Consiglio di Stato Sez. VI n. 5813 del 16 giugno 2023
Elettrosmog.Demolizione opere abusive consistenti in box e tralicci

La disciplina riveniente dal combinato disposto degli artt. 16 e 32 della Legge 6 agosto 1990 n. 223 nonché dell'articolo 23 della Legge 3 maggio 2004 n. 11 non contempla affatto un meccanismo di sanatoria edilizia in favore delle strutture delle emittenti autorizzate, a livello ministeriale, alla attività di diffusione radio-televisiva. Ciò in quanto, in primo luogo, l'art. 27 della legge n. 112 del 2004 prescrive che possano continuare ad operare esclusivamente gli impianti che non siano "in contrasto con le norme urbanistiche vigenti in loco" e che, in secondo luogo, la stessa l. n. 223 del 1990 sottintendeva la necessità di tale controllo, disponendo che il censimento ministeriale costituisse titolo per la richiesta di permesso di costruire (art. 4). Né appare dirimente l’art. 32 della l. n. 223 del 1990 (a mente del quale i “privati, che alla data di entrata in vigore della presente legge eserciscono impianti per la radiodiffusione sonora o televisiva in ambito nazionale o locale…, sono autorizzati a proseguire nell’esercizio degli impianti stessi, a condizione che abbiano inoltrato domanda per il rilascio della concessione di cui all’art. 16 entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino al rilascio della concessione stessa ovvero fino alla reiezione della domanda e comunque non oltre settecentotrenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”) . E, infatti, detta disposizione si riferisce testualmente alla “concessione per l'installazione e l'esercizio di impianti di radiodiffusione sonora e televisiva” di cui all’art.16, atto quest’ultimo necessario, nello schema della legge n. 223 del 1990, per ottenere la (allora) “concessione edilizia” contemplata dal già citato art. 4 della medesima legge.

Pubblicato il 13/06/2023

N. 05813/2023REG.PROV.COLL.

N. 00031/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 31 del 2019, proposto da
Roma Television Communications S.r.l. (già Asterix 66 S.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Pasquale Frisina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Rocca di Papa, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Piergiorgio Abbati, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Ministero delle Imprese e del Made in Italy (già Ministero delle Comunicazioni e successivamente Ministero dello Sviluppo Economico), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
Ente Parco dei Castelli Romani e Regione Lazio, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 5173/2018.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Rocca di Papa e del Ministero delle Comunicazioni;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 maggio 2023 il Cons. Giovanni Gallone e uditi per le parti gli avvocati Luisa Capicotto, in sostituzione dell'avv. Pasquale Frisina, e Piergiorgio Abbati;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. per il Lazio – sede di Roma la Asterix 66 S.r.l., titolare di una postazione di trasmissione su traliccio (contraddistinta dal n. 18) ed utilizzatrice dei box n. 24-32 sita su Monte Cavo Vetta nel Comune di Rocca di Papa su terreno censito in catasto al Foglio 11 particella n. 1999 (ex 173 e 174, entrambe di proprietà della I.D.A. Italiana Distribuzione Audiotelevie S.p.A.), ha impugnato il provvedimento n. 135 del 12 agosto 2003 con cui il Comune di Rocca di Papa ha ordinato la demolizione delle opere abusive, consistenti nei box e nei tralicci relativi alle trasmissioni delle emittenti radio indicate nell’elenco allegato al provvedimento impugnato, tra cui quella di cui è titolare la prefata società, realizzati in assenza di titolo edilizio, in zona di p.r.g. di inedificabilità assoluta, sottoposta a vincolo paesaggistico, a vincolo storico monumentale in base a r.d. 614 del 1909, inclusa nel perimetro del Parco regionale dei Castelli Romani, con invito alle emittenti a trasferirsi nei siti individuati nel Piano Territoriale di coordinamento adottato dal Consiglio regionale il 4 aprile 2001.

1.1 A sostegno del ricorso di primo grado ha dedotto le censure così rubricate:

1) violazione dell’articolo 7 della Legge 7.8.1990 n. 241, avuto riguardo alla mancata comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo;

2) violazione dell’articolo 1 Legge 28.1.1977 n. 10, come modificato dal DPR 6.6.2001, n. 380; articoli 16 e 32 Legge 6.8.1990 n. 223 e successive modifiche ed integrazioni in relazione all’intervenuto rilascio della concessione per l’installazione degli impianti;

3) violazione della Legge 15.3.1997 n. 59; Titolo III del D.lgs. 31.3.1998 n. 112, Legge 31.7.1997 n.249; Legge 6.8.1999 n. 14; Legge 22.2.2001 n. 36 avuto riguardo ai criteri regolanti la ripartizione di competenze fra Stato ed enti locali in materia ambientale nonché al principio di uniformità della disciplina del settore dell’inquinamento da onde elettromagnetiche;

4) Eccesso di potere nelle figure sintomatiche di (A) travisamento dei fatti per difetto ed errore dei presupposti; (B) difetto di istruttoria; (C) sviamento di potere; (D) contraddittorietà dell’azione amministrativa.

