Il nuovo delitto di inquinamento ambientale
di Carlo RUGA RIVA
Il nuovo delitto di inquinamento ambientale*
1. Il delitto di inquinamento ambientale
Art. 452-bis. Inquinamento ambientale. – È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.
Il delitto di inquinamento ambientale rappresenta una figura totalmente nuova, ignota al precedente panorama legislativo ambientale.
La fattispecie in esame si aggiunge alle ipotesi di reato contravvenzionale costruite sul modello del superamento dei valori tabellari (cfr. ad es. art. 137, co. 5 e art. 279, co. 2, t.u.a.) o di esercizio di determinate attività senza autorizzazione (v. ad es. art. 256 t.u.a.), collocandosi ad un livello di offesa all’ambiente superiore, connotato dalla compromissione o deterioramento significativi e misurabili.
1.1. Struttura e oggetto del delitto di inquinamento
L’inquinamento ambientale è costruito come fattispecie di danno alle matrici ambientali, con radicale mutamento del tradizionale paradigma di tutela contravvenzionale imperniato sul pericolo astratto per il bene ambientale.
La definizione di inquinamento contenuta nell’art. 5 i ter t.u.a. – «l’introduzione diretta o indiretta, a seguito di attività umana, di sostanze … o più in generale di agenti fisici o chimici, nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che potrebbero nuocere alla salute umana o alla qualità dell’ambiente, causare il deterioramento dei beni materiali, oppure danni o perturbazioni a valori ricreativi dell’ambiente o ad altri suoi legittimi usi» – costituisce nulla più che la cornice entro la quale il legislatore penale ha ritagliato un’ipotesi più specifica di inquinamento connotato da particolari indici di offensività.
In altre parole la citata definizione di inquinamento è inidonea a distinguere le varie ipotesi di contaminazione penalmente rilevante, che vanno dalle contravvenzioni di pericolo astratto in tema di acque, aria e suolo al delitto di inquinamento a quello di disastro ambientale.
A delimitare il concetto di inquinamento a fini penali non soccorre neppure la definizione di danno ambientale contenuta, a fini civilistici, nell’art. 300 t.u.a.
In quest’ultima definizione, è vero, si utilizzano parole («qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima…») simili a quelle impiegate nell’art. 452-bis.
Tuttavia la definizione dell’art. 300 t.u.a. ha la funzione di assicurare tutela risarcitoria contro qualsiasi danno ambientale derivante da qualsiasi fatto ingiusto, e pertanto non è idonea a distinguere tra diversi illeciti (penali o di altro genere) che ne costituiscono il fondamento.
Insomma, l’inquinamento ambientale ha (ed è bene che abbia) una sua peculiare connotazione penalistica, che lo distingue dalla definizione generale e da quella del danno civilistico che consegue ad ogni fatto ingiusto che causi un danno ambientale.
L’autonomia dell’inquinamento ambientale penalmente rilevante segna l’emancipazione del diritto penale dell’ambiente dalla sua tradizionale funzione accessoria al diritto amministrativo, e marca i confini con il diritto civile, nella logica di sanzionare (solo) le condotte di contaminazioni qualificate da note di offesa particolarmente significative.
Si tratta di un reato di evento in senso naturalistico (la compromissione o il deterioramento quantificabili), che può riguardare sia una sola matrice ambientale («acque o aria o porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo», sia a maggior ragione, e ovviamente, un ecosistema nel suo complesso o la biodiversità, anche agraria, la flora o la fauna.
Oggetto del reato sono dunque le risorse abiotiche (acqua, aria o suolo) e le risorse biotiche (flora e fauna).
Si pensi ad una contaminazione ambientale che comporti vaste morie di pesci (fin qui appannaggio non senza problemi del delitto di c.d. danneggiamento idrico 1) o di uccelli, o il deterioramento significativo di un suolo con danni alle colture, o inquinamenti dell’aria che ne compromettano la qualità in sé e la sua fruibilità per i vari soggetti dell’ecosistema (umani compresi).
Il riferimento alla biodiversità (anche) agraria pone problemi di interferenza con la fattispecie di emissione deliberata nell’ambiente di OGM (non autorizzata) che cagioni pericolo di degradazione rilevante e persistente delle risorse naturali biotiche o abiotiche (art. 36, d.lgs. n. 224/2003), ed in particolare della biodiversità delle colture, punita con l’arresto sino a 3 anni e con l’ammenda sino ad euro 51.700.
