Cass. Sez. III sent.4399 del 5 febbraio 2007 (cc. 7 dicembre 2006)
Pres. Lupo Est. De Maio Ric. De Santis
Beni Ambientali. Condono paesaggistico
L'efficacia estintiva del c.d. condono paesaggistico è limitata alla sola fase della cognizione e non si estende ai procedimenti già definiti
MOTIVAZIONE
Con istanza in data 10.2.2005 D.S.A. richiese: a) la sospensione dell'esecutività della sentenza pronunciata dalla Corte d'Appello di Salerno il 29.4.2004, divenuta irrevocabile, con la quale egli era stato condannato alla pena ritenuta di giustizia, perchè riconosciuto colpevole del reato di cui al D.Lgs. n. 490 del 1999, artt. 151-163 in relazione alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c; b) dichiarazione della sopravvenuta estinzione del reato ai sensi della L. 15 dicembre 2004, n. 308, art. 1, comma 37.
La predetta Corte d'Appello, in funzione di giudice dell'esecuzione, all'esito dell'instaurata procedura camerale, con ordinanza in data 25.10.2005, rigettò la detta istanza, ritenendo che la disposizione citata non avesse esteso i propri effetti ai procedimenti già definiti, com'è avvenuto, invece, in tema di condono edilizio in base alla L. n. 47 del 1985, art. 38, comma 3.
Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorso per Cassazione i difensori del suddetto D.S., i quali censurano la decisione impugnata, sotto il profilo della inosservanza o erronea applicazione della L. n. 308 del 2004, art. 1, comma 37, "dovendo ritenersi evidente che tale disposizione possa trovare applicazione anche rispetto ai procedimenti definiti con sentenza irrevocabile", in quanto non sarebbe "ammissibile ... che una disposizione di favore per l'imputato, che com'è naturale procede unitamente alla contestazione di una violazione edilizia, abbia applicazione soltanto per i processi in corso".
Il Proc. Gen. presso questa Corte ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Il ricorso è infondato. Infatti, occorre premettere il rilievo (non fatto dai primi giudici, ma che ben può essere sollevato d'ufficio in questa sede) che nel caso in esame non si è, comunque, in presenza di una causa estintiva perfezionata, perchè l'istante, a quanto risulta, ha solo proposto la domanda per conseguire, da parte dell'autorità preposta alla tutela e gestione del vincolo ambientale, la dichiarazione di accertamento di compatibilità paesaggistica delle opere eseguite. Risulta evidente che la sola domanda non è, di per sè, sufficiente ad integrare la fattispecie estintiva prevista dal comma 37 che richiede, al fine del verificarsi dell'effetto estintivo, la realizzazione di due condizioni, prevedendo: la prima, che le tipologie edilizie e i materiali impiegati, anche se diversi da quelli indicati nella eventuale autorizzazione, rientrino tra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistici, ove vigenti o, altrimenti, siano ritenuti compatibili con il contesto ambientale; la seconda, che i trasgressori abbiano previamente corrisposto la sanzione pecuniaria di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 167 maggiorata da un terzo alla metà e una sanzione pecuniaria aggiuntiva determinata dall'autorità amministrativa competente. Tale procedura risulta attivata, ma non esaurita con la prevista pronuncia di compatibilità delle opere realizzate che, sola, consente il superamento - nel concorso delle citate condizioni, della cui sussistenza manca in atti qualsiasi traccia - del divieto di sanatoria sancito dalla L. n. 326 del 2003, art. 32, comma 27.
