Corte Costituzionale n. 313 dell' 11 novembre 2010

Oggetto: Energia - Norme della Regione Toscana - Prevista autorizzazione regionale per "linee ed impianti di trasmissione, trasformazione, distribuzione di energia elettrica di tensione nominale superiore a 100 mila volt qualora assoggettati a procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) regionale" - Lamentato in tervento sulla rete nazionale ad alta tensione in contrasto con i principi fondamentali fissati dallo Stato; Impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili - Applicazione della disciplina della denuncia di inizio attività (DIA) agli impianti la cui capacità di generazione sia inferiore alle soglie di 100 kw per l'eolica e di 200 kw per la solare fotovoltaica - Contrasto con la legislazione statale, costituente principio fondamentale, che fissa le soglie rispettivamente di 60kw e di 20 kw; Installazione di pannelli solari fotovoltaici di potenza nominale uguale o inferiore a 1 megawatt, installazione di impianti eolici di potenza nominale uguale o inferiore a 1 megawatt, installazione di impianti a fonte idraulica di potenza nominale uguale o inferiore a 200 chilowatt - Esonero dal "titolo abilitativo" (DIA) quando "la Regione e gli enti locali siano soggetti responsabili" degli interventi, realizzati tenendo conto delle condizioni fissa te dal PIER.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
- Giuseppe FRIGO "
- Alessandro CRISCUOLO "
- Paolo GROSSI

ha pronunciato la seguente


SENTENZA


nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, 10, comma 2 e 11, comma 4, della legge della Regione Toscana 23 novembre 2009, n. 71 (Modifiche alla legge regionale 24 febbraio 2005, n. 39 – Disposizioni in materia di energia), che inserisce gli artt. 3, 16, comma 3, 17, comma 1-quater, della legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 39, promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26-29 gennaio 2010, depositato in cancelleria il 28 gennaio 2010 ed iscritto al n. 11 del registro ricorsi 2010.


Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;


udito nell’udienza pubblica del 5 ottobre 2010 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;


uditi l’avvocato dello Stato Massimo Santoro per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Lucia Bora per la Regione Toscana.


Ritenuto in fatto


1.– Con ricorso notificato alla Regione Toscana il 26 gennaio 2010 e depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 28 gennaio 2010 (reg. ric. n. 11 del 2010), il Presidente del Consiglio dei Ministri ha chiesto la declaratoria di illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, 10, comma 2 e 11, comma 4, della legge della Regione Toscana 23 novembre 2009 n. 71 (Modifiche alla legge regionale 24 febbraio 2005, n. 39 – Disposizioni in materia di energia), per violazione, da parte di tutte e tre le norme, dell’art. 117, terzo comma, Cost., e, da parte dell’ultima, anche degli artt. 3 e 117, secondo comma, lettera e), Cost.


1.1.– L’art. 1 della legge della Regione Toscana n. 71 del 2009, che sostituisce l’art. 3 comma 1, lettera d), della legge 24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di energia), nel prevedere l’autorizzazione regionale per «linee ed impianti di trasmissione, trasformazione, distribuzione di energia elettrica di tensione nominale superiore a 100 mila volt qualora assoggettati a procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) regionale», interferirebbe – secondo il ricorrente – sulla rete nazionale ad alta tensione, in contrasto con i principi fondamentali fissati in materia dalla legge dello Stato, così violando l’art. 117, terzo comma, Cost.
Il ricorrente rileva che l’art. 1-sexies del decreto legge 29 agosto 2003, n. 239 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 27 ottobre 2003, n. 290, al comma 1, ha confermato l’autorizzazione unica ministeriale – già prevista dall’art. 1, comma 1, del decreto legge 7 febbraio 2002, n. 7 (Misure urgenti per garantire la sicurezza del sistema elettrico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 9 aprile 2002, n. 55 – per la costruzione e l’esercizio degli elettrodotti «facenti parte delle rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica», definita dall’art. 2, comma 20, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), come «il complesso delle stazioni di trasformazione e delle linee elettriche di trasmissione ad alta tensione sul territorio nazionale gestite unitariamente». La legittimità costituzionale dell’art. 1-sexies è stata riconosciuta dalla Corte con la sentenza n. 383 del 2005. Con la sentenza n. 282 del 2009 (come già con la sentenza n. 364 del 2006) è stato, poi, confermato che nell’art. 12 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità) si trovano enunciati i principi fondamentali della materia.
Osserva, poi, il ricorrente, che riguardo alla costruzione e all’esercizio degli elettrodotti, la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto «l’attribuzione di rilevanti responsabilità ad organi statali e quindi la parallela disciplina legislativa da parte dello Stato di settori che di norma dovrebbero essere di competenza regionale ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost.» (sentenza n. 383 del 2005), e, a proposito dell’autorizzazione unica ministeriale, ha affermato che «la stessa finalità per la quale tale disciplina è stata posta verrebbe frustrata da un assetto delle competenze amministrative diverso da quello da essa stabilito, anche in considerazione delle necessaria celerità con cui – al fine di evitare il pericolo della interruzione della fornitura di energia su tutto il territorio nazionale – le funzioni amministrative concernenti la costruzione o il ripotenziamento di impianti di energia elettrica di particolare rilievo devono essere svolte» (sentenza n. 6 del 2004).
La legittimità costituzionale della norma impugnata, aggiunge il ricorrente, non può essere dedotta dalla limitazione dell’intervento regionale alle linee ed impianti «assoggettati a procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) regionale ai sensi della legge regionale 3 novembre 1998, n. 79»: gli interessi energetici sono diversi da quelli ambientali, non potendo incidere i secondi sulle competenze per la tutela dei primi.
La irrazionalità di tale accostamento sarebbe evidente anche da un diverso punto di vista: gli interessi energetici nazionali vanno presi in considerazione già nella fase di progettazione delle linee e degli impianti. Solo successivamente i progetti sono soggetti a VIA. Oltre che singolare, sarebbe irragionevole che, in sede di progettazione, si dovesse tenere conto della competenza a valutare in futuro progetti per fini diversi e territorialmente limitati, per estenderla alla interpretazione di interessi preliminari, di portata nazionale, che sono del tutto diversi da quelli tutelati dalla VIA, rispetto ai quali deve ricorrere solo la compatibilità.


