Consiglio di Stato Sez. IV n. 4687 del 29 maggio 2025
Acque.Competenza in tema di sanzioni amministrative 

La disciplina delle sanzioni amministrative non costituisce una materia a sé, ma rientra nell’ambito materia alla quale le sanzioni stesse si riferiscono. Nello specifico, le violazioni in materia di scarichi e di tutela della qualità dei corpi idrici, di cui all’art. 133 del codice dell’ambiente, sono ascrivibili alla materia della tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Con l’art. 135 del d.lgs. n. 152 del 2006, lo Stato ha poi delegato alle Regioni l’esercizio delle funzioni relative all’irrogazione delle sanzioni amministrative, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 18 e seguenti della l.n. 689 del 1981, ovvero limitatamente al procedimento applicativo. Ne deriva che, per quanto concerne i criteri di determinazione delle sanzioni amministrative in materia, le Regioni non dispongono di un autonomo potere normativo.

Pubblicato il 29/05/2025

N. 04687/2025REG.PROV.COLL.

N. 03444/2023 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3444 del 2023, proposto dalle società Gran Sasso Acqua s.p.a., Consorzio Acquedottistico Marsicano s.p.a., Aca s.p.a., Sasi s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Roberto Colagrande e Sebastiana Parlavecchio, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

la Regione Abruzzo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Abruzzo (Sezione Prima) n. 00371/2022, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Abruzzo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatrice nell'udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2025 la consigliera Silvia Martino;

Dato atto delle istanze di passaggio della causa in decisione depositate dagli avvocati Sebastiana Parlavecchio e Roberto Colagrande e dall'avvocato dello Stato Antonio Grumetto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Le appellanti espongono di essere società pubbliche in house di gestione del Servizio Idrico Integrato (di seguito SII) in Abruzzo.

Esse si occupano di diverse centinaia di impianti di depurazione di acque reflue urbane ricadenti nel SII, di cui all’art. 141, comma 2, del d.lgs. n. 152/2006, esistenti nella Regione.

Dette società nel mese giugno 2021 si sono viste notificare diverse ordinanze di ingiunzione di pagamento (in totale oltre 50) emesse ai sensi della l.n. 689 del 1981 per asserite violazioni dell’art. 133 del d.lgs. n. 152/2006 con sanzioni fino quasi a 10 volte superiori al minimo edittale; il quale articolo, invece, era stato in precedenza sempre applicato nel minimo edittale, pur in riferimento all’art. 11 della l. n. 689/1981, prima dagli uffici provinciali e poi (con il trasferimento di competenze) dagli uffici regionali preposti alla irrogazione delle sanzioni amministrative inerenti gli scarichi di acque reflue urbane riferite alla violazione del precitato art. 133 del d.lgs 152/2006.

Nel preambolo di queste ordinanze (che le società hanno comunque impugnato innanzi al giudice ordinario ai sensi della l. n. 689 del 1981) risultavano indicate, quali atti presupposti, due determinazioni dirigenziali regionali mai notificate e/o rese note e disponibili alle società che, solo dopo la notifica delle sanzioni, ne hanno reperito il contenuto.

In particolare dalla lettura delle ordinanze si evinceva che la Determinazione n. DPC017/313 del 28.10.2020, a firma del Direttore del Dipartimento Territorio e Ambiente e del Dirigente del Servizio Demanio Idrico e Fluviale, avrebbe convalidato la Determinazione n. DPC/263 del 23.12.2019 relativa a “Esercizio della potestà sanzionatoria: individuazione dei presupposti per la graduazione delle sanzioni di cui all’art.133 del Decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 11 della L. 24.11.1981”; e ciò a seguito di apposita istruttoria di cui agli atti ivi citati (ma altrettanto non allegati né resi disponibili).

Il senso di queste determinazioni si ricavava dal richiamo fatto nella determina DPC017/313 al parere dell’Avvocatura regionale dell’8.10.2020 che aveva rilevato la illegittimità della DPC/263 del 23.12.2019 nella parte in cui la stessa era ritenuta applicabile a partire dagli accertamenti risalenti al 14.1.2016 (data di trasferimento delle competenze dalla Provincia alla Regione) e, quindi, retroattivamente rispetto alla relativa adozione del 23.12.2019.