1.2 Si è costituito in giudizio il Comune di Rocca di Papa contestando la fondatezza del ricorso e, successivamente, con atto notificato il 16 dicembre 2004 è intervenuto ad opponendum anche il Parco Regionale dei Castelli Romani. Si è costituito, altresì, il Ministero delle Comunicazioni, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, essendo stato impugnato un provvedimento comunale.

2. Ad esito del relativo giudizio, l’adito T.A.R. per il Lazio – sede di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, ha:

- dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’intimato Ministero delle Comunicazioni (successivamente Ministero dello Sviluppo Economico ed ora Ministero delle Imprese e del Made in Italy);

- nel merito ha respinto il ricorso.

3. Con ricorso notificato l’11 dicembre 2018 e depositato il 2 gennaio 2019 Roma Television Communications S.r.l. (già Asterix 66 S.r.l.) ha proposto appello avverso la suddetta sentenza chiedendone la riforma con accoglimento del ricorso di primo grado e conseguente annullamento dell’ordinanza-ingiunzione del Comune di Rocca di Papa del 12 agosto 2003.

3.1 A sostegno dell’impugnazione ha dedotto le censure così rubricate:

1) violazione e falsa applicazione degli artt. 16 e 32 della l. 06.08.1990 n. 223, dell’art. 23 della l. 03.05.2004 n. 112 - dell’art. 1 della l. 28.01.1977 n. 10 e dell’art. 3 del d.p.r. 06.06.2001 n, 38 e ss.mm.ii. - violazione dell’art. 12 delle preleggi e degli artt. 3, 21, 41, 42 e 9 Cost.;

2) nullità della sentenza per inesistenza della motivazione e/o erroneità della sentenza per la insufficiente della motivazione su un punto decisivo della controversia – omesso apprezzamento dei fatti – violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del c.p.a.;

3) erroneità della sentenza nella parte in cui ha escluso l’intervenuta violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della l. 07.08.1990 n. 241 e ss. – omessa considerazione della specificità della fattispecie;

4) violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.p.r. 06.06.2001 n. 380. Violazione e falsa applicazione degli artt. 21 e 41 della cost., degli artt. 6 e 7 del TFUE, dell’art. 10 della CEDU, dell’art. 19 della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dell’art.11 della Carta di Nizza – interpretazione costituzionalmente orientata – eccezione di illegittimità costituzionale;

5) omesso esame della censura concernente la violazione e falsa applicazione della legge 15.03.1997 n. 59, del titolo iii del d.lgs. 31.03.1998 n. 112, della l.31.07.1997 n. 24, della l.r. Lazio 06.08.1999 n. 14 e della l. 22.02.2001 n. 36, avuto riguardo ai criteri regolanti la ripartizione di competenze fra Stato ed enti locali in materia ambientale, nonché al principio di uniformità della disciplina nel settore dell’inquinamento da onde elettromagnetiche);

6) omesso esame della censura concernente l’eccesso di potere nelle figure sintomatiche di: (a) travisamento dei fatti per difetto ed errore dei presupposti; (b) difetto di istruttoria; (c) sviamento di potere; (d) contraddittorietà dell’azione amministrativa;

7) manifesta erroneità della sentenza anche nella parte in cui ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’allora Ministero delle comunicazioni (ora sviluppo economico).

4. Il 12 aprile 2021 si è costituito in giudizio per resistere avverso il suddetto appello il Comune di Rocca di Papa.

4.1 Il successivo 19 aprile 2023 la medesima amministrazione comunale ha depositato memorie difensive ex art. 73 c.p.a. chiedendo la reiezione dell’appello.

5. Il 28 aprile 2023 anche la società appellante ha depositato memorie difensive insistendo nelle richieste già formulate.

6. Nelle date del 9 maggio 2023 e del 10 maggio 2023 l’appellante ed il Comune di Rocca di Papa hanno depositato memorie in replica.

7. Il 24 maggio 2023 si è costituito in giudizio il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (già Ministero delle Comunicazioni e successivamente Ministero dello Sviluppo Economico).

8. All’udienza pubblica del 31 maggio 2023 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

1. L’appello è infondato e deve essere respinto.

2. Con il primo motivo di appello si denuncia l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di prime cure ha ritenuto irrilevante che la società ricorrente in primo grado (odierna appellante) avesse conseguito la concessione, ai sensi di quanto previsto dall’art. 32 della L. n. 223/1990, per gli impianti di radiodiffusione da essa gestiti ed installati sul sito di Monte Cavo Vetta (e che, quindi, l’impianto in questione fosse regolarmente censito ed autorizzato dalla competente autorità). Più segnatamente l’assunto del giudice di prime cure, secondo cui “con riferimento alla dedotta violazione degli artt. 16 e 32 della Legge 6 agosto 1990 n. 223 nonché dell’art. 23 della Legge 3 maggio 2004 n. 112 può dirsi [...] che la disciplina rinveniente da tali norme non contempla affatto un meccanismo di sanatoria edilizia in favore delle strutture delle emittenti autorizzate, a livello ministeriale, alla attività di diffusione sonora radio televisiva”, sarebbe frutto di un’erronea interpretazione della normativa in subiecta materia.