1.2.– Con l’art. 10, comma 2, della legge regionale, è stato riscritto il terzo comma dell’art. 16 della precedente legge regionale n. 39 del 2005. Con la lettera f), nonostante il richiamo del d.lgs. n. 387 del 2003, sono state introdotte modifiche rilevanti, che il ricorrente ritiene non consentite. L’art. 12, comma 5, del citato decreto legislativo, dispone che si applica la disciplina della denuncia di inizio dell’attività (DIA) agli impianti la cui capacità di generazione sia inferiore alle soglie individuate nella Tabella A allegata, che sono di 60 kW per l’energia eolica e di 20 kW per l’energia solare fotovoltaica.
La norma, che attiene alla funzionalità della rete nazionale, esprimerebbe principi fondamentali, necessariamente uniformi su tutto il territorio nazionale. Basti solo considerare – sottolinea il ricorrente – i rischi ai quali verrebbe sottoposta la funzionalità della rete se ogni Regione avesse la possibilità di elevare a propria discrezione le soglie, al di sotto delle quali la DIA non è richiesta.
Contrariamente alla finalità della norma di principio, la Regione Toscana ha innalzato le soglie per le quali è ammessa la DIA, per gli impianti eolici da 60 a 100 kW (art. 10, comma 2, lettera f, n. 1) e per i fotovoltaici da 20 a 200 kW (art.10, comma 2, lettera f, n. 2).
La norma, pertanto, sarebbe costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.


1.3.– L’art. 11, comma 4, della legge regionale n. 71 del 2009, inserendo il comma 1-quater dopo il comma 1-ter dell’art. 17 della precedente legge regionale n. 39 del 2005, esenta da titolo abilitativo alcuni interventi realizzati tenendo conto delle condizioni fissate dal piano energetico regionale e dai provvedimenti attuativi dello stesso, di cui la Regione e gli enti locali siano i soggetti responsabili (installazione di pannelli solari fotovoltaici di potenza nominale uguale o inferiore a 1 megawatt; installazione di impianti eolici di potenza nominale uguale o inferiore a 1 megawatt; installazione di impianti a fonte idraulica di potenza nominale uguale o inferiore a 200 chilowatt).
L’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, in cui, come detto, sono enunciati i principi fondamentali della materia, non prevede però alcun trattamento differenziato in favore delle Regioni e degli enti locali, sotto il profilo della non necessità del «titolo abilitativo» (costituito dalla DIA: art. 10, comma 1), quando «la Regione e gli enti locali siano soggetti responsabili».
Non è dato individuare, d’altro canto, la ragione per la quale la DIA perderebbe la sua utilità in funzione della natura, anche se pubblica, dei soggetti responsabili, la cui «responsabilità» attiene solo all’esercizio e per questo non può essere considerata automaticamente rilevante anche nella fase preliminare della costruzione.
Sarebbe evidente la violazione anche dell’art. 3 Cost.: tutti coloro che esercitano impianti per energia rinnovabile debbono avere lo stesso trattamento a proposito della loro installazione.
La natura pubblica, del resto, non costituisce, di per sé, nessuna garanzia né giustifica perché uno stesso impianto debba essere soggetto a controllo (e quindi possa incorrere in certe limitazioni) quando è esercitato da soggetti diversi dagli enti territoriali, con la conseguenza che a questi ultimi potrebbero essere consentiti l’installazione e l’esercizio di impianti che altri non potrebbero realizzare.
Se poi si tiene presente che l’uguaglianza in questo caso attiene ad una attività di produzione di energia, destinata ad inserirsi in un mercato concorrenziale, la norma finirebbe per violare anche 1’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che riserva alla legislazione dello Stato la «tutela della concorrenza» che, com’è noto, può essere realizzata solo assicurando l’uguaglianza tra i soggetti che operano nello stesso mercato.


