Consiglio di Stato Sez. VI n. 9159 del 15 novembre 2024
Elettrosmog.Divieti di localizzazione impianti 

Previsioni regolamentari (dettate a livello comunale alla stregua della pertinente disciplina statale e regionale), recanti divieti di localizzazione di impianti di TLC in talune aree del territorio comunale, sono illegittime, salvo che: I) la interdizione di allocazione di impianti in specifiche aree del territorio comunale risponda a particolari esigenze di interesse pubblico, tendendo alla tutela di interessi sensibili, di regola costituzionalmente rilevanti; II) non siano pregiudicate le esigenze di celere sviluppo, di efficienza e di funzionalità della rete di comunicazione elettronica, non impedendosi – per effetto del limite o del divieto posto dall'ente locale – la capillare distribuzione del servizio all'interno del territorio; III) non siano derogati i valori soglia definiti dalla legislazione statale.

Pubblicato il 15/11/2024

N. 09159/2024REG.PROV.COLL.

N. 05639/2022 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5639 del 2022, proposto da:
Piero Cairello, Antonio Fiore, Giuseppina Emilia Gamondo, Guido Gandino, Marcello Gamondo, rappresentati e difesi dagli avvocati Giovanni Bormioli e Giovanni Corbyons, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Castelletto D'Orba, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Luca Gastini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
S.U.A.P. – Sportello Unico per le Attività Produttive del Comune di Ovada – Sportello del Comune di Castelletto d’Orba, A.R.P.A. Piemonte, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;

nei confronti

Wind-Tre s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Giuseppe Sartorio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Seconda) n. 00353/2022, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Castelletto d’Orba e di Wind-Tre s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 30 ottobre 2024 il Consigliere Lorenzo Cordì e uditi, per le parti, gli avvocati Giovanni Corbyons, Stefania Contaldi, in sostituzione dell'avvocato Luca Gastini, e Giuseppe Sartorio;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Gli appellanti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso avverso la sentenza n. 353/2022, con la quale il T.A.R. per il Piemonte ha: i) dichiarato improcedibile il ricorso proposto dal sig. Giuseppe Lasagna; ii) dichiarato in parte irricevibile, in parte inammissibile e, per il resto, infondato il ricorso proposto dagli odierni appellanti.

2. Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado erano stati impugnati: i) il provvedimento del 05.06.2019, prot. n. 2940, con cui il Comune di Castelletto d’Orba aveva rilasciato a Wind-Tre s.p.a. l’autorizzazione per l’installazione di un nuovo impianto di telefonia cellulare in strada Vicinale Roffio (foglio 7, mappale 846); ii) l’autorizzazione unica dello S.U.A.P., con cui era stata assentita l’installazione; iii) il parere reso dall’A.R.P.A. Piemonte, favorevole all’installazione dell’impianto di telecomunicazione di proprietà della società Wind-Tre s.p.a.; iv) il provvedimento prot. n. 1890 del 22.04.2020, di chiusura del procedimento di annullamento in autotutela.

3. Gli odierni appellanti sono cittadini residenti o proprietari di immobili ubicati nelle vicinanze della stazione radio base edificata da Wind Tre s.p.a. in forza dei provvedimenti autorizzatori indicati al precedente punto [lett. i)-iii)]. Tali soggetti hanno impugnato, unitamente ai titoli autorizzatori, il provvedimento con cui il Comune ha respinto la loro istanza del 4.11.2019, con la quale era stato chiesto di annullare in autotutela l’autorizzazione rilasciata a Wind-Tre per la realizzazione dell’impianto, per violazione della previsione di cui all’art. 20 delle N.T.A. del P.R.G. comunale e dell’art. 3, comma 1, lett. b), del Regolamento comunale n. 1/2001, che vietavano l’installazione di simili impianti in zone comprese nel raggio di 200 metri dagli impianti sportivi esistenti e previsti, e dalle civili abitazioni. Dopo la presentazione di tale istanza, il Comune aveva avviato il procedimento per la verifica dei presupposti per l’annullamento in autotutela, considerato anche che vi erano ulteriori aree disponibili. Il Sindaco aveva, inoltre, sospeso i lavori in data 18.3.2020, ma, in data 22.4.2020, l’Amministrazione aveva respinto l’istanza. Wind-Tre aveva, quindi, completato i lavori in data 29.5.2020.