Tale ultima disposizione, munita di clausola di riserva rispetto a fatti costituenti più grave reato, soccombe nei confronti dell’art. 452-bis, sanzionato più severamente.
Inoltre l’art. 452-bis è reato di danno, e come tale assorbe il pericolo di degradazione della biodiversità, elemento costituivo della contravvenzione di emissione deliberata di OGM nell’ambiente.
Si tratta di reato causale puro, a forma libera («cagiona»), ove l’evento sopra descritto deve essere ricollegato sul piano eziologico ad una condotta «abusiva».
Rileveranno anche condotta omissive 2, nella misura in cui siano rinvenibili in fonti normative (o nelle prescrizioni contenute nell’autorizzazione) obblighi giuridici di impedire contaminazioni ambientali in capo a determinati soggetti.
Tra gli obblighi giuridici rilevanti non può annoverarsi il genericissimo obbligo giuridico attribuito a tutti i cittadini di proteggere l’ambiente (art. 3-ter t.u.a.: «la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali deve essere garantita … dalle persone fisiche e giuridiche …»).
Si tratta infatti di un principio, non di una regola giuridica idonea a prescrivere determinati e specifici obblighi strumentali ad evitare inquinamenti 3.
Il legislatore ha impiegato concetti quantitativi non numerici per descrivere uno degli oggetti materiali dell’inquinamento: «porzioni estese… del suolo o del sottosuolo».
Con tale formula, che curiosamente non riguarda l’inquinamento idrico e atmosferico 4, si è voluto escludere rilevanza penale a condotte di scarso impatto quantitativo, che rimangono punibili in base agli illeciti contravvenzionali di settore (art. 256 ss. t.u.a.).
“Porzioni estese” è formula assai vaga, e per di più presente anche nella fattispecie di disastro ambientale (ove rileva l’offesa alla pubblica incolumità “in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione”), sicché non pare vi sia una scala quantitativa che distingua le due offese, pur essendo la seconda più grave.
In ogni caso rileverà non solo l’inquinamento di porzioni estese del suolo o del sottosuolo, ma anche (in alternativa, come si desume dalla disgiuntiva “o”) di porzioni significative: concetto quest’ultimo qualitativo, che (solo in teoria) sdrammatizza le incertezze della prima formula.
Insomma, potrà ritenersi inquinamento penalmente rilevante anche quello avente ad oggetto porzioni non estese di suolo, purché si tratti di porzioni dotate di un qualche significato: ma per chi o per cosa?
La significatività è da parametrare esclusivamente all’ambiente, senza alcuna proiezione verso l’integrità fisica delle persone che lo abitano, oggetto di apposita tutela tramite altro delitto (art. 452-ter, Morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale).
L’ aggettivo “significativo” si ripete due volte: è significativa la compromissione (o il deterioramento) che, tra l’altro, ha ad oggetto porzioni significative del suolo: una tautologia più che una definizione.
L’oggetto di cui al n. 2) appare sovrabbondante: anzitutto l’“ecosistema”, e poi a seguire (la “biodiversità” anche agraria, la “flora” e la “fauna”): insomma, l’ecosistema nel suo complesso o in alcune sue parti.
Ovviamente l’inquinamento che tocchi più comparti dell’ecosistema integrerà un unico reato, potendo eventualmente rilevare ai fini di una più severa commisurazione della pena.
La pena è aumentata quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette.
Tra i vincoli menzionati non compare quello idrogeologico.
Si tratta, come detto, di un reato di evento.
Si tratta altresì di un reato di danno: occorre infatti la compromissione o il deterioramento significativo e misurabile (cfr. infra, 1.3.) per le matrici ambientali.
I sostantivi alludono ad una offesa materiale ed empiricamente verificabile del bene protetto.
Del resto “compromissione” e “deterioramento” sono formule impiegate nel delitto di danneggiamento, classico reato di danno.
Il pericolo (concreto) rileverà in base alla distinta fattispecie prevista dall’art. 452-quinquies, co. 2 (cfr. infra, 3.4.1).
