Il nuovo disastro ambientale: dal legislatore ermetico al legislatore logorroico
di Carlo RUGA RIVA
1. Prima e dopo la riforma del 2015
Il nostro ordinamento penale, prima dell’introduzione dell’art. 452-quater ad opera della l. n. 68/2015, non conosceva una specifica fattispecie legale di disastro ambientale.
Come noto, esisteva (e sopravvive) il delitto di disastro c.d. innominato (art. 434 c.p. nella forma dolosa, art. 449 c.p. nella forma colposa), che l’ermetico legislatore del 1930 aveva connotato con un unico aggettivo: “altro”, laddove l’alterità era postulata rispetto ai c.d. disastri tipici (ferroviario, aviatorio ecc.).
La giurisprudenza, negli ultimi decenni, ha riempito di contenuto tale formula vaga e programmaticamente aperta, giungendo ad una concretizzazione (o secondo i numerosi critici ad una creazione1) della nozione di disastro ambientale riassumibile in questa definizione: “accadimento di dimensioni straordinarie atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi, e idoneo a causare un pericolo per la vita o l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone”2.
Può anzi dirsi che in tutti i più importanti processi penali ambientali si è contestato e si contesta il (e/o talvolta si è condannato per) disastro ambientale, in passato nella forma colposa (Icmesa di Seveso, Petrolchimico di Porto Marghera) e negli ultimi anni, sempre più spesso, in forma dolosa (Enel di Porto Tolle, Isochimica, Tirreno Power, Eternit, Ilva, Tamoil Cremona, discarica di Bussi, sito di Spinetta Marengo), con esiti peraltro non di rado assolutori o di riqualificazione dei fatti in senso più favorevole agli imputati.
La Corte costituzionale, nel respingere una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4343 (sub specie disastro ambientale) ha sì salvato tale figura giurisprudenziale, ma al contempo ha ammonito il legislatore affinché intervenisse con una figura ad hoc, ritagliata sulla peculiare fenomenologia delle gravi contaminazioni ambientali.
Anche la Direttiva 2008/99 CE richiedeva agli Stati membri di incriminare, tra l’altro (art. 3, lett. a.) “lo scarico, l’emissione o l’immissione illeciti di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti nell’aria, nel suolo o nelle acque che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora”.
La fattispecie penale-ambientale europea, invero, si pone a metà strada tra quelle nostrane di inquinamento e disastro ambientale; più propriamente tende a sovrapporsi in larga misura, pur con alcune differenze, a quella di inquinamento aggravato da morti o lesioni (art. 452-ter) che infatti è mal coordinata con il delitto di disastro ambientale.
In particolare, la fattispecie europea non allude agli effetti disastrosi dell’inquinamento, ma a danni rilevanti alla qualità delle matrici ambientali o, in alternativa, a contaminazioni che provochino o possano provocare morti o lesioni gravi.
Insomma il legislatore italiano ha sì seguito gli auspici della Corte costituzionale, costruendo una nuova fattispecie ad hoc di disastro (appunto) ambientale, ma ha sdoppiato la fattispecie europea di grave contaminazione ambientale in due distinte (e mal coordinate) fattispecie, ovvero gli artt. 452-ter e 452-quater c.p.
L’art. 452-quater, rubricato disastro ambientale, incrimina, fuori dei casi previsti dall’art. 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale, come definito ai punti 1) 2 e 3), che analizzeremo a breve4.
1.1. La clausola di riserva e il rapporto con l’art. 434 c.p.
La disposizione si apre con la clausola di riserva “fuori dei casi previsti dall’art. 434 c.p.”, che fa salva l’applicazione dell’art. 434 c.p., onde scongiurare, nelle intenzioni del legislatore, ipotesi di parziale abolitio criminis rispetto a fatti di grave contaminazione ambientale non rientranti nello schema legale dell’art. 452-quater.
In effetti la fattispecie di disastro innominato utilizzata fino ad oggi per reprimere gravi fatti di contaminazione ambientale non coincide con la nuova fattispecie di disastro ambientale.
La “vecchia” fattispecie (art. 434, co. 2 c.p.) esige un doppio evento: un primo naturalistico (accadimento di dimensioni straordinarie, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi per l’ambiente) ed un secondo giuridico (per chi accolga tale controversa categoria) e di pericolo (idoneità a causare un pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone, e cioè per l’incolumità pubblica).
La nuova fattispecie (art. 452-quater c.p.) tipizza più analiticamente l’evento disastroso per l’ambiente, e lo pone in alternativa alla offesa alla pubblica incolumità, la quale dunque non è più elemento costitutivo della fattispecie (non rispetto all’art. 452-quater co. 1, n. 1 e n. 2, ma solo rispetto al n. 3).
I requisiti della irreversibilità dell’equilibrio di un ecosistema o della alterazione la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali risultano più stringenti della precedente definizione giurisprudenziale di disastro.
Anche la struttura delle fattispecie è diversa: l’art. 434 co. 1 contempla una figura di attentato, incriminando atti diretti a provocare un disastro.
L’art. 452-quater c.p. prevede una fattispecie di evento (disastro verificatosi), paragonabile strutturalmente all’art. 434, co. 2 c.p. (e all’art. 449 c.p.)
L’art. 452-quinquies, co. 2, incriminando la causazione del pericolo di disastro, non è viceversa pienamente paragonabile all’art. 434, co. 1 c.p., che come visto è strutturato in forma di delitto di attentato.
Anche le pene previste dagli artt. 434, co. 2 e 452-quater c.p. differiscono: da 3 a 12 anni nel primo caso, da 5 a 15 nel secondo.
Laddove l’agente tenga condotte idonee a causare un disastro, senza che questo avvenga, dovrebbe ritenersi applicabile, ricorrendone i requisiti, il tentativo di disastro ambientale (artt. 56 e 452-quater c.p.), punito con la pena prevista da quest’ultimo articolo, diminuita da 1/3 a 2/3, ovvero con una pena che oscilla tra i 20 mesi e 10 anni, più alta di quella prevista per il delitto di cui all’art. 434, co. 1 c.p. (da 1 a 5 anni).
