TAR Friuli Venezia Giulia, Sez. I, n. 184, del 5 maggio 2014
Rifiuti.Obbligo di bonifica e privilegio speciale immobiliare sul fondo
Il D.Lgs. n. 152 del 2006 stabilisce che l'obbligo di bonifica è in capo al responsabile dell'inquinamento che le autorità amministrative hanno l'onere di individuare e ricercare (artt. 192, 242 e 244); che il proprietario dell'area non responsabile dell'inquinamento o altri soggetti interessati hanno solo la facoltà di effettuare interventi di bonifica (art.245); che nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica sono realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250) che, a fronte delle spese sostenute, si vedono riconosciuto un privilegio speciale immobiliare sul fondo (253). Ne consegue che, laddove l'Amministrazione non provi che l'inquinamento riscontrabile nel sito sia imputabile alla società, a quest’ultima non può essere imposto alcun obbligo di adottare misure di bonifica in un'ottica di recupero del sito. Deve, inoltre, aggiungersi che la giurisprudenza ha sottolineato la necessità del rigoroso accertamento del nesso di causalità fra il comportamento del "responsabile" ed il fenomeno dell'inquinamento, affermando che tale accertamento deve essere fondato su una adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00184/2014 REG.PROV.COLL.
N. 00065/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 65 del 2008, proposto dalla:
Italcementi Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Giuseppe Morbidelli e Piero Gerin, con domicilio eletto presso il secondo, in Trieste, via Carducci 10;
contro
Il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Trieste, piazza Dalmazia 3;
Comune di Trieste, Ministero Infrastrutture;
nei confronti di
E.Z.I.T. - Ente per la Zona Industriale di Trieste; S
S. I.O.T.-Societa' Italiana per L'Oleodotto Transalpino Spa, rappresentata e difesa dagli avv.ti Marcello Clarich, Angelo Pasino e Massimo Pasino, con domicilio eletto presso l’ultimo in Trieste, via San Nicolo' 19;
per l'annullamento
-del decreto direttoriale dd. 7.11.2007, delle determinazioni conclusive della Conferenza di Servizi dd. 26.7.2007, nonchè di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti, fra cui il verbale della suddetta Conferenza di Servizi dd. 26.7.2007, il verbale della Conferenza di Servizi istruttoria dd. 21.5.2007 e la nota del Comune di Trieste dd. 14.3.2007;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e della S.I.O.T.-Societa' Italiana per L'Oleodotto Transalpino Spa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 aprile 2014 il dott. Umberto Zuballi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente società fa presente di aver acquistato nel 1952 alcuni terreni della zona industriale di Trieste per realizzarvi un impianto di lavorazione del cemento. Dopo aver spiegato l'attività anche di bonifica svolta e aver sottolineato come l'inquinamento sia imputabile ai precedenti proprietari e possessori della zona, osserva di aver sempre fatto presente di essere disponibile a interventi anche di bonifica pur non essendo responsabile dell'inquinamento nella zona, che è divenuta zona inquinata di interesse nazionale SIN.
Con due conferenze di servizi, una istruttoria del 21 maggio 2007 e una decisoria del 26 luglio 2007 è stato stabilito tra l'altro che per quanto riguarda le acque di falda l'azienda deve scegliere se aderire al progetto unitario ovvero se procedere singolarmente, ma che la scelta non può essere condizionata dalle condizioni tecnico economiche della soluzione.
Quanto al piano degli interventi la conferenza di servizi decisoria richiama le prescrizioni della precedente conferenza istruttoria e cioè la rimozione dei rifiuti presenti nell'area tramite la realizzazione e il montaggio di una barriera e il trattamento delle acque di falda come rifiuti.
Quanto al progetto preliminare di bonifica dell'area 1 si chiede di attivare tutte le misure di bonifica indicate con alcune prescrizioni.
Quanto al progetto di bonifica dell'area 2 si danno prescrizioni precise e si chiedono chiarimenti.
La conferenza di servizi prescrive poi la rimozione del terreno contaminato in un'area ulteriore di limitata estensione. Ha infine ordinato alla ditta odierna ricorrente di presentare un progetto definitivo di bonifica delle acque di falda di tutta l'area.
Il verbale della conferenza dei servizi del 26 luglio 2007 e stato approvato in data 7 novembre del 2007 dal ministero dell’ambiente.
La ditta ricorrente contesta sia il verbale del 26 luglio sia il verbale del 21 maggio 2007 deducendo i seguenti motivi:
1. Violazione degli articoli 242, 243, 250, 252 e 253 del decreto legislativo 152 del 2006, carenza di motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta, violazione dell'articolo 23 della costituzione e dei principi in materia di responsabilità.
Risulta pacifico che la società ricorrente non è il soggetto responsabile della contaminazione dell'area di sua proprietà, situata nel sito di interesse nazionale di Trieste in quanto le contaminazioni dei terreni e della falda dipendono dai soggetti precedenti proprietari della stessa; ciò vale sia per l'area 1 sia per l'area 2.
