 380/2001 avendo edificato il manufatto delle suddette dimensioni e quindi di non facile rimozione e naturalmente saldamente ancorato al suolo, senza premunirsi del necessario permesso di costruire. E’ accertato inoltre che l’opera sia stata edificata senza i necessari avvisi e le comunicazioni al Genio civile, e che ricorrono pertanto nella specie tutti gli elementi della fattispecie contestata sotto i capi a, b e c (cnfr. tra le altre, la già richiamata Cass. III. n.55296, del 30.12.2016, Calderaro:“Quanto alle violazioni alle disposizioni antisismiche, le norme regionali -nella specie L.R. Sicilia n. 4\2003- si applicano limitatamente alla materia dell'urbanistica e non possono quindi essere estese alla diversa disciplina edilizia antisismica e a quella per le costruzioni in conglomerato cementizio armato, attenendo tali materie alla sicurezza statica degli edifici, come tale rientrante nella competenza esclusiva dello Stato ex art. 117 , comma secondo, Cost. , sicché tali opere continuano a essere soggette ai controlli preventivi previsti dalla.legislazione.nazionale” ).

III.

Altre aspetti degli abusi rilevati,

uso strumentale dell’istituto della prescrizione dell’illecito penale.

E’ opportuno aggiungere che indipendentemente dall’aspetto squisitamente penalistico (cui tra l’altro afferisce l’istituto della prescrizione dei reati consumati) i plurimi abusi che l’intervento sull’immobile ha comportato costituiscano prima ancora che condotte di rilievo penalistico violazioni della disciplina amministrativa di regolamentazione urbanistica ed edilizia, come tali non assoggettate ad alcun termine di prescrizione, nemmeno in via giurisprudenziale, ed a cui, nota il giudice, corrispondono puntuali e permanenti obblighi di intervento preventivo e ripristinatorio delle diverse autorità amministrative preposte per legge ad assicurarne il rispetto. Tali poteri-doveri della pubbliche amministrazioni competenti non sono suscettibili di alcuna elusione e, per di più, nell’impianto ordinamentale precedono funzionalmente e logicamente l’intervento giudiziario .

Nel novembre del 2014 il legislatore, proprio a rimarcare quest’ultimo assunto, per le omissioni di cui si rendano responsabili gli organi degli uffici tecnici competenti alle procedure di remissione in pristino,facendo testualmente salve le loro responsabilità penali, ha previsto un sistema sanzionatorio amministrativo della medesime omissioni o ritardi, introducendo il comma 4-bis all’art. 31 del DPR 380\2001, secondo cui “ la mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente” .

Non può non rilevarsi che il legislatore, facendo così salve le responsabilità penali dei dirigenti e dei funzionari inadempienti delle procedure ripristinatorie dei luoghi, conferma che detto tipo di omissioni delle procedure sanzionatorie degli abusi edilizi e dei vincoli ambientali possano, secondo le normativa penale ordinaria, ove ingiustificati, configurare ipotesi di responsabilità penale (il comma 4-ter pure introdotto ad interpolazione dell’art. 31 del DPR 380\2001 prevede inoltre che i proventi delle sanzioni di cui al comma 4-bis spettano al comune e sono destinati esclusivamente alla demolizione e rimessione in pristino delle opere abusive e all'acquisizione e attrezzatura di aree destinate a verde pubblico). 6

Al stesso proposito non devono ingannare l’uso strumentale del processo penale, cui si assiste di frequente e le dilaganti pratiche processuali dilatorie, miranti alla pronuncia di prescrizione dei reati in materia urbanistica e ambientale. Troppo spesso infatti nella pratica quotidiana in modo distorto e forviante viene attribuito alla sentenza di prescrizione degli aspetti penali dell’abuso urbanistico ed ambientale un valore purgante dell’illecito tout court (laddove in realtà l’illecito amministrativo permane fin tanto che non vi sia un intervento ripristinatorio che ne elimini gli effetti), come se la prescrizione penale conferisse anzi all’abuso un crisma di raggiunta legalità ed intangibilità dell’illecito e come se valesse di conseguenza ad esentare le autorità amministrative preposte dai loro permanenti e pregnanti obblighi repressivi degli abusi e ripristinatori dell’integrità del territorio , assegnati dalla legge in funzione della tutela dei fondamentali valori costituzionali della sicurezza pubblica e privata, della salubrità e vivibilità dell’ambiente anche urbano.