4. Gli odierni appellanti (unitamente al sig. Lasagna) avevo dedotto l’illegittimità dei provvedimenti di cui al punto 2 della presente sentenza per: i) la violazione dell'art. 3 del Regolamento comunale n. 1/2001, richiamato dall'art. 20 delle N.T.A. del P.R.G. comunale; ii) la violazione dell'art. 21-nonies della L. n. 241/1990 e l'omesso bilanciamento degli interessi involti, avendo il Comune respinto l’istanza sulla base di una prognosi di possibile soccombenza in giudizio; iii) la violazione dell’art. 7 della L. n. 241/1990, per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, culminato con il rigetto dell’istanza

5. Il T.A.R. ha, in primo luogo, preso atto della rinuncia del sig. Giuseppe Lasagna, dichiarando il ricorso in parte qua improcedibile. Inoltre, il T.A.R. ha dichiarato irricevibili i motivi articolati avverso i titoli autorizzatori, ritenendo decorso il termine per l’impugnazione degli stessi, e ha ritenuto inammissibili le domande di annullamento proposte da soggetti diversi dai sig.ri Elisabetta Toso, Guido Gandino, Simone Saracino e Piero Cairello, unici firmatari dell’istanza di annullamento in autotutela. Nel merito il T.A.R. ha ritenuto esenti dai vizi prospettatati i provvedimenti del Comune, osservando che: i) l’Amministrazione aveva correttamente disapplicato l’art. 3 del Regolamento, in quanto contrastante con la previsione di cui all’art. 8, comma 6, della l. n. 36/2001, come interpretata dalla costante giurisprudenza amministrativa; ii) in mancanza del presupposto dell’illegittimità, erano privi di consistenza gli ulteriori rilievi, relativi all’omesso bilanciamento dei valori involti; iii) era infondato l’ultimo motivo, atteso che gli esponenti avevano ammesso di essere stati informati in itinere della pendenza del procedimento amministrativo, e trovava, comunque, applicazione la previsione di cui all’art. 21-octies, comma 2, secondo periodo, della L. n. 241/1990.

6. Gli appellanti hanno dedotto l’erroneità della sentenza di primo grado articolando quattro motivi che saranno di seguito illustrati ed esaminati. Si sono costituiti in giudizio il Comune e Wind-Tre deducendo l’infondatezza del ricorso in appello. In vista dell’udienza pubblica del 30.10.2024 Wind-Tre e il Comune hanno depositato memorie conclusionali; gli appellanti hanno depositato, invece, la sola memoria di replica. Wind-Tre ha, poi, depositato la sentenza n. 8607/2024 della Sezione. All’udienza del 30.10.2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

7. Entrando in medias res il Collegio osserva come: i) con il primo motivo le parti abbiano dedotto l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha dichiarato irricevibili le censure articolare avverso i titoli; ii) con il secondo motivo le parti abbiano dedotto l’erroneità della sentenza di primo nella parte in cui ha ritenuto inammissibile il ricorso proposto avverso il diniego di annullamento in autotutela dai soggetti diversi dai sottoscrittori dell’istanza.

7.1. Osserva il Collegio come possa soprassedersi dalla disamina di tali questioni, procedendo ad esaminare il merito dei motivi di ricorso di appello (e, conseguentemente, le ragioni a fondamento del ricorso di primo grado), stante la loro infondatezza per le ragioni di seguito esposte.

8. Con il terzo motivo le parti hanno dedotto l’erroneità della sentenza del T.A.R., ritenendo le previsioni di cui all’art. 20 delle N.T.A. del P.R.G. comunale e dell’art. 3, comma 1, lett. b), del Regolamento comunale n. 1/2002 (che vietavano di installare le stazioni nel raggio di 200 metri dagli impianti sportivi esistenti o previsti, e dalle civili abitazioni) legittima espressione del potere regolamentare di cui all’art. 8, comma 6, della L. n. 36/2001, e, pertanto, vizia per contrasto con tali disposizioni sia i titoli che il diniego di annullamento in autotutela.