Con l'entrata in vigore del decreto legislativo 152 del 2006 e stato chiarito che deve trovare applicazione il principio di origine comunitaria per cui “chi inquina paga” come risulta dall'articolo 239 comma primo. L'articolo 153 del medesimo decreto legislativo 152 del 2006 precisa che le spese sono a carico del responsabile dell'inquinamento e che le azioni nei confronti del proprietario incolpevole possono essere esercitate solo qualora sia dimostrata l'impossibilità di individuare il responsabile o di agire in modo fruttuoso nei suoi confronti.
Nello stesso senso va anche articolo 244 del medesimo decreto legislativo, così come articolo 245. Ne consegue che il primo compito dell'amministrazione è individuare la responsabilità che va intesa come soggettiva di tipo aquiliano.
Nel caso in esame risulta che la stessa amministrazione è consapevole che l'inquinamento non è imputabile alla ditta ricorrente.
2. Ulteriore violazione dell'articolo 254 del citato decreto legislativo 152 del 2006, illogicità manifesta, carenza d’istruttoria e sviamento di potere. La conferenza dei servizi afferma che l'adesione della ditta alla soluzione unitaria non può essere condizionata da condizioni tecnico economiche, il che naturalmente è illegittimo in quanto la ditta ricorrente non è responsabile dell'inquinamento.
3. Violazione degli articoli 240 e 242 del decreto legislativo 152 del 2006, difetto di presupposti e illogicità manifesta. Il procedimento è illegittimo in quanto contrasta con l'articolo 142 che trova applicazione anche per la bonifica dei siti di interesse nazionale. Il ministero ha inteso imporre la bonifica delle aree senza determinare i valori di CSR normalmente superiori a quelli di CSC riguardanti la soglia di contaminazione.
4. Ulteriore violazione dell'articolo 242, carenza di presupposti, illogicità manifesta e contraddittorietà. E’ illegittima la prescrizione di presentare un progetto di bonifica della falda entro 30 giorni dalla comunicazione. L'articolo citato prevede che il soggetto responsabile è tenuto a presentare un progetto quadro entro sei mesi.
5. Violazione degli articoli 242 e 252 del decreto legislativo 152 al 2006, violazione del decreto legislativo 59 del 2005, carenza di istruttoria, difetto di presupposti, illogicità manifesta e violazione del principio di proporzionalità. L'articolo 252 ha modificato i presupposti in presenza dei quali un'area deve essere qualificata sito di interesse nazionale per cui era necessario procedere con una nuova verifica delle caratteristiche dell'area classificata sito di interesse nazionale sulla base della previgente disciplina.
6. Violazione dell'articolo 243 del decreto legislativo 152 del 2006 e difetto di istruttoria. Le acque di falda non sono considerate rifiuti ma acque reflue per cui la relativa prescrizione risulta erronea.
Resiste in giudizio il Ministero che contesta l'intero ricorso.
Si è costituita in giudizio anche la SIOT dichiarando di non essere responsabile di alcun inquinamento.
Infine nella pubblica udienza del 23 aprile 2014 la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
1. Oggetto del presente ricorso è il contenuto di due conferenze di servizi, un’istruttoria del 21 maggio 2007 e una decisoria del 26 luglio 2007, con cui sono state date delle disposizioni cogenti per la ricorrente ed è stato stabilito tra l'altro che per quanto riguarda le acque di falda l'azienda deve scegliere se aderire al progetto unitario ovvero se procedere singolarmente, ma che la scelta non può essere condizionata dalle condizioni tecnico economiche della soluzione.
Quanto al piano degli interventi la conferenza di servizi decisoria richiama le prescrizioni della precedente conferenza istruttoria e cioè la rimozione dei rifiuti presenti nell'area tramite la realizzazione e il montaggio di una barriera e il trattamento delle acque di falda come rifiuti.
Quanto al progetto preliminare di bonifica dell'area 1 si chiede di attivare tutte le misure di bonifica indicate con alcune prescrizioni.
Quanto al progetto di bonifica dell'area 2 si danno prescrizioni precise e si chiedono chiarimenti.
La conferenza di servizi prescrive poi la rimozione del terreno contaminato in un'area ulteriore di limitata estensione. Ha infine ordinato alla ditta odierna ricorrente di presentare un progetto definitivo di bonifica delle acque di falda di tutta l'area.
Il verbale della conferenza dei servizi del 26 luglio 2007 è stato approvato in data 7 novembre del 2007 dal ministero dell’ambiente.
2. Ciò premesso, va ribadito il fatto, pacifico in causa, che la ditta ricorrente non risulta responsabile dell'inquinamento delle zone in cui opera.
Invero, ad avviso di questo Collegio, la soluzione della controversia implica un bilanciamento tra vari principi di livello europeo trasfusi nella normativa italiana. Il primo principio è naturalmente quello secondo cui “chi inquina paga”, vale a dire che gli oneri del disinquinamento vanno posti a carico del responsabile.
