Cass. Sez. III n. 47805 del 2 dicembre 2013 (Ud 24 ott. 2013)
Pres. Fiale Est. Gazzara Ric. Bonetto
Danno ambientale. Associazioni e legittimazione a costituirsi parte civile

Le associazioni ambientaliste, sono legittimate a costituirsi parte civile quando perseguano un interesse non caratterizzato da un mero collegamento con quello pubblico, bensì concretizzatosi in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo, in quanto in tal caso l’interesse all’ambiente cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e personificato

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Venezia, con sentenza del 22/6/2012, ha applicato a carico di B.P., imputato del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, lett. a) e b) e art. 110 c.p., perchè in difetto di titolo autorizzativo, in concorso con soggetti non identificati, espletava attività di gestione di rifiuti pericolosi, la pena di mesi 4 e giorni 20 di arresto ed Euro 2.000,00 di ammenda, con concessione del beneficio ex art. 163 c.p., subordinata alla bonifica dell'area; ha condannato il prevenuto a rifondere le spese processuali sostenute dalle parti civili, Comune di Fossalta di Piave, WWF Italia e Legambiente Volontariato Veneto, nella misura ritenuta equa e di giustizia.

Propone ricorso per cassazione il B., personalmente, con i seguenti motivi:

- violazione del D.Lgs. n. 156 del 2006, art. 318, carenza di legittimazione ad agire innanzi al giudice ordinario delle Regioni, delle Provincie e dei Comuni, in quanto l'unico destinatario di detta legittimazione è da ritenere, ex lege, il Ministro dell'Ambiente, con la conseguenza che il giudice avrebbe dovuto escludere l'ingresso nel processo sia del Comune di Fosalta di Piave, sia delle associazioni WWF e Legambiente;

- vizio di motivazione in ordine alla pena inflitta, in punto di mancata giustificazione sulla applicazione del trattamento sanzionatorio.


CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

In ordine al primo motivo di annullamento va, preliminarmente, osservato che il D.Lgs. n. 252 del 2006, art. 318, ha espressamente abrogato la L. n. 349 del 1986, art. 18 e nell'art. 300, commi 1 e 2, ha definito la nozione di danno ambientale, con riferimento a quella posta, in ambito comunitario, dalla Direttiva 2004/35/CE. L'art. 311 del citato decreto 152 riserva attualmente allo Stato e in particolare al Ministero dell'Ambiente e della Tutela del territorio il potere di agire, anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale, sia in forma specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale.

Ai sensi del successivo art. 313, comma 7, comunque, resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal facto produttivo di danno ambientale di agire in giudizio per il risarcimento di detto danno nei confronti del responsabile, a tutela dei diritti e degli interessi lesi.

Si è avuto un ridimensionamento del ruolo degli enti locali, ai quali è stata espressamente attribuita la sola facoltà di sollecitare l'intervento statale (art. 309) e di ricorrere in caso di inerzie od omissioni (art. 310), ma non la legittimazione ad agire ed intervenire in proprio.

Rientrano, quindi, nella esclusiva pertinenza statale i profili strettamente riparatori dell'ambiente in sè, mentre gli enti territoriali possono agire per il risarcimento dei danni diversi, derivanti dalle lesioni di interessi locali, specifici e differenziati di cui sono portatori, ad essi eventualmente arrecati (Cass. Sent. 755/2009).

La normativa ambientale, ut supra richiamata, si affianca alla disciplina generale del danno posta dal codice civile, sicchè le associazioni ambientaliste, pure dopo l'abrogazione delle previsioni di legge prima richiamate, devono ritenersi legittimate alla costituzione di parte civ le nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all'ambiente, per il risarcimento non del danno ambientale come interesse pubblico, bensì dei danni direttamente da esse direttamente subiti: danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico e di natura pubblica, della lesione dell'ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale (Cass. 3/10/2006, n. 36514; Cass. 11/2/2010, n. 14428).

Le associazioni ambientaliste, sono, quindi, legittimate a costituirsi parte civile quando perseguano un interesse non caratterizzato da un mero collegamento con quello pubblico, bensì concretizzatosi in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo, in quanto in tal caso l'interesse all'ambiente cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzata e personificato (Cass. 25/1/2011, Pellom; Cass. 21/6/2011, Memmo).

Fatta questa dovuta premessa, devesi rilevare che, nel caso di specie, la doglianza, formulata nel primo motivo di annullamento, non può trovare ingresso, in quanto dagli atti processuali emerge che al momento de la costituzione delle parti civili, nessuna contestazione è stata mossa da la difesa del prevenuto; dopo due rinvii, per permettere al B. di formulare richiesta di applicazione di riti alternativi, la difesa di costui si è opposta alla costituzione di parte civile; ma alla decisione del giudice di ammettere la detta costituzione, nessuna contestazione è più stata ribadita dal difensore del prevenuto, il quale si è limitato a chiedere che il proprio assistito fosse giudicato ex art. 444 c.p.p. e segg., proponendo le condizioni del negozio pattizio, di poi, ratificato dal Tribunale.

Non può, quindi, l'imputato, ora, dolersi che in favore del WWF Italia e di Legambiente Volontariato Veneto sia stata disposta la rifusione delle spese processuali, in quanto avverso la decisione con cui il giudice di merito ha ammesso la costituzione delle stesse, nessuna opposizione è stata ritualmente sollevata.

Del pari manifestamente infondata è da ritenere la censura mossa con il secondo motivo di annullamento, attinente al trattamento sanzionatorie, in quanto in tema di patteggiamento, una volta che l'accordo delle parti sia stato ratificato dal giudice con la sentenza, non è consentito muovere censura alla entità della pena applicata, a meno che la stessa non risulti illegale; violazione nella specie non ravvisabile.

Tenuto conto della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il B. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della Causa di inammissibilità, lo stesso, a norma dell'art. 616 c.p.p., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.500,00.


P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2013.
Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2013