2.– Si è costituita in giudizio la Regione Toscana, chiedendo dichiararsi l’infondatezza del ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri.


2.1. – Riguardo alla prima censura la Regione osserva che l’art. 1-sexies del d.l. 29 n. 239 del 2003 (norma che secondo il ricorrente sarebbe stata violata dalla disposizione regionale) sancisce il preminente interesse statale riguardo alla costruzione e all’esercizio degli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica, e per questo li assoggetta all’autorizzazione unica ministeriale.
L’art. 3, lettera d) della legge della Regione Toscana n. 39 del 2005, come sostituito dall’art. 1 della legge n. 71 del 2009, non prevede affatto che la Regione autorizzi gli elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica. L’art. 3 della legge regionale n. 39 del 2005, come sostituito dalla norma in esame, tratta infatti delle competenze regionali, mentre l’art. 3-bis individua le competenze provinciali e l’art. 3-ter individua le competenze comunali; alla lettera d), l’art. 3 prevede che la Regione rilasci le autorizzazioni di cui agli artt. 11 e 13 e le concessioni di cui all’art. 14, per quanto concerne impianti geotermici, impianti eolici di potenza superiore a 1 megawatt, in coerenza con la semplificazione introdotta dall’art. 27, comma 43, lettera b), della legge 23 luglio 2009, n. 99 (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia), nonché linee e impianti di trasmissione, trasformazione, distribuzione di energia elettrica di tensione nominale superiore a 100 mila volt, qualora assoggettati a procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) regionale ai sensi della legge della Regione Toscana 3 novembre 1998, n. 79 (Norme per l’applicazione della valutazione di impatto ambientale) o qualora interessino un ambito territoriale interregionale.
Secondo la Regione Toscana sarebbe evidente che si tratta di una specificazione delle competenze regionali, rispetto alle competenze provinciali e comunali, all’interno dell’insieme di impianti soggetti alle autorizzazioni di cui agli artt. 11 e 13 (e alle concessioni di cui all’art. 14) del Capo III (Disciplina delle attività energetiche) della legge regionale, tutte relative ad impianti non statali.
Che siano esclusi gli impianti di competenza statale lo chiarirebbe l’art. 10, contenente i principi generali dello stesso Capo III: al comma 1 esso precisa che sono soggette ad una autorizzazione unica o a denuncia di inizio dell’attività (DIA), «per ciò che concerne le competenze della Regione e degli enti locali», la costruzione ed esercizio di impianti per produzione, trasporto, trasmissione e distribuzione di energia, di impianti per lavorazione e stoccaggio di idrogeno, oli minerali e gas naturali e liquefatti, in qualunque forma, nonché di impianti di illuminazione esterna.
Il ricorso statale non avrebbe considerato che tutta la disciplina degli impianti di cui al Capo III della legge regionale esclude gli impianti di competenza statale. L’enucleazione «linee e impianti di trasmissione, trasformazione, distribuzione di energia elettrica di tensione nominale superiore a 100 mila volt» individua semplicemente che, all’interno degli impianti energetici di competenza della Regione e degli enti locali, gli elettrodotti e i relativi impianti, sia che distribuiscano energia, sia che la raccolgano, sono di competenza autorizzatoria della Regione qualora di tipologia superiore a determinate soglie (mentre sotto tali soglie l’autorizzazione sarà provinciale) e non rientranti tra gli impianti riservati alla competenza statale perché appartenenti alla rete nazionale ad alta tensione.