1.2. Cosa vuol dire abusivamente?
L’inquinamento penalmente rilevante è solo quello causato “abusivamente”.
L’’avverbio compare nella fattispecie di inquinamento ambientale, di disastro ambientale e di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività.
Le considerazioni che seguono valgono in relazione a tutti e tre delitti; eventuali peculiarità verranno segnalate in occasione dei commenti agli altri due delitti (452-quater e 452 sexies).
L’avverbio, specie con riferimento al disastro ambientale, è stato da taluno aspramente avversato, ritenendosi paradossale, a contrario, immaginare un disastro autorizzato; si è inoltre paventato che la clausola sia troppo restrittiva, finendo con il circoscrivere la rilevanza penale alle sole condotte “clandestine”, con eccezione cioè dei disastri causati nell’ambito di attività autorizzate 5.
La formula “abusivamente”, a mio avviso, mira condivisibilmente a delimitare l’ambito del rischio consentito.
Posto che ogni attività industriale inquina, tanto o poco, e che per la gran parte delle sostanze tossiche e cancerogene non è individuabile (o non è ad oggi noto) il livello sotto il quale possono escludersi effetti negativi sull’ambiente e/o la salute, il legislatore penale subordina la punibilità di condotte oggettivamente inquinanti alla violazione delle norme di legge o delle prescrizioni contenute nei titoli abilitativi 6.
“Abusivamente” non significa allora “clandestinamente”, ma, più ampiamente, vuol dire in violazione di norme di legge statale o regionale (in materia di ambiente, di igiene e sicurezza sul lavoro, di urbanistica, di salute pubblica, ecc.) o in violazione di prescrizioni amministrative.
Tale formula venne espressamente richiesta da Legambiente e dal WWF, il 25 giugno 2014, nell’audizione resa alla Segreteria della Commissione Giustizia del Senato, in relazione disegno di legge n. 1345 7, in sostituzione di quella originariamente votata alla Camera, ritenuta troppo restrittiva, «in violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, specificatamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza costituisce di per sé illecito penale o amministrativo».
Ciò perché, come già rilevato in dottrina 8, l’ultima formula avrebbe rischiato di escludere dall’ambito di rilevanza penale disastri causati da violazione, ad es., di normative sulla igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro (emblematico il caso Eternit, ove il disastro innominato doloso venne causato in violazione delle norme sulle polveri, finalizzate a tutelare la salute dei lavoratori).
Su tale interpretazione convergono anche l’interpretazione conforme al diritto europeo e l’attuale giurisprudenza su identico requisito contenuto nella fattispecie di traffico organizzato di rifiuti (art. 260 t.u.a.) .
Quanto al raffronto con il diritto europeo, la Direttiva 2008/99/CE, che ha tardivamente ispirato il nostro legislatore 9, chiede di incriminare (art. 3) talune condotte “illecite” che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora.
Ai sensi dell’art. 2 della direttiva 2008/99/CE «s’intende per illecito ciò che viola:
gli atti legislativi adottati ai sensi del Trattato CE ed elencati nell’allegato A; ovvero,
in relazione ad attività previste dal trattato Euratom, gli atti legislativi adottati ai sensi del trattato Euratom ed elencati all’allegato B; ovvero
un atto legislativo, un regolamento amministrativo di uno Stato membro o una decisione adottata da un’autorità competente di uno Stato membro che dia attuazione alla legislazione comunitaria di cui ai punti i) o ii)».
Stupisce che i critici della clausola “abusivamente” non considerino che essa richiama una nota di illiceità imposta dalla direttiva, e dunque un vincolo europeo cui il nostro legislatore è tenuto ai sensi dell’art. 117 Cost.
Anzi, il legislatore italiano è stato più rigoroso di quello europeo, dato che l’illiceità comunitaria rimanda a direttive che riguardano l’ambiente in senso stretto (si vedano le fonti richiamate dall’Allegato A alla direttiva, ad es. in materia di inquinamento atmosferico, idrico, da rifiuti, ecc.), e non anche materie limitrofe come, ad es., la salute, l’incolumità pubblica, la sicurezza sul lavoro o l’urbanistica, le quali ultime, viceversa, possono ritenersi comprese nella ampia formula “abusivamente”.