Osserva, in proposito, parte appellante che all’atto dell’entrata in vigore della c.d. Legge Mammì (6 agosto 1990 n. 223), le emittenti, titolari di impianti installati sul sito di Monte Cavo Vetta, avrebbero ottemperato agli obblighi imposti loro dalla nuova normativa che, in particolare, all’art. 32, con l’emanazione di una norma transitoria e finale, introducendo una specifica sanatoria, subordinava l’autorizzazione a continuare nell’esercizio degli impianti già esistenti alla presentazione di apposita domanda di concessione. Si sostiene, quindi, che, con l’emanazione dell’art. 32 della Legge Mammì, il legislatore avrebbe inteso cristallizzare, nell’ottica di un contemperamento di contrapposti interessi di rilievo costituzionale (artt. 3, 21, 41, 42 e 9 Cost.), la situazione degli impianti in esercizio alla sua entrata in vigore, legittimandone la persistenza, postulando una sanatoria e considerando che, per essi, l'attività edilizia di costruzione degli impianti non potesse essere considerata funzionalmente autonoma ma accessoria all'attività di radiodiffusione. Si aggiunge, a sostegno di detta ricostruzione, che l’art. 4 della stessa legge n. 223 del 1990, rubricato “norme urbanistiche”, nel disciplinare il rilascio della concessione edilizia ai concessionari privati, ha stabilito (comma 5) che “le norme di cui al presente articolo non si applicano alle aree su cui insistono gli impianti di cui all’art. 32 nelle more della pronuncia sulla domanda di concessione, nonché per il periodo di tempo in cui gli stessi soggetti restano titolari della concessione”.

2.1 La doglianza non è fondata.

Sul punto è sufficiente richiamare la giurisprudenza di questo Consiglio (a partire da Consiglio di Stato, sez. III, n. 2200 dell’11 maggio 2017 e, più di recente, Sez. VII, n. 731 del 20 gennaio 2023), che nel disattendere analoga censura ha condivisibilmente affermato che la disciplina riveniente dal combinato disposto degli artt. 16 e 32 della Legge 6 agosto 1990 n. 223 nonché dell'articolo 23 della Legge 3 maggio 2004 n. 11 “non contempla affatto un meccanismo di sanatoria edilizia in favore delle strutture delle emittenti autorizzate, a livello ministeriale, alla attività di diffusione radio-televisiva”. Ciò in quanto, in primo luogo, l'art. 27 della legge n. 112 del 2004 prescrive che possano continuare ad operare esclusivamente gli impianti che non siano "in contrasto con le norme urbanistiche vigenti in loco" e che, in secondo luogo, la stessa l. n. 223 del 1990 sottintendeva la necessità di tale controllo, disponendo che il censimento ministeriale costituisse titolo per la richiesta di permesso di costruire (art. 4).

Né appare dirimente l’art. 32 della l. n. 223 del 1990 invocato da parte appellante (a mente del quale i “privati, che alla data di entrata in vigore della presente legge eserciscono impianti per la radiodiffusione sonora o televisiva in ambito nazionale o locale…, sono autorizzati a proseguire nell’esercizio degli impianti stessi, a condizione che abbiano inoltrato domanda per il rilascio della concessione di cui all’art. 16 entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino al rilascio della concessione stessa ovvero fino alla reiezione della domanda e comunque non oltre settecentotrenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”) . E, infatti, detta disposizione si riferisce testualmente alla “concessione per l'installazione e l'esercizio di impianti di radiodiffusione sonora e televisiva” di cui all’art.16, atto quest’ultimo necessario, nello schema della legge n. 223 del 1990, per ottenere la (allora) “concessione edilizia” contemplata dal già citato art. 4 della medesima legge. Concessione edilizia che, nel caso di specie, come pacifico ed incontestato tra le parti, non risulta essere mai stata rilasciata.