Accanto a questo principio vanno presi in considerazione altri principi, come quello di precauzione, di prevenzione dei pericoli, di intervento preventivo rispetto anche alle sole potenzialità di inquinamento, anche essi desumibili dalla normativa europea.
In altri termini, se è ben vero che al proprietario incolpevole non si possono imputare oneri derivanti dalla responsabilità altrui è altrettanto vero che in ogni caso quando l'interessato svolga un'attività potenzialmente inquinante gli si possono accollare ragionevoli oneri di precauzione allo scopo di prevenire la stessa possibilità di inquinamento occasionale.
Nell’equilibrio di tali spesso confliggenti principi si sostanzia il contenuto fondamentale e la “cifra” del presente ricorso.
3. Venendo alla questione principale, va detto che questo Collegio non ritiene di discostarsi dalla nota giurisprudenza, anche di questo TAR, che in materia fa applicazione del principio europeo “chi inquina paga” trasfuso nella normativa nazionale, anche nella considerazione che dal punto di vista fattuale l’inquinamento ambientale (derivante dall’accumularsi di materiale inquinato) risulta risalente nel tempo né si è verificato alcun evento emergenziale, improvviso e imprevedibile, che non consentisse all’amministrazione il pieno rispetto della normativa vigente.
Invero, ad avviso di questo Collegio, tanto la disciplina di cui al d.lgs. n. 22/1997 (in particolare, l'art. 17, comma 2), quanto quella introdotta dal d.lgs. n. 152/2006 (ed in particolare, gli artt. 240 e segg.), si ispirano al principio secondo cui l'obbligo di adottare le misure, sia urgenti che definitive, idonee a fronteggiare la situazione d’inquinamento, è a carico unicamente di colui che di tale situazione sia responsabile, per avervi dato causa a titolo di dolo o colpa. Al contrario, l'obbligo di bonifica o di messa in sicurezza non può essere invece addossato al proprietario incolpevole, ove manchi ogni sua responsabilità (nello stesso senso, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254). L'Amministrazione non può, perciò, imporre ai privati che non abbiano alcuna responsabilità diretta sull'origine del fenomeno contestato, ma che vengano individuati solo quali proprietari del bene, lo svolgimento delle attività di recupero e di risanamento.
4. In sostanza, si afferma l'illegittimità degli ordini di smaltimento di rifiuti indiscriminatamente rivolti al proprietario (ovvero gestore a vario titolo) di un fondo in ragione della sua sola qualità, ma in mancanza di adeguata dimostrazione da parte dell'amministrazione procedente, sulla base di un'istruttoria completa e di un'esauriente motivazione (quand'anche fondata su ragionevoli presunzioni o su condivisibili massime d'esperienza), dell'imputabilità soggettiva della condotta.
L'enunciato è conforme al principio "chi inquina, paga", cui si ispira la normativa comunitaria (cfr. art. 174, ex art. 130/R, del Trattato CE), la quale impone al soggetto che fa correre un rischio di inquinamento di sostenere i costi della prevenzione o della riparazione.
Tale impostazione, già sancita dal d.lgs. n. 22/1997, risulta confermata e specificata dagli artt. 240 e segg. del d.lgs. n. 152/2006 (cd. Codice Ambiente), dai quali si desume l'addossamento dell'obbligo di effettuare gli interventi di recupero ambientale, anche di carattere emergenziale, al responsabile dell'inquinamento, che potrebbe benissimo non coincidere con il proprietario ovvero il gestore dell'area interessata (TAR Calabria, Catanzaro, n. 954 del 2012; T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 665/2009).
5. Va precisato, in argomento, che il principio "chi inquina, paga" vale, altresì, per le misure di messa in sicurezza d'emergenza, secondo la definizione che delle misure stesse è fornita dall'art. 240, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 152 cit. (ogni intervento immediato od a breve termine, da mettere in opera nelle condizioni di emergenza di cui alla lett. t) in caso di eventi di contaminazione repentini di qualsiasi natura, atto a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito ed a rimuoverle, in attesa di eventuali ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente).
Infatti, anche l'adozione delle misure di messa in sicurezza d'emergenza è addossata dalla normativa in discorso al soggetto responsabile dell'inquinamento (cfr. art. 242 del d.lgs. n. 152 cit.).
Invero, i suddetti principi si attagliano al disposto di cui all'art. 192 del D.lgs. n. 152/2006, dal momento che siffatta disposizione legislativa non soltanto riproduce il tenore dell'abrogato art. 14 del D.lgs. n. 22/1997, con riferimento alla necessaria imputabilità a titolo di dolo o colpa, ma, in più, integra il precedente precetto, precisando che l'ordine di rimozione può essere adottato esclusivamente "in base agli accertamenti effettuati, in contraddittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo".