Anche la dottrina10 e la giurisprudenza11 sull’art. 260 t.u.a. avallano l’interpretazione qui proposta .
Abusivamente vuol dire anche nell’ambito di attività produttiva autorizzata, ma in violazione sostanziale delle prescrizioni ivi dettate; o più generalmente in violazione di qualsiasi norma contenuta nella vasta disciplina di settore12.
Una clausola di illiceità speciale, insomma, equivalente a “illecitamente”, a contra jus.
Naturalmente l’abusività potrà riguardare anche norme regolamentari o di divieto non strettamente connesse al settore ambientale (si pensi alle norme in materia di igiene e sicurezza sul lavoro che vietino o impongano di ridurre al minimo la polverosità o altri fattori di rischio).
Potrà trattarsi anche della violazione di norme penali diverse da quella in esame: si pensi al terrorista che manometta cisterne di gasolio o di gas entrando abusivamente in un domicilio privato, sabotandole e compiendo un attentato.
Sul piano sistematico il preteso appiattimento dell’”abusivamente” sul “clandestinamente” (o senza autorizzazione o in contrasto con essa) dimentica che, proprio in relazione a contravvenzioni penali ambientali, il legislatore, quando lo ha voluto, ha fatto esplicito riferimento alla formula “in mancanza della prescritta autorizzazione, iscrizione ecc. (v. artt. 137, 256, 279 t.u.a.)13
Insomma, il legislatore non incrimina qualunque inquinamento, ma solo quello conseguente a condotte che fuoriescono dall’ambito del rischio consentito, perimetrato dal rispetto delle norme di legge e delle pertinenti prescrizioni amministrative.
Una scelta a mio avviso in linea con la Direttiva 2008/99/CE ed opportuna in sé: in uno stato di diritto basato sulla suddivisione dei poteri, spetta al potere legislativo e al potere esecutivo (alla pubblica amministrazione) decidere quale siano i livelli di inquinamento tollerabili in nome di altri interessi e valori confliggenti (produzione, occupazione, ecc.), individuando punti di equilibrio reputati socialmente accettabili (cfr. infra, 3.2.).
Certo, non possono escludersi situazioni patologiche in cui le autorizzazioni o le prescrizioni siano frutto di condotte penalmente rilevanti, ma in tal caso la giurisprudenza penale conosce da tempo strumenti (prima la c.d. disapplicazione, oggi lo strumento funzionalmente equivalente della verifica, da parte del giudice penale, della conformità della attività formalmente assentita alle regole di settore 14) idonei a incriminare fatti solo apparentemente realizzati conformemente al diritto.
Anche la fissazione di valori soglia inidonei alla tutela dell’ambiente e/o della salute può d’altra parte ricadere, ove ne ricorrano i presupposti (ove frutto di collusione tra pubblici funzionari e privati beneficiari in presenza di chiari dati scientifici contrari a quelli cristallizzati in legge e noti alle parti), nell’ambito di applicazione, a seconda dei casi, delle fattispecie di abuso di ufficio o di corruzione.
1.3. L’evento di danno (compromissione o deterioramento significativi e misurabili)
L’evento conseguenza della condotta abusiva deve cagionare, come detto, la compromissione o il deterioramento significativi e misurabili di (anche una sola) matrice ambientale o dell’ecosistema.
È facilmente immaginabile che gli aggettivi “significativi” e “misurabili” saranno oggetto di svariate interpretazioni.
Il compito del legislatore, va detto, non era facile.
Anche qui ragioni di selezione del penalmente rilevante e la normativa europea (“danni rilevanti…”) suggerivano di incriminare condotte di inquinamento qualificato, cioè tali da attingere una significativa soglia di offesa.
Ciò anche per distinguere il delitto in esame dalle contravvenzioni settoriali di inquinamento idrico, del suolo e atmosferico.
Certo il compito di descrivere l’inquinamento qualificato non è stato assolto con riferimento a valori soglia (a dati numerici), bensì ad aggettivi alquanto vaghi.
In assenza di riferimenti espressi, all’interprete si aprono due vie.
L’una tesa alla individuazione, nell’ordinamento, di valori numerici espressivi dell’offesa significativa e misurabile.
L’altra volta a fornire al giudice indici probatori non numerici.
