Cass. Sez. III n. 19141 del 17 maggio 2021 (UP 6 nov 2020)
Pres. Rosi Est. Cerroni Ric. Nobis
Caccia e animali.Somministrazione di sostanze dopanti o vietate  

L’art. 544-ter cod. pen. prevede una specifica ipotesi di reato di maltrattamenti quale diretta conseguenza della somministrazione di sostanze dopanti o vietate, ipotesi di maltrattamenti quindi legata al solo fatto della somministrazione di sostanze vietate all’animale. Tutto ciò, naturalmente, a prescindere dall’intrinseca rischiosità di condotte siffatte per la salute tanto degli animali, quanto dell’allevamento interessato e, in ultima analisi, per la possibile produzione di latte infetto pericoloso per l’uomo in quanto derivante ad es. da femmine vaccinate in età pubere, ovvero infettate da maschi vaccinati.


RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 9 dicembre 2019 la Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza del 5 marzo 2018 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in forza della quale Salvatore e Michele Nobis erano stati condannati alla pena, sospesa quanto a Salvatore, di mesi otto di reclusione per il reato di cui agli artt. 81 capoverso, 544-ter, comma 2, cod. pen..
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su tre motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo i ricorrenti hanno osservato che la norma incriminatrice – come si evinceva dai lavori parlamentari - richiedeva la coscienza e volontà di causare sofferenze all’animale e l’accettazione di dette sofferenze, richiedendo pertanto un quid pluris rispetto al fatto della mera somministrazione agli animali di sostanze vietate. L’art. 544-ter cod. pen. prevedeva invero una specifica ipotesi di maltrattamenti quale diretta conseguenza della somministrazione di sostanze dopanti, che inducevano l’animale a patire sofferenze inutili tali da minare il benessere fisico della bestia.
In specie, la somministrazione del vaccino Rb 51 aveva quale obiettivo non la lesione ovvero il danneggiamento della salute degli animali, bensì l’esigenza di contrastare l’insorgenza della brucellosi, patologia con effetti devastanti per la stessa vita del patrimonio zootecnico.
La reale intenzione degli imputati era quella di predisporre strumenti adeguati per la salvaguardia della mandria.
2.2. Col secondo motivo è stato lamentato travisamento della prova, ed in particolare delle deposizioni dei testi Vittarelli e Merola, laddove il piano sanitario della Regione Campania per il triennio 2011-2014 prevedeva come obbligatoria la vaccinazione contro la brucella selvaggia degli allevamenti compresi nelle zone ad alto rischio, e quindi anche in provincia di Caserta e con scadenza all’8 agosto 2014.
Oltre a ciò, il rinvenimento di animali vaccinati poteva derivare anche dal contagio tra animali presenti nella medesima stalla, ed inoltre la teste Vittarelli aveva confermato la tesi difensiva, in forza della quale l’inoculazione del vaccino ben poteva essere avvenuta negli anni precedenti. Né il teste Merola aveva mai dichiarato di ritenere impossibile una positività a distanza di molto tempo dall’inoculazione.
Il contenuto delle deposizioni era stato quindi trasfuso in modo erroneo all’interno della sentenza siccome emessa, in tal modo inserendo nel processo un’informazione rilevante ma invece inesistente.
2.3. Col terzo motivo, quanto alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena a Michele Nobis, il reato pregresso – ritenuto rilevante in senso negativo da parte della Corte territoriale - si riferiva all’attività casearia e non a quella di allevatore bufalino svolta dall’imputato. Dall’esame del certificato penale doveva pertanto desumersi un giudizio prognostico favorevole, circa l’astensione dalla commissione di ulteriori reati.  
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I ricorsi sono infondati.
4.1. In via del tutto preliminare, peraltro, osserva la Corte che i motivi di ricorso possono essere esaminati prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e ciò in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni, che possono essere valutati congiuntamente ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente.
Allorché infatti le sentenze di primo e secondo grado concordino, come in specie, nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (ex plurimis, Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; cfr. da ult. Sez. 5, n. 40005 del 07/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303).
4.2. Ciò posto, l’art. 544-ter comma 2 cod. pen., contestato agli odierni ricorrenti, sanziona chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, laddove la stessa pena si applica altresì a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi.
4.2.1. Sempre in via preliminare, avanti alla Corte territoriale gli imputati avevano appellato la sentenza del primo Giudice assumendo l’inapplicabilità della norma incriminatrice attesa l’insussistenza di maltrattamenti ovvero di sofferenze per l’animale. Del pari, avevano insistito per il riconoscimento della speciale causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. nonché, in ogni caso, per la concessione della sospensione condizionale della pena anche in favore di Michele Nobis e, comunque, per la riduzione dell’aumento di pena per continuazione stante il ridotto numero di animali coinvolti. Con motivi aggiunti era poi contestata l’effettiva riferibilità dell’inoculazione agli appellanti, nonché la carenza dell’elemento psicologico.
4.3. Per quanto riguarda il primo motivo di censura, in particolare il Tribunale ha ampiamente giustificato – con puntuali riferimenti di per sé non revocati in dubbio - il generale divieto di somministrazione del vaccino, se non nel quadro di controlli dell’autorità e in periodi di tempi e di luoghi devoluti alla puntuale verifica pubblica. Tutto ciò in considerazione del fatto che la vaccinazione non consisteva che nell’inoculazione nell’animale di una forma attenuata del ceppo del batterio, con la conseguenza che l’animale portatore del batterio poteva contaminare il latte e provocare, se gravido, l’aborto (ovvero, se maschio, infettare la femmina durante l’accoppiamento).