La Corte Suprema ribadisce che prima ancora che sull’apparato della giustizia penale l’obbligo di vigilare, prevenire e far rimuovere le opere abusive e lesive dei vincoli compete agli uffici amministrativi preposti (cnfr. tra le tante Cass. III del 15.12.2015 n. 49331, per un interessante excursus su caratteristiche e natura dell’ordine di rimessione in pristino a carico della p.a., e in cui tra l’altro si ribadisce che : “ la demolizione del manufatto abusivo, anche se disposta dal giudice penale ai sensi dell’art. 31, comma 9, qualora non sia stata altrimenti eseguita, ha natura di sanzione amministrativa che assolve ad un’autonoma funzione ripristinatoria del bene giuridico leso, configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio, non ha finalità punitive ed ha carattere reale, producendo effetti sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall’essere stato o meno quest’ultimo l’autore.dell’abuso ).

Trattamento sanzionatorio

Tutto ciò posto, i reati accertati, in base alla disciplina di cui all’art. 81 c.p., appaiono uniti sotto quello più grave contestato al capo a dell’imputazione.

Certamente la condotta non è di lieve entità, assumendo l’abuso un notevole impatto estetico negativo ed essendo stato consumato all’evidente fine di eludere la normativa e gli oneri anche economici che il rispetto di essa avrebbe comportato.

Non sono ravvisabili situazioni, nemmeno nella condotta processuale del Palermo, che possano indurre a concedergli circostanze attenuanti generiche.

Appare equa, tenuto conto del peso conferito al reato dal complesso delle condotte dell’imputato e dei suoi precedenti, la pena dell’arresto di mesi cinque ed euro 9.000,00 di ammenda, aumentata per la continuazione, come da dispositivo (in parti uguali per ciascuna delle contravvenzioni). Segue la condanna al pagamento delle spese del giudizio. Ai sensi del comma 9 dell’art. 31 del DPR 380\2001 va pronunciato l’ordine di demolizione delle opere abusive e la remissione in pristino dei luoghi.

Sussistono le condizioni oggettive e soggettive per concedere all’imputato la sospensione condizionale della pena, che viene subordinata alla condizione che nel termine di 40 giorni provveda alla demolizione e alla rimessione in pristino sopra disposta.

Va disposta la trasmissione della sentenza all’ufficio tecnico del Comune e del genio civile di Palermo per i provvedimenti di rispettiva competenza

La non semplicità delle questioni che ha implicato il processo, uno dei molteplici impegni dei ruoli del giudice, ha comportato la fissazione del termine di 90 giorni per il deposito della motivazione.

PQM

Visti gli artt. di cui al capo d’imputazione e l’art. 533 c.p.p.;

dichiara l’imputato responsabile dei reati ascrittigli e ritenuta la continuazione sotto il capo a, lo condanna alla pena dell’arresto di mesi sei e di euro 10.000 di ammenda, oltre che al pagamento delle spese del giudizio.

Visto l’art. 31 dpr 380/2011;

Ordina la demolizione dell’opera abusiva richiamata nei capi d’accusa e la remissione in pristino dei luoghi.

Visto l’articolo 163 e seguenti c.p.;

ordina la sospensione condizionale della pena irrogata all’imputato a condizione che al termine di 40 giorni provveda alla demolizione e alla riflessione pristino sopra disposta.

Giorni 90 per la motivazione.

Dispone la trasmissione della sentenza all’ufficio tecnico del Comune e del genio civile di Palermo per i provvedimenti di rispettiva competenza

Palermo 28 marzo 2017 Il Giudice

dott.ssa Marina Petruzzella

1 rispetto alla quale pende tuttora il giudizio di legittimità costituzionale, proposto ai sensi dell'art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri contro la Regione Siciliana, relativamente agli artt. 3 comma 2 lettera f), 11 comma 4, art. 14 (relativo all’istituto di cui all’art. 36 DPR 380/2001) e art. 16.

