Cass. Sez. III n.39603 del 28 ottobre 2024 (UP 3 ott 2024)
Pres. Ramacci Rel. Aceto Ric. Izzo
Beni culturali.Art. 518-duodecies primo comma c.p. e continuità normativa con art. 635, secondo comma n. 1 c.p.
I fatti di danneggiamento ai danni di beni di interesse storico o artistico consumati dopo il 6 febbraio 2016, costituivano già ipotesi autonoma di reato (in continuità normativa con la precedente ipotesi aggravata) sicché il loro ricollocamento nel titolo VIII-bis del Libro II del codice penale non ha prodotto alcuna discontinuità del medesimo precetto penale che è stato solo estrapolato dalla precedente norma e spostato nell’ambito dei delitti contro il patrimonio culturale, costituendone specifica modalità di aggressione. L’unico elemento di novità introdotto dall’art. 518-duodecies, primo comma, cod. pen., è costituito dalla incriminazione della condotta (estranea al testo dell’art. 635 cod. pen.) del rendere non fruibili i beni culturali, propri o altrui; nel resto, la fattispecie incriminatrice è in tutto e per tutto sovrapponibile alle condotte tipizzate dal reato di cui all’art. 635, secondo comma, cod. pen. sicché tra le due fattispecie intercorre un rapporto di specialità per aggiunta perché il reato di cui all’art. 518-undecies cod. pen. è speciale per l’oggetto (i beni culturali) rispetto al reato di cui all’art. 635 comma primo cod. pen., allo stesso modo, del resto, con cui la precedente fattispecie aggravata della norma si poneva in rapporto di specialità (e continuità) con la fattispecie base. Sicché, in caso di abrogazione dell’art. 518-duodecies cod. pen., le relative condotte sarebbero comunque punibili ai sensi dell’art. 635, comma primo, cod. pen., salva - come detto - l’ipotesi del rendere non fruibili i beni culturali che costituisce una assoluta novità.
RITENUTO IN FATTO
1. Raffaele Izzo ricorre per l’annullamento della sentenza del 31 gennaio 2024 della Corte di appello di Napoli che, in riforma della sentenza del 20 settembre 2021 del Tribunale di Torre Annunziata, pronunciata all’esito di giudizio ordinario e da lui impugnata, ha dichiarato non doversi procedere per i reati di cui agli artt. 349 e 733 cod. pen. e 175 d.lgs. n. 42 del 2004 perché estinti per prescrizione e, qualificati i reati di cui ai capi 1 e 6 ai sensi dell’art. 518 undecies cod. pen., ha rideterminato la pena nella misura di due anni e sei mesi di reclusione, ha revocato la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
1.1. Con il primo motivo deduce l’erronea qualificazione dei fatti di cui all’abrogato art. 176 d.lgs. n. 42 del 2004 ai sensi dell’art. 518 undecies cod. pen., non essendovi continuità normativa tra le due fattispecie. Ne consegue, afferma, che tale ultima norma non solo non è applicabile ma non può essere nemmeno oggetto di prova, né suscettibile di applicazione retroattiva.
1.2. Con il secondo motivo deduce la inutilizzabilità dei risultati delle indagini preliminari protrattesi oltre il termine di sei mesi dalla data di iscrizione della notizia di reato senza che il Gip avesse concesso la proroga, peraltro nemmeno richiesta.
2. Con memoria trasmessa telematicamente il 17 settembre 2024, il Ministero della Cultura - Soprintendenza Beni Archeologici di Pompei, costituito parte civile rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile o sia comunque rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. I residui capi 1 e 6 della rubrica imputano al ricorrente il delitto di danneggiamento di siti archeologici rubricato ai sensi dell’art. 635, comma secondo, n. 3 cod. pen.
2.1. All’epoca della consumazione dei reati (dal 2014 al mese di agosto dell’anno 2017) la norma così recitava:
«1. Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 309.
2. La pena è della reclusione da sei mesi a tre anni, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso: …n. 3) su edifici pubblici o destinati a uso pubblico o all'esercizio di un culto o su cose di interesse storico o artistico ovunque siano ubicate o su immobili compresi nel perimetro dei centri storici ovvero su immobili i cui lavori di costruzione, di ristrutturazione, di recupero o di risanamento sono in corso o risultano ultimati, o su altre delle cose indicate nel numero 7 dell'articolo 625».
2.2. Per effetto di successive modifiche normative la circostanza aggravante è stata trasformata in reato autonomo, previsto e sanzionato dal numero 1, secondo comma, dello stesso art. 635.