8.1. Le deduzioni degli appellanti sono infondate alla luce delle seguenti considerazioni.

8.2. Prendendo l’abbrivio da quadro normativo di riferimento rileva, in primo luogo, la Legge n. 36/2001 («Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici»), costituente la base giuridica del regolamento comunale adattato dal Comune. Come osservato dalla Sezione (Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 giugno 2022, n. 5283; Id., 14 marzo 2023, n. 2665). Tale legge distingue le competenze dello Stato (art. 4), delle Regioni, delle Province e dei Comuni. La disposizione di cui all’art. 8, comma 6, prevedeva (nella versione vigente ratione temporis): “I comuni possono adottare un regolamento  per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, con esclusione della possibilità di introdurre limitazioni alla localizzazione in aree generalizzate del territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, di incidere, anche in via indiretta o mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, riservati allo Stato ai sensi dell'articolo 4” della stessa Legge. Nella ricostruzione del quadro normativo, giova richiamare, altresì, la previsione contenuta ora all’interno dell’art. 43, comma 4, del D.Lgs. n. 259/03 che assimila le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione e le opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica in grado di fornire servizi di accesso a banda ultra larga alle opere di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16, comma 7, del D.P.R. n. 380/2001.

9. Alla stregua di tale quadro normativo si è osservato (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. II, 6 dicembre 2021, n. 8141; Id., Sez. VI, 3 agosto 2018, n. 4794) che l'assimilazione delle infrastrutture di reti pubbliche di TLC alle opere di urbanizzazione primaria implica la loro compatibilità, in via generale, con ogni destinazione urbanistica e, dunque, con ogni zona del territorio comunale. In sostanza, il legislatore statale, nell’inserire le infrastrutture per le reti di comunicazione fra le opere di urbanizzazione primaria, ha inteso esprimere un principio fondamentale della normativa urbanistica, a fronte del quale la potestà regolamentare attribuita ai Comuni dall’articolo 8, comma 6, della L. n. 36/2001, non può svolgersi nel senso di un divieto generalizzato di installazione in aree urbanistiche predefinite, al di là della loro ubicazione o connotazione o di concrete (e, come tali, differenziate) esigenze di armonioso governo del territorio (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. III, 5 febbraio 2013, n. 687).

9.1. Alle Regioni ed ai Comuni è, dunque, consentito - nell’ambito delle rispettive competenze - individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.), mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi).

9.2. Alla luce di tali rilievi, è stato precisato (Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 gennaio 2021, n. 374) che la scelta di individuare un’area specifica ove collocare gli impianti, anche se in base al criterio della massima distanza possibile dal centro abitato, non può ritenersi condivisibile, costituendo un limite alla localizzazione (non consentito) e non un criterio di localizzazione (consentito).

9.3. Tali principi sono stati espressi tenendo conto dell’interesse nazionale, costituzionalmente rilevante in quanto afferente pure alla libertà della comunicazione, alla copertura del territorio e all’efficiente distribuzione del servizio, non potendo la potestà comunale di individuare aree dove collocare gli impianti impedire la realizzazione di una rete completa di infrastrutture di telecomunicazioni (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 marzo 2018, n. 1592). In particolare, dall’assimilazione degli impianti de quibus alle opere di urbanizzazione primaria e, dunque, dalla loro compatibilità con qualsiasi destinazione urbanistica e, in ultima analisi, con ogni zona del territorio comunale, si è desunto il principio della necessaria capillarità della localizzazione degli impianti relativi ad infrastrutture di reti pubbliche di comunicazioni (Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 agosto 2017, n. 3891), essenziale per garantire la copertura dell’intero territorio (comunale e, per sommatoria, nazionale).

9.4. Pertanto, i divieti di localizzazione devono ritenersi illegittimi nella misura in cui vadano a pregiudicare la copertura del territorio nazionale, incidendo sull’esigenza di garantire la completa realizzazione della rete di infrastrutture per le telecomunicazioni. Siffatti divieti, di contro, non possono ritenersi incompatibili con la normativa settoriale, se non influiscono sulla capillarità della localizzazione degli impianti e, dunque, sulla possibilità di usufruire dei relativi servizi in qualsiasi area del territorio nazionale, nonché se si mantengono entro i limiti delineati dall’art. 8 legge n. 36 del 22 febbraio 2001, risultando funzionali al perseguimento degli obiettivi di interesse generale ivi divisati.