2.2.– L’impugnazione dell’art. 10, comma 2, secondo la Regione resistente, sarebbe, invece, inammissibile, per mancata indicazione dei motivi, nei confronti dell’intera disposizione, mentre sarebbe infondata la censura prospettata avverso la lettera f).
La valutazione del ricorrente, secondo cui la norma impugnata avrebbe elevato le soglie per gli impianti eolici e fotovoltaici, rispetto a quelle previste nella tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003, non terrebbe conto che l’art. 123 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) assimila alla manutenzione straordinaria gli interventi di utilizzo delle fonti di energia di cui all’art. 1 della legge 9 gennaio 1991, n. 10 (Norme per l’attuazione del Piano energetico nazionale in materia di uso razionale dell’energia, di risparmio energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili di energia), in edifici ed impianti industriali, così sottraendoli all’obbligo di autorizzazione specifica.
Nell’intento, poi, di semplificare e razionalizzare le procedure amministrative e regolamentari, l’art. 11 del decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 115 (Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE), al comma 3, richiama la disposizione da ultimo citata, stabilendo tipologie di impianti da fonte rinnovabile che sono assimilate a manutenzione ordinaria (quindi non necessitanti né di autorizzazione unica né di DIA) e al comma 4 dichiara che tale disciplina trova applicazione fino all’emanazione di apposita normativa regionale che renda operativi i principi di esenzione minima ivi contenuti.
I principi dettati dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 e dall’art. 11 del d.lgs. n. 115 del 2008 sono principi di semplificazione amministrativa per il perseguimento degli obiettivi indicati dall’Unione Europea (direttiva 27 settembre 2001, n. 2001/77/CE, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), cui deve conformarsi il legislatore regionale.
Sostiene, quindi, la Regione, che l’individuazione in ambito nazionale, operata con la tabella A del d.lgs. n. 387 del 2003, di alcune tipologie di impianti che sicuramente accedono alla DIA, è una individuazione minima, ma non esaustiva, tanto che il citato art. 11 del d.lgs. n. 115 del 2008 prevede che si applichi la DIA anche per gli interventi di utilizzo delle fonti rinnovabili in edifici ed impianti industriali.
La Regione, nell’esercizio della propria competenza legislativa e secondo la sua politica di governo del territorio, proprio perseguendo i principi di semplificazione dettati dalle norme comunitarie e statali, può anche, nel proprio ambito territoriale, individuare impianti a fonte rinnovabile realizzabili con DIA al di fuori di quelli indicati dalla Tabella A (di cui deve rispettare le soglie minime), se opera secondo le logiche date dalla stessa tabella (impianti con dimensioni analoghe), nel rispetto dell’art. 123 del d.P.R. n. 380 del 2003 (utilizzo dell’energia rinnovabile negli edifici) e dell’art. 11 del d.lgs. n. 115 del 2008 (semplificazione per modalità di installazione meno impattanti).
Ne conseguirebbe la piena legittimità della disposizione contestata. Essa richiede per tutti gli impianti il rispetto degli strumenti urbanistici (modalità di installazione meno impattanti); individua per l’eolico una soglia di 100 chilowatt, che rispetto ad un impianto di 60 chilowatt si risolve in un rotore del 10% più grande; individua per il fotovoltaico la soglia di 200 chilowatt invece di 20 chilowatt: l’aumento è qui più rilevante ma asseconda il forte impulso di semplificazione dato dal d.lgs. n. 115 del 2008 su tale fonte rinnovabile, nel senso di qualificare tutte le installazioni di impianti fotovoltaici integrati come interventi di manutenzione ordinaria, e rispetta le nuove soglie individuate dal Decreto ministeriale 18 dicembre 2008 (Incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ai sensi dell’art. 2, comma 150, della legge 24 dicembre 2007, n. 244) per la disciplina dello «scambio sul posto» (portate appunto da 20 chilowatt a 200 chilowatt).


2.3.– La censura concernente l’art. 11, comma 4, ai sensi del quale, nelle aree non soggette ai vincoli paesaggistici, non necessitano di titolo abilitativo gli interventi indicati alle lettere a, b e c, realizzati tenendo conto delle condizioni fissate dal piano energetico regionale e dai provvedimenti attuativi dello stesso, di cui la Regione e gli enti locali siano soggetti responsabili, sarebbe infondata.
La norma regionale ha inteso perseguire l’obiettivo della massima semplificazione degli adempimenti per la costruzione degli impianti di produzione di energia elettrica da energie rinnovabili, indicato dalle norme europee di riferimento (direttive 2001/77/CE, cit., e 23 aprile 2009, n. 2009/28/CE, Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE) considerando che, nel rispetto delle necessarie tutele dei territori interessati dagli impianti, ove si tratti di impianti di energie rinnovabili di cui sono responsabili la Regione e gli enti locali, la valutazione di compatibilità urbanistica è stata effettuata a monte, in sede di approvazione del piano energetico e dei relativi atti attuativi.
Tale elemento, unito alla natura dei soggetti responsabili, che sono appunto gli stessi enti territoriali che hanno adottato gli atti di pianificazione e programmazione ove sono previsti quegli impianti, rende osservato il principio posto dal legislatore nazionale (che è quello del controllo della compatibilità urbanistica degli impianti), unitamente a quello della semplificazione procedurale volta ad incentivare l’uso delle energie rinnovabili.
La norma in oggetto non rappresenta dunque una disposizione di favore per gli enti territoriali (che accertano sempre la conformità urbanistica dei progetti di impianti), ma semplifica le procedure, evitando che quello stesso accertamento sia ripetuto in diverse fasi.
Il riscontro di legittimità della disposizione potrebbe rinvenirsi nell’art. 2, comma 173, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2008), che ha stabilito che gli impianti fotovoltaici, i cui soggetti responsabili sono Enti locali, rientrano nella tipologia di impianto integrato, indipendentemente dalle effettive caratteristiche architettoniche dell’installazione: essi quindi accedono alla massima tariffa incentivante fra quelle previste dal Decreto ministeriale 19 febbraio 2007 (Criteri e modalità per incentivare la produzione di energia elettrica mediante conversione fotovoltaica della fonte solare, in attuazione dell’art. 7 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387).
Non vi è quindi disparità di trattamento, perché questa si può ipotizzare a fronte di identità di situazioni, mentre nel caso in esame, è differente, per le competenze istituzionali, la posizione dell’ente territoriale rispetto a quella dell’operatore privato, in quanto il primo valuta direttamente la conformità urbanistica dell’impianto in sede di esercizio dei propri compiti al momento dell’adozione degli atti di governo del territorio.
E nemmeno può ravvisarsi la violazione della tutela della concorrenza, perché la norma, lungi dall’incidere sugli aspetti afferenti alla gestione della rete energetica, è volta a fissare criteri per la disciplina urbanistica e limita la propria operatività ai soli profili di impatto sul territorio, senza intaccare la competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.