3. Con il secondo motivo di appello si denuncia la nullità per inesistenza della motivazione o, comunque la manifesta erroneità della sentenza impugnata, anche nella parte in cui il giudice di prime cure ha fondato la propria decisione mediante rinvio per relationem ad altri precedenti giurisprudenziali, taluni costituenti cosa giudicata, facendo propri gli accertamenti di fatto ivi compiuti. In particolare, si osserva che, nel caso di specie, il rinvio per relationem è stato operato ai presupposti di fatto della decisione, i quali, a differenza delle ragioni giuridiche, avrebbero dovuto costituire oggetto di autonomo accertamento e valutazione, siccome relativi alla specifica posizione della società ricorrente in primo grado (odierna appellante). Nel dettaglio si censura il passaggio della decisione appellata nella parte in cui sono riportati stralci di altre sentenze rese in esito a distinti giudizi che avrebbero riguardato la “medesima ordinanza di demolizione oggetto del presente ricorso (nella parte relativa ad altri impianti impugnata da altre emittenti) per cui gli impianti avevano necessità di un idoneo titolo edilizio già in forza dell’art. 1 della Legge 18 gennaio 1977 n. 10, mai rilasciato con la conseguenza che «il provvedimento impugnato si rivela essere un atto dovuto ed a contenuto vincolato, in presenza di un non controverso abuso edilizio, adottato dal Comune nell’ambito delle proprie specifiche competenze urbanistiche ed edilizie, a fronte di un vincolo assoluto di inedificabilità previsto dagli strumenti urbanistici comunali»” (pag. 2 della sentenza) giungendo, sulla base di tale richiamo, al rigetto del censure proposte.

Secondo parte appellante, il giudice di prime cure avrebbe erroneamente ritenuto l’esistenza di una sorta di vincolo conformativo, in termini di intervenuta inoppugnabilità del provvedimento, anche rispetto al giudizio sottoposto al suo esame, nel mentre il provvedimento impugnato in prime cure, avendo una pluralità di destinatari e distinti presupposti rispetto ad ognuno di essi, non può che essere considerato come un atto plurimo, concettualmente scindibile in tanti distinti provvedimenti quanti sono i destinatari, con la conseguenza che il suo annullamento giurisdizionale o la reiezione della domanda di annullamento produce effetti solo inter partes.

Si aggiunge, sul punto, che, nel caso di specie, la società ricorrente in primo grado (odierna appellante) ha contestato il carattere abusivo dell’impianto deducendo che:

- i manufatti e gli impianti di che trattasi, sia pure progressivamente adeguati, erano ubicati fuori dal centro abitato ed ivi insistevano, sin dalla prima metà degli anni ’50, essendo stati in passato impiegati anche per scopi militari sicché non potevano essere considerati come “interventi di nuova costruzione”;

- per l’impianto da essa gestito (integrante un mero volume tecnico) non poteva comunque ritenersi necessaria la previa acquisizione di alcun titolo edilizio, trattandosi di strutture precarie.

3.1 Tutte le doglianze in parola appaiono mal calibrate e vanno disattese.

In disparte dalla considerazione che il ricorso alla motivazione per relationem con richiamo di un precedente giurisprudenziale conferente al caso da decidere è certamente ammesso (oltre che suggerito dal principio di sinteticità ex art. 3 c.p.a.) non costituendo neppure eventuale motivo di revocazione della pronuncia (in termini Consiglio di Stato, sez. IV, 21/04/2022, n. 3022), le contestazioni mosse da parte appellante non sembrano evidenziare peculiarità in fatto della vicenda qui in esame che valgano a distinguerla dalle fattispecie già decise da questo Consiglio a mezzo delle pronunce richiamate dal giudice di prime cure nella sentenza impugnata.

Anzitutto, preme rilevare che parte appellante non contesta, con riguardo alla propria specifica posizione, la mancanza di un titolo edilizio per la realizzazione dell’impianto (rimanendo, per converso, irrilevante la titolarità da parte della stessa di concessione per la programmazione radiotelevisiva in ambito locale).

Per contro, come già affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio proprio con riferimento all’ordinanza di demolizione di che trattasi ad esito di giudizi intrapresi da altre emittenti (a partire da Consiglio di Stato, sez. III, n. 2200 dell’11 maggio 2017 e, più di recente, Sez. VII, n. 731 del 20 gennaio 2023 e n. 4525 del 5 maggio 2023), l’installazione ed il mantenimento degli impianti in questione necessitava, in ogni caso, del rilascio di concessione edilizia. Ciò in quanto, in primo luogo, l'art. 27 della legge n. 112 del 2004 prescrive che possano continuare ad operare esclusivamente gli impianti che non siano "in contrasto con le norme urbanistiche vigenti in loco" e che, in secondo luogo, la l. n. 223 del 1990 (c.d. Mammì) sottintendeva la necessità di tale controllo, disponendo che il censimento ministeriale costituisse titolo per la richiesta di permesso di costruire (art. 4).

Preme, in proposito, rilevare che gli impianti per cui è causa non hanno carattere precario, né si appalesano di trascurabile impatto atteso che, come incontestato tra le parti, hanno previsto l’installazione di tralicci metallici di oltre venti metri di altezza su basamento in cemento armato nonché la realizzazione di box di servizio in metallo e muratura.

