Cons. Stato Sez. VI mn.98 del 12 gennaio 2011
Elettrosmog. Parere ARPA

L’art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003 postula che il parere dell’A.R.P.A. sia richiesto esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell’impianto e non anche ai fini del perfezionamento del titolo abilitativo, perché non sussiste un onere per il richiedente di allegare siffatto parere in sede di presentazione dell’istanza di titolo edilizio (della denuncia di inizio di attività), né un obbligo di far pervenire il parere medesimo all’ente procedente entro il termine di novanta giorni di cui al comma 9 dell’art. 87, cit.

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


N. 00098/2011REG.SEN.
N. 03180/2005 REG.RIC.


Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)


ha pronunciato la presente


SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 3180 del 2005, proposto:
dal Comune di Villaricca, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Abbamonte, con domicilio eletto presso Abbamonte, Studio Zimatore in Roma, via Terenzio, n. 7;


contro


H3G Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avv. Marcello Clarich, con domicilio eletto presso Marcello Clarich in Roma, piazza di Montecitorio, n. 115;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE I, n. 120/2005, resa tra le parti, concernente DINIEGO ISTALLAZIONE STAZIONE RADIOBASE PER LA TELEFONIA CELLULARE


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 ottobre 2010 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti gli avvocati Abbamonte e Clarich;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO


La società H3G presentò al Comune di Villaricca (Na) il 16 settembre 2004 una denuncia di inizio di attività i sensi del comma 3 dell’art. 87 d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259, finalizzata all’installazione di una stazione radio base per telefonia mobile di potenza inferiore a 20 Watt da posizionare sullo stabile del Viale della Repubblica n. 11.

Con il atto in data 17 settembre 2004 (fatto oggetto di impugnativa in prime cure), il Comune appellante dichiarò ‘non accolta’ l’istanza in questione, in quanto:

“- le opere da realizzare non possono essere eseguite con d.i.a. ma con permesso di costruire (T.U. – d.P.R. n. 380 del 06.06.2001);

- l’Amministrazione comunale intende (visto la delibera di C.C. n. 137 del 08.11.2002) far installare il tipo di antenna di che trattasi in siti diversi da quello indicato (…);

- l’immobile interessato non è fornito di Abitabilità ed è stato oggetto di Condono Edilizio, per cui ogni ‘intervento’ da eseguire sullo stesso deve essere compreso in un Piano di Recupero di cui alla Legge 47/1985;

- Manca il titolo di proprietà”.

L’atto fu impugnato dalla società H3G al Tribunale amministrativo regionale per la Campania. Questo, con la sentenza oggetto del presente appello, accolse ricorso ed annullò il provvedimento in questione con sentenza in forma semplificata.

Nell’occasione il primo giudice ha considerato

- che l’art. 87 d.lgs. 259 del 2003 non richiede il permesso di costruire per installare le stazione radio base per telefonia mobile di potenza inferiore a 20 Watt, limitandosi a presentare la sola denuncia di inizio di attività;

- che era indebita la pretesa del Comune di assoggettare l’installazione alla procedura del permesso di costruire, alla luce del prevalente orientamento giurisprudenziale per cui queste installazioni non sono assimilabili alle ordinarie costruzioni;

- che, per il principio di specialità, le disposizioni del d.lgs. 259 del 2003 prevangono su quelle del d.P.R. n. 380 del 2001;

- che, infine, la sola dichiarata volontà del Comune di localizzare in altra zona del territorio comunale gli impianti in parola non risultava di per sé ostativa alla installazione domandata.

La sentenza è stata appellata dal Comune di Villaricca, che ne lamenta sotto diversi profili l’erroneità per i seguenti motivi:

1) Error in iudicando – Violazione ed errata applicazione degli artt. 9, l. 205 del 2000; 77, co. 1, d.lgs. n. 259 del 2003; 1, l. 36 del 2001; l.r. Campania n. 14 del 2001 – Violazione dell’art. 7, n. 4, l. 150 del 1942 e ss.mm.ii.;

2) Illegittimità costituzionale degli artt. 87 e 88 d.lgs. 259 del 2003 in relazione agli artt. 3, 76, 97 e 117 della Costituzione;

3) Illegittimità costituzionale degli artt. 87 e 88 d.lgs. 259 del 2003 per violazione degli artt. 10 e 32 della Costituzione e della normativa comunitaria indicata in parte motiva;

4) Error in iudicando – Omessa pronuncia in merito ad un punto della controversia – Violazione dell’art. 24, comma 2, lettera c) del d.P.R. 380 del 2001 – Presupposto erroneo e errata percezione dei fatti di causa.