E’ inoltre punibile la causazione colposa di un pericolo di disastro ambientale (art. 452-quinquies c.p., cfr. infra, 2).
Il legislatore della riforma, con la clausola di riserva in commento, ha voluto evitare effetti di discontinuità normativa, salvaguardando i processi in corso per disastro innominato, anche qualora, in ipotesi, non rientranti nella descrizione del fatto tipizzato dall’art. 452-quater.
Si pensi ad es. alle ipotesi oggi rientranti nell’art. 434, co. 1 c.p., ovvero di atti diretti a causare un pericolo di disastro ambientale (cfr. condanna nel procedimento penale Enel di Porto Tolle5), nella misura in cui si ritengano cogliere modalità e stadi di offesa diversi dall’attuale tentativo di disastro ambientale (artt. 56 e 452-quater c.p), il quale ultimo implica l’univocità degli atti e la cui compatibilità con il dolo eventuale appare controversa, stando almeno alla giurisprudenza che ritiene il dolo eventuale incompatibile con il tentativo.
Oppure si pensi a casi di contaminazione non irreversibile, o ad alterazioni la cui eliminazione sia conseguibile con provvedimenti non eccezionali, che potrebbero rientrare nell’art. 434 co. 2 ma non nell’art. 452-quater c.p.
In altre parole la clausola di riserva in commento sembra consentire l’applicazione della figura generale del disastro innominato tutte le volte in cui il disastro verificatosi in ambito ambientale non integra i requisiti specializzanti di cui all’art. 452-quater.
La clausola non riguarda dunque un medesimo fatto6, astrattamente ricadente in entrambe le fattispecie.
Si tratta cioè di casi che non rientrano nello spettro applicativo della nuova fattispecie, ma solo della vecchia.
La clausola a rigore è dunque superflua7: ha il senso “pedagogico” di ricordare all’interprete che ciò che non rientra nel nuovo delitto potrebbe rientrare nella fattispecie generale del disastro innominato; e di sottolineare che non vi è stata alcuna abolitio criminis.
Al di là delle intenzioni del legislatore, appare discutibile che nell’ordinamento convivano due ipotesi di disastro ambientale, specie se si pensa che la prima, di fonte largamente giurisprudenziale, nasceva con una non dissimulata funzione residuale e supplettiva (“altro disastro”), che mal si concilia con una fattispecie successiva, specificamente ritagliata, come richiesto dalla Corte costituzionale, sulla fenomenologia peculiare della grave contaminazione ambientale.
Analoga clausola “di salvaguardia” non è prevista nell’ipotesi colposa.
Tuttavia, laddove non vi sia spazio per la norma speciale dovrebbe comunque, in base ai principi generale, trovare applicazione la norma generale (qui l’art. 449 c.p.), ove ne ricorrano ovviamente i requisiti.
1.2. Cosa vuol dire abusivamente?
Il disastro penalmente rilevante è solo quello causato “abusivamente”.
Identica clausola compare nei delitti di inquinamento ambientale e di traffico di materiale ad alta radioattività.
L’avverbio è stato da taluno aspramente avversato, ritenendosi paradossale, a contrario, immaginare un disastro autorizzato; si è inoltre paventato che la clausola sia troppo restrittiva, finendo con il circoscrivere la rilevanza penale alle sole condotte “clandestine”, con eccezione cioè dei disastri causati nell’ambito di attività autorizzate8.
La formula “abusivamente”, a mio avviso, mira condivisibilmente a delimitare l’ambito del rischio consentito.
Posto che ogni attività industriale inquina, tanto o poco, e che per la gran parte delle sostanze tossiche e cancerogene non è individuabile (o non è ad oggi noto) il livello sotto il quale possono escludersi effetti negativi sull’ambiente e/o la salute, il legislatore penale subordina la punibilità di condotte oggettivamente inquinanti alla violazione delle norme di legge o delle prescrizioni contenute nei titoli abilitativi9.
“Abusivamente” non significa allora “clandestinamente”, ma, più ampiamente, vuol dire in violazione di norme di legge statale o regionale (in materia di ambiente, di igiene e sicurezza sul lavoro, di urbanistica, di salute pubblica ecc.) o in violazione di prescrizioni amministrative.
Tale formula venne espressamente richiesta da alcune associazioni ambientaliste,10 in sostituzione di quella originariamente votata alla Camera, ritenuta troppo restrittiva, “in violazione di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, specificatamente poste a tutela dell’ambiente e la cui inosservanza costituisce di per sé illecito penale o amministrativo”.
Ciò perché, come già rilevato in dottrina11, l’ultima formula avrebbe rischiato di escludere dall’ambito di rilevanza penale disastri causati da violazione non strettamente ambientali, ad es., di normative sulla igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro (emblematico il caso Eternit, ove il disastro innominato doloso venne causato in violazione delle norme sulle polveri, finalizzate a tutelare la salute dei lavoratori).
Su tale interpretazione convergono anche l’interpretazione conforme al diritto europeo e l’attuale giurisprudenza su identico requisito contenuto nella fattispecie di traffico organizzato di rifiuti (art. 260 t.u.a.)12.
Quanto al raffronto con il diritto europeo, la Direttiva 2008/99 CE, che ha tardivamente ispirato il nostro legislatore13, chiede di incriminare (art. 3) talune condotte “illecite” che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell’aria, alla qualità del suolo o alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora.
Anche la giurisprudenza sull’art. 260 t.u.a. avalla l’interpretazione qui proposta14.
Abusivamente vuol dire anche nell’ambito di attività produttiva autorizzata, ma in violazione sostanziale delle prescrizioni ivi dettate; o più generalmente in violazione di qualsiasi norma contenuta nella vasta disciplina di settore o in altre limitrofe (ad es. in tema di governo del territorio, paesaggio, igiene e salute sui luoghi di lavoro, incolumità pubblica).