3.– Nell’imminenza dell’udienza, sia il Presidente del Consiglio dei ministri, che la Regione Toscana hanno presentato memorie, con cui ampliano le proprie argomentazioni difensive, in particolare la Regione avallandole alla luce dell’evoluzione normativa più recente.


Considerato in diritto


1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt. 1, comma 1, 10, comma 2, e 11, comma 4, della legge della Regione Toscana 23 novembre 2009 n. 71 (Modifiche alla legge regionale 24 febbraio 2005, n. 39 – Disposizioni in materia di energia), per violazione, da parte di tutte e tre le norme, dell’art. 117, terzo comma, Cost., e da parte dell’ultima anche degli artt. 3 e 117, secondo comma, lett. e), Cost.
Il ricorso, pur omettendo ogni premessa in ordine alla natura della legge oggetto di censura, esamina direttamente le specifiche disposizioni impugnate, e all’interno della prima censura, elenca sinteticamente ma sufficientemente gli interventi della Corte costituzionale che hanno configurato le competenze statali in materia (sulla cui connotazione non s’intrattiene, dandola per scontata).


2.– L’art. 1, comma 1, della legge della Regione Toscana n. 71 del 2009, sostituendo l’art. 3, comma 1, lettera d), della precedente legge regionale n. 39 del 2005, che prevede, tra le funzioni della Regione in materia di energia, il rilascio dell’autorizzazione per quanto concerne, tra l’altro, «linee ed impianti di trasmissione, trasformazione, distribuzione di energia elettrica di tensione nominale superiore a 100 mila volt qualora assoggettati a procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) regionale», è censurato per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto detterebbe regole concernenti la rete nazionale ad alta tensione, in contrasto con i principi fondamentali fissati in materia dalla legge dello Stato.


2.1.– La questione non è fondata.


2.2.– La disposizione impugnata va infatti interpretata come riferita esclusivamente agli impianti non appartenenti alla rete nazionale.
Si verte, indubbiamente, nella materia “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” rientrante nella competenza legislativa concorrente (sentenze n. 364 del 2006 e n. 383 del 2005), in cui lo Stato detta i principi fondamentali (sentenze nn. 124 e 168 del 2010, n. 282 del 2009). Ragioni di uniformità, inoltre, determinano la chiamata in sussidiarietà, in capo ad organi dello Stato, di funzioni amministrative relative ai problemi energetici di livello nazionale (sentenze n. 103 del 2006, n. 6 del 2004).
Il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), agli artt. 29, comma 2, lettera g), 30 e 31, comma 2, prevede, in generale, che la competenza autorizzatoria relativa agli elettrodotti con tensione non superiore a 150 chilovolts spetti a Regioni e Province. Successivamente, il comma 1 dell’art. 1-sexies del decreto-legge n. 239 del 2003 (Disposizioni urgenti per la sicurezza e lo sviluppo del sistema elettrico nazionale e per il recupero di potenza di energia elettrica), convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2003, n. 290, e modificato dall’art. 1, comma 26, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), abbandonando il criterio della potenza, ha previsto il rilascio di un’autorizzazione unica da parte del Ministro delle attività produttive per tutti gli impianti appartenenti alla «rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica».
Quanto alla individuazione della consistenza della rete nazionale, il sistema prevede una serie di «adeguati strumenti di codecisione paritaria tra lo Stato ed il sistema delle autonomie regionali» (sentenza n. 383 del 2005).
È evidente, pertanto, che non può spettare alla Regione alcun potere di autorizzazione con riguardo agli impianti costituenti parte della rete nazionale.
Nulla, però, consente di concludere che la disposizione impugnata non possa avere per oggetto soltanto le linee, e le relative opere, di potenza non superiore a 150 chilovolts, che non siano state incluse nella rete nazionale, per le quali necessita la competenza autorizzatoria regionale: la giurisprudenza costituzionale, del resto, ha dichiarato l’infondatezza della questione quando la norma regionale è suscettibile di una interpretazione tale da non determinare una lesione della competenza legislativa statale (sentenze n. 248 del 2006, n. 8 del 2004, n. 246 del 2006). Ciò risulta avvalorato dal contesto in cui s’inserisce la disposizione impugnata, essendo seguito l’art. 3, sostituito dalla disposizione oggetto di censura, dagli artt. 3-bis e 3-ter, rispettivamente attribuenti le funzioni amministrative alle Province ed ai Comuni, sicché alla norma impugnata può riconoscersi lo scopo di specificare le competenze regionali, rispetto alle competenze provinciali e comunali, all’interno del sistema autorizzatorio di cui agli artt. 11 e 13 (e delle concessioni di cui all’art. 14) del Capo III della legge regionale, per definizione relativo ad impianti non rientranti nella competenza statale.
Del resto, l’art. 10 della legge regionale, contenente i principi generali dello stesso Capo III, precisa, al comma 1, che sono soggette ad autorizzazione unica o a denuncia di inizio dell’attività, «per ciò che concerne le competenze della Regione e degli enti locali», la costruzione ed esercizio di impianti per produzione, trasporto, trasmissione e distribuzione di energia, di impianti per lavorazione e stoccaggio di idrogeno, oli minerali e gas naturali e liquefatti, in qualunque forma, nonché di impianti di illuminazione esterna, così implicitamente escludendo gli impianti di competenza statale.
La precisazione della competenza autorizzatoria regionale per linee e impianti «qualora assoggettati a procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) regionale», va posta in relazione con l’intento di ripartire la competenza all’interno delle autonomie locali: in linea generale, discende dall’art. 7, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e dalle elencazioni di cui all’allegato III alla parte II dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, che alla Regione spetta la valutazione d’impatto ambientale per gli «elettrodotti aerei esterni per il trasporto di energia elettrica con tensione nominale superiore a 100 chilovolts e con tracciato di lunghezza superiore a 3 km.», mentre allo Stato spetta la valutazione d’impatto ambientale per gli «elettrodotti aerei con tensione nominale di esercizio superiore a 150 chilovolts e con tracciato di lunghezza superiore a 15 km ed elettrodotti in cavo interrato in corrente alternata, con tracciato di lunghezza superiore a 40 chilometri» (art. 7, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 e all. II alla parte II).
E’ evidente che la competenza autorizzatoria attribuita alla Regione dalla norma censurata riguarda gli impianti con tensione (a partire da 100 chilovolts) comunque contenuta entro i 150 chilovolts, e non appartenenti alla rete nazionale, e, all’interno di questo ambito, quelli per i quali la normativa regionale (art. 7 della legge della Regione Toscana 3 novembre 1998, n. 79, recante «Norme per l’applicazione della valutazione di impatto ambientale») attribuisce alla Regione la VIA, mentre la competenza delle Province è residuale (art. 3-bis, comma 1, lettera c, della legge regionale n. 39 del 2005, aggiunto dall’art. 2 della legge regionale n. 71 del 2009): conformemente, del resto, all’esigenza indicata dalla norma statale (art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006), di coordinamento delle procedure di VIA e di rilascio dell’autorizzazione (sentenza n. 225 del 2009).
Conseguentemente, essendo la norma impugnata suscettibile di una interpretazione conforme a Costituzione, la questione non è fondata.