2 una particolare disciplina riguarda gli “spettacoli viaggianti ” (in particolare i circhi equestri) ed è dettata dall'art. 9, comma 1, della legge n. 337 del 18/3/68, che prevede l'obbligo per i comuni di compilare un apposito “elenco delle aree comunali” dove allocare dette attività a carattere “temporaneo”, ma che comporta comunque, una particolare attenzione degli aspetti di natura urbanistica, che per la loro localizzazione devono essere valutati dagli uffici tecnici comunali, con riferimento ai vigenti atti di pianificazione.

3 Nella legislazione regionale, riguardo alle “opere precarie”, oltre alla citate norme in commento (l'art. 9 e l'art. 20), vi sono l'art. 22, comma 3, della l.r. n. 71/78 , l'art. 15 della l.r. n. 14/82, l'art. 1, comma 1 e 4 della l.r. n. 15/05. La norma di cui alla l.r. n. 71/78 prevede l'autorizzazione alla modifica di destinazione “ temporanea” per “ l'esercizio stagionale primaverile ed estivo dell'attività di ristorazione ” per edifici realizzati in verde agricolo ad una certa data. La disposizione di cui alla citata l.r. n. 14/82 “svincola” dalla disciplina della medesima legge per i parchi di campeggio (l'unica fattispecie indicata per legge, che attiene ai “ complessi insediativi chiusi ad uso collettivo” ex art. 15 della l.r.. n. 71/78), “ i campeggi mobili occasionalmente organizzati per brevi periodi da associazioni che abbiano per fine istituzionale anche la pratica dello sport e del turismo nei casi di manifestazioni occasionali ”; ma per essi è “ in ogni caso necessario chiedere l'autorizzazione al comune interessato ” ai sensi dell'art. 5 e 10 della l.r. n. 37/85, al fine di verificarne, o la eventuale conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici comunali, ovvero la “compatibilità” con “ i caratteri della zona territoriale” omogenea dove autorizzarne l'allocazione. La disposizione normativa di cui alla menzionata l.r. n. 15/2005 prevede invece, la realizzazione delle opere relative agli stabilimenti balneari, agli impianti sportivi e ricreativi, ai ristoranti, ecc., ricadenti sul demanio marittimo, e aventi durata limitata al periodo delle concessioni demaniali, ma comunque “ soggette ai provvedimenti edilizi abilitativi dei comuni competenti per territorio ”. In tutti i casi disciplinati dalle norme regionali sopra richiamate necessita comunque accertare la conformità o comunque l'ammissibilità delle opere da realizzare con le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali generali ed attuativi (tra questi ultimi potrebbero annoverarsi, in quanto piani di “secondo livello”, anche i piani di utilizzazione del demanio marittimo previsti dalla citata legge n.15/2005, dovendosi sostanzialmente individuare e disciplinare in dettaglio, sia le opere sopra descritte,sia la quota parte -non inferiore al 50%- del litorale da destinare a fruizione pubblica) , in quanto opere destinate comunque a perdurare nel tempo, anche se con carattere di stagionalità per talune di esse (si ricorda, che anche il comma 2 dell'art. 20 prevede “ il rispetto delle norme urbanistiche”). Ciò, diversamente dai casi della normativa statale (ex art. 6, comma 2, lett. b, del T.U.E.) riferiti alle opere aventi certamente, carattere di eccezionalità, perché legate ad esigenze “contingenti” e destinate ad essere “rimosse al cessare della necessità” (vedasi l'art. 6, comma 9, lett b, del T.U.E.) per cui, non rileva la verifica di compatibilità con gli atti di pianificazione urbanistica e con determinati vincoli apposti sul territorio. Tra queste ultime opere, non rientrano comunque, quelle aventi carattere di “stagionalità”, che la giurisprudenza – sia statale che regionale - annovera, di norma, tra gli interventi di trasformazione urbanistica soggetti al rilascio della concessione edilizia, in ragione dell'utilizzo ripetibile a frequenza stabilita, che solo in questi ultimi anni ha trovato conferma da norme di diritto positivo, sia statali (il citato art. 3, comma 1, lett. e, alinea e.5 del T.U.E.), che regionali (l'art. 1 della l.r. 15/2005); tranne che tali opere assumano carattere di accessorietà o pertinenzialità rispetto ad impianti esistenti, per cui può essere sufficiente il rilascio dell' autorizzazione edilizia ex art. 5 della l.r. n.37/85. (vedasi, punto 3 - “ Autorizzazione prefabbricati ex art. 5 della l.r. 15/5/86, n. 26” della citata Circolare n. 2/92 – DRU, di prot. n. 43249 del 20/7/92).

Art. 18, comma 4 e 7, della l.r. n. 4/2003 e art. 2,comma 6, della l.r. 23/3/2010, n. 6 (c.d. “piano casa”): la prima norma attiene al “ recupero abitativo dei sottotetti, delle pertinenze, di locali accessori e dei semicantinati ... senza alcuna modificazione delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde ”; la seconda norma attiene al “ recupero ad uso abitativo ... di volumi accessori e/o pertinenziali” nell'ipotesi di ampliamento consentito in “sopraelevazione ”. Ciò appare utile richiamare, in ragione del fatto che anche l'ultimo comma dell'art. 20, prevede il “recupero abitativo” (senza che ciò “comporti la modifica del prospetto dell'edificio”) da realizzarsi “mediante il frazionamento di unità immobiliari” dell'edificio, e ambedue le norme sopra citate costituiscono deroga alle previsioni e prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali (e dei regolamenti edilizi). La prima, estremamente rigorosa, tanto da non consentire la benché minima alterazione della sagoma degli edifici interessati (vedasi anche il comma 7 dell'art. 18), tanto che gli “ interventi edilizi finalizzati al recupero dei sottotetti devono avvenire senza alcuna modificazione delle altezze di colmo e di gronda e delle linee di pendenza delle falde ”, la seconda, finalizzata e giustificata (vedasi l'art. 1) “ in attuazione dell'intesa tra Stato, Regione ed enti locali, per promuovere misure straordinarie e urgenti finalizzate a sostenere la messa in sicurezza e/o la riduzione del rischio sismico e idrogeologico nonché la qualificazione del patrimonio edilizio esistente ”.

4 I ricorrenti deducevano che l'art. 20 della L.R. n. 4/2003, interpretato alla luce della circolare n. 2 del 2004 del comune di Palermo, avrebbe stabilito che la realizzazione delle tettoie ricadenti sulle terrazze scoperte dovesse essere precedute da una semplice dichiarazione di inizio di attività, statuendo che "in deroga ad ogni altra disposizione di legge, non sono soggette a concessioni e/o autorizzazioni né sono considerate aumento di superficie utile o di volume né modifica della sagoma della costruzione la chiusura di terrazze". Tuttavia, a seguito dell'adozione della circolare n. 1 del 2010 del comune di Palermo, la realizzazione delle predette opere sarebbe stata condizionata al preventivo rilascio di una concessione edilizia onerosa, ivi compresa "la realizzazione di una qualsivoglia copertura su terrazzo scoperto", la quale avrebbe dovuto essere assimilata agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'art. 20 della citata L.R. n. 4/2003. Detta circolare, tuttavia, sarebbe stata a sua volta revocata dall'autorità comunale con una nuova circolare, datata 31/10/2013, che avrebbe ripristinato la disciplina interpretativa dettata, con riguardo all'art. 20 L.R. n. 4/2003, dalla citata circolare 2n. /2004, sicché le opere analoghe a quelle per cui è processo, aventi carattere di precarietà (in quanto smontabili e non determinanti un aumento di superficie utile o di volume) avrebbero dovuto considerarsi non più soggette a concessione e/o autorizzazioni, ma a semplice dichiarazione di inizio dell'attività.

5 Sulla base di tali premesse ha ritenuto che, nella specie, la realizzazione dell'opera dovesse essere preceduta dal rilascio del permesso di costruire, secondo la disciplina dettata dagli artt. 3, lett. e), 10 e 31 del D.P.R. n.380 del 2001.

6

Occorre al riguardo ricordare i seguenti principi,

A.