Una clausola di illiceità speciale, insomma, equivalente a “illecitamente”, a contra jus.
Potrà trattarsi anche della violazione di norme penali diverse da quella in esame: si pensi al terrorista che manometta cisterne di gasolio o di gas entrando abusivamente in un domicilio privato, sabotandole e compiendo un attentato.
Insomma, il legislatore non incrimina qualunque grave contaminazione ambientale, ma solo quelle conseguenti a condotte che fuoriescono dall’ambito del rischio consentito, perimetrato dal rispetto delle norme di legge e delle pertinenti prescrizioni amministrative.
Una scelta a mio avviso in linea con la Direttiva 2008/99 CE ed opportuna in sé: in uno stato di diritto basato sulla suddivisione dei poteri, spetta al potere legislativo e al potere esecutivo (alla pubblica amministrazione) decidere quali siano i livelli di inquinamento tollerabili in nome di altri interessi e valori confliggenti (produzione, occupazione, ecc.), individuando punti di equilibrio reputati socialmente accettabili.
Certo, non possono escludersi situazioni patologiche in cui le autorizzazioni o le prescrizioni siano frutto di condotte penalmente rilevanti (abuso di ufficio, corruzione), ma in tal caso la giurisprudenza penale conosce da tempo strumenti (prima la c.d. disapplicazione, oggi lo strumento funzionalmente equivalente della verifica, da parte del giudice penale, della conformità della attività formalmente assentita alle regole di settore15) idonei a incriminare fatti solo apparentemente realizzati conformemente al diritto.
Così, ad esempio, la fissazione di valori soglia inidonei alla tutela dell’ambiente e/o della salute può d’altra parte ricadere, ove ne ricorrano i presupposti (ove frutto di collusione tra pubblici funzionari e privati beneficiari in presenza di chiari dati scientifici contrari a quelli cristallizzati in legge e noti alle parti), nell’ambito di applicazione, a seconda dei casi, delle fattispecie di abuso di ufficio o di corruzione.
1.3. Gli eventi costitutivi del disastro
Il disastro ambientale, oggetto di analitica definizione, si impernia sulla causazione abusiva (cfr. supra, 1.2.) di tre distinti eventi, tra loro alternativi: i primi due, di danno16, riguardanti l’ambiente, e segnatamente l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema (n. 1), l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (n. 2); l’altro, di pericolo, riguardante l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi, ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo (n. 3).
La ricca aggettivazione (“irreversibile” “onerosa” “eccezionali”) e gli avverbi impiegati (“particolarmente”) dimostrano lo sforzo del legislatore di caratterizzare con precisione la fisionomia del disastro ambientale.
Del resto la norma europea di riferimento richiedeva l’incriminazione di danni “rilevanti per l’ambiente”.
Tuttavia, come evidente, si tratta di formule linguistiche di notevole vaghezza, che non sembrano fornire un contributo in termini di precisione migliore rispetto alla definizione giurisprudenziale elaborata dalla giurisprudenza sugli artt. 434 e 449 c.p.
Le definizioni contenute nei nn. 1) e 2) chiamano in causa l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema, rispettivamente irreversibili o la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali.
Si tratta di eventi il cui accertamento sembra implicare complesse valutazioni scientifiche (l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema) e altrettanto complesse valutazioni tecnico-economiche (ad esempio in relazione ai costi di bonifica, alla fattibilità operativa dei ripristini ecc.), patrimonio tipico di conoscenze settoriali extragiuridiche.
Il giudice dovrà verosimilmente servirsi del sapere di periti, nel quadro di dispute tecnico-scientifiche che si prefigurano accese.
Tra l’altro l’ecologia è scienza relativamente giovane, interdisciplinare e particolarmente complessa.
A tali difficoltà epistemologiche si aggiunga che l’alterazione dell’equilibrio ecologico presuppone la possibilità di comparare una situazione antecedente ed una successiva all’evento di contaminazione oggetto di imputazione; circostanza tutt’altro che scontata, ben potendosi immaginare che non siano sempre disponibili studi e dati antecedenti a successivi fenomeno di contaminazione.
E’ vero che nell’ultima versione è venuto meno il riferimento alla situazione preesistente;17 tuttavia il concetto di alterazione (in pejus) presuppone, ci sembra, una situazione di peggioramento tangibile per l’equilibrio ecologico preesistente, che trae con sé necessariamente il raffronto con la situazione pregressa.
L’alterazione rilevante ai sensi dell’art. 452-quater n. 1) deve essere “irreversibile”.
L’aggettivo implica una prognosi circa l’impossibilità di ripristinare l’equilibrio ecologico alterato dalla contaminazione: prognosi tutt’altro che agevole, stante come ricordato la complessità del sapere ecologico e la molteplicità delle variabili in gioco.
Le difficoltà di accertamento circa l’irreversibilità dell’alterazione non vanno comunque drammatizzate, posto che, a ben vedere, si tratta di evento non necessario.
Infatti, integra il disastro anche l’alterazione non irreversibile, purché la sua eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali (art. 452-quater, n. 2).
Tale ultima formula serve anzitutto a delimitare la fattispecie di disastro ambientale da quella di inquinamento ambientale: quest’ultimo verrà integrato da contaminazioni le cui alterazioni siano eliminabili con costi non particolarmente onerosi e con provvedimenti non eccezionali.
Sennonché le formule linguistiche utilizzate nell’art. 452-quater, n. 2) sono un condensato di vaghezza: eliminazione dell’alterazione particolarmente onerosa; provvedimenti eccezionali.
Ora, la particolare onerosità dei costi di ripristino e bonifica può essere intesa oggettivamente (costi in assoluto) o soggettivamente, e cioè a seconda delle disponibilità economiche dell’inquinatore.