Deve, peraltro, aggiungersi che, oggi, l'art. 3, comma 1, lett. e), punto 4, del D.P.R. n. 380 del 2001 dispone chiaramente che, tra gli interventi di nuova costruzione che necessitano di permesso di costruire, rientra anche “l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione”.

3.2 In ogni caso, non v‘è evidenza che le strutture oggetto dell’ordinanza di demolizione qui impugnata risalgano effettivamente agli anni ’50 del secolo scorso. Del resto, trattasi di aspetto che risulta essere stato sollevato per la prima volta in questa sede posto che al punto 1 della narrazione in fatto del ricorso di primo grado lo stesso appellante ha affermato, testualmente, che le postazioni radiotelevisive sarebbero state istallate “verso la fine degli anni 80”.

3.3 In disparte da quanto sopra osservato v’è, comunque, da ritenere che alcun titolo abilitativo edilizio sarebbe potuto essere mai rilasciato nel caso di specie, stante il vincolo assoluto di inedificabilità previsto dagli strumenti urbanistici comunali e i penetranti vincoli paesaggistici ed ambientali derivanti dai piani sovraordinati. Ciò in quanto l’area de qua è asservita al regime di P.R.G. (adottato con delibera commissariale n. 639 del 2.8.1974, approvato dalla Regione Lazio con deliberazione n. 1426 del 27.4.1976) della Zona V2 “area verde con inedificabilità assoluta” (doc. 3 produzione del Comune in primo grado) e le norme tecniche, all'art. 8, non prevedono alcuna possibilità edificatoria. Inoltre, secondo il P.T.P.R., approvato con Legge della Regione Lazio n. 24 del 6 luglio 1998 e successive modificazioni ed integrazioni, detta area ricade all’interno di Zona classificata RP8 e regolamentata dall’art. 24 come “boscata non compromessa” (doc. 4 produzione del Comune in primo grado). Sempre secondo il P.T.P.R adottato, ai sensi degli art. 21, 22 e 23 della L.R. 24/98, con le delibere di Giunta Regionale Lazio n°556 del 25/07/2007 e n°1025 del 21/12/2007, detta area è stata perimetrata come zona classificata, e regolamentata dall’art. 21, “Paesaggio naturale” (doc. 5 produzione del Comune in primo grado). In ultimo, essa è ricompresa all’interno del Parco Regionale dei Castelli Romani, ed è assistita da ulteriori vincoli ambientali e paesaggistici (vincolo paesistico – ambientale ex lege 1497/39; vincolo idrogeologico e forestale; vincolo storico-monumentale, vincolo sismico, regime vincolistico del Piano di Assetto del Parco Regionale dei Castelli ex Legge Regione Lazio 2/84).

4. Con il terzo motivo di appello si censura la sentenza impugnata anche nella parte in cui, sempre mediante rinvio per relationem ad altri precedenti giurisprudenziali, ha ritenuto la “infondatezza della censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, in quanto la demolizione di un’opera abusiva è per costante giurisprudenza un atto a contenuto vincolato, per cui non è necessario tale preventivo adempimento”.

4.1 La censura è destituita di fondamento.

L’ordinanza di demolizione costituisce espressione di un potere vincolato e doveroso in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, rispetto al quale non è richiesto alcun apporto partecipativo del privato (Cfr. ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 11/05/2022, n.3707 “L'attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso”; Consiglio di Stato, sez. II, 01/09/2021, n.6181: “Al sussistere di opere abusive la pubblica amministrazione ha il dovere di adottare l'ordine di demolizione; per questo motivo, avendo tale provvedimento natura vincolata, non è neanche necessario che venga preceduto da comunicazione di avvio del procedimento.”).

5. Con il quarto motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha mancato di fornire un’interpretazione dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 (norma in base alla quale è stato dichiaratamente adottato il provvedimento impugnato) conforme al dettato costituzionale ed al diritto eurounitario e sovranazionale che, com’è noto, tutelano la libertà di manifestazione del pensiero ed i mezzi con cui essa viene esercitata, ritendo la illegittimità delle misure atte ed impedirne l’esercizio.

In particolare, si osserva che il provvedimento impugnato è stato adottato indistintamente contro tutti i proprietari e le emittenti titolari di una postazione sul sito di Monte Cavo Vetta, sicché ove eseguito, stante l’assenza nel territorio regionale di siti alternativi, l’esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, mediante il mezzo della radio diffusione, risulterebbe preclusa. Si deduce, pertanto, che, in caso di esecuzione del provvedimento impugnato, in assenza della localizzazione di un sito alternativo e comunque sino a detta localizzazione, verrebbe impedita la trasmissione del segnale delle emittenti, fra cui l’odierna appellante, i cui impianti sono localizzati sul sito di Monte Cavo Vetta, con compromissione del diritto fondamentale di cui all’art. 21 della Cost., cui viene assicurata ampia protezione sia a livello eurounitario che internazionale.