2.3. In particolare, per effetto delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016, la pena della reclusione prevista dal primo comma dell’art. 635 è stata aumentata da sei mesi a tre anni, stessa pena precedentemente prevista per le circostanze aggravanti, laddove queste ultime sono state trasformate, a loro volta, in reato autonomamente punito dal secondo comma con la medesima pena (nel senso che sussiste continuità normativa tra la nuova disposizione e le previgenti fattispecie aggravate di cui all’art. 635 cod. pen., in quanto dette aggravanti, pur essendo ora elementi costitutivi del reato, rientrano nel modello legale del tipo di illecito con riferimento sia alla precedente che all'attuale formulazione normativa, Sez. 2, n. 37417 del 12/11/2020, Riccio, Rv. 280464 - 01; Sez. 2, n. 28360 del 26/05/2017, Di Sarno, Rv. 271002 - 01; Sez. 3, n. 15460 del 10/02/2016, Ingegneri, Rv. 267824 - 01; Sez. 2, n. 10208 del 16/02/2024, Lilliu, non mass. sul punto; Sez. 2, n. 21775 del 23/02/2022, Ferlito, non mass. sul punto; Sez. 2, n. 42401 del 17/06/2021, Lupano, non mass. sul punto).
2.4. La norma è rimasta invariata, per la parte di interesse, fino all’entrata in vigore della legge 9 marzo 2022, n. 22;
2.5. L’art. 1, comma 1, lett. b), legge 9 marzo 2022, n. 22, recante «Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale» ed entrata in vigore il 23 marzo 2022, ha aggiunto, nel libro II del codice penale, il Titolo VIII-bis: “Dei delitti contro il patrimonio culturale” e gli articoli, in esso contenuti, dal 518-bis al 518-undevicies, attribuendo al patrimonio culturale una autonoma oggettività giuridica.
2.6. In particolare, l’art. 518-duodecies (Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici) punisce con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 2.500 a euro 15.000 chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili beni culturali o paesaggistici propri o altrui; il secondo comma punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 1.500 a euro 10.000 chiunque, fuori dei casi di cui al primo comma, deturpa o imbratta beni culturali o paesaggistici propri o altrui, ovvero destina beni culturali a un uso incompatibile con il loro carattere storico o artistico ovvero pregiudizievole per la loro conservazione o integrità (l’art. 2, legge n. 6 del 2024, ha modificato il precetto inserendo le parole: “ove previsto” prima di “non fruibili”).
2.7. L’art. 5, comma 1, legge n. 22 del 2022 ha contestualmente soppresso le parole: «o cose di interesse storico o artistico ovunque siano ubicate» contenute nell’art. 635, comma secondo, n. 1), cod. pen.
2.8. Il ricorrente ne trae argomento per sostenere l’abrogazione del reato a lui contestato e il divieto di applicazione retroattiva del nuovo art. 518-duodecies cod. pen.
2.9. Il rilievo è manifestamente infondato.
2.10. Per un primo profilo, la condotta contestata al ricorrente integrava, fino al 6 febbraio 2016, l’ipotesi aggravata (per l’oggetto) del reato di cui all’art. 635 cod. pen., sicché l’eliminazione delle parole: «o cose di interesse storico o artistico ovunque siano ubicate», avrebbe semmai reso punibile la condotta ai sensi del primo comma della fattispecie incriminatrice, non l’avrebbe di certo resa penalmente irrilevante.
2.11. Sotto altro, ma ben più pregnante profilo, è evidente che la fattispecie di nuovo conio non ha affatto modificato il precetto (semmai l’ha ampliato, come si vedrà) pur aggravando la pena.
2.12. Ed invero, i fatti di danneggiamento ai danni di beni di interesse storico o artistico consumati dopo il 6 febbraio 2016, costituivano già ipotesi autonoma di reato (in continuità normativa con la precedente ipotesi aggravata) sicché il loro ricollocamento nel titolo VIII-bis del Libro II del codice penale non ha prodotto alcuna discontinuità del medesimo precetto penale che è stato solo estrapolato dalla precedente norma e spostato nell’ambito dei delitti contro il patrimonio culturale, costituendone specifica modalità di aggressione.
2.13. L’unico elemento di novità introdotto dall’art. 518-duodecies, primo comma, cod. pen., è costituito dalla incriminazione della condotta (estranea al testo dell’art. 635 cod. pen.) del rendere non fruibili i beni culturali, propri o altrui; nel resto, la fattispecie incriminatrice è in tutto e per tutto sovrapponibile alle condotte tipizzate dal reato di cui all’art. 635, secondo comma, cod. pen. sicché tra le due fattispecie intercorre un rapporto di specialità per aggiunta perché il reato di cui all’art. 518-undecies cod. pen. è speciale per l’oggetto (i beni culturali) rispetto al reato di cui all’art. 635 comma primo cod. pen., allo stesso modo, del resto, con cui la precedente fattispecie aggravata della norma si poneva in rapporto di specialità (e continuità) con la fattispecie base.