- Il principio dell'obbligo del Comune di compiere e portare a termine la procedura sanzionatorie , ivi compresa quella di demolizione, senza alcuna pretestuosa sospensione , che non potrebbe essere determinata nemmeno dalla pendenza di una istanza o di un ricorso (concetto con immediatezza espresso ad esempio nella sentenza del CdS sez. giurisd. del 9.4.2013 ove è sottolineato il dovere di concludere il procedimento di demolizione e il divieto di utilizzare come pratica elusiva la giustificazione della pendenza di un'impugnativa : " al dovere di concludere il procedimento previsto dagli art.2, comma 1, L n.241 j 1990, si accompagna l'art. 21-quater della legge medesima, il quale dispone che i provvedimenti amministrativi efficaci sono eseguiti immediatamente sicché l'applicazione congiunta delle due disposizioni configura, in esplicazione del principio di esecutorietà dei provvedimenti amministrativi — ossia, della loro idoneità ad essere eseguiti, direttamente e coattivamente dall’amministrazione senza necessità di precostituire un titolo esecutivo giudicale - un potere-dovere dell’amministrazione di portare ad effettiva attuazione i propri provvedimenti emessi al termine del procedimento . Ovviamente, il sopra richiamato art. 21 quater va interpretato in connessione con le disposizioni del testo unico n. 38O del 2001 sull’obbligo di eseguire l'ordinanza di demolitone entro il termine di novanta giorni successivi alla sua notifica, decorso il quale l'amministrazione ha lo specifico dovere di emanare gli atti conseguenti e di porre in essere a spese dell'inadempiente - l'attività materiale di adeguamento dello stato di fatto a quello di diritto. ..Nel caso di specie, l'inerzia serbata dal Comune di Casamassima nell'esecuzione e dell'ingiunzione di demolizione n. 105 del 21 ottobre 2011 non è certamente scriminata dalla semplice impugnazione. con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, del provvedimento ripristinatorio (o del precedente diniego dell'istanza di sanatoria), attesa la persistente esecutorietà dell'impugnato provvedimento, in assenza di un provvedimento cautelare di sospensiva. Ne'possono ritenersi sufficienti agli asseriti atti prodromici posti in essere dal Comune -in particolare, la richiesta, in data 7 febbraio 2012, da parte del responsabile del servilo tecnico, della disponibilità economica per effettuare l'impegno di spesa, nonché la richiesta alla Regione Puglia di poter accedere al fondo di rotazione starnutato per la demolitone di opere abusive), trattandosi di atti ormai risalenti nel tempo e non avendo l'Amministrazione appellata provato l'effettiva indisponibilità dei fondi, peraltro di ridotta entità ..e comunque ripetibili dai responsabili dell'abuso con gli accessori di legge (v. art. 31. comma 5. d.P.R. n. 380/2001). occorrenti all'esecuzione dell'ingiuntone di demolitone ");

B.

-il principio della permanenza dell'obbligo dì intervento ripristinatorio della p.a. e la sua non sottoposizione a termini di decadenza, e di correlativa non sottoposizione a termini di prescrizione della violazione urbanistica .