Il combinato disposto delle due determinazioni dirigenziali avrebbe introdotto una vera propria disciplina sui metodi di calcolo e formule create, autonomamente e in forma autoreferenziale, dai funzionari regionali per aumentare il minimo edittale previsto nell’art. 133 comma 1, del d.lgs. n. 152/2006 che, però, al riguardo, trova la sua compiuta disciplina applicativa nell’art.11 della legge n. 689/1981, nel rispetto della riserva di legge di cui all’art.1 della l. n. 689 del 1981.

Secondo le appellanti le determinazioni dirigenziali modificherebbero la disciplina legale della quantificazione delle sanzioni amministrative stabilendo regole, generali ed astratte, di predeterminazione del quantum.

Tale effetto contrasta con la disposizione nazionale di cui all’art. 11 della legge n. 689/81 che fissa i criteri da applicare nel caso concreto sulla scorta di una specifica istruttoria e motivazione per la quantificazione della sanzione tra il minimo e il massimo edittale.

Le società hanno quindi inviato alla Regione Abruzzo una richiesta di intervento in autotutela anche cautelare sulle determinazioni dirigenziali, evidenziando la gravità della situazione.

Tuttavia, tale richiesta non ha avuto seguito. Pertanto, le odierne appellanti hanno impugnato le suindicate determinazioni dinanzi al T.a.r. per l’Abruzzo.

1.1. Il ricorso di primo grado è stato affidato a cinque mezzi di gravame (da pag. 6 a pag. 19).

2. Il T.a.r., con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa, ha respinto il ricorso e ha condannato le ricorrenti al pagamento delle spese di lite.

3. L’appello è affidato i seguenti motivi:

I. ERROR IN IUDICANDO: ERRONEITÀ DELLA SENTENZA PER INTRINSECA ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE E INADEGUATA VALUTAZIONE DELLE EVIDENZE DOCUMENTALI IN ATTI. MANCATO APPREZZAMENTO DELLA INVALIDITÀ DEI PROVVEDIMENTI IMPUGNATI PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3, 25, 23, 97, 117 CO.2 LETT. S) COST., DELL’ART.7 CEDU, DELL’ART 21SEPTIES E 21OCTIES L.241/1990, DELL’ART. 1 L.689/81 DELL’ART. 23 CO.1 LETT. I DELLA LR. 77/1999, NONCHÈ PER IL DENUNZIATO ECCESSO DI POTERE (ARBITRARIETA’, IRRAGIONEVOLEZZA).

A differenza di quanto sostenuto dal T.a.r. oggetto dell'impugnativa non sarebbe il potere degli operatori di irrogare la sanzione adeguandola al caso concreto (tipico dell’ ordinanza di ingiunzione), ma il potere dei dirigenti di definire criteri generali ed astratti da applicarsi a un numero indeterminato di casi per la irrogazione della pena, senza aver neanche ricevuto indirizzi dalla Giunta Regionale. In tal senso è il parere del Dipartimento della Presidenza e Rapporti con l’Europa – Servizi Attività Legislativa e Qualità della normazione Prot. 0219278 del 1.8.2018 (All. 4 del fascicolo regionale primo grado) e la giurisprudenza in esso richiamata in merito alla violazione dell’art. 117, dell’art. 23 e dell’art. 25 Cost.

In sostanza le determinazioni impugnate individuano regole generali ed astratte per modulare la sanzioni che dovranno essere applicate; tanto in carenza di potere e comunque in assenza di indirizzi da parte degli organi di governo.

II. ERROR IN IUDICANDO: ERRONEITÀ DELLA SENTENZA PER INTRINSECA ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE E INADEGUATA VALUTAZIONE DELLE EVIDENZE DOCUMENTALI IN ATTI. MANCATO APPREZZAMENTO DELLA INVALIDITÀ DEI PROVVEDIMENTI IMPUGNATI PER VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 25 e 23 COST E ART. 1 L.689/81 (PRECLUSIONE DI CONOSCENZA ANTERIORE AL FATTO SANZIONATO).

Secondo il T.a.r. i provvedimenti impugnati assumono la funzione di “preavvisi di provvedimento” adottati dall’Organo compente all’irrogazione della sanzione che, con essi, avrebbe semplicemente limitato la propria discrezionalità in sede di graduazione della sanzione.