2.14. Sicché, in caso di abrogazione dell’art. 518-duodecies cod. pen., le relative condotte sarebbero comunque punibili ai sensi dell’art. 635, comma primo, cod. pen., salva - come detto - l’ipotesi del rendere non fruibili i beni culturali che costituisce una assoluta novità.
2.15. Vi è dunque perfetta continuità normativa tra la fattispecie di reato aggravata di cui all’art. 635, cpv., n. 1) cod. pen., relativamente alle cose di interesse storico o artistico, il successivo reato autonomo di cui al secondo comma del medesimo art. 635 cod. pen., e la fattispecie di reato di cui all’art. 518-duodecies cod. pen., fatta salva l’ipotesi del rendere inservibili i beni culturali che costituisce, come detto, ipotesi del tutto nuova.
2.16. Si tratta di una ipotesi peculiare di abrogatio sine abolitione perché, in realtà, il delitto di danneggiamento di beni culturali non è stato abrogato bensì ricollocato altrove nell’ambito del medesimo corpo normativo, sicché quel che rileva, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen., è solo il trattamento sanzionatorio.
2.17. La pena per il reato di danneggiamento aggravato di cose di interesse storico o artistico era punito, all’epoca dei fatti, con la reclusione da sei mesi a tre anni; il delitto di cui all’art. 518-duodecies cod. pen. è punito con la pena della reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 2.500 a euro 15.000.
2.18. La Corte di appello ha applicato, per detto reato, la medesima pena di due anni e sei mesi di reclusione e della multa di 800 euro di multa determinata in primo grado nell’ambito della forbice edittale prevista per il delitto di cui all’art. 635, secondo comma, cod. pen.
2.19. Di qui la assoluta infondatezza del primo motivo.
3. Il secondo motivo è inammissibile per genericità.
3.1. Sostiene il ricorrente: a) il 3 marzo 2017 era stata iscritta la notizia di reato a suo carico; b) il 19 luglio 2017 l’iscrizione era stata aggiornata con l’aggiunta del reato di ricettazione di cui all’art. 648 cod. pen.; c) il 6 febbraio 2018 il Pubblico ministero aveva chiesto la proroga del termine per le indagini preliminari specificando, a domanda del Gip, che la richiesta riguardava il solo delitto di ricettazione, essendo i termini già scaduti per gli altri reati.
3.2. La Corte di appello afferma, al contrario, che la richiesta di proroga riguardava tutti i reati per i quali era stato iscritto il ricorrente, essendo irrilevante l’assoluzione dal reato di ricettazione.
3.3. Il ricorrente se ne duole deducendo il sostanziale travisamento del provvedimento del Gip che, però, in violazione dell’onere di autosufficienza del ricorso non allega, trattandosi di atto non inserito nel fascicolo del dibattimento.
3.4. In ogni caso, quando il ricorso per cassazione lamenta l'inutilizzabilità di un elemento di prova a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l'incidenza dell'eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta "prova di resistenza", in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l'identico convincimento (Sez. 2, n. 30271 dell’11/05/2017, De Matteis, Rv. 270303 - 01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218 - 01; Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, Calabrese, Rv. 262011 - 01; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452 - 01).
3.5. Dalla lettura della sentenza di primo grado risulta l’utilizzazione, in senso accusatorio, di numerose prove documentali e dichiarative molte delle quali (in particolare le prove documentali) acquisite ben prima della scadenza del termine semestrale decorrente dal 3 marzo 2017 (che scadeva il 2 ottobre di quello stesso anno tenuto conto del periodo di sospensione feriale dei termini); quanto alle prove dichiarative, la sanzione della inutilizzabilità sterilizza la possibilità di utilizzare, sia ai fini della loro lettura che ai fini delle contestazioni, i verbali delle dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari, non già la prova formata nel dibattimento, nel contraddittorio tra le parti.
3.6. Il ricorrente si sottrae all’onere di vincere la prova di resistenza, rendendo le proprie doglianze del tutto generiche sul punto.
4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., essendo essa ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente nella misura di € 3.000,00. Il Collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. 1, comma 64, legge n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopra indicate.
Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute nella presente fase di giudizio dalla parte civile liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l'imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.686, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 03/10/2024.