Considerato che vari soggetti (proprietario incolpevole, enti pubblici) hanno facoltà di bonifica in caso di inerzia dell’inquinatore, sembra preferibile ritenere che l’onerosità vada interpretata in senso oggettivo, e non in rapporto alle condizioni economiche dell’autore dell’inquinamento.
Resta però vero che non sembra reperibile un parametro di riferimento sufficientemente certo e quantificabile: particolarmente oneroso rispetto alla media dei costi storici di bonifica (calcolati su quale periodo, rispetto a quali contaminazioni più o meno paragonabili?) o ripristino per casi analoghi.
Insomma, la disposizione è assai vaga ed è prevedibile verrà riempita dalla giurisprudenza con i contenuti più diversi, legati alla logica del caso per caso.
Analoga imprecisione affligge la formula “provvedimenti eccezionali”, non facilmente distinguibile dalla precedente relativa ai costi di ripristino e bonifica.
La parola “provvedimenti” parrebbe evocare misure giuridico-amministrative straordinarie ( strumenti giuridici ad hoc quali finanziamenti statali o locali straordiari oggetto di apposite delibere).
In alternativa all’evento di disastro per l’equilibrio ecologico l’art. 452-quater n. 3) tipizza un nebuloso evento di offesa per l’incolumità pubblica, “in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo”.
La descrizione di questo terzo evento è al tempo stesso tortuosa e opaca.
Se si legge solo l’art. 452-quater, n. 3), isolatamente, potrebbe a tutta prima sembrare che la disposizione incrimini un fatto di offesa alla incolumità pubblica tout court, senza alcun riferimento alla contaminazione ambientale18.
Tale interpretazione è da scartare, posto che il “fatto” cui allude l’art. 452-quater, n. 3) è pur sempre un fatto di grave contaminazione come risulta anche dalla rubrica della disposizione e dalla menzione del “fatto” nel corpo del n. 3).
Sennonché se per fatto si alludesse al fatto di contaminazione ambientale causativo degli eventi di alterazione di cui ai nn. 1 e 2 la disposizione in commento non avrebbe senso, posto che non integrerebbe un disastro alternativo bensì aggiuntivo a quello tipizzato nei primi due numeri.
Piuttosto, sembra che il termine “fatto” sia assunto come evento di contaminazione delle matrici ambientali, diverso da quello di cui ai nn. 1 e 2, caratterizzato (primo periodo) dalla rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi per l’ambiente19.
Insomma, si tratta di un terzo evento in senso naturalistico, distinto dai primi due e che, diversamente dai precedenti tipizzati nello stesso articolo, deve offendere (anche) la pubblica incolumità.
L’evento di cui all’art. 452-quater n. 3) è a sua volta sdoppiato: il secondo periodo del n. 3) menziona infatti (anche) la “rilevanza del fatto…. per il numero delle persone offese o esposte a pericolo”.
Questa formula pone seri problemi di interpretazione, in sé e nei rapporti con la fattispecie di inquinamento aggravato da morti o lesioni.
In base alla interpretazione letterale più piana la formula “…persone offese o esposte a pericolo” sembrerebbe alludere sia a morti e lesioni (“persone offese”) che a persone esposte a pericolo, posto che le due categorie sono separate dalla disgiuntiva “o”20. Tuttavia tale interpretazione non sembra da accogliersi per varie ragioni. Sul piano sistematico il delitto in esame è punito con pena da cinque a quindici anni: una pena (relativamente) bassa per una causazione dolosa di morti o lesioni e, soprattutto, inferiore a quella del meno grave delitto di inquinamento doloso aggravato da eventi di morti o lesioni colposamente causati, la cui pena (in caso di più morti o più lesioni) può arrivare fino a 20 anni di reclusione.
In secondo luogo si tratta, come specificato dall’incipit dell’art. 452-quater, n. 3), di un evento di “offesa alla pubblica incolumità”, e non alla integrità fisica. Ciò in linea con la tradizionale formula “reati contro la pubblica incolumità”, che non comprende lesioni e morti effettivi21, bensì meri pericoli per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone. Ancora, “la rilevanza del fatto….per il numero di persone offese o esposte a pericolo” sembra costituire un indice probatorio dell’unico requisito sostanziale “offesa alla pubblica incolumità”, come si evince dalla formula “….offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per….”. Del resto, e ragionando a contrario, ove il legislatore ha inteso punire morti o lesioni lo ha fatto espressamente, come appunto nell’art. 452-ter.
In definitiva si può ipotizzare che il lemma “persone offese o esposte a pericolo” costituisca una endiadi, o al più comprenda messe in pericolo di un numero sia indeterminato che determinato di persone, ma non alluda in ogni caso a morti o lesioni effettive.
1.4. Il dolo di disastro
Il dolo di disastro ambientale consiste nella coscienza e volontà di cagionare uno dei tre eventi tipizzati in alternativa, unitamente alla consapevolezza e volontà di agire abusivamente (cfr. supra, 1.2.), ovvero in contrasto con normative di settore (o comunque contra ius) o in difformità dalle prescrizioni contenute nell’autorizzazione.
Rileva anche il dolo eventuale, ovvero la consapevolezza e volontà di agire abusivamente e la rappresentazione di uno degli eventi di disastro come possibile conseguenza della condotta, accompagnata dall’atteggiamento di adesione all’evento (di presa di posizione volontaristica), da ricostruire secondo gli indici probatori suggeriti dalla Cassazione a Sezioni Unite Espenhahn, opportunamente adattati al contesto ambientale.22
1.5. Consumazione e natura permanente o istantanea
Il delitto si consuma, alternativamente, con il verificarsi di uno dei tre eventi indicati ai nn. 1, 2 e 3, ovvero con l’alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema, o con quella la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali o, infine, con il verificarsi dell’offesa alla pubblica incolumità. Fin tanto che la contaminazione, pur grave, non abbia comportato effetti irreversibili, o comunque di onerosa eliminazione, il fatto sarà punibile come tentativo di disastro ambientale23. La formulazione del nuovo delitto ambientale non risolve la controversa questione della natura del reato (permanente ovvero istantaneo ad effetti eventualmente permanenti); aderendo alla tesi giurisprudenziale tradizionale, ribadita nel caso Eternit, il permanere dell’offesa deve accompagnarsi al permanere della condotta24; sicché la permanenza cesserebbe con la chiusura dell’attività produttiva inquinante, e da tale momento inizierebbero a decorrere i termini di prescrizione.