Conformemente alla prima prospettiva non possono considerarsi rilevanti, di per sé, i superamenti dei valori-soglia di settore; è vero che essi sono misurabili, ma è altrettanto vero che non sono significativi di un danno per l’ambiente, quanto se mai di un pericolo astratto, sanzionato con apposite contravvenzioni (in particolare artt. 137, 256 e 279 t.u.a).
In alternativa, sempre nella prospettiva “numerica”, potrebbe farsi riferimento ai valori soglia di inquinamento rilevanti per le procedure di bonifica, le quali per l’appunto segnalano un danno attuale alle matrici ambientali.
I valori numerici pertinenti in tema di bonifica sono due (cfr. art. 242 t.u.a.): le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC, art. 242, lett. d) e, come valori ulteriori, le concentrazioni soglia di rischio, attestati su soglie più elevate e, soprattutto, determinati caso per caso con l’applicazione della procedura di analisi sito-specifica (CSR, art. 242, lett. c).
Tuttavia, a ben vedere, il riferimento ai valori-soglia rilevanti in tema di bonifica non sembra pertinente.
Da un lato, infatti, il delitto di inquinamento ambientale non obbliga il Giudice alla bonifica, ma solo al recupero oppure alla remissione in pristino (cfr. art. 452-duodecies); sicché, agli occhi del legislatore, l’inquinamento non sembra necessariamente passare per il superamento delle CSR15; al più dunque rileverebbero le CSC.
Tuttavia le CSC16 riguardano solamente il suolo, il sottosuolo e le acque sotterranee, non ad esempio le acque superficiali e l’aria.
D’altra parte, fino ad oggi i superamenti delle CSC e delle CSR hanno (talvolta) caratterizzato anche le contravvenzioni di settore (artt. 137, 256 e 279 t.u.a.), e dunque non sembra che il loro superamento possa essere considerato dato sintomatico di un requisito peculiare del diverso e più grave delitto di inquinamento ambientale.
Ciò considerato sembra preferibile abbandonare la prospettiva esegetica “numerica”, a vantaggio di altra prospettiva di natura sistematica e per così dire “qualitativa”.
In questa diversa prospettiva, da valutarsi caso per caso e non sulla base di dati numerici preesistenti, la significatività e misurabilità potranno desumersi da vari indici:
- frequenza e ampiezza degli sforamenti dei valori soglia o frequenza e gravità delle violazioni delle prescrizioni;
- gravità e persistenza nel tempo degli effetti prodotti dalla contaminazione sulle matrici ambientali o su flora e fauna, anche in ragione della relativa estensione quantitativa o delle caratteristiche qualitative delle sostanze inquinanti;
- costi di recupero e ripristino (o di eventuale bonifica) e grado di difficoltà tecnica e durata delle relative operazioni di reintegrazione del danno.
Sotto questo ultimo profilo soccorre l’interpretazione sistematica.
Se come vedremo il distinto e più grave delitto di disastro ambientale (art. 452-quater) si caratterizza per le alterazioni dell’equilibrio dell’ecosistema irreversibili o la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile sono con provvedimenti eccezionali, allora è plausibile che il delitto in esame sia integrato da inquinamenti eliminabili con mezzi non particolarmente onerosi e con provvedimenti “ordinari”.
E’ verosimile, in definitiva, che i giudici sfrutteranno l’ampiezza degli aggettivi per riempirla di contenuto a seconda dei singoli casi, in base ad una valutazione globale dei vari indici sopra ipotizzati.
Certo, la disposizione in commento non brilla per conformità al principio di precisione.
Tuttavia è assai dubbio che questioni di legittimità costituzionale dell’art. 452-bis c.p. per contrasto con il principio di precisione possano trovare accoglimento.
Come è noto la Corte costituzionale, pur con qualche apertura negli ultimi anni, si ispira sul punto ad un rigoroso self restraint17.
1.4. Il dolo di inquinamento
Il delitto è punito a titolo di dolo; l’ipotesi colposa è sanzionata dall’art. 452-quinquies.
Il dolo 18 (in tutte le sue forme, compreso il dolo eventuale) ha ad oggetto la causazione di una compromissione o deterioramento significativi e misurabili delle matrici ambientali indicate ai nn. 1) e 2).