3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri censura, altresì, l’art. 10, comma 2, della citata legge regionale n. 71 del 2009, che sostituendo l’art. 16, comma 3, lettera f) della legge regionale n. 39 del 2005, avrebbe innalzato le soglie per le quali i principi della legislazione statale ammettono la denuncia di inizio attività (DIA), per gli impianti eolici da 60 a 100 chilowatt (lettera f, n. 1) e per i fotovoltaici da 20 a 200 chilowatt (lettera f, n. 2).


3.1.– La questione è fondata.


3.2.– L’installazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili di energia è regolata dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, il quale prevede, ai commi 3 e 4, una disciplina generale caratterizzata da un procedimento che si conclude con il rilascio di una autorizzazione unica. A tale disciplina fanno eccezione determinati impianti che, se producono energia in misura inferiore a quella indicata dalla tabella allegata allo stesso d.lgs. n. 387 del 2003, sono sottoposti alla disciplina della denuncia di inizio attività (art. 12, comma 5). In particolare, la indicata tabella distingue i suddetti impianti in base alla tipologia di fonte che utilizzano (eolica, soglia 60 chilowatt; solare, soglia 20 chilowatt; etc). Sempre l’indicato art. 12, comma 5, prevede che «con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, possono essere individuate maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione per i quali si procede con la medesima disciplina della denuncia di inizio attività».
L’art. 10, comma 2, della legge della Regione Toscana n. 71 del 2009 – la cui censura è agevolmente riferibile alla lettera f) del comma 3, dell’art. 16, della legge regionale n. 39 del 2005, e dovendosi dunque disattendere l’eccezione della difesa regionale di inammissibilità per indeterminatezza – prevede l’applicazione della disciplina della DIA agli impianti la cui capacità di generazione sia inferiore alle soglie di 100 chilowatt per l’energia eolica e di 200 chilowatt per quella solare fotovoltaica.
L’aumento della soglia di potenza per la quale, innalzando la capacità, rispetto ai limiti di cui alla tabella A allegata al d.lgs. n. 387 del 2003, la costruzione dell’impianto risulta subordinata a procedure semplificate, è illegittimo, in quanto maggiori soglie di capacità di generazione e caratteristiche dei siti di installazione, per i quali si proceda con diversa disciplina, possono essere individuate solo con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata, senza che la Regione possa provvedervi autonomamente (sentenze nn. 119, 124 e 194 del 2010).
La norma censurata finisce per incidere sulla disciplina amministrativa di impianti, costruiti nel territorio regionale, destinati alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, per i quali l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, attesa la capacità di generazione degli stessi, superiore a determinati valori di soglia, prevede un’autorizzazione unica, mirata al vaglio dei molteplici interessi coinvolti.
Le norme statali di riferimento, citate dalla Regione resistente a giustificazione del proprio intervento, attengono al limitato settore della disciplina edilizia (decreto Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia»), nella parte in cui essa persegue il contenimento del consumo di energia nelle costruzioni, incentivando l’utilizzo delle fonti di energia rinnovabile, e stabilendo che gli interventi a ciò finalizzati negli edifici e negli impianti industriali, sono equiparati alle opere di manutenzione straordinaria (art. 123). La difesa regionale richiama anche l’art. 11 del d.lgs. 30 maggio 2008, n. 115 (Attuazione della direttiva 2006/32/CE relativa all’efficienza degli usi finali dell’energia e i servizi energetici e abrogazione della direttiva 93/76/CEE), che nell’ottica di semplificazione delle procedure autorizzatorie, classifica come opera di manutenzione ordinaria l’installazione di piccoli generatori eolici e di impianti solari termici o fotovoltaici sui tetti degli edifici.