Una parte della dottrina25, valorizzando le peculiarità degli eventi di danno (e trascurando la condotta) ha sostenuto trattarsi di reato permanente, almeno nei casi di contaminazione dell’aria e delle acque tramite percolamento di sostanze dal terreno, posto che in questi casi l’evento sarebbe differito nel tempo rispetto all’immissione di sostanze inquinanti nel suolo; il delitto sarebbe istantaneo solo nel caso di contaminazione diretta del suolo.
Questa tesi è suggestiva, posto che dà conto del peculiare dinamismo che caratterizza i fenomeni di inquinamento; tuttavia non sembra idonea a confutare l’orientamento più tradizionale (e generale), il quale a torto o a ragione esige che il protrarsi dell’offesa dipenda dal protrarsi della condotta (o dall’inerzia in presenza di obblighi giuridici di impedimento dell’evento)26.
1.6. Problemi di diritto intertemporale
Per quanto concerne il tema della successione della legge penale nel tempo occorre distinguere.
Ai disastri causati da condotte tenutesi e i cui effetti si siano cristallizzati prima della entrata in vigore della nuova legge che astrattamente ricadano anche nel nuovo art. 452-quater, si applicherà la vecchia disciplina dell’art. 434 c.p., più favorevole quanto a cornici edittali e termini di prescrizione, salvo sia in concreto applicabile l’attenuante del ravvedimento operoso che, ad una valutazione globale, potrebbe rendere la nuova disciplina più favorevole.
Nei casi di condotta inquinante arrestatasi prima della entrata in vigore della legge n. 68/2015, ma i cui effetti proseguano oltre, dovrebbe valere identica soluzione, almeno stando alla giurisprudenza ribadita nel caso Eternit27: anche in tali casi la consumazione cessa con il cessare della condotta, e non con il venir meno degli effetti disastrosi o con la mancata rimozione degli stessi.
Infine, vi è il caso di condotte di grave contaminazione ambientale le quali, iniziate prima della entrata in vigore della nuova legge, si protraggano oltre, con aggravamento dei relativi effetti. In tali casi il reato è permanente, e pertanto, ricorrendone i requisiti, potrà applicarsi la nuova e più severa disciplina.
2. Le fattispecie colpose e di pericolo
L’art. 452-quinquies, co. 1, rubricato Delitti colposi contro l’ambiente, stabilisce che se taluno dei fatti di cui agli articoli 452-bis (inquinamento ambientale) e 452-quater (disastro ambientale) è commesso per colpa, le pene previste dai rispettivi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi.
I co. 1 e 2 non configurano circostanze attenuanti28, bensì autonome fattispecie di reato. Sia la fattispecie colposa che quella di pericolo sono infatti radicalmente alternative alle “corrispondenti” fattispecie dolose e di danno. Tale rapporto di alterità ne connota l’autonomia in termini di irriducibile specialità reciproca.
Del resto, a ragionare diversamente (cioè in termini di circostanze attenuanti) si avrebbe l’assurda conseguenza, in caso di equivalenza o soccombenza della (ritenuta) attenuante rispetto a qualsiasi aggravante, di punire (in termini di pena) come inquinamento o disastro doloso il disastro o inquinamento colposo.
L’art. 452-quinquies, nel suo complesso, segnala l’importanza attribuita al bene giuridico ambiente, protetto non solo da aggressioni dolose che lo danneggino, ma anche da pericoli colposamente arrecati; non solo con colpa grave, secondo il minimum standard soggettivo richiesto dalla Direttiva 2008/99 CE, ma con qualsiasi forma di colpa, secondo il maximum standard legittimamente utilizzato dal legislatore nostrano.
Il co. 1 dell’articolo in commento consente di estendere alla colpa il criterio di imputazione soggettiva dei due delitti menzionati, che in base all’art. 42 c.p. sarebbe stato il solo dolo.
Potrà trattarsi di colpa generica oppure di colpa specifica; in quest’ultimo caso rileveranno anche le prescrizioni contenute nei titoli abilitativi nella misura in cui dettino regole modali o divieti a contenuto cautelare-preventivo di eventi di contaminazione ambientale.
Anche in questo caso rimane da verificare il ruolo del principio di precauzione (art. 3-ter t.u.a,) o di singole regole cautelari ad esso ispirate29.
Ai sensi dell’art. 452-quinquies, co. 2, “se dalla commissione dei fatti di cui al comma precedente [inquinamento e disastro ambientale] deriva il pericolo di inquinamento ambientale o di disastro ambientale le pene sono ulteriormente diminuite di un terzo”.
La norma parla di “fatti di cui al comma precedente”, ovvero di inquinamenti e disastri ambientali, che si pretenderebbero pericolosi, a loro volta, per inquinamenti o disastri ambientali.
Ad evitare l’assurdo esito della interpretazione letterale non rimane che intendere “fatti” come “condotte” (di sversamento, di getto, di stoccaggio ecc.) che non causino compromissione o disastro ambientale, bensì mero pericolo di tali eventi.
La pena per la causazione colposa di un pericolo di inquinamento oscilla da un minimo di 5 mesi e 10 giorni ad un massimo di 2 anni e 8 mesi di reclusione, oltre alla multa.
La cornice edittale del pericolo di disastro ambientale colposo varia da un minimo di 6 mesi e 20 giorni ad un massimo di 6 anni e 8 mesi.
La causazione dolosa di pericoli di inquinamento o di disastro ambientale sarà punibile, ricorrendone gli estremi, a titolo di tentativo dei relativi delitti.