La società H3G, costituitasi, conclude in via preliminare per l’inammissibilità dell’appello e, nel merito, per la sua infondatezza.

All’udienza pubblica del 12 ottobre 2010 il ricorso veniva trattenuto in decisione.


DIRITTO


1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello del Comune di Villaricca (Na) avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania con cui è stato accolto il ricorso proposto dall’odierna appellata H3G, società attiva nel settore della telefonia mobile e, per l’effetto, è stato annullato il provvedimento con cui quel Comune aveva dichiarato ‘non accolta’ la denuncia di inizio di attività finalizzata all’installazione di una stazione radio base per telefonia mobile di potenza inferiore a 20 Watt ai sensi dell’art. 87 d.lgs. 1° agosto 2003, n. 259.

2. Con il primo motivo il Comune appellante lamenta che la sentenza sia stata resa a contraddittorio non integro per non essere state chiamate in giudizio la Provincia di Napoli, competente all’autorizzazione dell’installazione delle antenne come quella all’origine dei fatti di causa (art. 14, l.r. 24 novembre 2001, n. 14) e la Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (A.R.P.A.), deputata all’effettuazione dei controlli di cui all’art. 14 l. 22 febbraio 2001, n. 36 e conseguentemente legittimata sia alla partecipazione procedimentale, sia ad intervenire nel processo.

2.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

In primo luogo, anche a condividere la tesi di una sorta di automatico parallelismo fra il coinvolgimento procedimentale e la qualità di parte necessaria del processo, nel caso dell’A.R.P.A. difetta in radice la qualificabilità stessa come organo coinvolto in senso proprio nell’ambito del procedimento di rilascio del titolo abilitativo comunale di cui ai commi 1 e 3 dell’art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003: giova richiamare il consolidato – e qui condiviso – orientamento giurisprudenziale secondo cui l’art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003 postula che il parere dell’A.R.P.A. sia richiesto esclusivamente ai fini della concreta attivazione dell’impianto e non anche ai fini del perfezionamento del titolo abilitativo, perché non sussiste un onere per il richiedente di allegare siffatto parere in sede di presentazione dell’istanza di titolo edilizio (della denuncia di inizio di attività), né un obbligo di far pervenire il parere medesimo all’ente procedente entro il termine di novanta giorni di cui al comma 9 dell’art. 87, cit. (Cons. Stato, Sez. VI, 28 aprile 2010, n. 2436).

Per quanto concerne, poi, l’affermato obbligo di garantire il coinvolgimento nel contraddittorio processuale della Provincia (perché attributaria dell’adozione dell’autorizzazione dell’installazione delle antenne del tipo di quella all’origine dei fatti di causa), si osserva che la tesi prende le mosse da una erronea lettura del quadro normativo.

In particolare, la disposizione richiamata dal Comune appellante (art. 3, comma 1, l.r. Campania 24 novembre 2001, n. 14) individua la competenza del Presidente della Provincia all’autorizzazione all’installazione o alla modifica degli impianti per telecomunicazioni, ma solo nel caso in cui tali impianti presentino una potenza superiore a 100 Watt: e questa condizione non sussiste nel caso di specie, dove viene in rilievo un impianto di potenza inferiore a 20 Watt.

3. Con il secondo motivo, il Comune di Villaricca osserva che la sentenza è erronea per aver ritenuto che la previsione di cui all’art. 87 del d.lgs. n. 259 del 2003 sia da intendere nel senso di richiedere unicamente la denuncia di inizio di attività edilizia (e non anche il permesso di costruire) per l’installazione delle antenne come quella richiesta dalla H3G e nel senso che alle disposizioni di cui al richiamato art. 87 sia da riconoscere prevalenza rispetto a quelle del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (testo unico dell’edilizia), le quali risultano aliunde idonee a governare la fattispecie.