Tuttavia il procedimento disciplinato dalla l. 689/81 non prevede alcun preavviso di provvedimento. Le modalità di difesa di cui all’art. 18 della l.689/91 sono impossibili da applicare dopo che l’ordinanza di ingiunzione è stata notificata, dovendo gli interessati necessariamente rivolgersi al giudice ordinario.

Gli atti impugnati avrebbero in realtà natura normativa/regolamentare e sarebbero stati adottati in violazione del principio di legalità di cui all’art.25 Cost. e all’art. 1 l.689/81.

La quantificazione concreta della sanzione in applicazione delle norme e dei criteri creati dai dirigenti non è stata comunque preceduta da alcun contraddittorio che possa permettere all’interessato di ottenere la riduzione della sanzione prima di rivolgersi al g.o., nonostante ciò sia previsto delle medesime norme e criteri stabiliti dalla Regione (vedi pag. 2 e ss del “Documento”).

III. ERROR IN IUDICANDO: ERRONEITÀ DELLA SENTENZA PER INTRINSECA ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE E INADEGUATA VALUTAZIONE DELLE EVIDENZE DOCUMENTALI IN ATTI. MANCATO APPREZZAMENTO DELLA INVALIDITÀ DEI PROVVEDIMENTI IMPUGNATI PER VIOLAZIONE DEL PRINCIPIO DI LEGALITA’, DEL PRINCIPIO DI PERSONALITA’ DELLA PENA DI CUI ALL’ART. 7 COST., DELL’ART. 3 COST., DEGLI ARTT. 1 E 11 L.689/81 NONCHE’ PER L’ECCESSO DI POTERE DENUNCIATO (IRRAGIONEVOLEZZA E PROPORZIONALITA’).

L’art. 18 della L. 689/81, con le relative garanzie del contraddittorio, non può essere applicato alla fase del calcolo della sanzione.

La Regione precisa nei provvedimenti impugnati come vada calcolata la sanzione sulla base di criteri matematici, standardizzati e autodeterminati, impedendo qualsiasi forma di difesa e di contraddittorio sull’ammontare della sanzione così aggravata.

I provvedimenti introducono parametri nuovi rispetto alla legge, inclusa la reiterazione (vedi infra); ad esempio nessuna legge dello Stato collega la gravità della sanzione al numero di valori limite non rispettati allo scarico, criterio matematico non supportato da alcuna valutazione di congruità e proporzionalità, oltre che di evidenza scientifica, che esclude qualsiasi discrezionalità in concreto da parte dell’operatore in violazione dell’art. 11 della L. 689/81.

Secondo le appellanti la Determina DPC/263 del 23.12.2019 innova il sistema sanzionatorio creando criteri di calcolo privi di alcuna base giuridica e tecnica.

IV. ERROR IN IUDICANDO: ERRONEITÀ DELLA SENTENZA PER INTRINSECA ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE E INADEGUATA VALUTAZIONE DELLE EVIDENZE DOCUMENTALI IN ATTI. MANCATO APPREZZAMENTO DELLA INVALIDITÀ DEI PROVVEDIMENTI IMPUGNATI PER VIOLAZIONE DELL’ART. 6 CEDU SUL GIUSTO PROCESSO E DELLA L. 241/1990.

Pure erronea sarebbe la statuizione del T.a.r. secondo cui i diritti di difesa non risulterebbero lesi in quanto chi riceve un’ordinanza ingiunzione di pagamento ha previamente ricevuto il verbale di contestazione e ha avuto la possibilità di presentare scritti difensivi oppure richiedere di essere ascoltato. Tuttavia, il verbale di accertamento non contiene la sanzione concretamente irrogata dall’ente competente ma solo l’articolo applicabile per la violazione contestata.

V. ERROR IN IUDICANDO: ERRONEITÀ DELLA SENTENZA PER INTRINSECA ILLOGICITÀ DELLA MOTIVAZIONE. E INADEGUATA VALUTAZIONE DELLE EVIDENZE DOCUMENTALI IN ATTI. MANCATO APPREZZAMENTO DELLA INVALIDITÀDEI PROVVEDIMENTI IMPUGNATI PER VIOLAZIONE DELL’ART. 8BIS DELLA L.689/81, DELL’ART. 133 DLGS 152/2006, DEGLI ARTT. 3, 23,25, 117 CO.2 LET.S) DELLA COSTITUZIONE, DELL’ART. 7 CEDU.