Le fattispecie colpose di pericolo (specie di inquinamento), come è stato prontamente segnalato, rischiano di sovrapporsi al campo di applicazione delle tradizionali fattispecie contravvenzionali.30
In linea teorica le contravvenzioni di settore incriminano pericoli astratti (cristallizzati ad es. dal superamento dei limiti tabellari), mentre le nuove fattispecie contenute nell’art. 452-quinquies sono costruite come ipotesi di pericolo concreto, da accertarsi volta per volta in base a tutte le circostanze del caso concreto, non essendo sufficiente il superamento degli eventuali valori soglia di riferimento.
3. Questioni di legittimità costituzionale
Alcuni Autori dubitano della legittimità costituzionale del nuovo disastro ambientale, il quale risulterebbe contrario al principio di precisione31: sia in relazione al concetto di alterazione irreversibile (o difficilmente reversibile) di un ecosistema (art. 452-quater, n. 1 e n. 2), sia in relazione alla ipotesi definitiva di “disastro sanitario” (art. 452-quater, n. 3).
A mio parere le disposizioni citate sono scritte sicuramente male, ma non sono costituzionalmente illegittime.
“Alterazione dell’ecosistema” è concetto afferrabile con sufficiente precisione; semmai sarà di ardua prova, posto che in natura gli ecosistemi sono in continua evoluzione, anche a prescindere dall’incidenza di eventuali fattori antropici.
Ma i problemi di prova riguardano il diverso tema della determinatezza (provabilità nel processo32) dei requisiti di fattispecie, e non mi paiono più ostici di quelli emersi nei processi per il “vecchio” disastro ambientale in relazione al requisito giurisprudenziale degli “effetti straordinari, gravi e complessi per l’ambiente”.
Quanto al c.d. “disastro” (meramente) “sanitario” non mi pare condivisibile l’argomento presupposto, secondo cui si tratterebbe di un evento offensivo della incolumità pubblica che non “passa” per un danno ambientale intermedio: a ben vedere l’art. 452-quater, n. 3 parla di “rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese…”; con “fatto” si intende un fatto di contaminazione ambientale, quand’anche non tale da comportare alterazione irreversibile di un ecosistema.
In altre parole si tratta comunque di un fatto di contaminazione dell’ambiente con messa in pericolo dell’incolumità pubblica, non di un reato a forma libera connotato solo dalla causazione di una offesa alla incolumità pubblica.
4. Conclusioni e prognosi
Il legislatore del 2015 ha compiuto uno sforzo di analitica descrizione del tipo criminoso “delitto ambientale”, scegliendo una strada opposta a quella del legislatore veggente del 1930, che si era limitato a ipotizzare “altri” disastri senza specificarli.
E’ pur vero che il diritto vivente si era incaricato di estrarre da quell’ampio cilindro una definizione assai più complessa di disastro ambientale.
Tuttavia il prodotto legislativo in commento è sicuramente sovrabbondante anche rispetto alla “vecchia” definizione giurisprudenziale di disastro ambientale.
La quantità dei requisiti è inversamente proporzionale alla loro qualità.
Tanto che non sembra peregrino ipotizzare che la giurisprudenza, contingentemente “messa nell’angolo” dal legislatore della riforma, si prenderà presto la rivincita, intervenendo negli ampi spazi di incertezza interpretativa segnalati da molti commentatori.
Al di là di una certa sciatteria e approssimazione nella scrittura di singoli requisiti, mi pare che il difetto stia per così dire nel manico: il gigantismo dell’evento disastroso33, in uno con la vaghezza del bene di riferimento (l’ambiente, almeno nei disastri tipizzati ai n. 1 e 2) rendono obbiettivamente difficile il lavoro di tipizzazione di qualunque legislatore, anche il più attrezzato.
Se si volesse tracciare un bilancio previsionale, mi sentirei di dire che alcuni nodi non sono stati sciolti: il momento della consumazione nel caso di disastri “per accumulo” progressivo; le difficoltà di prova di requisiti evanescenti, con conseguente immaginabile aleatorietà delle decisioni giudiziarie, al pari di quanto si è verificato fino ad oggi.
Il bilancio, tuttavia, non è solo caratterizzato da ombre.
Le luci riguardano gli effetti e le conseguenze collegate al disastro: l’introduzione di norme premiali (ravvedimento operoso, art. 452-decies c.p.); l’inserimento del disastro nel novero dei reati fondanti la responsabilità dell’ente; la previsione di disastri “puramente” ambientali, slegati cioè dalla proiezione offensiva verso l’incolumità pubblica; gli obblighi di recupero e ripristino conseguenti alla condanna per disastro ambientale (art. 452-duodecies c.p.); la confisca anche per equivalente in caso di condanna.
*Contributo destinato agli Atti del Convegno di studi su “Legalità giurisprudenza e diritto penale”, tenutosi a Bologna il 5 novembre 2015.
Vedi per tutti la recente ricostruzione di A.L. Vergine, Il c.d. disastro ambientale: l’involuzione interpretativa dell’art. 434 cod. pen. (Parte prima), in A&S 2013, 534 s. e Parte seconda, in A&S 2013, 644 ss.
E’ la Corte cost., con sentenza n. 327/2008, in Giur. cost., 2008, 3529 ss., con nota di F. Giunta, a trarre questa definizione dal diritto vivente.
Corte cost. n. 327/2008, cit.