Comunque, il ricorso è infondato anche in punto di diritto, non essendo condivisibile la tesi prospettata dal ricorrente, come rilevato dal Proc. Gen. in requisitoria con argomentazioni che vanno qui richiamate. La questione posta dal ricorrente si sostanzia nel quesito se la causa estintiva prevista dalla più volte richiamata disposizione e che si riferisce a qualsiasi reato in materia paesaggistica, possa farsi operare, sussistendone le condizioni, anche dopo che il processo sia stato definito con la sentenza di condanna divenuta irrevocabile. Ai fini della corretta soluzione della questione occorre innanzi tutto rilevare: 1) che con la norma in questione si è inteso predisporre, ad iniziativa del privato che chieda l'accertamento di compatibilita paesaggistica degli interventi edilizi effettuati in zona vincolata ex lege, un procedimento di formazione di una causa estintiva; 2) che l'art. 676 c.p.p. non costituisce una deroga al principio generale della intangibilità del giudicato e del suo effetto preclusivo perchè, quanto alle cause estintive, si riferisce solo a quelle eccezionali che, in base a specifiche disposizioni, possono operare anche dopo il passaggio in giudicato (quali, ad es., quelle ex art. 167 c.p., art. 445 c.p.p., comma 2, art. 556 c.p.p., comma 3). Ne deriva che la causa estintiva di cui si discute, in mancanza di esplicita diversa previsione della norma, deve ritenersi destinata ad operare - al pari di quelle generali previste dal codice penale nel titolo sesto del primo libro (alle quali, peraltro, non è assimilabile) - in pendenza del processo di cognizione, agendo direttamente sul rapporto di punibilità sorto dal reato e impedendo l'irrogazione della condanna, ma non in sede esecutiva dopo che la sentenza è divenuta irrevocabile.
Gli stessi limiti di operatività entro i quali il cd. condono edilizio può fungere da causa estintiva del reato urbanistico qualora il relativo provvedimento intervenga prima della pronuncia della sentenza definitiva devono - in mancanza, come si diceva, di una esplicita previsione legislativa contraria - valere, per evidenti ragioni di logica simmetria e di necessaria coerenza sistematica, anche per il cd. condono paesaggistico, introdotto dalla L. n. 308 del 2004, art. 1, comma 37. L'opinione contraria conduce a conseguenze paradossali, ove si pensi che, per gli interventi abusivi in area sottoposta a vincolo ambientale, sarebbe possibile l'estinzione dei soli reati paesaggistici anche dopo la condanna irrevocabile, mentre sopravvivrebbero quelli urbanistici, che comportano, comunque, l'obbligo della demolizione (ove, beninteso, l'abuso non sia stato sanato). Esigenze di parallelismo e di necessario coordinamento dettate dall'esigenza di assicurare nel silenzio della legge una regolamentazione coerente al fine di evitare profonde discrasie nel sistema, impongono, come si diceva, di limitare l'efficacia estintiva del condono paesaggistico alla sola fase della cognizione. In effetti, la conclusione in tal senso tiene ferma la razionalità del sistema, dal momento che si colloca su di un piano di parallelismo con la delimitazione dell'effetto estintivo proprio della sanatoria edilizia, la quale, se intervenuta nel corso del giudizio, impedisce la pronuncia di condanna e la produzione delle conseguenze giuridiche che alla stessa la legge ricollega, ma i cui effetti si riducono, dopo la formazione del giudicato, alla sola non computabilità della condanna ai fini della recidiva e della reiterazione della concessione del beneficio della sospensione condizionale.
Una volta precisato l'ambito applicativo della causa estintiva in discorso, la quale agisce sulla punibilità in concreto solo se il suo iter formativo si sia concluso prima della definizione del procedimento, strettamente conseguente è la valutazione che si deve fare dei rilievi difensivi di ordine costituzionale (contenuti nel 2^ motivo di ricorso), basati sulla asserita esigenza di assicurare parità di trattamento normativo tra gli imputati di reati paesaggistici per i quali non sia stata ancora pronunciata sentenza irrevocabile - e che, pertanto, possono beneficiare degli effetti della più favorevole disciplina dettata dai commi 37 e 38, art. 1, legge citata - e i condannati in via definitiva per i reati stessi, che, invece, ne sarebbero esclusi. Premesso che il principio di uguaglianza non va inteso in senso assoluto, e cioè in modo meccanicamente livellatore, la segnalata diversità di regolamentazione giuridica tra le posizioni messe a confronto, in relazione al momento processuale in cui la sentenza diviene irrevocabile rispetto allo ius novum, non si sostanzia in una disparità di diritto lesiva del principio di uguaglianza, bensì in una mera, inevitabile e insuperabile disparità di fatto, dipendente da un evento casuale e aleatorio sottratto a qualsiasi discrezionalità del legislatore e come tale ininfluente agli effetti della censura di pretesa irragionevolezza.
Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2006.