Secondo parte appellante si imporrebbe, dunque, un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 che, nel bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco, accordi protezione alla libertà di manifestazione del pensiero, ritenendo l’illegittimità del provvedimento adottato, nell’esercizio del potere contemplato da detta norma, quando lo stesso dirigendosi indiscriminatamente verso i mezzi impiegati per l’esercizio di detta libertà, in assenza di siti alternativi, ne determini la soppressione.

Parte appellante conclude, pertanto, sostenendo che, ove l'art. 31 D.P.R. n. 380/2001 fosse interpretato nel senso di legittimare la demolizione di impianti ex lege equiparati ad opere di urbanizzazione primaria, lo stesso si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 21, 41 e 97 Cost. e risulterebbe lesivo degli artt. 6 e 7 T.FU.E., art. 10 della C.E.D.U., art. 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ed 11 della Carta di Nizza e solleva eccezione di illegittimità costituzionale della medesima norma.

5.1 Le questioni di legittimità costituzionale e di compatibilità con il diritto dell’unione sollevate da parte appellante appare manifestamente infondata.

La già ricordata natura vincolata del potere ex art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 impedisce di dare ingresso, nell’adozione della misura reale dell’ordine di demolizione, a valutazioni diverse dal mero riscontro dell’abusività delle opere.

Deve aggiungersi che, nel caso di specie, non è riscontrabile un’indiscriminata ed assoluta compressione della libertà di manifestazione del pensiero, posto che quest’ultima resta esercitabile (anche eventualmente attraverso la realizzazione di un impianto su altro diverso sito) purché ciò avvenga nel rispetto della normativa di settore e, segnatamente, di quella edilizia.

In questo senso è appena il caso di rammentare che questo Consiglio ha già avuto occasione di disattendere analoga questione di costituzionalità sollevata da altra emittente sempre in relazione al sito di Monte Cavo Vetta nel Comune di Rocca di Papa, osservando condivisibilmente che “La normativa paesaggistico-ambientale presiede alla tutela di interessi di indubbio rilievo costituzionale e del tutto ragionevolmente pone limiti alla libertà di iniziativa privata quando quest’ultima possa risultare potenzialmente dannosa. (…) Né può ipotizzarsi, avuto riguardo all’attuale pluralità e diffusione delle fonti di informazione, una restrizione del diritto di cui all’art. 21 cost. tale da giustificare la permanenza in funzione di apparati gravemente lesivi del paesaggio, e da determinare, sul piano normativo, l’incostituzionalità delle disposizioni che ne impongono la rimozione” (Cons. Stato, sez. III, n. 2200 dell’11 maggio 2017).

6. Con il quinto motivo di appello si censura la sentenza impugna nella parte in cui il giudice di prime cure avrebbe omesso di esaminare il motivo del ricorso di primo grado, con cui è stata dedotta l’illegittimità del provvedimento di demolizione per violazione di legge anche sotto il profilo della ritenuta necessità di eliminare l’inquinamento elettromagnetico in tesi derivante dall’insediamento di postazioni televisive in Monte Cavo Vetta.

Si osserva, in particolare, che l’amministrazione comunale non potrebbe ordinare la demolizione degli impianti di diffusione radio-televisiva paventando il rischio per la salute dei cittadini in quanto con ciò utilizzerebbe uno strumento urbanistico (l’ordinanza di demolizione) in un ambito di competenza statale (come la tutela della pubblica salute da ipotizzabili fonti di inquinamento). Ne discenderebbe, pertanto, l’illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado per effetto della palese violazione della normativa che regola la ripartizione tra Stato ed Enti Locali in merito alla questione dell’inquinamento elettromagnetico.

6.1 La doglianza è mal calibrata.

È, infatti, di tutta evidenza che l’esigenza di eliminare l’inquinamento elettromagnetico è stata dedotta dall’amministrazione comunale solo ad abundantiam a sostegno del provvedimento di demolizione. Quest’ultimo si fonda, come visto, principaliter (ed in via autonoma e sufficiente) sulla riscontrata realizzazione di opere in assenza di titolo abilitativo.

7. Con il sesto motivo di appello si censura la sentenza impugna nella parte in cui il giudice di prime cure avrebbe omesso di esaminare il motivo del ricorso di primo grado con cui è stata dedotta l’illegittimità del provvedimento di demolizione per eccesso di potere nelle figure sintomatiche del travisamento dei fatti per difetto ed errore dei presupposti, del difetto di istruttoria, dello sviamento di potere, della contraddittorietà dell’azione amministrativa e del difetto di motivazione.