La vaghezza del danno si ripercuoterà inevitabilmente sul profilo soggettivo: sarà esclusa dal dolo la rappresentazione e volontà di danni esigui, per dati di fatto e di contesto allegati dall’imputato, in ragione del suo personale atteggiarsi psicologico rispetto al fatto.
Occorrerà evitare di fornire un’interpretazione tutta oggettivizzata del dolo che, assunto a riferimento dell’agire un ideale soggetto dotato di ampie conoscenze ed elevata “sensibilità” ambientale, finisca per desumere il dolo (verosimilmente eventuale) da sciatterie o scarsa prudenza dell’agente in carne ed ossa.
Insomma, il dolo va preso sul serio e, anche nella forma eventuale, andrà provato con rigore, valorizzando tutti i criteri suggeriti dalla Sezioni Unite nel caso Thyssen Krupp 19.
Si pensi all’atteggiamento tenuto dall’agente (in carne ed ossa, e non da un surrettizio agente modello) in presenza di ripetuti sforamenti dei livelli tabellari di cui sia venuto a conoscenza; alle istruzioni impartite o non impartite di fronte a manutenzioni doverose in ragione dell’usura o vetustà degli impianti.
Nell’oggetto del dolo rientra anche l’abusività della condotta, cioè la consapevolezza e volontà di agire in contrasto con normative di settore (o comunque contra ius) o in difformità dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione.
Colui che non è consapevole di inquinare oltre i limiti di legge o con modalità non consentite (e a maggior ragione colui che confida nella liceità dell’emissione conforme ai valori-soglia) non vuole propriamente l’evento di compromissione o deterioramento significativi per il diritto, rappresentandosi al contrario una condotta neutra, socialmente tollerata.
Certo, ove la mancata rappresentazione del carattere abusivo della condotta sia frutto di negligenza l’agente potrà rispondere dell’inquinamento a titolo di colpa.
Ciò, si badi, a prescindere dall’inquadramento dogmatico della clausola “abusivamente”.
Sia essa interpretata come limite interno alla tipicità del fatto, come espressione di rischio (non) consentito o come clausola di illiceità espressa, da ricondursi alla categoria dell’antigiuridicità 20, in ogni caso l’agente che non si rappresenti e voglia la condotta abusiva non ne risponde per dolo, non avendo alcuna volontà di realizzare il fatto illecito.
Per l’imputazione dell’aggravante prevista dall’art. 452-bis è sufficiente, ex art. 59 c.p., la colpa; in altre parole non è richiesta la coscienza e volontà di causare inquinamenti qualificati in area sottoposta a vincolo, essendo sufficiente il rimprovero di non aver prestato la richiesta diligenza nel rappresentarselo e nell’evitarlo.
1.5. Il rapporto tra delitto di inquinamento e contravvenzioni di settore
Il rapporto tra il nuovo delitto di inquinamento ambientale e le tradizionali contravvenzioni ambientali di settore (artt. 137, 256 e 279 t.u.a.), limitatamente alle ipotesi del superamento dei valori soglia, dovrebbe risolversi nel senso dell’assorbimento dei secondi nel primo.
L’art 452-bis, infatti, incrimina un evento di danno, il quale assorbe l’offesa di pericolo astratto rappresentata dal superamento dei valori soglia21.
Ad analoga soluzione si dovrebbe pervenire nel caso di esercizio non autorizzato o in difformità dalle prescrizioni contenute nei titoli abilitativi; la clausola “abusivamente” inserita nell’art. 452-bis sembra in grado di assorbire il disvalore del pericolo insito nella sottrazione dell’attività al controllo della p.a., o della violazione delle relative prescrizioni.
Articolo tratto, con talune modifiche, dal capitolo primo del libro “I nuovi ecoreati”. Commento alla legge 22 maggio 2015, n. 68,di imminente pubblicazione presso Giappichelli; si ringrazia l’Editore per il consenso alla pubblicazione.
1 Sull’impiego dell’art. 635 c.p. per reprimere ipotesi di c.d. danneggiamento idrico v. C. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, II ed., Giappichelli, 2013, 90.