10. Tale risultato esegetico è in linea con la giurisprudenza costituzionale formatasi in materia.

10.1. In particolare, con la sentenza n. 331 del 2003, la Corte costituzionale è stata chiamata a statuire sulla legittimità di una legge regionale che aveva introdotto una serie di prescrizioni incentrati sulla necessità di rispettare una predefinita distanza tra luoghi di emissione e luoghi di immissione. Al riguardo, la Corte ha rilevato che si era in presenza di una disciplina illegittima, perché fondata su un criterio: i) da un lato, contrastante con quello alla base della disciplina statale a garanzia delle esigenze di protezione ambientale e sanitaria dall'esposizione a campi elettromagnetici, incentrato esclusivamente su limiti di immissione delle irradiazioni nei luoghi particolarmente protetti e teso a garantire un equilibrio tra esigenze plurime, necessariamente correlate le une alle altre, attinenti alla protezione ambientale, alla tutela della salute, al governo del territorio e alla diffusione sull'intero territorio nazionale della rete per le telecomunicazioni; ii) dall’altro, non giustificabile sulla base della materia del governo del territorio, cui non potrebbero “ricondursi divieti come quello in esame, un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformandosi così da «criteri di localizzazione» in «limitazioni alla localizzazione», dunque in prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla citata norma della legge n. 36. Questa interpretazione, d'altra parte, non è senza una ragione di ordine generale, corrispondendo a impegni di origine europea e all'evidente nesso di strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione, attivi e passivi”.

10.2. Ne deriva che la Corte, nel dichiarare l’incostituzionalità della disposizione censurata, ha pure valorizzato la necessità di garantire “la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni”, alla cui stregua sembra debbano scrutinarsi le diposizioni (regionali e comunali) dettate a regolazione della localizzazione degli impianti per cui è causa.

10.3. Con altra pronuncia (n. 307 del 2003) la Corte costituzionale ha ritenuto non fondata una questione di legittimità riferita a disposizioni regionali che: i) definivano "aree sensibili" le aree per le quali le amministrazioni comunali, su regolamentazione regionale, potevano prescrivere localizzazioni alternative degli impianti, in considerazione della particolare densità abitativa, della presenza di infrastrutture e/o servizi a elevata intensità d'uso, nonché dello specifico interesse storico-architettonico e paesaggistico-ambientale; ii) attribuivano alla Regione il potere di dettare i criteri generali per la localizzazione degli impianti, nonché i criteri inerenti l'identificazione delle “aree sensibili” e la relativa perimetrazione, nel rispetto dei limiti previsti dal d.m. n. 381/1998 e tenendo conto degli strumenti della pianificazione territoriale, paesaggistica e ambientale, a livello regionale e locale.

10.3.1. La Corte Costituzionale ha ritenuto tale disciplina legittima in quanto “[l]e "aree sensibili" sono definite dalla legge regionale con riguardo a situazioni e interessi (tutela della popolazione nelle aree densamente abitate o frequentate, interesse storico-artistico o paesistico dell'area) di cui la Regione ha certamente titolo per occuparsi in sede di regolazione dell'uso del proprio territorio. Soprattutto, poi, la definizione e la perimetrazione di tali aree, nel sistema della legge regionale, hanno l'unico scopo di fondare la previsione di "localizzazioni alternative", cioè un tipo di misura che, fermo restando il necessario rispetto dei vincoli della programmazione nazionale delle reti e della pianificazione del territorio, rientra appieno nella competenza regionale in tema di governo del territorio, e specificamente nella competenza regionale, riconosciuta dalla legge quadro (art. 8, comma 1, lettera a), per la "individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione". Essa non prelude dunque alla fissazione di valori-soglia diversi e contrastanti con quelli fissati dallo Stato, ma attiene e può attenere solo alla indicazione di obiettivi di qualità non consistenti in valori di campo, ma in criteri di localizzazione, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni all'utilizzo della miglior tecnologia disponibile, o alla cura dell'interesse regionale e locale all'uso più congruo del territorio, sia pure nel quadro dei vincoli che derivano dalla pianificazione nazionale delle reti e dai relativi parametri tecnici, nonché dai valori-soglia stabiliti dallo Stato”.

10.4. Con altre pronunce la Corte costituzionale ha ulteriormente valorizzato: i) “l'autonoma capacità delle Regioni e degli enti locali” di regolare l'uso del proprio territorio, purché i criteri localizzativi e gli standard urbanistici all’uopo definiti rispettino le esigenze della pianificazione nazionale degli impianti e non siano, nel merito, tali da impedire od ostacolare ingiustificatamente l'insediamento degli stessi (n. 303 del 2007); ii) l’impossibilità per la legge regionale di ostacolare gli obiettivi di insediamento sottesi ad interessi ascrivibili alla sfera di competenza legislativa statale e, al contempo, la necessità per lo Stato di preservare uno spazio alle scelte normative di pertinenza regionale, che può essere negato solo nel caso in cui esse generino “l'impossibilità, o comunque l'estrema ed oggettiva difficoltà, a conseguire il predetto obiettivo, caso in cui la norma statale si atteggia, nelle materie concorrenti, a principio fondamentale, proprio per la parte in cui detta le condizioni ed i requisiti necessari allo scopo” (n. 278 del 2010).