Le norme citate non appaiono richiamate a proposito: la diversa categoria concettuale, fatta palese dall’oggetto di sistemi normativi del tutto autonomi – la produzione dell’energia elettrica da inserire in rete, e dunque finalizzata al mercato, da un lato, l’utilizzo delle fonti alternative mediante apparecchi omogenei agli edifici, anche industriali, per l’autoconsumo, dall’altro – è inequivocabilmente confermata dalle descrizione delle opere, che l’art. 11 del d.lgs. n. 115 del 2008, limita nelle dimensioni (generatori eolici con altezza complessiva non superiore a 1,5 metri e diametro non superiore a 1 metro) e nella forma (impianti solari termici o fotovoltaici aderenti o integrati nei tetti degli edifici con la stessa inclinazione e lo stesso orientamento della falda e i cui componenti non modificano la sagoma degli edifici stessi), considerando evidentemente l’irrilevanza funzionale di queste opere nel sistema di produzione dell’energia elettrica.
La stessa legge regionale, di cui è impugnato l’art. 10, comma 2, modificando, all’art. 11, comma 2, l’art. 17 della precedente legge n. 39 del 2005, cui aggiunge un comma 1-bis, mostra di considerare separatamente il fenomeno dell’utilizzo diretto dell’energia alternativa, di cui dimensiona i supporti tecnologici con riproduzione delle caratteristiche prescritte dall’art. 11 del d.lgs. n. 115 del 2008, al fine di esentarli, come la normativa statale, dalla necessità del titolo abilitativo. Che gli impianti di utilizzo dell’energia rinnovabile costituiscano categoria a sé, rilevante ai soli effetti della disciplina urbanistica, in cui, a seconda dei casi, sono assoggettati alla disciplina della DIA, quando non costituiscono attività libera, è fatto palese dal linguaggio legislativo impiegato dalla stessa norma regionale impugnata, che, invece, richiama l’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, e significativamente ne ripete la formulazione, nel riferimento alla costruzione e all’esercizio «degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili», senza ulteriore connotazione (e dunque diversi dagli impianti tecnologici di edifici abitativi e industriali), per i quali illegittimamente oltrepassa le soglie che la normativa statale ha imposto all’ambito del regime semplificato della DIA.
In conclusione, ciò che rileva ai fini della questione in esame, è che prevedendo soglie diverse di capacità generatrice degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti alternative, agli effetti del titolo abilitativo, la norma regionale è illegittima, con la conseguenza che ne va dichiarata l’incostituzionalità limitatamente ai numeri 1 e 2 della lettera f) (impianti eolici e impianti solari fotovoltaici), posto che, per i numeri 3, 4 e 5 della stessa lettera f), le soglie della legge regionale coincidono con quelle dell’all. A del d.lgs. n. 387 del 2003.


3.3.– La più recente normativa in tema energetico, citata dalla Regione nella memoria integrativa, non sembra portare ad un mutamento della conclusione che precede, essendo sempre presente il differente regime tra gli interventi assimilabili alla disciplina edilizia, e gli interventi di produzione dell’energia in senso stretto (vedi in particolare l’art. 6 novellato del d.P.R. n. 380 del 2001).
Anche l’art. 1-quater del decreto-legge n. 105 del 2010, inserito dalla legge di conversione n. 129 del 2010, che fa salvi gli effetti relativi alle procedure di denuncia di inizio attività per la realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, che risultino avviate in conformità a disposizioni regionali recanti soglie superiori a quelle di cui alla tabella A del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, introduce, nel quadro della decretazione d’urgenza nel settore dell’energia, una sanatoria limitata nel tempo, tanto da porre la condizione «che gli impianti siano entrati in esercizio entro centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». Il proposito è chiaro nel senso di non pregiudicare i limiti di principio contenuti nella tabella allegata al d.lgs. n. 387 del 2003.
L’apertura verso una ulteriore liberalizzazione del regime autorizzatorio per la costruzione e l’esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, si coglie semmai nella recente legge 4 giugno 2010, n. 96 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2009), che delega il governo ad attuare la Direttiva 2009/28/CE, estendendo il regime della DIA alla realizzazione degli impianti per la produzione di energia elettrica con capacità di generazione non superiore ad 1 megawatt elettrico (art. 17). Il recepimento della direttiva spetta allo Stato (entro il 5 dicembre 2010), per ragioni di uniformità sul territorio nazionale, legate alla funzionalità della rete, e non è consentito alla Regione derogare frattanto ai limiti vigenti, sia pure anticipando il recepimento della normativa comunitaria.