2 P. Molino, Rel. n. III/04/2015 (Corte di Cassazione. Ufficio del Massimario. Settore penale), Novità legislative: Legge n. 68 del 22 maggio 2015, recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, in www.penalecontemporaneo. it, 4.
3 Cfr. per approfondimenti C. Ruga Riva, Diritto penale dell’ambiente, cit., 34.
4 Pur essendo in astratto pensabile un inquinamento più o meno esteso di porzioni di atmosfera o di masse d’acqua.
5 Vedi i diversi contributi di G. Amendola, Delitti contro l’ambiente: arriva il disastro ambientale “abusivo”, in www.lexambiente.it; G. Amendola, La Confindustria e il disastro ambientale abusivo, in questionegiustizia.it; G. Amendola, Viva viva il disastro ambientale abusivo, in www.lexambiente.it; G. Amendola, Ma che significa veramente disastro ambientale abusivo), in www.lexambiente.it; meno chiara è la posizione di B. Tinti, Reati ambientali, legge degli orrori, in Il Fatto Quotidiano, 27.3.2015, il quale dapprima sostiene, in relazione al disastro ambientale doloso, che la clausola “abusivamente” “è una stupidaggine: se l’inquinamento non è abusivo non è delitto. Scrivere “abusivamente è del tutto inutile”; poi però lo stesso Autore, proseguendo a segnalare quelli che definisce errori da matita rossa, sostiene che la stessa formula comporterebbe la non punibilità, per disastro ambientale colposo, di coloro che inquinassero rispettando le leggi vigenti, posto che, a quanto pare, in tal caso non vi sarebbe violazione di alcuna regola cautelare specifica; d’altra parte, sostiene Tinti, non si potrebbe punire per colpa generica. Ora, a me pare che sul punto la confusione concettuale sia notevole: il requisito dell’abusività non connota soggettivamente la colpa (come parrebbe intendere l’Autore), ma delimita oggettivamente il rischio consentito, o se si preferisce segnala i confini dell’antigiuridicità. Insomma, la clausola abusivamente, non rilevando sull’elemento soggettivo, non può essere considerata superflua per la fattispecie dolosa ed esiziale per quella colposa.
6 Per un’aspra critica a questa logica v. M. Santoloci, In Italia ci si ammala e si muore di “parametri”. Disastri ambientali a norma di legge (da evitare con la nuova legge sui delitti ambientali), in www.dirittoambiente.net.
7 Audizione di Legambiente, che richiamava espressamente il contributo dottrinale riportato nella nota seguente, nonché del WWF, che muoveva analoghi rilievi.
8 Sia consentito rinviare a C. Ruga Riva, Commento al testo base sui delitti ambientali adottato dalla Commissione giustizia della Camera, in www.penalecontmporaneo.it, p. 6.
9 Sul recepimento della Direttiva 2008/99/CE da parte del d.lgs. n. 121/2011 sia consentito rinviare a C. Ruga Riva, Il decreto legislativo di recepimento delle direttive comunitarie sulla tutela penale dell’ambiente. Nuovi reati, nuova responsabilità degli enti da reato ambientale, in www.penalecontemporaneo.it.
10 L. Ramacci, Prime osservazioni sull’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale e le altre disposizioni della legge 22 maggio 2015 n. 68, in www.lexambiente.it, 3.
11 Cfr. la rassegna giurisprudenziale di S. Palmisano, Delitti contro l’ambiente, quand’è che un disastro si può dire abusivo, in www.lexambiente.it; S. Palmisano, Spigolature sulla proposta di legge in materia ambientale, in www.questionegiustizia.it e ivi giurisprudenza citata (Cass., Sez. III, 6 novembre 2008, n. 46029): in quel caso la Corte respinge uno specifico motivo di ricorso dell’imputato, il quale pretendeva di interpretare la clausola nel senso che l’attività si doveva ritenere abusiva solo se clandestina o comunque priva di un valido titolo autorizzatorio: «è destituita di ogni fondamento giuridico la tesi secondo cui nella fattispecie criminosa di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 il carattere abusivo della gestione illecita dei rifiuti ricorre solo quando la gestione è clandestina»). I principi in questione, ricorda S. Palmisano sono stati poi confermati da altre pronunce della Cassazione, e possono considerarsi ormai consolidati (Cass., Sez. III, 3 marzo 2010, n. 8299; Cass., Sez. III, 8 gennaio 2008, n. 358).