In materia di illeciti amministrativi, la giurisprudenza di legittimità ha definito la reiterazione come circostanza aggravante equiparandola alla recidiva in campo penalistico. Le circostanze aggravanti sono soggette a riserva di legge visto il loro impatto negativo su diritti fondamentali.

L’art. 8bis, comma 5, della l.n. 689/81 prevede che “la reiterazione determina gli effetti che la legge espressamente stabilisce”. La Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che in tema di sanzioni amministrative, l’istituto della reiterazione nell'illecito, previsto dall’art. 8bis l. 24 novembre 1981 n. 689, introdotto dall’art. 94 d.lgs. 30 dicembre 1999 n. 507, rappresenta il corrispondente in materia amministrativa di alcune forme della recidiva penale (specifica ed infraquinquennale, art. 99, comma 2, numeri 1 e 2, c.p.), fungendo da circostanza aggravante nei casi espressamente previsti dalla legge (cfr. Cass. civ., Sez. II, 08.08.2007, n. 17347).

Tuttavia nel codice dell’ambiente non si rinvengono disposizioni che statuiscono sulla reiterazione delle violazioni ai fini del trattamento sanzionatorio.

Pertanto, l’aumento del 10% applicato dalla Regione Abruzzo non trova un fondamento normativo specifico.

4. Si è costituita, per resistere, la Regione Abruzzo.

5. Le parti hanno depositato memorie conclusionali.

6. Le società ricorrenti hanno depositato anche una memoria di replica.

7. L’appello è stato trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 20 febbraio 2025.

8. L’appello è fondato.

Al riguardo, si osserva quanto segue.

9. I provvedimenti impugnati hanno individuato e disciplinato in linea generale i presupposti per la graduazione delle sanzioni di cui all’art. 133 del decreto legislativo 152 del 3 aprile 2006.

Nello specifico, le due determinazioni dirigenziali in esame si pongono esplicitamente l’obiettivo di ridurre l’apprezzamento discrezionale dell’Autorità competente alla determinazione della sanzione, prevedendo a tal fine per ogni tipologia di violazione “moltiplicatori” del minimo edittale, “maggiorazioni e circostanze attenuanti”, al fine di ottenere una commisurazione della sanzione amministrativa pecuniaria priva di margini di apprezzamento.

9.1. Il primo giudice ha ritenuto che tali determinazioni si limitino “a dettare le coordinate ermeneutiche per la concreta determinazione della sanzione senza introdurre parametri nuovi o eccentrici rispetto alla disciplina legislativa statale”, e che le stesse abbiano “l’unico effetto di rendere omogenea l’applicazione e la determinazione della sanzione”.

Inoltre, la determinazione della sanzione non sarebbe automatica ma “calibrata in base alle caratteristiche dell’accertamento svolto”, essendo comunque “sempre quella prevista tra il limite minimo e massimo previsto dall’art. 133” del d.lgs. n. 152 del 2006.

9.2. Sotto il primo profilo, la conclusione alla quale è pervenuto il T.a.r. non è coerente con l’esegesi operata dalla Corte costituzionale delle summenzionate disposizioni.

Secondo la Corte (cfr., da ultimo, la sentenza n. 5 del 2021), le garanzie discendenti dall’art. 25, secondo comma, Cost. si applicano anche agli illeciti e alle sanzioni amministrative di carattere sostanzialmente punitivo (sentenze n. 134 del 2019, n. 223 del 2018, n. 121 del 2018, n. 68 del 2017, n. 276 del 2016 e n. 104 del 2014), con l’eccezione però della riserva assoluta di legge statale, che vige per il solo diritto penale stricto sensu (sentenza n. 134 del 2019).

Tale pronuncia ha altresì ribadito che il potere sanzionatorio amministrativo - che il legislatore regionale ben può esercitare, nelle materie di propria competenza - resta comunque soggetto alla riserva di legge relativa di cui all’art. 23 Cost., intesa qui anche quale legge regionale.

La Corte costituzionale ha sottolineato altresì che “Anche rispetto al diritto sanzionatorio amministrativo - di fonte statale o regionale che sia - si pone, in effetti, un’esigenza di predeterminazione legislativa dei presupposti dell'esercizio del potere sanzionatorio, con riferimento sia alla configurazione della norma di condotta la cui inosservanza è soggetta a sanzione, sia alla tipologia e al quantum della sanzione stessa, sia - ancora - alla struttura di eventuali cause esimenti. E ciò per ragioni analoghe a quelle sottese al principio di legalità che vige per il diritto penale in senso stretto, trattandosi, pure in questo caso, di assicurare al consociato tutela contro possibili abusi da parte della pubblica autorità (sentenza n. 32 del 2020, punto 4.3.1. del Considerato in diritto): abusi che possono radicarsi tanto nell’arbitrario esercizio del potere sanzionatorio, quanto nel suo arbitrario non esercizio”.