4.– Il Presidente del Consiglio dei Ministri si duole, infine, che con l’art. 11, comma 4, della legge regionale n. 71 del 2009, che inserisce un comma 1-quater nell’art. 16 della legge regionale n. 39 del 2005, si siano individuati alcuni interventi che, per esserne “soggetti responsabili” la Regione o gli enti locali, costituirebbero “attività libera”, ovvero sottratta all’obbligo di DIA.
La norma impugnata esonera dal titolo abilitativo (identificato dal ricorrente nella DIA) l’installazione di alcuni tipi di impianti (pannelli solari fotovoltaici di potenza nominale uguale o inferiore a 1 megawatt, impianti eolici di potenza nominale uguale o inferiore a 1 megawatt, impianti a fonte idraulica di potenza nominale uguale o inferiore a 200 chilowatt), quando la Regione e gli enti locali siano soggetti responsabili degli interventi, realizzati tenendo conto delle condizioni fissate dal piano di indirizzo energetico regionale (PIER).


4.1.– La questione è fondata.


4.2.– Nell’individuazione del contrasto con la disciplina statale, costituita dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, pur se il ricorso denuncia la creazione, da parte del legislatore, di categorie di interventi che sarebbero sottratti al titolo abilitativo costituito dalla DIA di cui all’art. 10, comma 1, la tipologia degli interventi, indicati alle lettere a), b) e c) della norma sospettata d’incostituzionalità, li fa considerare in gran parte assoggettati all’ambito di applicazione dell’autorizzazione unica regionale, e non della semplice DIA. Resta a maggior ragione valida la doglianza del ricorrente per il fatto che la norma regionale ha liberalizzato attività comunque soggette a controllo. La questione riguarda in particolare l’ammissibilità di un regime deregolamentato, ove responsabili degli interventi siano la Regione e gli enti locali.
Va considerato che la titolarità dell’intervento non toglie che nella realizzazione di un impianto di generazione di energia da fonti rinnovabili, come di qualsiasi opera pubblica, sia necessaria la compartecipazione di tutti i soggetti portatori di interessi (ambientale, culturale, urbanistico, sanitario) coinvolti nella realizzazione dell’opera. La finalità di composizione degli interessi coinvolti è perseguita dalla previsione dell’autorizzazione unica (sentenza n. 249 del 2009), che, pur attribuita alla competenza regionale, è il risultato di una conferenza di servizi, che assume, nell’intento della semplificazione e accelerazione dell’azione amministrativa, la funzione di coordinamento e mediazione degli interessi in gioco al fine di individuare, mediante il contestuale confronto degli interessi dei soggetti che li rappresentano, l’interesse pubblico primario e prevalente.
La precisazione contenuta nella norma impugnata, che fa salva la necessità di ottenere l’autorizzazione paesaggistica nelle aree vincolate, non esaurisce la valutazione degli interessi variegati di cui l’autorizzazione unica è la risultante, e per la tutela dei quali sono chiamati a partecipare alla conferenza di servizi soggetti diversi dai responsabili dell’istallazione degli impianti. Escludendo dal procedimento di codecisione tali soggetti, la legge regionale fuoriesce dal modello procedimentale individuato, per ragioni di uniformità, dalla legge statale (sentenze n. 62 del 2008 e n. 383 del 2005).
Il riconosciuto contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., assorbe gli ulteriori profili di doglianza (artt. 3 e 117, secondo comma, lettera e, Cost.).


PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE


dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 2, della legge della Regione Toscana 23 novembre 2009 n. 71 (Modifiche alla legge regionale 24 febbraio 2005, n. 39 – Disposizioni in materia di energia), nella parte in cui, sostituendo il comma 3 dell’art. 16, della legge della Regione Toscana 24 febbraio 2005, n. 39 (Disposizioni in materia di energia), ha inserito i numeri 1 e 2 della lettera f);


dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, comma 4, della legge della Regione Toscana n. 71 del 2009;


dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, e dell’art. 10, comma 2, per il resto, della legge della Regione Toscana n. 71 del 2009, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.


Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 novembre 2010.


F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore


Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere


Depositata in Cancelleria l'11 novembre 2010.