Nello stesso senso e per ulteriori citazioni giurisprudenziali v. P. Molino, Rel n. III, cit., 12. Per una diversa lettura della giurisprudenza v. però G. Amendola, Ma che significa, cit., con ampia indicazione di pronunce che, mi sembra, sembrano alludere alla sufficienza più che alla necessità di una condotta non autorizzata, senza escludere di per sé rilevanza alle condotte autorizzate ma contrarie alle legge o alle prescrizioni.
12 In questo senso Cass. sez. III, 25.09.2009, n. 8299 e Cass. sez. III, 6.11.2008, n. 46029; Cass. sez. III, 14.7.2011, n. 46189, Passariello, CED 251592, punto 5.1, precisa che “abusivamente” significa non solo clandestinamente, ma anche in violazione delle prescrizioni e/o dei limiti indicati nella autorizzazione; Cass. sez. III, 8.01.2015, CED 18669 valuta la clausola ”abusivamente” in relazione al rispetto o meno di una circolare del Ministero della Sanità in materia di rimozione dell’amianto, dunque in materia non strettamente ambientale; Cass. sez. III, 15.10.2013, CED 258326, afferma che la mancanza delle autorizzazioni non costituisce requisito determinante per la configurazione del delitto, potendo sussistere anche in caso di gestione totalmente difforme dall’autorizzazione; d’altro lato aggiunge che la sua assenza può non rilevare, laddove assuma rilievo puramente formale e non sia causalmente collegata agli altri elementi costitutivi de traffico. Quest’ultima pronuncia mi pare ineccepibile, posto che mira a selezionare difformità sostanziali dall’autorizzazione.
13 P. Molino, Rel n. III, cit., 12 s.
14 Cass., Sez. III, 15 dicembre 2006, n. 13676; sul punto vedi per più ampi riferimenti Nitti, Le indagini in materia di reati ambientali. Accertamento dei reati ambientali e atto amministrativo, in www.lexambiente.it, 33; per riferimenti alla giurisprudenza che si riserva di sindacare la legittimità dei titoli abilitativi legittimi formalmente ma non sostanzialmente, v. L. Ramacci, Prime osservazioni, cit., 2.
15 Più radicalmente sostiene che il superamento delle CSR costituisca il limite inferiore della condotta penalmente rilevante di inquinamento, nel senso che esso sarebbe sanzionato dalla distinta fattispecie di omessa bonifica P. Molino, Rel. n. III/04/2015, cit., 6.
16 Cfr. allegato 5 alla parte quarta del t.u.a.
17 V. per tutti G. Marinucci-E. Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, IV ed., Giuffrè, 2012, 61 s.
18 In generale, sul dolo nei reati ambientali sia consentito rinviare a C. Ruga Riva, Dolo e colpa nei reati ambientali. Considerazioni su precauzione, dolo eventuale ed errore, in www.penalecontemporaneo.it.
19 Cass., Sez. Un., 24 aprile 2014, Espenhahn, n. 38343, in www.penalecontemporaneo.it; per l’applicazione di tali criteri alla materia ambientale v. C. Ruga Riva, Dolo e colpa nei reati ambientali, cit., 18 ss.
20 Non vi è spazio per approfondire un tema tanto complesso; per maggiori approfondimenti sia consentito rinviare a C. Ruga Riva, Il caso Ilva: profili penali-ambientali, in www.lexambiente.it, par. 4.
21 Nello stesso senso P. Molino, Rel. n. III, cit., 8 s., il quale peraltro giustamente segnala come potrebbe imporsi una lettura diversa in relazione a reati ambientali sottostanti che si concretizzano in condotte formali (es. esercizio di attività in mancanza di autorizzazione), laddove si valorizzi la natura plurioffensiva di tali reati (contro l’ambiente e le funzioni di pianificazione e controllo della p.a.). Non riterrei viceversa assorbita la fattispecie di omessa bonifica (art. 257 t.u.a.), la quale da un lato viene ritenuta sanzionare un danno, e dall’altra è imperniata anche e soprattutto sull’inosservanza del progetto approvato di bonifica, elemento del tutto estraneo all’inquinamento ambientale.