6. Si deve altresì sottolineare che a carico del proprietario dell'area inquinata, che non sia altresì qualificabile come responsabile dell'inquinamento, non incombe alcun obbligo di porre in essere gli interventi in parola, ma solo la facoltà di eseguirli per mantenere l'area interessata libera da pesi. Dal combinato disposto degli artt. 244, 250 e 253 del Codice ambiente si ricava, infatti, che, nell'ipotesi di mancata esecuzione degli interventi ambientali in esame da parte del responsabile dell'inquinamento, ovvero di mancata individuazione dello stesso - e sempreché non provvedano né il proprietario del sito, né altri soggetti interessati - le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla P.A. competente, che potrà rivalersi sul soggetto responsabile nei limiti del valore dell'area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10 luglio 2007, n. 5355; T.A.R. Toscana, Sez. II, 17 settembre 2009, n. 1448; T.A.R. Toscana, sez. II, 11 maggio 2010 n. 1397 e 1398).
Nel caso di specie, dalla documentazione in atti non si evince alcun accertamento istruttorio volto a determinare la sussistenza dei presupposti soggettivi per l'imposizione, a carico dell'odierna ricorrente, degli obblighi di messa in sicurezza; in particolare, né nelle conferenze di servizi che hanno preceduto l'emanazione degli atti impugnati, né nei decreti direttoriali impugnati si rinviene alcun approfondimento istruttorio volto ad accertare un comportamento dell'odierna ricorrente, che possa aver dato luogo all'inquinamento dell'area.
7. Per completezza si osserva che l'obbligo di procedere alla bonifica dell'area non potrebbe neanche essere desunto dall'applicazione della previsione dell'art. 2051 c.c. (che regolamenta la responsabilità civile del custode); a prescindere da ogni considerazione relativa all'aspetto temporale della problematica (che richiederebbe l'accertamento della qualità di custode dell'area al momento dell'inquinamento e non in un periodo di tempo di molto successivo, come avvenuto nel caso di specie), deve, infatti, rilevarsi come si tratti di un criterio che si presenta in contraddizione con i precisi criteri di imputazione degli obblighi di bonifica previsti dagli artt. 240 e ss. e 252-bis, 2° comma del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
In buona sostanza, si tratta di una disciplina esaustiva della problematica che non può certo essere integrata dalla sovrapposizione di principi (come quello previsto dall'art. 2051 c.c.) desunti da diversa normativa e che determinerebbero la sostanziale alterazione di un contenuto normativo improntato a ben diversi principi.
8. A quanto appena rilevato deve, inoltre, aggiungersi che la giurisprudenza ha sottolineato la necessità del rigoroso accertamento del nesso di causalità fra il comportamento del "responsabile" ed il fenomeno dell'inquinamento, affermando che tale accertamento deve essere fondato su un’adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori (Cons. di Stato, Sez. VI, 5 settembre 2005, n. 4525).
Infine, a conferma di quanto fin qui sostenuto occorre rilevare che anche la giurisprudenza comunitaria si è orientata nei termini che precedono (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 24 giugno 2008, n. 188).
9. Detto principio del "chi inquina paga " consiste, in definitiva, nell'imputazione dei costi ambientali (ovvero costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell'impresa) al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita (poiché esiste una compromissione ecologica lecita data dall'attività di trasformazione industriale dell'ambiente che non supera gli standard legali).
Con specifico riguardo alla contaminazione dei siti, pare rilevante quanto stabilito dalla Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, "sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale". Anche tale Direttiva è conformata dal principio "chi inquina paga ", per cui l'operatore che provoca un danno ambientale o è all'origine di una minaccia imminente di tale danno, dovrebbe, di massima, sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione. Quando l'autorità competente interviene direttamente o tramite terzi al posto di un operatore, detta autorità dovrebbe far sì che il costo da essa sostenuto sia a carico dell'operatore. È inoltre opportuno che gli operatori sostengano in via definitiva il costo della valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente di tale danno.
La Direttiva non si applica al danno di carattere diffuso se non in presenza di un nesso causale tra il danno e l'attività di singoli operatori.
Va quindi precisato, alla luce di tale esigenza di effettività della protezione dell'ambiente, che, ferma la doverosità degli accertamenti indirizzati ad individuare con specifici elementi i responsabili dei fatti di contaminazione, l'imputabilità dell'inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive.
In sostanza, la corretta interpretazione della normativa porta ad escludere che il legislatore abbia voluto introdurre una sorta di obbligazione "propter rem" di diritto pubblico (in quanto funzionale al pubblico interesse e coercibile da parte dell'amministrazione nell'ambito dei suoi poteri di polizia amministrativa) a carico del proprietario o del titolare di un diritto reale sul fondo (ed estesa anche ai titolari di un diritto personale di godimento, nel caso in cui il contenuto di questo conferisca al suo titolare i poteri di disposizione necessari per provvedere alla rimozione), con riferimento all'ipotesi in cui non sia stato accertato il responsabile del deposito abusivo di rifiuti, e, cioè, qualora non possa trovare applicazione la sanzione amministrativa ripristinatoria prevista.