Sotto il profilo del travisamento dei fatti si deduce che il Comune appellato avrebbe erroneamente ritenuto che i manufatti realizzati delle emittenti, debitamente concessionati, anche in ossequio alla c.d. Legge Mammì, fossero, in realtà, abusivi. Tanto sarebbe in evidente contrasto con la realtà oggettiva e documentata, atteso che:

- il sito di Monte Cavo Vetta rientrava nel programma di riordinamento delle comunicazioni introdotto con la L.R. Lazio 12.12.1987 n. 56;

- le emittenti insistenti, in particolare, avevano ottenuto la concessione prescritta dalla Legge Mammì per poter ivi proseguire la loro attività di diffusione radio-televisiva;

- la stessa ordinanza impugnata era stata adottata, ritenendosi “presumibilmente prive di concessione edilizia” gli impianti insistenti sul sito di Monte Cavo Vetta.

Quanto al profilo del difetto di istruttoria parte appellante deduce che:

- nessuna attività sarebbe stata svolta al fine di accertare e verificare se e quando le emittenti ottennero la concessione per la installazione degli impianti;

- nessuna attività sarebbe stata svolta al fine di accertare il preteso superamento dei limiti alle immissioni elettromagnetiche in difetto della indicazione di qualsiasi parametro, fatto o circostanza idonei ad evidenziare il preteso superamento dei suddetti limiti;

- nessuna attività sarebbe stata svolta al fine di accertare chi (e quando) avesse realizzato i manufatti nei quali erano stati installati gli impianti;

- nessuna attività è stata svolta per verificare l’esistenza di siti alternativi ove localizzare gli impianti di cui trattasi.

Per ciò che riguarda il profilo dello sviamento di potere parte appellante osserva che il Comune appellato avrebbe perseguito, a mezzo del provvedimento impugnato, lo scopo di risolvere una questione di carattere privatistico (pure sfociata nella stipula di una transazione tra il Comune ed alcune emittenti), ossia impedire l’utilizzo del sito ai proprietari, una volta acclarato che lo stesso non poteva ritenersi di proprietà comunale.

In ultimo si ripropone la censura già articolata in primo grado con la quale è stata dedotta l’illegittimità dell’impugnata ordinanza, atteso che l’Ente comunale avrebbe dovuto congruamente motivare l’ordinanza impugnata, con indicazione dell’interesse pubblico perseguito.

7.1 Nessuna delle doglianze in parola merita positivo apprezzamento.

Per quanto riguarda i denunciati profili di travisamento del fatto, è sufficiente rinviare a quanto già osservato supra in ordine alla natura tout court vincolata del potere di demolizione e a quanto rilevato al punto 2.1 con riguardo alla necessità di un titolo abilitativo per la realizzazione degli impianti ed alla circostanza che la disciplina riveniente dal combinato disposto degli artt. 16 e 32 della Legge 6 agosto 1990 n. 223 nonché dell'articolo 23 della Legge 3 maggio 2004 n. 11 non contempla un meccanismo di sanatoria edilizia.

Vi è, poi, da rilevare che, come già ritenuto da questo Consiglio (Sez. VII, n. 731 del 20 gennaio 2023), la mancata approvazione del Piano Nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche in tecnica analogica non era di ostacolo al Comune di adottare provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, in quanto l’amministrazione comunale non aveva alcun onere di individuare una postazione alternativa e l'invito a spostare gli impianti (anziché semplicemente a demolirli) discende dal fatto che l'illegittimità non riguardava gli impianti ma solo la loro collocazione.

Parimenti privi di pregio sono i profili di carenza istruttoria lamentati da parte appellante atteso che quest’ultima si è, correttamente, limitata a rilevare e contestare l’abusività delle opere realizzate rilevando che queste ultime sono assoggettate al preventivo rilascio di un permesso di costruire.

Quanto al profilo dello sviamento di potere preme, invece, rilevare, ferma sempre la considerazione che non può configurarsi un eccesso di potere in relazione alla spendita di poteri amministrativi tout court vincolati quale quello che viene qui in scrutino, che, nell’adottare l’ordinanza di demolizione gravata di primo grado, il Comune ha seguito una linea coerente con i propri precedenti provvedimenti e comportamenti. In particolare, come segnalato dalla difesa comunale, già con delibera di Consiglio n. 4 del 31 gennaio 1998, all'unanimità, era stato decretato che il territorio del Comune, ed in particolare Monte Cavo, non potesse essere individuato come sito per l'installazione di impianti di radiodiffusione, e con decreto di indirizzo del Sindaco dell’11 novembre 1998 era stato posto il divieto assoluto di installare, anche sui tralicci già esistenti, impianti di radiodiffusione. In questo senso anche la transazione conclusa con alcune emittenti riunite in associazione (accordo a cui l’odierna appellante, che ha le proprie strutture sulla particella 173 di proprietà IDA e non su area pubblica, neppure ha preso parte), ha dichiaratamente presupposto la natura abusiva dei manufatti e la necessità che si procedesse in tempi brevi alla delocalizzazione del sito, vertendo prevalentemente su aspetti risarcitori relativi al danno di immagine ed ambientale subito dall’ente comunale a causa degli abusi edilizi.