In tale ottica “la ratio della necessaria «prefissione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere relativo all'applicazione (o alla non applicazione)» delle sanzioni amministrative si ricollega al principio di imparzialità dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost., oltre che alla riserva di legge di cui all'art. 23 Cost. (sentenza n. 447 del 1988)”.

Quanto precede “impone che a predeterminare i presupposti dell'esercizio del potere sanzionatorio sia l’organo legislativo (statale o regionale), il quale rappresenta l’intero corpo sociale, consentendo anche alle minoranze, nell’ambito di un procedimento pubblico e trasparente, la più ampia partecipazione al processo di formazione della legge (sentenza n. 230 del 2012); mentre tale esigenza non può ritenersi soddisfatta laddove questi presupposti siano nella loro sostanza fissati da un atto amministrativo, sia pure ancora di carattere generale”.

Inoltre, pur tenendo conto che la riserva di legge espressa dall’art. 23 Cost. è intesa quale riserva relativa, anche laddove la legge rinvii a un successivo provvedimento amministrativo generale o ad un regolamento deve essere comunque “la legge stessa a definire i criteri direttivi destinati a orientare la discrezionalità dell'amministrazione (sentenza n. 174 del 2017; in senso analogo, sentenze n. 83 del 2015 e n. 435 del 2001). Ciò che non può non valere anche quando la prestazione imposta abbia natura sanzionatoria di una condotta illecita”.

Va soggiunto che la disciplina delle sanzioni amministrative non costituisce una materia a sé, ma rientra nell’ambito materia alla quale le sanzioni stesse si riferiscono (Corte cost., sentenza n. 246 del 24 luglio 2009).

Nello specifico, le violazioni in materia di scarichi e di tutela della qualità dei corpi idrici, di cui all’art. 133 del codice dell’ambiente, sono ascrivibili alla materia della tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Con l’art. 135 del d.lgs. n. 152 del 2006, lo Stato ha poi delegato alle Regioni l’esercizio delle funzioni relative all’irrogazione delle sanzioni amministrative, nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 18 e seguenti della l.n. 689 del 1981, ovvero limitatamente al procedimento applicativo.

Ne deriva che, per quanto concerne i criteri di determinazione delle sanzioni amministrative in materia, le Regioni non dispongono di un autonomo potere normativo.

10. Ciò posto, nel caso in esame, deve convenirsi con le società appellanti che la formulazione e il contenuto delle determinazioni impugnate non corrispondono ad un mero atto di indirizzo – di natura interna e non vincolante - rivolto ad uniformare il comportamento dei dirigenti nell’applicazione delle sanzioni. Esse sono infatti formulate in maniera generale ad astratta e perseguono il fine di specificare i parametri per la graduazione delle sanzioni pecuniarie, sia pure nell’ambito delle macro categorie fissate dall’art. 11 della l. n. 689 del 1981.

Tali atti risultano pertanto adottati in carenza di potere, poiché spetta soltanto alla legge (in questo caso statale), il compito di dettare i criteri destinati ad orientare l’esercizio della discrezionalità amministrativa in materia.

10.1. Sotto il secondo profilo, va osservato che l’articolato meccanismo concepito dal Dipartimento del Governo del territorio della Regione finisce proprio col determinare quel rigido automatismo sanzionatorio lamentato dalle appellanti, poiché non consente in alcun modo di adattare la sanzione al caso concreto, così come invece prescritto dall’art. 11 della l n. 689 del 1981.

11. Per quanto appena argomentato, l’appello deve essere accolto.

Per l’effetto, va accolto il ricorso di primo grado, con il conseguente annullamento delle determinazioni dirigenziali impugnate.

La peculiarità della fattispecie, induce però a compensare integralmente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso proposto in primo grado e annulla le determinazioni dirigenziali impugnate.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2025 con l'intervento dei magistrati:

Vincenzo Neri, Presidente

Silvia Martino, Consigliere, Estensore

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere