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Corte Costituzionale sentenza n. 220 del 9 luglio 2004

giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 98, comma 2, della legge della Regione Sardegna 29 luglio 1998, n. 23 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna), promosso con ordinanza del 7 luglio 2003 dal TAR per la Sardegna sul ricorso proposto da Colzi Roberto contro Regione Sardegna ed altro, iscritta al n. 919 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2003.

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SENTENZA N.220

ANNO 2004



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente

- Valerio ONIDA Giudice

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK "

- Francesco AMIRANTE "

- Ugo DE SIERVO "

- Romano VACCARELLA "

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 98, comma 2, della legge della Regione Sardegna 29 luglio 1998, n. 23 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna), promosso con ordinanza del 7 luglio 2003 dal TAR per la Sardegna sul ricorso proposto da Colzi Roberto contro Regione Sardegna ed altro, iscritta al n. 919 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2003.

Visto l’atto di costituzione di Colzi Roberto;

udito nell’udienza pubblica del 25 maggio 2004 il Giudice relatore Fernanda Contri;

uditi gli avvocati Pier Francesco Lotito e Raffaele Bifulco per Colzi Roberto.
Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna solleva, su eccezione della parte ricorrente nel giudizio a quo, questione di legittimità costituzionale dell’art. 98, comma 2, della legge della Regione Sardegna 29 luglio 1998, n. 23 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna), nella parte in cui esclude i cacciatori non residenti nel territorio della Regione dalla possibilità di rinnovare l’autorizzazione venatoria.

La questione è sollevata nel corso di un giudizio per l’annullamento di un provvedimento della Regione Sardegna – Assessorato della difesa dell’ambiente (n. 13847 del 13 maggio 2002) recante diniego dell’autorizzazione all’esercizio della caccia in Sardegna, con il quale si negava al ricorrente nel giudizio a quo, non residente nella Regione Sardegna, il rinnovo dell’autorizzazione regionale per l’esercizio della caccia in detta Regione, in quanto, per l’effetto della norma impugnata, “il rilascio di nuove autorizzazioni o il rinnovo di quelle scadute, a favore dei cacciatori non residenti in Sardegna, è sospeso fino all’attivazione degli ambiti territoriali di caccia previsti dal piano faunistico venatorio regionale, attualmente in fase di preliminare elaborazione”.

Il TAR sottolinea che la questione è rilevante, nell’ambito della controversia sottoposta al suo giudizio, in quanto il provvedimento impugnato costituisce attuazione vincolata della norma impugnata.

Secondo il giudice a quo la previsione contenuta nella norma censurata è dettata da esigenze di programmazione, di competenza della Regione, che possono giustificare limitazioni nel rilascio di nuove autorizzazioni fino all’attivazione degli ambiti territoriali di caccia (ATC) previsti dal piano faunistico regionale, con determinazione dell’indice di densità venatoria territoriale, che concluderà il procedimento di pianificazione.

Rileva il TAR che l’interesse dei cittadini all’esercizio dell’attività venatoria non può esplicarsi liberamente, in quanto necessariamente confligge con l’interesse pubblico alla conservazione della fauna. Di conseguenza, il suo esercizio deve essere assoggettato al potere conformativo dell’amministrazione la quale, nei limiti dettati dalla legge, è chiamata ad assicurare modalità d’esercizio dell’attività in questione compatibili con gli interessi pubblici coinvolti.

Il coordinamento fra l’esercizio della caccia e la conservazione della fauna può essere attuato solo sulla base della conoscenza della cosiddetta pressione venatoria, e quindi del numero dei cacciatori che impegnano il territorio. E il principio del collegamento del cacciatore con il territorio, recepito dalla legge statale 11 febbraio 1992, n. 157 (in particolare, art. 14, comma 5), costituirebbe principio fondamentale vincolante la potestà legislativa anche delle Regioni ad autonomia differenziata, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 4 del 2000.

Ad avviso del giudice a quo, dunque, il legislatore regionale non è necessariamente vincolato ad assicurare integrale parità di trattamento fra i cacciatori residenti in Sardegna e quelli che provengono da altre parti del territorio nazionale.

Tuttavia, le eventuali differenziazioni di trattamento dovrebbero essere giustificate sulla base di considerazioni oggettive, che nella specie non ricorrerebbero, in quanto la Regione conosce il numero delle autorizzazioni rilasciate in precedenza ai non residenti, e quindi di quelle potenzialmente rinnovabili. Dovrebbe essere pertanto escluso che il rinnovo delle autorizzazioni a suo tempo rilasciate ai non residenti introduca un elemento imprevedibile, che possa scardinare la logica sulla quale si fonda la programmazione del prelievo venatorio.

Non sussisterebbero, pertanto, elementi che consentano di differenziare il rinnovo delle autorizzazioni rilasciate ai residenti da quelle rilasciate ai non residenti, in vista del completamento della procedura di programmazione del prelievo venatorio, disciplinata dalla legge regionale n. 23 del 1998. In conclusione, secondo il giudice a quo, la norma censurata sarebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui esclude i cacciatori non residenti nel territorio della Regione dalla possibilità di rinnovare l’autorizzazione venatoria, in difetto di dimostrate ragioni di differenziazione con i cacciatori residenti nella Regione, nonché con l’art. 120 della Costituzione (secondo e terzo comma del testo vigente all’epoca della entrata in vigore della normativa regionale di cui ora si tratta; primo comma dopo l’entrata in vigore della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il quale specifica, nell’ambito dei rapporti fra le Regioni, il principio del divieto di discriminazione, dettato, in termini generali, dall’art. 3, vietando ai legislatori regionali di adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni (Corte costituzionale, sentenza n. 195 del 1993). Ad avviso del TAR non può invece essere invocato, quale parametro di costituzionalità – diversamente da quanto richiesto dal ricorrente nel giudizio a quo – l’art. 16 della Costituzione, in quanto la norma di cui si discute non ostacola la circolazione delle persone fra le regioni, ma stabilisce una differenziazione di trattamento in base alla regione di residenza, della cui ragionevolezza può dubitarsi nei termini sopra riferiti.

2. – La parte ricorrente nel giudizio a quo ha depositato atto di intervento per chiedere l’accoglimento della questione di costituzionalità sollevata dal TAR per la Sardegna.

Nell’atto di intervento si premette che la legge regionale sarda n. 23 del 1998 ha predisposto una serie di strumenti per la programmazione e il controllo dell’attività venatoria, tra i quali il piano faunistico-venatorio regionale (art. 19) e gli ambiti territoriali di caccia programmata (art. 52), ricompresi all’interno del piano faunistico-venatorio. L’esercizio della attività venatoria sul territorio della Sardegna è subordinato alla circostanza che il cacciatore sia stato ammesso ad uno o più ATC (art. 56 della legge regionale n. 23 del 1998). L’ammissione agli ATC avviene di diritto per il cacciatore che ha residenza anagrafica nel Comune ricompreso nell’ATC (o che risulti iscritto all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero), mentre le residue licenze che risultassero disponibili, rispetto a quelle che l’ATC dovrebbe fissare in via di pianificazione, sono assegnate preferendosi nell’ordine i soggetti residenti nella Provincia dove ha sede l’ATC, nelle altre Province della Regione, in altre Regioni. Secondo il ricorrente nel giudizio a quo la suddetta scelta legislativa, implicante una meccanica applicazione del “criterio della residenza”, sarebbe irragionevole, non apparendo ispirata a nessun criterio di equità e ponderazione dei diritti e interessi in gioco. La disposizione contenuta nell’art. 56 della legge regionale n. 23 del 1998 sarebbe pertanto incostituzionale per violazione dei principi di eguaglianza e ragionevolezza.

Ulteriore discriminazione soggettiva sarebbe determinata dalla previsione contenuta nell’art. 98, comma 2, della legge regionale, che consente il rinnovo della autorizzazione per l’esercizio della caccia al soggetto residente e non al soggetto “non residente” per il quale è prevista la “sospensione del rinnovo fino alla attivazione degli ATC”. La norma sarebbe irragionevole in quanto i suddetti rinnovi, dei quali l’Amministrazione regionale conosce preventivamente il numero possibile, non possono interferire in alcun modo con l’attività di programmazione, come del resto accade nel caso di rinnovi (consentiti, anzi dovuti) delle autorizzazioni venatorie in favore di soggetti residenti. Peraltro la sospensione dei rinnovi per i soggetti non residenti fino alla attivazione degli ATC sarebbe di fatto sine die, tant’è vero che, nonostante gli artt. 20 e 52 della legge regionale contestata prevedano una precisa scansione temporale del procedimento diretto alla approvazione del piano, ad oggi la Regione Sardegna non risulta aver approvato alcun piano faunistico-venatorio. Difettando di ogni sanzione l’eventuale condotta omissiva delle amministrazioni competenti, la sospensione delle autorizzazioni venatorie, segnatamente in danno dei soggetti “non residenti” che ne chiedano il rinnovo, si sarebbe trasformata in un definitivo quanto arbitrario diniego permanente, con una grave lesione dei diritti individuali dei cacciatori “non residenti”. La norma censurata sarebbe altresì in contrasto con l’art. 120, primo comma, della Costituzione, in quanto la prevista sospensione dei rinnovi, nei termini sopra precisati, accompagnata dall’inerzia, ritenuta non sanzionabile, delle amministrazioni competenti in sede di attivazione dei richiamati ATC, si tradurrebbe in un provvedimento che, di fatto, ostacola la libera circolazione delle persone tra le Regioni, senza alcun ragionevole motivo e senza alcuna valutazione della reale densità di autorizzazioni venatorie per territorio.

Considerato in diritto

1. – Viene all’esame della Corte la questione di legittimità costituzionale dell’art. 98, comma 2, della legge della Regione Sardegna 29 luglio 1998, n. 23 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna), nella parte in cui esclude i cacciatori non residenti nel territorio della Regione dalla possibilità di rinnovare l’autorizzazione venatoria. Tale disposizione, ad avviso del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, contrasterebbe con gli artt. 3 e 120, primo comma, della Costituzione, in quanto determinerebbe una ingiustificata differenziazione di trattamento per i cacciatori non residenti in Sardegna, ostacolando, di fatto, la libera circolazione delle persone tra le Regioni.

La questione di legittimità costituzionale sollevata dal TAR per la Sardegna trae origine dal diniego opposto dall’Assessorato della difesa dell’ambiente di detta Regione alla richiesta di rinnovo della autorizzazione regionale per l’esercizio della caccia in Sardegna presentata da un cacciatore residente in Toscana, diniego motivato con specifico riferimento alla norma censurata, in base alla quale “il rilascio di nuove autorizzazioni per l’esercizio della caccia, o il rinnovo di quelle scadute a favore dei cacciatori non residenti in Sardegna, è sospeso fino all’attivazione degli ambiti territoriali di caccia previsti dal piano faunistico-venatorio regionale, con determinazione dell’indice di densità venatoria territoriale”.

2. – La questione non è fondata.

2.1 – Va anzitutto precisato che la questione è circoscritta dal giudice a quo all’art. 98, comma 2, della legge n. 23 del 1998 della Regione Sardegna, non venendo pertanto in discussione (nonostante il richiamo operato nell’atto di intervento dal ricorrente nel giudizio a quo) l’art. 56 della medesima legge regionale, che disciplina l’ammissione agli ambiti territoriali di caccia (A.T.C.) sulla base del criterio della residenza e che presuppone il completamento dell’attività di programmazione venatoria.

Per comprendere la portata della norma censurata occorre sottolineare che essa è inserita nel Titolo VI della legge regionale, recante disposizioni finali, transitorie e finanziarie, ed è rivolta a disciplinare esclusivamente la fase transitoria che precede l’attivazione degli ambiti territoriali di caccia previsti dal piano faunistico regionale.

Al comma 1 dell’art. 98 della legge regionale n. 23 del 1998 si precisa che “le autorizzazioni per l’esercizio della caccia in Sardegna, di cui alla legge regionale n. 32 del 1978, conservano la loro validità fino al naturale termine di scadenza” ovvero, ai sensi dell’art. 22, quinto comma, della legge regionale 28 aprile 1978, n. 32 (Sulla protezione della fauna e sull’esercizio della caccia in Sardegna), fino a sei anni dal rilascio (in quanto “l’autorizzazione regionale per l’esercizio della caccia ha la stessa durata della licenza di porto di fucile anche per uso di caccia e scade con essa”; il che vuol dire, appunto, che ha durata di sei anni, ai sensi dell’art. 22, comma 9, della legge statale 11 febbraio 1992, n. 157, recante “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”). Il comma 2 dell’art. 98 della legge regionale n. 23 del 1998, oggetto di censura, prevede la sospensione del rinnovo delle autorizzazioni già rilasciate ai cacciatori non residenti in Sardegna, ai sensi della legge regionale n. 32 del 1978, che siano nel frattempo scadute.

In sostanza, nella fase transitoria che precede l’attivazione degli ATC, l’esercizio della caccia è consentito, anzitutto, ai soggetti, residenti o non residenti, che abbiano ottenuto l’autorizzazione sulla base della legge regionale n. 32 del 1978, fino al naturale termine di scadenza ivi previsto. Ferma restando la sospensione delle nuove autorizzazioni, la possibilità di ottenere il rinnovo di quelle scadute è invece limitata ai soli cacciatori residenti.

2.2. – Il quadro normativo sopra descritto permette di affermare che, nella fase transitoria, la regola è costituita dalla sospensione delle autorizzazioni per l’esercizio della caccia – le nuove autorizzazioni sono sospese per tutti – mentre l’eccezione è quella della possibilità del rinnovo delle autorizzazioni scadute in favore dei residenti. E la menzionata eccezione trova giustificazione nel principio della preferenza del collegamento del cacciatore con il territorio, affermato dalla legislazione statale (art. 14, comma 5, della legge n. 157 del 1992) e applicato anche nella legge regionale censurata con riferimento al regime “ordinario”, che si realizzerà a seguito della attivazione degli ATC (art. 56, che, ai fini dell’accesso agli ATC, privilegia i cacciatori residenti, stabilendo anche, tra essi, il seguente ordine di preferenza: prima i soggetti residenti nel Comune ricompreso nell’ATC, poi i cacciatori residenti nella Provincia dove ha sede l’ATC, quindi i soggetti residenti nelle altre Province della Regione).

Individuata nel principio del collegamento del cacciatore con il territorio la ratio della eccezione alla regola della sospensione delle autorizzazioni per l’esercizio della caccia, la sospensione del rinnovo delle autorizzazioni per i non residenti può considerarsi, anche in ragione della transitorietà (fino alla attivazione degli ATC), come il frutto di una scelta discrezionale del legislatore regionale che non trasmoda in manifesta irrazionalità.

2.3. – In senso diverso non può valere il rilievo – addotto nell’atto di intervento dal ricorrente nel giudizio a quo – secondo il quale, non avendo l’Amministrazione competente approvato il piano faunistico-venatorio, la sospensione dei rinnovi delle autorizzazioni venatorie fino alla attivazione degli ATC si sarebbe trasformata in un definitivo quanto arbitrario diniego permanente di esercizio della caccia per i soggetti non residenti. La situazione discriminatoria denunciata non si collega alla previsione contenuta nell’art. 98, comma 2, della legge regionale ma ad una condotta omissiva della amministrazione competente nei confronti della quale non mancano nell’ordinamento rimedi di carattere giurisdizionale. Come più volte affermato da questa Corte, rispetto agli atti amministrativi generali di pianificazione e di programmazione sono infatti applicabili, con specifico riferimento al termine di conclusione del procedimento amministrativo, le previsioni contenute nell’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), potendo quindi i soggetti interessati alla conclusione del procedimento utilizzare, per la tutela della propria situazione soggettiva, tutti i rimedi che l’ordinamento appresta in via generale in simili ipotesi (sentenze n. 262 del 1997, n. 355 del 2002 e n. 176 del 2004).

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 98, comma 2, della legge della Regione Sardegna 29 luglio 1998, n. 23 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia in Sardegna), sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 120, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2004.



Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore



Depositata in Cancelleria il 9 luglio 2004.