Quanto, in ultimo, al dedotto difetto di motivazione è sufficiente ribadire il consolidato orientamento, cui questa Sezione aderisce, secondo il quale l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività (Ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 07/06/2021, n.4319). Ne consegue che non è necessario che l’amministrazione individui un interesse pubblico – diverso dalle mere esigenze di rispristino della legalità violata – idoneo a giustificare l’ordine di demolizione (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 17/10/2022, n.8808: “L'ordine di demolizione di manufatti abusivi non richiede una specifica motivazione sulla ricorrenza del concreto interesse pubblico alla loro rimozione, essendo la relativa ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato già compiuta, a monte, dal legislatore”; Consiglio di Stato, sez. II, 11/01/2023, n.360: “L'ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione”).

8. Con il settimo motivo di appello si censura la sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero delle Comunicazioni (successivamente Ministero dello Sviluppo Economico ed ora Ministero delle Imprese e del Made in Italy), in accoglimento della eccezione dallo stesso proposta, per essere stato impugnato un provvedimento comunale.

In particolare, sostiene parte appellante che il ricorso di primo grado “non è stato proposto contro il nominato Ministero, ma nei confronti di quest’ultimo, quale controinteressato, onde sollecitarne una presa di posizione, considerato che l’impugnato provvedimento, pur essendo stato adottato nel dichiarato esercizio di un potere di pianificazione urbanistica, colpendo indistintamente tutti coloro che operano sul sito di Monte Cavo Vetta, nella situazione data e caratterizzata di impossibilità di una diversa localizzazione degli impianti, oltre ad essere lesivo di una libertà fondamentale, quale quella di manifestazione del pensiero, preclude alle Emittenti la possibilità di proseguire la propria attività imprenditoriale, ai sensi dell’art. 41 Cost. e, dunque, incide direttamente ed immediatamente sulla sfera di interessi alla cui tutela è preposto detto Ministero”.

8.1 La censura è priva di pregio.

Il giudice di prime cure ha correttamente dichiarato il difetto di legittimazione passiva del Ministero intimato in quanto, a mezzo del ricorso di primo grado, risulta impugnato un atto comunale di rilevanza edilizia e, neppure in via subordinata o gradata, alcun atto adottato dall’allora Ministero delle Comunicazioni.

Deve quindi escludersi che quest’ultimo rivestisse la qualità di parte resistente in primo grado.

8.2 Né, peraltro, quest’ultimo, a differenza di quanto sostenuto con il motivo in scrutinio da parte appellante, ha mai assunto la veste di controinteressato (e, quindi, di parte necessaria) nel giudizio di impugnazione celebrato dinanzi al T.A.R. per il Lazio – sede di Roma.

Ciò in quanto, come noto, per costante e risalente insegnamento, “Nel giudizio amministrativo, il controinteressato è colui che è individuato testualmente dall'atto e quello facilmente individuabile in ragione delle indicazioni contenute nell'atto impugnato nonché chi si presenti come portatore di un interesse giuridicamente qualificato alla conservazione dell'atto” (ex multis da ultimo Consiglio di Stato, sez. VI, 13/10/2022, n. 8748).

Ebbene, nel caso che occupa non sussiste nessuno dei due requisiti (formale e sostanziale) richiesti dalla giurisprudenza amministrativa per l’assunzione della qualità di controinteressato atteso che, da un lato nell’ordinanza-ingiunzione impugnata in primo grado non risulta menzionato il Ministero intimato, né, dall’altro lato, parte appellante, al di là di un generico riferimento ad un’asserita lesione alla libertà di iniziativa economica, ha specificamente dedotto la sussistenza in capo all’amministrazione intimata di un interesse opposto all’accoglimento della proposta domanda di annullamento.

9. Per le ragioni sopra esposte, l’appello è infondato e deve essere respinto con conferma della sentenza impugnata.

10. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono, nei rapporti tra l’appellante e il Comune di Rocca di Papa, ex artt. 91 c.p.c. e 26 c.p.a., la soccombenza e sono, pertanto, da porre integralmente a carico di quest’ultimo.

10.1 Sussistono, invece, anche in ragione della circostanza che l’Avvocatura erariale si è limitata a depositare un atto di costituzione in giudizio senza svolgere difese, giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite tra l’appellante ed il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (già Ministero delle Comunicazioni e successivamente Ministero dello Sviluppo Economico).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante Roma Television Communications S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento, a titolo di spese processuali, della somma di € 3.000,00 (tremila/00) oltre gli accessori di legge, in favore dell’appellato Comune Rocca di Papa in persona del sindaco pro tempore.

Spese compensate nei rapporti tra l’appellante Roma Television Communications S.r.l. ed il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (già Ministero delle Comunicazioni e successivamente Ministero dello Sviluppo Economico).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 31 maggio 2023 con l'intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Roberto Caponigro, Consigliere

Giovanni Gallone, Consigliere, Estensore

Marco Poppi, Consigliere

Roberta Ravasio, Consigliere