10.5. La giurisprudenza costituzionale sembra, dunque, confermare l’impossibilità, per le Amministrazioni territoriali, di disciplinare la localizzazione degli impianti in esame attraverso l’imposizione di divieti di localizzazione, ove siano derogati i valori soglia definiti dalla legislazione statale o siano pregiudicate le esigenze di celere sviluppo, di efficienza e di funzionalità della rete di comunicazione elettronica e la copertura con essa dell'intero territorio nazionale. Di contro, ove tali esigenze di tutela non siano compromesse, perché la loro realizzazione non è resa impossibile o estremamente difficile dalla disciplina locale, non sembra possa negarsi uno spazio regolatorio alle scelte di competenza delle Amministrazioni territoriali.

11. Anche la Sezione, con la richiamata sentenza n. 5283 del 2022, ha precisato che: i) il regolamento previsto dall'art. 8, comma 6, l. n. 36/2001, nel disciplinare il corretto insediamento nel territorio degli impianti stazioni radio base, può contenere regole a tutela di particolari zone e beni di pregio paesaggistico o ambientale o storico artistico, o anche per la protezione dall'esposizione ai campi elettromagnetici di zone sensibili (scuole, ospedali, ecc.), ma non può imporre limiti generalizzati all'installazione degli impianti; ciò, tuttavia, “se tali limiti sono incompatibili con l'interesse pubblico alla copertura di rete nel territorio nazionale”; ii) è consentito ai Comuni, nell'esercizio dei loro poteri di pianificazione territoriale, di raccordare le esigenze urbanistiche con quelle di minimizzazione dell'impatto elettromagnetico, ai sensi dell'ultimo inciso del comma 6 dell'art. 8, “prevedendo con regolamento anche limiti di carattere generale all'installazione degli impianti, purché sia comunque garantita una localizzazione alternativa degli stessi, in modo da rendere possibile la copertura di rete del territorio nazionale”, con la conseguenza che possono ritenersi legittime anche disposizioni che non consentono, in generale, la localizzazione degli impianti nell'area del centro storico ritenuto di particolare pregio e di estensione non tale da pregiudicare l’efficienza della rete (o in determinate aree del centro storico) o nelle adiacenze di siti sensibili (come scuole e ospedali), purché sia garantita la copertura di rete, anche nel centro storico e nei siti sensibili, con impianti collocati in altre aree.

12. In definitiva, alla luce della normativa di riferimento e delle precisazioni fornite nei citati precedenti giurisprudenziali, deve ritenersi che previsioni regolamentari (dettate a livello comunale alla stregua della pertinente disciplina statale e regionale), recanti divieti di localizzazione in talune aree del territorio comunale, siano illegittime, salvo che: i) la interdizione di allocazione di impianti in specifiche aree del territorio comunale risponda a particolari esigenze di interesse pubblico, tendendo alla tutela di interessi sensibili, di regola costituzionalmente rilevanti; ii) non siano pregiudicate le esigenze di celere sviluppo, di efficienza e di funzionalità della rete di comunicazione elettronica, non impedendosi – per effetto del limite o del divieto posto dall'ente locale – la capillare distribuzione del servizio all'interno del territorio; iv) non siano derogati i valori soglia definiti dalla legislazione statale.

13. Declinando i principi esposti al caso di specie, si osserva come il divieto – pur asseritamente sorretto da esigenze di “decoro ambientale” – non riguardava, invero, particolari zone o beni di pregio ambientale né risultava funzionale alla protezione dell’esposizione ai campi elettromagnetici di zone sensibili, ma, al contrario, si sostanziava in una preclusione di carattere sostanzialmente generale, che, come tale, integrava un divieto localizzativo. Di conseguenza, risulta esente da vizi la decisione del Comune – espressa sia in sede di rilascio dei titoli che di reiezione del diniego di autotutela – di disapplicare la norma regolamentare, in quanto, chiaramente, contrastante con la previsione primaria, per come interpretata dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa sopra esposta. Esclusa la sussistenza di una legittima limitazione, non era neppure obbligo del Comune individuare un sito alternativo per la realizzazione dell’impianto; né assumono rilievi, per la medesima ragione, gli ulteriori valori involti, non dovendosi effettuare alcun bilanciamento in difetto dell’illegittimità del provvedimento di primo grado.