In tal senso il controllo rigido era strumentale, nell’ipotesi di specifici Piani vaccinali su base regionale, all’individuazione dei capi da vaccinare da parte di veterinari pubblici e liberi professionisti convenzionati, con esclusione degli animali maschi (per le possibilità di contagio) e delle femmine già in età riproduttiva.
D’altronde è evidente l’interesse economico a nascondere l’avvenuta vaccinazione dei capi, non potendosi in tal caso conseguire la qualifica di allevamento ufficialmente indenne, conseguibile dopo un triennio di certificata assenza di vaccinazioni.
4.3.1. Al riguardo, del tutto condivisibile è la lettura offerta dai Giudici del merito quanto alla riconducibilità della condotta alla fattispecie di cui all’art. 544-ter cod. pen.. Come è stato già osservato da questa Corte di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 40648 del 23/09/2015, dep. 2016, Dall’Olio, Rv. 267653), la norma in questione prevede una specifica ipotesi di reato di maltrattamenti quale diretta conseguenza della somministrazione di sostanze dopanti o vietate, ipotesi di maltrattamenti quindi legata al solo fatto della somministrazione di sostanze vietate all’animale. Tutto ciò, naturalmente, a prescindere dall’intrinseca rischiosità di condotte siffatte per la salute tanto degli animali, quanto dell’allevamento interessato e, in ultima analisi, per la possibile produzione di latte infetto pericoloso per l’uomo in quanto derivante ad es. da femmine vaccinate in età pubere, ovvero infettate da maschi vaccinati.
In specie, invero, già il Dm 27 agosto 1994, n. 651 espressamente vietava appunto, su tutto il territorio nazionale, la commercializzazione e l’uso di vaccini contro la brucellosi bovina (cfr. altresì, in tema di somministrazione di sostanza dopanti e dei divieti ivi connessi, Sez. 3, n. 38647 del 09/06/2017, Geraldi, Rv. 270896).
Non è quindi intaccato il percorso argomentativo seguito dai Giudici del merito, quanto all’intervenuta somministrazione, al di fuori delle procedure regolamentate e quindi dei controlli all’uopo previsti, di sostanze da considerarsi, pertanto e a tutti gli effetti, come vietate.
4.4. In relazione poi al dedotto travisamento della prova, detto vizio può essere dedotto con il ricorso per cassazione, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, sia nell’ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (ad es. Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155).
In specie il ricorso si limita per vero proprio a censurare l’interpretazione del materiale istruttorio siccome operata dalla sentenza impugnata, e in definitiva propone un’esegesi difforme rispetto a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, senza peraltro che sussista alcuna macroscopica evidenza circa la sussistenza di travisamento probatorio. Da un lato la sentenza impugnata si confronta con i rilievi che gli appellanti formulano in ordine alla deposizione della teste Vittarelli esponendo al riguardo il proprio motivato e non illogico ragionamento (cfr. pag. 6 del provvedimento impugnato), sia perché in definitiva gli odierni ricorrenti non hanno inteso prendere specifica posizione relativamente agli analitici prospetti contenuti ancora nella sentenza del Tribunale sammaritano, il quale – proprio dall’esame di detta tabella e dei dati ivi contenuti riguardanti i singoli animali dell’Azienda degli imputati - dava espressamente conto dell’esclusione tanto della presenza di animali cd. falsi positivi nell’allevamento quanto dell’incolpevole contaminazione proveniente dall’eventuale ingresso di animali provenienti da altri allevamenti, così confermando l’esistenza di vaccinazioni, relative a soggetti puberi e comunque al di fuori dei controlli sanitari obbligatori.
4.5. In relazione infine al terzo motivo di censura, la Corte territoriale ha inteso negare a Michele Nobis il beneficio della sospensione condizionale della pena assumendo l’esistenza di precedente condanna, riferibile all’attività professionale dell’imputato. Il ricorrente ha sostenuto invece che il precedente si riferiva all’attività casearia, distinta quindi dall’allevamento, e che era altresì risalente nel tempo.
Ciò posto, in tema di sospensione condizionale della pena il giudice di merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l’obbligo di prendere in esame tutti gli elementi richiamati nell’art. 133 cod. pen., potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti (ad es. Sez. 2, n. 19298 del 15/04/2015, Di Domenico, Rv. 263534), tanto più che può legittimamente essere valutata dal giudice, come elemento ostativo alla presunzione che il colpevole si asterrà per il futuro da commettere ulteriori reati, anche la presenza di precedenti condanne per reati poi depenalizzati (cfr. Sez. 5, n. 34682 del 11/02/2005, Marisca, Rv. 232312).
Al riguardo, proprio in ragione della specificata commissione del reato pregresso nella conduzione di un’attività professionale, non è condivisibile il rilievo del ricorrente circa il differente ambito imprenditoriale di consumazione dell’illecito, che la Corte territoriale – con valutazione certamente non illogica, ed ancor meno manifestamente illogica – ha invero inteso collegare, nel giudizio prognostico negativo, proprio allo svolgimento della professione, come egualmente era accaduto in passato sia pure in altro settore imprenditoriale.  
5. Alla stregua dei rilievi che precedono, le proposte impugnazioni devono ritenersi infondate. Ne conseguono il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 06/11/2020