Al riguardo l’appellante soggiunge che, laddove le previsioni di cui all’art. 87 fossero effettivamente da intendere nel senso richiamato, la necessaria conseguenza sarebbe nel senso di palesare la loro illegittimità per violazione di una serie di precetti costituzionali (in particolare: artt. 3, 76 e 97 Cost.). In primo luogo, l’art. 87, cit. risulterebbe costituzionalmente illegittimo per violazione del principio fondamentale della legislazione statale rinveniente dal d.P.R. n. 380 del 2001, che individua nella figura del permesso di costruire il titolo ‘paradigmatico’ per assentire interventi di portata non minore, comunque destinati ad incidere sugli assetti urbanistici ed edilizi del territorio (viene citata al riguardo la previsione di cui agli articoli 1 e 10 del d.P.R. n. 380, a tenore del quale “l’installazione di torri e tralicci per impianti radio ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione” viene espressamente annoverata fra gli interventi di ‘nuova costruzione’, in linea di massima sottratti al regime della d.i.a.).

In secondo luogo, l’appellante osserva che nessuna delle disposizioni della legge di delega 1 agosto 2002, n. 166 legittimava il Governo ad apportare una sì rilevante deroga all’ordinaria disciplina edilizia, e senza procedere all’abrogazione espressa delle disposizioni dal cui contenuto ci si discostava.

Oltretutto, nella tesi del Comune, il richiamato intervento del legislatore delegato risulterebbe lesivo dei generali canoni di ragionevolezza ed adeguatezza rispetto alle finalità indicate in sede di conferimento della delega, esulando da quanto strettamente necessario per garantire lo snellimento procedurale e certezza e trasparenza degli adempimenti nella materia.

Ed ancora, il richiamato art. 87 risulterebbe costituzionalmente illegittimo per violazione del c.d. ‘principio di precauzione’ in materia ambientale, trasfuso nel testo del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (art. 191).

Per l’appellante Comune, risulterebbe compatibile con l’attuazione del principio di precauzione l’imporre un meccanismo autorizzatorio a fronte di attività, come quelle finalizzate all’installazione delle stazioni radio base, che l’esperienza ha indicato come possibili fonti di danno.

Del pari, l’assoggettamento delle richiamate attività ad un regime autorizzatorio sarebbe compatibile con la finalità della tutela della salute umana, parimenti rientrante fra le finalità ultime dell’ordito comunitario (art. 168 del Trattato). Ciò in quanto i limiti massimi di esposizione di cui alla l. 23 febbraio 2001, n. 36 non costituirebbero il frutto di studi sperimentali, ma di mere previsioni (non esistendo certezza circa il fatto che l’esposizione cronica di tessuti biologici a campi elettromagnetici nei limiti previsti dalla legge in questione non sia idonea a danneggiare l’organismo).

3.1. Il motivo nel suo complesso non può essere condiviso.

3.1.1. In primo luogo, il Collegio osserva che alla luce di un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, deve ritenersi che l'autorizzazione (ovvero la formazione tacita del titolo abilitativo) di cui all'art. 87 del d.lgs. 1 agosto 2003, n.259 (Codice delle comunicazioni elettroniche), non costituisce atto che presuppone o è presupposto rispetto a quello richiesto dal t.u. delle disposizioni in materia edilizia, ma assorbe in sé e sintetizza anche la valutazione urbanistico-edilizia che presiede al titolo edilizio.

Si è osservato al riguardo che, laddove il nuovo procedimento fosse destinato non a sostituire, ma ad abbinarsi a quello edilizio ordinario, verrebbero di fatto vanificati i principi ispiratori del Codice delle comunicazioni elettroniche, in particolare quelli della previsione di procedure tempestive, non discriminatorie e trasparenti per la concessione del diritto di installazione e della riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti, nonché della regolazione uniforme dei medesimi (in tal senso: Cons. Stato, VI, 19 ottobre 2008, n. 5044).

Nel caso di specie, non si ravvisa ragione alcuna per discostarsi da tale consolidato indirizzo.

A questo punto si deve affrontare la questione se l’assetto complessivo delineato risulti conforme ai dettami costituzionali e segnatamente ai principî degli articoli 3, 76 e 97 Cost..

In primo luogo, il Collegio osserva che il richiamato assetto non risulta lesivo di un principio generale regolatore, quale sarebbe quello che annetterebbe carattere paradigmatico alla figura del permesso di costruire al fine di assentire opere incidenti in modo non irrilevante sull’assetto urbanistico ed edilizio. Pertanto la dedotta questione di legittimità costituzionale dell’art. 87 risulta manifestamente infondata, atteso che la scelta del legislatore di assoggettare al diverso regime abilitativo della denuncia di inizio di attività gli impianti di potenza inferiore, lascia comunque spazio al necessario controllo dello sviluppo edilizio del territorio, risulta comunque compatibile con la discrezionalità del legislatore e non appare travalicare i limiti ‘in negativo’ rinvenienti dall’applicazione del generale principio di ragionevolezza.