Ed invero, soltanto nel caso in cui l'obbligazione ripristinatoria fosse connessa alla mera titolarità del diritto sul bene (in tal senso "propter rem"), a prescindere dalla sua responsabilità in ordine alla formazione di un deposito abusivo attraverso l'abbandono di rifiuti, si potrebbe pervenire alle conclusioni cui è pervenuto il Ministero, ma, poiché il legislatore ha positivamente stabilito l'inserimento della colpa fra gli elementi costitutivi della fattispecie in discorso, se ne trae sicura conferma della non condivisibilità dell'esegesi seguita dallo stesso.
10. Va rilevato che il potere è comunque attivabile anche a fronte di una situazione di mero pericolo d’inquinamento come imposto dal principio comunitario di precauzione come enunciato sin dalla Conferenza di Rio del 2004 (secondo l'art. 15 del documento conclusivo della Conferenza "in caso di rischi di danni gravi o irreversibili, l'assenza di certezze scientifiche non deve servire come pretesto per rinviare l'adozione di misure efficaci volte a prevenire il degrado dell'ambiente") e dal principio di doverosa prevenzione dei danni.
Una significativa applicazione dei suddetti principi e corollari è stata effettuata dall'Avvocato Generale J. Kokott nelle conclusioni presentate in data 13 marzo 2008 relativamente alla causa C-188/07, Comune de Mesquer c. Total France SA e Total International LTD, relativa ad un noto caso di inquinamento marino da idrocarburi, con riguardo all'art. 15 della Direttiva 2006/12/CE.
Dette conclusioni sono state accolte dalla sentenza Corte di Giustizia, Grande Sezione, del 24 giugno 2008.
L'Avvocato Generale ha correttamente concluso che « l'addebitamento a singoli soggetti dei costi dello smaltimento di rifiuti che essi non hanno prodotto sarebbe incompatibile con il principio “chi inquina paga”. A fronte di tale richiesta da parte delle autorità statali gli interessati potrebbero, pertanto, opporre l'art. 15 della direttiva quadro sui rifiuti ».
L'Avvocato Generale ha argomentato tale conclusione sulla base di una nota sentenza della Corte di Giustizia (Corte giust. Ce, 7 settembre 2004, in causa C-1/2003, Van de Walle et al.) : « La sentenza Van de Walle aveva ad oggetto idrocarburi fuoriusciti da una stazione di servizio, che avevano prodotto l'inquinamento del terreno circostante. In via di principio, la responsabilità di tale evento ricade sul gestore della stazione di servizio che ha acquistato gli idrocarburi per le proprie necessità aziendali e pertanto ne era detentore ed è il soggetto che li aveva in deposito, per esigenze della sua attività, nel momento in cui sono divenuti rifiuti ai sensi dell'art. 1, lett. b), della Direttiva 75/443. Soltanto se il cattivo stato degli impianti di stoccaggio della stazione di servizio e la fuoriuscita degli idrocarburi fossero eccezionalmente imputabili ad una violazione degli obblighi contrattuali incombenti alla compagnia petrolifera fornitrice della stazione di servizio, ovvero a diversi comportamenti idonei a far sorgere la responsabilità della detta compagnia, quest'ultima sarebbe responsabile. Per effetto della sua attività, infatti, la compagnia petrolifera avrebbe prodotto rifiuti ai sensi dell'art. 1, lett. b) , della Direttiva 75/442 ed essa potrebbe dunque essere considerata la detentrice di tali rifiuti. Secondo la Corte, pertanto, i costi devono essere sostenuti dal soggetto che ha prodotto i rifiuti.
I soggetti menzionati nell'art. 15 identificano invece soltanto l'insieme dei possibili responsabili finanziari, all'interno del quale, in conformità al principio “chi inquina paga”, deve essere scelto il soggetto che deve sostenere i costi. Detta interpretazione del principio “chi inquina paga” quale principio per la ripartizione dei costi è conforme ad altre versioni linguistiche che — a differenza della versione tedesca — non utilizzano il concetto di causalità, ma affermano che chi inquina paga (Polluter pays, pollueur-payeur) . [...] Applicato alla normativa ambientale, ciò consente innanzitutto di concludere che non è possibile sostenere i costi dello smaltimento di rifiuti prodotti da altri » (punti 118, 119 e 120) .
11. Ed infatti la citata sentenza della Corte giust. Ce, 7 settembre 2004, in causa C-1/2003, Van de Walle et al., aveva puntualmente affermato che « dalle disposizioni citate nei tre punti precedenti risulta che la Direttiva 75/442 distingue la materiale realizzazione delle operazioni di recupero o smaltimento — che essa pone a carico di ogni “detentore di rifiuti”, indipendentemente da chi sia il produttore o il possessore degli stessi — dall'assunzione dell'onere finanziario relativo alle suddette operazioni, che la medesima direttiva accolla, in conformità del principio “chi inquina paga”, ai soggetti che sono all'origine dei rifiuti, a prescindere se costoro siano detentori o precedenti detentori dei rifiuti oppure fabbricanti del prodotto che ha generato i rifiuti » (punto 58) .
Per la giurisprudenza interna, Cons. Stato, Sez. V, 16 giugno 2009 n. 3885; TAR Toscana, Sez. II, 3 marzo 2010, n. 594; TAR Sicilia, Catania, Sez. I, 26 luglio 2007, n. 1254; TAR Toscana, Firenze, Sez. III, 28 aprile 2011, n. 746; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, ord. 1º dicembre 2010, che ha dichiarato l'illegittimità di un’ordinanza con la quale è stata ordinata al proprietario di una cava la bonifica del sito per l'inquinamento della falda sottostante, nel caso in cui non sia possibile desumere una situazione di sicura imputabilità dell'inquinamento al proprietario della cava) .
In sostanza, a carico del proprietario dell'area inquinata non responsabile della contaminazione non incombe, dunque, alcun obbligo di porre in essere gli interventi ambientali in questione, avendo solo la facoltà di eseguirli al fine di evitare l'espropriazione del terreno interessato gravato, per l'appunto, da onere reale, al pari delle spese sostenute per gli interventi di recupero ambientale assistite anche da privilegio speciale immobiliare.
Pertanto, il provvedimento impositivo della messa in sicurezza e bonifica ben può essere notificato al proprietario al fine di renderlo edotto di tale onere (che egli ha facoltà di assolvere per liberare l'area dal relativo vincolo), ma non può imporre misure di bonifica senza un adeguato accertamento della responsabilità, o corresponsabilità, del proprietario per l'inquinamento del sito.
12. Va ricordato, in questo contesto, che gli interventi di messa in sicurezza sono finalizzati non tanto alla diminuzione del livello di inquinamento dell'area interessata (obiettivo questo che va perseguito attraverso l'attivazione delle opere di bonifica) quanto a scongiurare che la contaminazione in atto si espanda nel terreno o nella falda in attesa dell'esecuzione di interventi definitivi di bonifica del sito.
13. Riassumendo e compendiando: il D. Lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell'Ambiente) stabilisce che l'obbligo di bonifica è in capo al responsabile dell'inquinamento che le autorità amministrative hanno l'onere di individuare e ricercare (artt. 192, 242 e 244); che il proprietario dell'area non responsabile dell'inquinamento o altri soggetti interessati hanno solo la facoltà di effettuare interventi di bonifica (art.245); che nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica sono realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250) che, a fronte delle spese sostenute, si vedono riconosciuto un privilegio speciale immobiliare sul fondo (253).
Ne consegue che, laddove l'Amministrazione non provi che l'inquinamento riscontrabile nel sito sia imputabile alla società, a quest’ultima non può essere imposto alcun obbligo di adottare misure di bonifica in un'ottica di recupero del sito. (Cons. di Stato, Sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2376).
A quanto appena rilevato deve, inoltre, aggiungersi che la giurisprudenza ha sottolineato la necessità del rigoroso accertamento del nesso di causalità fra il comportamento del "responsabile" ed il fenomeno dell'inquinamento, affermando che tale accertamento deve essere fondato su una adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori.
Infine, a conferma di quanto fin qui sostenuto occorre rilevare che anche la giurisprudenza comunitaria si è orientata nei termini che precedono, ritenendo, anche se per fattispecie diversa, che l'addebito dei costi dello smaltimento dei rifiuti a soggetti che non li hanno prodotti sarebbe incompatibile con il principio "chi inquina paga" (Corte di Giustizia, Grande Sezione, 24 giugno 2008, n. 188).
14. Volendo schematizzare e riepilogare, dalle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 152 del 2006 (in particolare nel Titolo V della Parte IV) possono ricavarsi le seguenti regole:
1) il proprietario, ai sensi dell'art. 245, comma 2, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all'art. 240, comma 1, lett.1), ovvero "le iniziative per contrastare un evento, un atto o un'omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l'ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia";
2) gli interventi di riparazione, di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino gravano esclusivamente sul responsabile della contaminazione, cioè sul soggetto al quale sia imputabile, almeno sotto il profilo oggettivo, l'inquinamento (art. 244, comma 2);
3) se il responsabile non sia individuabile o non provveda (e non provveda spontaneamente il proprietario del sito o altro soggetto interessato), gli interventi che risultassero necessari sono adottati dall'Amministrazione competente (art. 244, comma 4);
4) le spese sostenute per effettuare tali interventi possono essere recuperate, sulla base di un motivato provvedimento (che giustifichi tra l'altro l'impossibilità di accertare l'identità del soggetto responsabile ovvero che giustifichi l'impossibilità di esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto ovvero la loro infruttuosità), agendo in rivalsa verso il proprietario, che risponde nei limiti del valore di mercato del sito a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi (art. 253, comma 4);
5) a garanzia di tale diritto di rivalsa, il sito è gravato di un onere reale e di un privilegio speciale immobiliare (art. 253, comma 2).
15. Peraltro in tale materia rileva altresì il tredicesimo considerando della direttiva 2004/35/Ce, in cui si legge: "A non tutte le forme di danno ambientale può essere posto rimedio attraverso la responsabilità civile. Affinché quest'ultima sia efficace è necessario che vi siano uno o più inquinatori individuabili, il danno dovrebbe essere concreto e qualificabile e si dovrebbero accertare nessi causali tra il danno e gli inquinatori individuati. La responsabilità civile non è quindi uno strumento adatto per trattare l'inquinamento a carattere diffuso e generale nei casi in cui sia impossibile collegare gli effetti ambientali negativi ad atti o omissioni di taluni soggetti".
Tale considerando, evidenziando l'insufficienza in materia ambientale della responsabilità civile (sia pure con riferimento all'inquinamento a carattere diffuso e generale) mostra, comunque, l'esigenza di individuare criteri di imputazione del danno ambientale che prescindano dagli elementi costitutivi dell'illecito civile e, dunque, non solo dall'elemento soggettivo, ma anche dal rapporto di causalità.
16. Ancora, appare importante ai fini che in questa sede rilevano, il considerando n. 24 della citata direttiva 2004/35/Ce in cui si afferma la necessità di "assicurare la disponibilità di mezzi di applicazione ed esecuzione efficaci, garantendo un'adeguata tutela dei legittimi interessi degli operatori e delle altre parti interessate", conferendo "alle autorità competenti compiti specifici che implicano appropriata discrezionalità amministrativa, ossia il dovere di valutare l'entità del danno e di determinare le misure di riparazione da prendere".
La discrezionalità amministrativa evocata dalla direttiva potrebbe, invero, essere letta nel senso di sottintendere anche il potere per l'autorità competente di individuare il soggetto che si trova nelle condizioni migliori per adottare le misure di riparazione, anche a prescindere dal rigoroso accertamento del nesso eziologico.
17. Significativa, inoltre, è anche la previsione dell'art. 8, n. 3, lett.b), della direttiva 2004/35/Ce, secondo cui i costi delle azioni di prevenzione e di riparazione non sono a carico dell'operatore "se egli può provare che il danno ambientale o la minaccia imminente di tale danno è stato causato da un terzo o si è verificato nonostante l'esistenza di opportune misure di sicurezza".
Tale disposizione dà rilievo al rapporto di causalità, ma non in positivo, bensì in negativo, nel senso che la presenza del nesso di causalità (e, dunque, la necessità che esso sia dimostrato dall'autorità competente) non sembra essere condizione necessaria al fine del sorgere della responsabilità; è, al contrario, la prova, fornita dall'operatore, dell'assenza del rapporto di causalità, o meglio la dimostrazione di un nesso eziologico che permetta di ricondurre l'evento lesivo ad un soggetto terzo, che lo esonera dalla responsabilità. Sembrerebbe, quindi, confermata la possibilità di imporre misure di prevenzione e di riparazione anche senza rapporto di causalità, ferma restando la possibilità per l'operatore di recuperare i costi di tali interventi dimostrando che l'evento lesivo è eziologicamente imputabile ad un soggetto terzo.
18. Da quanto testé illustrato, emerge che, oltre al principio "chi inquina paga", vengono poi in rilievo i principi di precauzione, di prevenzione e di correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, anch'essi esplicitamente richiamati dall'art. 191, paragrafo 2, TFUE, come fondamenti della politica dell'Unione in materia ambientale.
I principi di precauzione e di prevenzione rendono legittimo un approccio anticipatorio ai problemi ambientali, sulla base della considerazione che molti danni causati all'ambiente possono essere di natura irreversibile.
Per prevenire il rischio del verificarsi di tali danni, il principio di precauzione legittima l'adozione di misure di prevenzione, riparazione e contrasto ad una fase nella quale il danno non solo non si è ancora verificato, ma non esiste neanche la piena certezza scientifica che si verificherà. In altri termini, la ricerca di livelli di sicurezza sempre più elevati porta ad un consistente arretramento della soglia dell'intervento delle Autorità a difesa della salute dell'uomo e del suo ambiente: la tutela diviene "tutela anticipata" e oggetto dell'attività di prevenzione e di riparazione diventano non soltanto i rischi conosciuti, ma anche quelli di cui semplicemente si sospetta l'esistenza.
Il principio di prevenzione presenta tratti comuni con il principio di precauzione, in quanto entrambi condividono la natura anticipatoria rispetto al verificarsi di un danno per l'ambiente. Il principio di prevenzione si differenzia da quello di precauzione perché si occupa della prevenzione del danno rispetto a rischi già conosciuti e scientificamente provati relativi a comportamenti o prodotti per i quali esiste la piena certezza circa la loro pericolosità per l'ambiente.
19. Si può evidenziare che, se la ratio dei principi di precauzione e di prevenzione è quella di legittimare un intervento dell'autorità competente anche in condizioni di incertezza scientifica (sulla stessa esistenza del rischio o delle sue ulteriori conseguenze), sul presupposto che il trascorrere del tempo necessario per acquisire informazioni scientificamente certe o attendibili potrebbe determinare danni irreversibili all'ambiente, allora non appare peregrino sostenere che la medesima ratio consenta l'intervento in via precauzionale o preventiva non solo quando l'incertezza da dipanare riguardi l'evento di danno, ma anche quando concerna il nesso causale e, quindi, l'individuazione del soggetto responsabile di un danno certo.
20. In quest'ottica, quindi, i principi di precauzione e di prevenzione potrebbero legittimare l'imposizione, a prescindere dalla prova circa la sussistenza del nesso di causalità, in capo al soggetto che, essendo proprietario del sito contaminato, si trova nelle migliori condizioni per attuarle, non solo delle misure di prevenzione descritte dall'art. 240, comma 1, lett.i) decreto legislativo n. 152 del 2006, (già previste a suo carico dall'art. 245, comma 2, decreto legislativo n. 152 del 2006), ma anche di misure di sicurezza di emergenza. Anche queste misure, infatti, hanno una finalità precauzionale ed una connotazione di urgenza, essendo dirette a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente.
21. Infine, viene in rilievo il principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati. Tale principio, infatti, dispone che i danni causati all'ambiente vengano contrastati in una fase il più possibile vicino alla fonte, per evitare che i loro effetti si amplifichino e si ingigantiscano. Nelle situazioni d’impossibilità di individuare il responsabile, o d’impossibilità di evitare da questi le misure correttive, la "fonte" cui il principio fa riferimento sembra potere essere ragionevolmente individuata nel soggetto attualmente proprietario del fondo, che, proprio per la sua posizione di proprietario, è quello meglio in grado di controllare la fonte di pericolo rappresentata dal sito contaminato (su tali questioni si veda Adunanza Plenaria n 13 del 2013).
In sostanza, riprendendo la questione di diritto fondamentale sottesa alla controversia, il principio comunitario che accolla al colpevole dell’inquinamento l’onere di porvi rimedio, sia con misure di bonifica sia di messa in sicurezza, non può essere inteso come assoluto ma va contemperato con gli altri principi di precauzione, prevenzione e tutela dell’ambiente, per cui al proprietario ancorché non responsabile della situazione di inquinamento illecito si possono accollare limitati e definiti oneri di realizzazione di misure precauzionali, soprattutto in occasione di interventi gestionali e manutentivi sulla zona, e ovviamente previa congrua istruttoria e motivazione.
22. Ciò premesso, le conclusioni sull’esito del presente ricorso risultano diverse a seconda delle varie prescrizioni imposte alla Italcementi.
Per quanto riguarda gli interventi di messa in sicurezza delle acque di falda il Ministero considera idonei gli interventi effettuati solo in una prima fase. Aggiunge poi che l’Azienda dovrà scegliere se aderire alla soluzione unitaria ovvero presentare un progetto autonomo, e che tale scelta non può essere condizionata da considerazioni tecnico economiche.
Tale disposizione risulta illegittima e va annullata in quanto, considerata la non responsabilità della Italcementi in relazione all’inquinamento, la scelta tra i due tipi di intervento non può essere condizionata. Quanto all’obbligo di mettere in sicurezza esso va considerato legittimo per quanto riguarda le acque di falda, considerato che esso pur riguardando un proprietario incolpevole rientra tra gli interventi urgenti e precauzionali come visto effettuabili.
Le altre prescrizioni riguardanti gli accertamenti e i controlli sono una conseguenza dell’obbligo di prevenzione, attribuibile alla Italcementi.
Invece illegittima risulta la prescrizione di formulare un progetto definitivo di bonifica delle acque di falda dell’intera area entro 30 giorni, trattandosi in questo caso di un obbligo che trascende l’emergenza e non assegnabile a un proprietario incolpevole, se non su sua volontà.
Per quanto riguarda la rimozione dei rifiuti presenti nell'area, si tratta di un intervento di prevenzione. Quanto alla realizzazione e il montaggio di una barriera, non rientrando tra le emergenze ma tra gli interventi permanenti essi non possono risultare cogenti per il proprietario incolpevole.
23. In altri termini, per le prescrizioni non collegate all’urgenza e alla prevenzione appare, infatti, palese il difetto d’istruttoria e motivazione, non risultando alcun accertamento istruttorio, laddove la violazione del principio “chi inquina paga” risulta chiara in quanto la ditta ricorrente è pacificamente non responsabile dell’inquinamento stesso.
In sostanza, il presente ricorso va in parte accolto e in parte rigettato, come sopra evidenziato.
La peculiarità della vicenda e l’accoglimento solo parziale del ricorso induce il Collegio a compensare le spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo accoglie e in parte lo rigetta come da motivazione.
Compensa le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 23 aprile 2014 con l'intervento dei magistrati:
Umberto Zuballi, Presidente, Estensore
Enzo Di Sciascio, Consigliere
Manuela Sinigoi, Primo Referendario
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IL PRESIDENTE, ESTENSORE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 05/05/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)