Sul nuovo delitto e sulla complessiva riforma v. AAVV., I nuovi “ecodeliti”. Legge 22 maggio 2015, n. 68, in A. CADOPPI-S. CANESTRARI-A. MANNA-M. PAPA, Trattato di diritto penale. Parte generale e speciale. Riforme 2008-2015, Milano, 2015; BELL-A.VALSECCHI, Il nuovo delitto di disastro ambientale: una norma che difficilmente avrebbe potuto essere scritta peggio, in www.penalecontemporaneo.it, 21 luglio 2015; C. BERNASCONI, Il “bastone e la “carota” nella nuova disciplina dei reati ambientali, Studium Iuris, 2015, 1403 ss.; M. CATENACCI, I delitti contro l’ambiente tra aspettative e realtà, in Dir. pen. e processo, 2015, n. 9, pp. 1069 e ss.; A. DI TULLIO D’ELISIIS, I nuovi reati ambientali e le strategie difensive: commento ala legge 22 maggio 2015, n. 68, Santarcangelo di Romagna, 2015; F. FORZATI, Reato permanente, carattere differito dell’evento e modelli di tipizzazione dei reati ambientali: evoluzione interpretativa del disastro innominato e nuovo disastro ambientale, in Critica del diritto, 2015, 362 ss.; A. MANNA (a cura di), Il nuovo diritto penale ambientale (legge 22 maggio 2015, n. 68), Roma, 2016; L. MASERA, I nuovi delitti contro l’ambiente (Voce per il “Libro dell’anno del diritto Treccani 2016”),in www.penalecontemporaneo.it, 17 dicembre 2015; L. MASERA, La sentenza della Cassazione sul caso Eternit: analisi critica e spunti di riflessione, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2015, 1565 ss.; P. MOLINO, Novità legislative: Legge n. 68 del 22 maggio 2015, recante “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” (Relazione dell’Ufficio del massimario della Cassazione), in www.cortedicassazione.it, 29 maggio 2015; C.PARODI-M. GEBBIA-M.BORTOLOTTO- V.CORINO, I nuovi delitti ambientali (l. 22 maggio 2015, n. 68), Milano,2015; L. RAMACCI, Prime osservazioni sull’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel codice penale e le altre disposizioni della legge 22 maggio 2015 n. 68, in www.lexambiente.com, 8 giugno 2015; C. RUGA RIVA, I nuovi ecoreati: commento alla legge 22 maggio 2015, n.68, Torino, 2015; C. RUGA RIVA, Diritto penale dell’ambiente, III ed., Torino, 2016; L. SIRACUSA, La legge 22 maggio 2015, n. 68 sugli “ecodelitti”: una svolta “quasi” epocale per il diritto penale dell’ambiente, in questa Rivista,9 luglio 2015; M. TELESCA, Osservazioni sulla l. n. 68/15 recante “disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”: ovvero i chiaroscuri di una agognata riforma, in www.penalecontemporaneo.it, 17 luglio 2015; A. L. VERGINE, Delitti ambientali: dal 2 aprile 1998 quasi vent’anni trascorsi (forse) inutilmente, in Ambiente & Sviluppo, 2015, n. 7, pp. 413 e ss.
In www.penalecontemporaneo.it con nota di A. Bell, Il processo alla centrale termoelettrica di Porto Tolle: gli ex amministratori delegati di Enel condannati per pericolo di disastro sanitario.
Sulla criticità della clausola in commento si vedano inoltre le osservazioni critiche da P. Molino, Rel. n. III/04/2015, cit.,19.Per una critica radicale alla clausola di riserva v. A. BELL-A. VIZZARDI, Il nuovo delitto di disastro ambientale: una norma che difficilmente avrebbe potuto essere scritta peggio, in www.penalecontemporaneo.it, 9.
In questo senso C. BERNASCONI, Il “bastone e la “carota”, cit., 1407; sulla ambiguità della clausola in commento v. da ultimo M. Cappai, Un “disastro” del legislatore: gli incerti rapporti tra l’art. 434 e il nuovo art. 452 quater c.p., in www.penalecontemporaneo.it., il quale conclude per la tesi, pur non aderente alla lettera della legge, della superfluità della clausola di riserva: il rapporto tra norme sarebbe governato dal principio di specialità.
Vedi i diversi contributi di G. Amendola, Delitti contro l‘ambiente: arriva il disastro ambientale “abusivo”, in www.lexambiente.it.; G. Amendola, La Confindustria e il disastro ambientale abusivo, in questionegiustizia.it; G. Amendola, Viva viva il disastro ambientale abusivo, in www.lexambiente.it.; G. Amendola, Ma che significa veramente disastro ambientale abusivo), in www.lexambiente,it; meno chiara è la posizione di B. Tinti, Reati ambientali, legge degli orrori, in Il Fatto Quotidiano, 27.3.2015., il quale dapprima sostiene, in relazione al disastro ambientale doloso, che la clausola “abusivamente” “è una stupidaggine: se l’inquinamento non è abusivo non è delitto. Scrivere “abusivamente è del tutto inutile”; poi però lo stesso Autore, proseguendo a segnalare quelli che definisce errori da matita rossa, sostiene che la stessa formula comporterebbe la non punibilità, per disastro ambientale colposo, di coloro che inquinassero rispettando le leggi vigenti, posto che, a quanto pare, in tal caso non vi sarebbe violazione di alcuna regola cautelare specifica; d’altra parte, sostiene Tinti, non si potrebbe punire per colpa generica. Ora, a me pare che sul punto la confusione concettuale sia notevole: il requisito dell’abusività non connota soggettivamente la colpa (come parrebbe intendere l’Autore), ma delimita oggettivamente il rischio consentito, o se si preferisce segnala i confini dell’antigiuridicità. Insomma, la clausola abusivamente, non rilevando (solo e in prima battuta) sull’elemento soggettivo, non può essere considerata superflua per la fattispecie dolosa ed esiziale per quella colposa.
Per un’aspra critica a questa logica v. M. Santoloci, In Italia ci si ammala e si muore di “parametri”. Disastri ambientali a norma di legge (da evitare con la nuova legge sui delitti ambientali), in www.dirittoambiente.net.
Audizione di Legambiente, che richiamava espressamente il contributo dottrinale riportato nella nota seguente, nonché del WWF, che muoveva analoghi rilievi.