La giurisprudenza costituzionale ha affermato l’illegittimità di disposizioni di una legge regionale che sottoponevano l'installazione di torri e tralicci per impianti di radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione ad un iter autorizzatorio comunale (rilascio del permesso di costruire) ulteriore ed aggravato rispetto a quello già previsto dall'art. 87 d.lgs. 259 del 2003 (Corte cost., sent. 28 marzo 2006, n. 129, secondo cui è incostituzionale l’art. 27, comma 1, lett. e), n. 4, l.r. Lombardia 11 marzo 2005 n. 12, nella parte in cui sottopone l’installazione di torri e tralicci per impianti di radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione ad un iter autorizzatorio comunale (rilascio del permesso di costruire) ulteriore rispetto a quello già previsto dall’art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003).

3.1.2. Per le ragioni richiamate appare manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale relativa all’asserita violazione dell’art. 76 Cost., per avere il legislatore delegato travalicato i limiti dell’art. 41 della legge di delega n. 166 del 2002.

3.1.3. Del pari, risulta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003 in relazione all’applicazione del principio di precauzione in tema di tutela della salute umana e dell’ambiente (principio che assurgerebbe a parametro di costituzionalità mercé l’inclusione dello stesso nell’ambito dell’art. 191 del Trattato ed in considerazione della previsione di cui al primo comma dell’art. 117 Cost.).

Si osserva in primo luogo che – come osservato dalla difesa della società appellata – la disposizione della cui legittimità costituzionale si discute (il più volte richiamato art. 87 d.lgs. n. 259.) tratta unicamente della disciplina abilitativa per il rilascio dei titoli necessari all’installazione materiale delle stazioni radio base per telefonia mobile, mentre resta fuori dal campo disciplinato la regolamentazione degli aspetti relativi all’emissione dei campi elettromagnetici che derivano dal funzionamento dei medesimi impianti, anche in relazione all’obiettivo primario della tutela della salute.

Ma anche a prescindere da tale rilievo dirimente (e anche a valutare la questione riguardo alle prescrizioni di cui all’art. 87, cit. quale parte di un più organico complesso, la cui conformità a Costituzione deve essere valutata in senso complessivo), si osserva che la disciplina dettata dal legislatore nazionale (ed in primis dalla l. 22 febbraio 2001, n. 36, in combinato disposto con le disposizioni che nella specie vengono prioritariamente in rilievo) non appare in contrasto con il richiamato principio.

E’ noto al riguardo che il principio in questione (assurto al rango di principio del diritto comunitario primario, mercé l’inclusione nell’ambito dell’art. 191 del Trattato) postula:

- in via preventiva: a): l'identificazione dei potenziali rischi; b), una valutazione scientifica, realizzata in modo rigoroso e completo sulla base di tutti i dati esistenti, nonché c) la mancanza di una certezza scientifica che permetta di escludere ragionevolmente la presenza dei rischi identificati, e

- in via applicativa: l’adozione di puntuali misure (peraltro di carattere solo provvisorio, in attesa di pervenire a un più adeguato grado di conoscenza scientifica) le quali risultino proporzionali rispetto al livello di protezione ricercato ed individuate a seguito dell'esame dei vantaggi e degli oneri conseguenti, anche in termini di una analisi economica costi/benefici.

Impostati così i termini della questione, si osserva che la complessiva disciplina dettata dall’art. 4, comma 1, lett. a) l. n. 36 del 2001. sulla determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di esposizione e degli obiettivi di qualità appare complessivamente compatibile con il richiamato principio, se solo si consideri:

- che la determinazione dei limiti di esposizione e dei valori di attenzione di cui all’art. 3 l. 23 febbraio 2001, n. 36 è ispirata alla finalità di prevenire effetti dannosi per la salute come conseguenza dell’esposizione ai campi elettromagnetici generati dagli impianti;

- che la determinazione degli obiettivi di qualità è stata parimenti ispirata alla finalità di minimizzare i rischi di esposizione ai campi elettromagnetici;