14. Deve, poi, respingersi l’istanza di remissione alla Corte di Giustizia “per risolvere le questioni proposte dall’ordinanza del Consiglio di Stato 27/03/2019 n. 2033, per le ragioni di diritto ivi indicate, tutte rilevanti nel caso di specie”. Osserva, infatti, il Collegio come la Corte di Giustizia abbia dichiarato tali questioni manifestamente irricevibili, con ordinanza del 16.1.2020, causa C-368/19 (neppure menzionata dagli appellanti). Inoltre, la controversia da cui ha tratto origine l’ordinanza di rimessione è stata decisa dalla sentenza n. 206/2021, nella quale la Sezione ha evidenziato come non fosse necessario avvalersi della possibilità di presentare una nuova domanda pregiudiziale, osservando che la limitazione di applicabilità agli impianti di telefonia mobile delle sole direttive “quadro” e “autorizzazioni” consentiva di ritenere che le disposizioni europee relative all’adozione di procedure semplici, efficaci, trasparenti e non discriminatorie e quelle relative all’utilizzo neutrale ed efficiente delle frequenze non fossero in quanto tali in contrasto con una normativa nazionale che preveda la potestà regolamentare dei comuni in materia di insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici. Pertanto, la possibilità di porre delle limitazioni non è stata revocata in dubbio, mentre la giurisprudenza ha, piuttosto, chiarito i presupposti di esercizio di tale potere, affrontando, quindi, tematica ulteriore rispetto a quella controversa in quel giudizio. Del resto, gli appellanti non hanno, neppure, esposto le ragioni per le quali la questione sollevata dalla Sezione sarebbe ancora rilevante nel caso di specie, nonostante le indicazioni della C.G.U.E. e della sentenza che ha definito quel giudizio. Pertanto, la questione prospettata risulta non pertinente e/o non rilevante (secondo le dizioni utilizzate, rispettivamente, da Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 6 ottobre 1982, causa C-283/81, e da Corte di Giustizia dell’Unione europea, 6 ottobre 2021, causa C-561/19).

15. Parimenti infondato è l’ultimo motivo di ricorso in appello, per la dirimente considerazione che le deduzioni degli appellanti non avrebbero in alcun modo condotto ad un diverso provvedimento. Esclusa la sussistenza di una illegittimità nel rilascio dei titoli, difettava il primum movens per l’esercizio del potere di cui all’art. 21-nonies della L. n. 241/1990, con conseguente irrilevanza della mancata partecipazione al procedimento che, sotto questo profilo, non avrebbe condotto ad alcun esito differente da quello tradottosi nel provvedimento di diniego. Né rileva la previsione di cui all’art. 21-octies, comma 2, aggiunta dal d.l. n. 76/2020, trattandosi di ius supervenies, come tale non rilevante nel caso di specie.

16. La declaratoria di infondatezza nel merito dei motivi di ricorso comporta l’inammissibilità per irrilevanza dell’istanza di ammissione di prova testimoniale (dedotta nella memoria di primo grado del 4.3.2022), relativa al momento di realizzazione dell’antenna, e, quindi, alla percezione della lesione ai fini dell’apprezzamento della tempestività di un ricorso che è stato ritenuto dal Collegio infondato nel merito.

17. In definitiva, il ricorso in appello deve essere respinto per le ragioni sin qui spiegate. Le questioni esaminate esauriscono la disamina dei motivi, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante; cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021, n. 6209; Id., 13 settembre 2022, n. 7949), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

18. Le spese del presente grado di giudizio seguono, tra le parti costituite, il criterio di soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Nulla sulle spese di lite nei confronti delle parti appellate non costituite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello come in epigrafe proposto:

i) dichiara inammissibile l’istanza di assunzione di prova testimoniale, per le ragioni indicate in motivazione;

ii) dichiara insussistenti i presupposti per rimettere alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale prospettata dagli appellanti;

iii) respinge il ricorso in appello, nonché le censure di merito articolate nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, per le ragioni spiegate in motivazione;

iv) condanna gli appellanti, in solido, a rifondere le spese di lite del presente grado di giudizio al Comune di Castelletto d’Orba e a Wind-Tre s.p.a., che liquida, per ciascuna parte, in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 ottobre 2024 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Luigi Massimiliano Tarantino, Consigliere

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Lorenzo Cordi', Consigliere, Estensore

Thomas Mathà, Consigliere