Sia consentito rinviare a C. Ruga Riva, Commento al testo base sui delitti ambientali adottato dalla Commissione giustizia della Camera, in www.penalecontemporaneo.it, p. 6.
Cfr. S. Palmisano, Delitti contro l’ambiente, quand’è che un disastro si può dire abusivo, in www.lexambiente.it; S. Palmisano, Spigolature sulla proposta di legge in materia ambientale, in www.questionegiustizia.it e ivi giurisprudenza citata (Cass., Sez. III, 6 novembre 2008, n. 46029): in quel caso la Corte respinge uno specifico motivo di ricorso dell’imputato, il quale pretendeva di interpretare la clausola nel senso che l’attività si doveva ritenere abusiva solo se clandestina o comunque priva di un valido titolo autorizzatorio: “è destituita di ogni fondamento giuridico la tesi secondo cui nella fattispecie criminosa di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 260 il carattere abusivo della gestione illecita dei rifiuti ricorre solo quando la gestione è clandestina”, ibidem). I principi in questione, ricorda S. Palmisano sono stati poi confermati da altre pronunce della Cassazione, e possono considerarsi ormai consolidati (Cass. Sez. III, 3 marzo 2010, n. 8299, Cass., Sez. III, 8 gennaio 2008, n. 358). Per una diversa lettura della giurisprudenza v. però G. Amendola, Ma che significa, cit., con ampia indicazione di pronunce che, mi sembra, sembrano alludere alla sufficienza più che alla necessità di una condotta non autorizzata, senza escludere di per sé rilevanza alle condotte autorizzate ma contrarie alle legge o alle prescrizioni.
Sul recepimento della direttiva 2008/99 CE da parte del d.lgs. n. 121/2011 sia consentito rinviare a C. Ruga Riva, Il decreto legislativo di recepimento delle direttive comunitarie sulla tutela penale dell’ambiente. Nuovi reati, nuova responsabilità degli enti da reato ambientale, in www.penalecontemporaneo.it.
Contra G. Amendola, Delitti contro l‘ambiente, cit.
Cass., sez. III, 15 dicembre 2006, n. 13676; sul punto vedi per più ampi riferimenti Nitti, Le indagini in materia di reati ambientali. Accertamento dei reati ambientali e atto amministrativo, in www.lexambiente.it, 33.
Sottolinea la natura di danno del nuovo disastro ambientale (n. 1 n. 2), F. FORZATI, Reato permanente, carattere differito dell’evento e modelli di tipizzazione dei reati ambientali: evoluzione interpretativa del disastro innominato e nuovo disastro ambientale, in Critica del diritto, 2015, n. 4, 381 s.
Il testo proposto al Senato dalle commissioni permanenti II e XIII riunite, comunicato alla Presidenza il 2.2.2015 (disegno di legge nn. 1345, 11,1072, 1283, 1306 e 1514-A), incriminava “chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento durevoli dello stato preesistente: delle acque o dell’aria…”.
A. BELL-VALSECCHI, Il nuovo delitto, cit.,5; contra, persuasivamente, L. SIRACUSA, La legge 22 maggio 2015, n. 68, cit., 19.
In senso conforme L. SIRACUSA, La legge 22 maggio 2015, cit., 19.
In questo senso M. TELESCA, Osservazioni sulla l. n. 68/15,cit., 27, secondo la quale “offesa” sembra alludere a un danno, più che ad una categoria comprensiva di danno e pericolo.
In questo senso L. MASERA, I nuovi delitti contro l’ambiente, cit., 10 s.
Cass. Sez. Un. 24.04.2014, Espehnhahn, in www.penalecontemporaneo, sulla quale v. A. AIMI, Il dolo eventuale alla luce del caso Thyssenkrupp, in www.penalecontemporaneo.it; per una prima lettura del dolo eventuale nell’ambito del diritto penale dell’ambiente v. C. Ruga Riva, Dolo e colpa nei reati ambientali. Considerazioni su precauzione, dolo eventuale ed errore, in www.penalecontemporaneo.it, 19 gennaio 2015.
A. MILITA, Il disastro ambientale, da delitto innominato a tipico: la qualificazione del delitto come eventualmente permanente e la “responsabilità” patrimoniale, in www.lexambiente.it, 3.
C 19.11.2014, Schmidheiny, in www.penalecontemporaneo.it, con nota di Zirulia.
A. MILITA, Il disastro ambientale, cit.,2 ss.
Per una rimeditazione della questione, seppure in relazione al disastro innominato, cfr. L. MASERA, La sentenza della Cassazione, 1587 ss. In linea teorica, e salva la difficoltà di complessi accertamenti probatori, il reato si consuma, e la permanenza cessa, nel momento in cui l’alterazione dell’ecosistema diviene reversibile o difficilmente reversibile: più complessa è invece l’ipotesi dell’art. 452-quater n. 3: il pericolo per la pubblica incolumità può infatti protrarsi per lungo tempo con o senza “accompagnamento” del protrarsi della condotta
Cass. 19.11.2014 Schmidheiny, cit.
Contra, parrebbe, Zalin Art. 452 quater c.p. Disastro ambientale, in speciale Newsletter B&B Avvocati: i nuovi reati ambientali, 7, la quale scrive di “attenuante ad effetto speciale dalla forbice assai ampia”.
Sul tema, per la tesi tendenzialmente negativa, sia consentito rinviare a C. RUGA RIVA, I nuovi ecoreati, cit.,17 ss.
Esprime questa preoccupazione P. Molino, Rel. n. III/04/2015, cit., 22.
A. BELL-A. VALSECCHI, Il nuovo delitto, cit.
Sottolinea condivisibilmente il rischio di probatio diabolica rispetto a macro-eventi da collegare causalmente, di regola, a micro-inquinamenti reiterati nel tempo da più soggetti, M. CATENACCI, I delitti contro l’ambiente, cit., 1076 s.
Sottolinea questo aspetto M. TELESCA, Osservazioni sulla l. n. 68/15, cit., 47.