E' noto che un obbligo permanente di vigilanza sull'attività urbanistico-edìlizia nel territorio comunale compete al dirigente ovvero al responsabile del competente ufficio comunale (art. 27, comma 1 DPR 380\2001), il quale quando accerta l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Trattandosi di un potere che non viene mai meno e che va esercitato indipendentemente dalla data dell'illecito amministrativo, fin tanto questo permane ; secondo l'orientamento prevalente del Consiglio dì Stato il potere repressivo in materia urbanistico-edilizia, esercitabile dalla amministrazione comunale, non è sottoposto a termini di decadenza o prescrizione anche se, in alcune pronunce, si riconosce al decorso del tempo la funzione di imporre l'obbligo di motivazione in ordine alla prevalenza del pubblico interesse alla repressione ( Cons. di Stato 2,11.2011 5838 : " l'esercizio dei poteri repressivi del Comune in ordine agli abusi edilizi non è soggetto ad alcun termine di decadenza o di prescrizione ". Ne consegue che i provvedimenti del Comune, come ad esempio quello di demolizione del manufatto abusivo e di ripristino dello stato dei luoghi, possono essere emanati in qualsiasi tempo perché sono relativi ad illeciti di carattere permanente ; Possono ricordarsi Cons. St., Sez. K 24 marzo 1998, n. 345; Sez. VI 19 ottobre 1995, n. 1162, e 2 maggio 2005, n. 2045, Cons. St. , V, n. 6984/09), questo principio è stato applicato anche dal Consiglio di Stato, Sez. K nella sentenza del 2 novembre 2011 n. 5838; Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenza n. 7047 : " Per quanto concerne il momento in cui può dirsi cessata la permanenza per gli illeciti amministrativi in materia urbanistica edilizia e paesistica, è stato precisato che, mentre per il diritto penale rileva la condotta commissiva -sicché la prescrizione del reato inizia a decorrere dalla ultimazione dell'abuso -, per il diritto amministrativo si è in presenza di un illecito di carattere permanente, caratterizzato dall'omissione dell'obbligo, perdurante nel tempo, di ripristinare secundum ius lo stato dei luoghi. con l’ulteriore conclusione che se l'Autorità emana un provvedimento repressivo (di demolizione, ovvero di irrogazione di una sanzione pecuniaria), non emana un atto «a distanza di tempo» dall'abuso, ma reprime una situazione antigiuridica contestualmente contra ius ancora sussistente .cnfr. C.d.S, Sez. VI, 12 maggio 2003, n. 2653; 30 ottobre 2000, n. 5851; Ad Generale 11 aprile 2002, n. 4/Gab. e n. di Sezione 2340/2001);

C.

- Il divieto di operare sanatorie di fatto, contra legem di opere abusive;

Tale principio è stato ripetutamente ribadito in Cassazione e pure dal giudice amministrativo (Cass. III n. 47402 del 21.10.2014es. Cons. St. Sez. IV n. 6784, 2 novembre 2009) fin anche con riferimento alla possibilità della c.d. sanatoria giurisprudenziale, in quanto pure quest'ultima introdurrebbe un atipico atto con effetti prowedimentali, al di fuori di qualsiasi previsione normativa e non potendosi ritenere ammessi nell'ordinamento, caratterizzato dal principio di legalità dell'azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dall'Amministrazione -così Cons. St. Sez. V n.3220, 11 giugno 2013--ll Consiglio di Stato ha ulteriormente confermato la propria posizione in tema di sanatoria giurisprudenziale osservando come il divieto legale di rilasciare un permesso in sanatoria anche quando dopo la commissione dell'abuso vi sia una modifica favorevole dello strumento urbanistico sia giustificato della necessità di « evitare che il potere di pianificazione possa essere strumentalizzato al fine di rendere lecito ex post e non punibile ciò che risulta illecito -e punibile»- oltre che dall'esigenza di «disporre una regola senz'altro dissuasiva dell'intenzione di commettere un abuso, perché in tal modo chi costruisce sine titulo sa che deve comunque disporre la demolizione dell'abuso, pur se sopraggiunge una modifica favorevole dello strumento urbanistico » -Cons. Stato Sez. V 17 marzo 2014, n. 1324. Conf. Sez. V 27 maggio 2014, n. 2755 . L'attuale, consolidato orientamento del giudice amministrativo ha trovato peraltro conferma in una recente decisione della Corte Costituzionale -sent.l01\20l3- la quale, nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, commi 1,2 e 3, 6 e 7 della legge della Regione Toscana 31 gennaio 2012, n. 4 -Modifiche alla legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1 «Norme per il governo del territorio » e della legge regionale 16 ottobre 2009, n. 58 «Norme in materia di prevenzione e riduzione del rischio sismico»-, ha affermato che il principio della «doppia conformità» risulta finalizzato a «garantire l'assoluto rispetto della 'disciplina urbanìstica ed edilizia' durante tutto Varco temporale compreso tra la realizzazione dell'opera e la presentazione dell'istanza volta ad ottenere l'accertamento di conformità» e, richiamando la giurisprudenza amministrativa, ha pure osservato che la sanatoria, che si distingue dal condono vero e proprio, «è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi formali', ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo, rendendo così palese la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, 'anche di natura preventiva e deterrente', finalizzata a frenare l'abusivismo edilizio, in modo da escludere letture 'sostanzialiste' della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilìzia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell' istanza per l'accertamento di conformità» ( CASS. III n. 47402 del 21.10.2014) .