- che i parametri applicativi dapprima adottati con d.m. 10 settembre 1998, n. 381 e in seguito confermati con d.P.C.M. 8 luglio 2003, risultano individuati secondo criteri prudenziali sulla cui attendibilità non vengono qui avanzate censure;

- che la circostanza secondo cui i limiti massimi di esposizione di cui alla l. 23 febbraio 2001, n. 36 non costituirebbero il frutto di studi sperimentali - ma di mere previsioni -, non concreta un vizio di legittimità delle previsioni (ad es., sotto la specie di violazione del generale principio di precauzione), e conferma invece la corretta applicazione del principio al caso di specie, atteso che è l’assenza di conoscenze scientifiche certe a legittimare il ricorso a misure di carattere prudenziale (sempre che, ovviamente, non si dimostri che la loro determinazione risulti a propria volta lesiva del richiamato principio).

La censura articolata dal Comune appellante non appare fondata, atteso che, lungi dal confutare la complessiva attendibilità e ragionevolezza delle misure precauzionali nella specie approntate al livello nazionale, si limita a ribadire quello che è lo stesso presupposto legittimante l’individuazione di tale tipologia di misure (l’assenza di dati scientifici certi in ordine al carattere nocivo o meno di una determinata pratica).

3.1.4. Per ragioni analoghe va dichiarata la manifesta infondatezza della dedotta questione di legittimità costituzionale in relazione all’applicazione del principio di precauzione in tema di tutela dell’ambiente, atteso che – anche qui – le argomentazioni del Comune appellante sembrano più volte a rimarcare l’assenza di dati scientifici certi in ordine alla dannosità per l’ambiente delle installazioni di cui trattasi (i.e.: a confermare la necessità di introdurre misure precauzionali), che non a dimostrare la complessiva inattendibilità o irragionevolezza delle misure a tal fine approntate.

4. Con un ulteriore argomento il Comune di Villaricca osserva che il provvedimento negativo impugnato in prime cure era corretto per la parte in cui rilevava che ostava alla richiesta installazione la circostanza che si trattava di edificio non fornito di abitabilità ed oggetto di condono edilizio.

Il Comune osserva che neppure l’intervenuta sanatoria dell’immobile vale ad attestare alcunché in relazione all’idoneità dello stabile ad ospitare l’impianto , sia sotto il profilo della statica, sia sotto il profilo dei requisiti antincendio.

Il Comune osserva, da ultimo, che la società H3G non ha avanzato doglianze avverso la parte del provvedimento con cui si afferma che, trattandosi di immobile oggetto di condono, nessun intervento fosse possibile, se non nell’ambito di un piano di recupero ex lege 28 febbraio 1985, n. 47..

Sotto tale aspetto, quindi, non potrebbe che ravvisarsi un comportamento acquiescente in capo alla soc. H3G.

4.1. Queste doglianze non possono trovare accoglimento.

Quanto alla carenza del certificato di abitabilità, si osserva che la disciplina nazionale in tema di rilascio dei titoli abilitativi per l’installazione delle S.R.B. per telefonia mobile non richiede tale elemento.

Un’eventuale esigenza in tal senso risulterebbe ultronea, trattandosi di installazioni assimilate per legge ad opere di urbanizzazione primaria ed in ordine alla cui realizzabilità non sembra ostare la carenza di un requisito (quello dell’abitabilità) finalizzato a ben diversi scopi.

Per quanto concerne il secondo dei richiamati profili, si osserva che (come affermato dalla appellata) la previsione di cui all’art. 29 della l. 28 febbraio 1985, n. 47 in tema di ‘piani di recupero’ si limita a prescrivere che gli edifici abusivi oggetto di sanatoria siano inseriti nell’ambito di atti di pianificazione urbanistica diretti al loro più adeguato inserimento nell’ambito del tessuto urbano.

La previsione, in ragione del suo dettato e dello scopo contestuale a quella legge, non può essere intesa nel senso di prescrivere che qualunque altro intervento da realizzare sui medesimi immobili (anche avente ad oggetto – come nel caso di specie – installazioni assimilate ad opere di urbanizzazione) debba essere a propria volta inserito nell’ambito di un piano di recupero.

3. Per le ragioni sin qui esposte il ricorso in epigrafe deve essere respinto.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi onde disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.


P.Q.M.


definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente
Roberto Garofoli, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE

IL PRESIDENTE


DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/01/2011