Cass. Sez. III n. 22611 del 16 giugno 2025 (CC 27 mag 2025)
Pres. Di Nicola Rel. Galanti Ric. Capezza
Beni ambientali.Volumi tecnici

In tema di reati paesaggistici, i c.d. «volumi tecnici», pur non comportando «carico urbanistico», potendo determinare un diverso impatto a livello paesaggistico, debbono essere considerati ai fini del giudizio sulla sussistenza del reato di cui all'art. 181 d.lgs. 42/2004.

RITENUTO IN FATTO 
1. Con ordinanza del 19/12/2024, la Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta di Capezza Teresa di revoca dell’ordine di ripristino dello stato dei luoghi relativo al compendio immobiliare sito in Casamicciola Terme, disposto nel procedimento n. 12516/2010.
In particolare il g.e., preso atto della pronuncia della Corte costituzionale n. 56 del 2016, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 181, comma 1-bis, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, nella parte in cui prevede che le opere «: a) ricadano su immobili od aree che, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori; b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’articolo 142 ed», evidenziava il permanere invece dell’illiceità in relazione ai lavori di cui al comma 1 della medesima disposizione laddove Il riferimento è alla parte della lettera b) non attinta dalla pronuncia di incostituzionalità) abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi, circostanza sussistente nel caso di specie, in cui i lavori hanno una consistenza volumetrica di 1106,61 m3.
2. Avverso tale ordinanza la Capezza propone ricorso per cassazione.
Lamenta la ricorrente che la Corte di appello si sia riportata, nel rigettare l’istanza, alle conclusioni della relazione di consulenza tecnica dell’Arch. Guglielmo Esposito, disposta dalla Procura generale, senza interpretare i dati reali, posto che la consistenza volumetrica si misura dal piano di campagna e i c.d. “volumi tecnici” non vanno computati, come stabilito dal Consiglio di Stato, ai fini del calcolo del volume dell’abuso edilizio.
Evidenzia anche l’errore costituito dal computo nel volume di un piano ammezzato che non poteva essere conteggiato, in quanto inferiore all’altezza minima stabilita dal d.m. 18/07/1975.
Del pari, la perizia non ha tenuto conto del fatto che ai fini della determinazione del volume da computare non si deve tenere conto della copertura con falda inclinata.

RITENUTO IN DIRITTO 
Il ricorso è inammissibile.
2. In primo luogo, sotto l’ombrello del vizio di motivazione e dell’errore materiale, il ricorrente sollecita a questa Corte una rivalutazione del fatto posto alla base della decisione impugnata, operazione evidentemente preclusa in sede di legittimità e propone, in ogni caso, censure motivazionali che parimenti non possono trovare ingresso in questa sede, consistendo nella rivalutazione (con tanto di estratto delle piantine catastali) delle risultanze istruttorie effettuate dal giudice dell’esecuzione.
Come noto, infatti, il ricorso per cassazione è inammissibile quando si fonda su motivi che postulano una non consentita rivalutazione delle prove, in quanto ciò esula dalle attribuzioni del giudice di legittimità, il quale deve limitarsi a verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione adottata dai giudici di merito (Sez. 6, n. 43139 del 19/09/2019, Sessa, n.m.). propone una mera rivalutazione del quadro fattuale, e in particolare dei contenuti della consulenza tecnica in atti, da ritenersi non consentito in sede di legittimità.
3. Quanto al caso in esame, il Collegio rammenta che nella giurisprudenza di legittimità è consolidato l'orientamento secondo cui, per effetto della sentenza della Corte cost. 23 marzo 2016, n. 56, che ha dichiarato la parziale incostituzionalità dell'art. 181, comma 1-bis, d.lgs. 42/2004, integra la contravvenzione prevista dal comma 1 di detto articolo ogni intervento abusivo su beni vincolati paesaggisticamente, tanto in via provvedimentale che per legge, configurandosi invece il delitto previsto dal successivo comma 1-bis nella sola ipotesi di lavori che superino i limiti volumetrici ivi indicati (Sez. 3, n. 33047 del 19/04/2016, Mozer e a., Rv. 268033; v. anche, Sez. 3, n. 38976 del 07/04/2017, Guadagno, n.m., in motivazione).
Detti limiti sono alternativamente indicati: nell'aumento superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria; in un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi; nella realizzazione di una nuova costruzione con volumetria superiore a mille metri cubi.
Il giudice dell’esecuzione, con valutazione di merito insuscettibile di rivalutazione in questa sede, ha precisato che, alla luce della consulenza tecnica versata in atti, la consistenza volumetrica dell’abuso è pari a 1.106,61 m3, per cui l’intervento edilizio in parola resta escluso dall’ambito di applicazione della sentenza della Corte costituzionale.
4. In ogni caso, la doglianza è anche manifestamente infondata nel merito.
Ed infatti, quanto ai «volumi tecnici», contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, questa Corte ritiene, con principio che il Collegio ribadisce (v. sul punto Sez. 3, n. 2288 del 28/11/2017, dep. 2018, Esposito, Rv. 272487 – 01), che l’interpretazione finalistica della norma incriminatrice - che individua un reato di pericolo rispetto alla realizzazione di lavori che potrebbero incidere sul bene penalmente protetto del paesaggio e che dunque possono essere effettuati soltanto dopo aver conseguito la prescritta autorizzazione (Sez. 3, n. 11048 del 18/02/2015, Murgia, Rv. 263289; Sez.
3, n. 21029 del 03/02/2015, Dell'Utri, Rv. 263978) - impone certamente di considerare anche i volumi tecnici.
Ed infatti gli stessi, non comportando carico urbanistico, sono di regola irrilevanti ai fini del giudizio sulla sussistenza dei reati di cui all'art. 44, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ma tuttavia, potendo determinare un diverso impatto a livello paesaggistico, debbono invece essere considerati, ove emergenti dal terreno e dunque visibili, ai fini del giudizio sulla sussistenza del reato di cui all'art. 181 d.lgs. 42/2004.
La conclusione trova conferma nel recente d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31 («Regolamento recante individuazione degli interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o sottoposti a procedura autorizzatoria semplificata»), che assoggetta anche detti manufatti al rilascio dell'autorizzazione di cui all'art. 146 dello stesso Codice, sia pure prevedendo una procedura semplificata laddove gli stessi abbiano contenuta volumetria.
L'Allegato B al suddetto decreto - che individua gli interventi soggetti ad autorizzazione paesaggistica da rilasciarsi con procedura semplificata - contempla infatti, al punto B.17, la realizzazione di «manufatti accessori o volumi tecnici con volume emergente fuori terra non superiore a 30 mc.», con ciò implicitamente confermando che, ai fini dell'applicazione della disciplina della tutela penale del paesaggio, e dunque anche dell'integrazione dell'ipotesi delittuosa prevista dall'art. 181, comma 1-bis, d.lgs. 42/2004, il concetto di volumetria rilevante è diverso da quel invece vale sul piano penale urbanistico.
Si deve quindi concludere nel senso che, in tema di reati paesaggistici, i c.d. «volumi tecnici», pur non comportando «carico urbanistico», potendo determinare un diverso impatto a livello paesaggistico, debbono essere considerati ai fini del giudizio sulla sussistenza del reato di cui all'art.
181 d.lgs. 42/2004.
5. Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 27/05/2025