POTERI E LIMITI NELL’ACCESSO A PROPRIETA’ PRIVATA PER L’ACCERTAMENTO DI REATI ED ILLECITI AMMINISTRATIVI
di Antonella Manzione, Comandante Corpo P.M. Lucca
Relazione al Convegno "Le Giornate della Polizia Locale - XXVII edizione" Riccione 17 - 20 settembre 2008
Normal 0 14 false false false MicrosoftInternetExplorer4 st1\:*{behavior:url(#ieooui) } /* Style Definitions */ table.MsoNormalTable {mso-style-name:"Tabella normale"; mso-style-parent:""; font-size:10.0pt;"Times New Roman";}
Premessa.

Il problema dell’accesso ad aree o immobili privati costituisce da sempre uno dei “nodi gordiani” nell’attività di controllo della Polizia Locale e non solo. In pratica, e’ questione pregiudiziale ad ogni accertamento in quanto ne rappresenta il limite negativo di partenza. Le norme di riferimento tutto sommato sono poche, ma le problematiche decisamente molteplici. Senza alcuna pretesa di esaustività cercheremo di tracciare la cornice normativa di riferimento per poi individuare, attraverso casisistica di sicuro interesse per la P.M., soluzioni operative che tutelino da possibili responsabilità e nel contempo contengano suggerimenti “spiccioli” tratti dalla propria esperienza di settore, oltre che dalle massime giurisprudenziali più recenti. L’accesso ad un’area privata, dunque, se finalizzato alla necessarietà di accertare un presunto illecito amministrativo e/o penale deve rispondere alle modalità di cui ad apposita norma a carattere generale che lo legittimi, consentendo all’operatore di polizia di violare il diritto di proprietà costituzionalmente garantito. Non a caso, il risvolto negativo di un’attività’ siffatta non rispondente ai criteri di legge e’ rappresentato dal reato di cui all’art. 615 del C.P., rubricato, appunto, “Violazione di domicilio commessa da un pubblico ufficiale”.1 Non a caso , dunque, il punto di partenza di una corretta disamina della materia deve essere l’analisi di tale ipotesi di reato, in quanto la sua conoscenza rappresenta la cartina di tornasole della esatta conoscenza della liceità del proprio operato.

Il reato di violazione di domicilio commesso da pubblico ufficiale.

La disposizione contenuta nell’art.615 C.P. sopra citato, dunque, tutela il diritto alla libertà domestica, reprimendo con la previsione di una severa pena edittale gli abusi del pubblico ufficiale che, proprio a cagione di tale sua qualifica e dei poteri ad essa connessi, e’ in grado di vulnerare più gravemente la libertà individuale. Per questo si ritiene che l’interesse tutelato dalla norma sia anche quello al corretto comportamento degli organi della Pubblica Amministrazione, che giustifica la procedibilità d’ufficio, diversamente da quanto avviene, almeno di regola, per la fattispecie “comune” di cui all’art. 614 ( “Violazione di domicilio”) . Il soggetto passivo può essere anche un ente collettivo, come un’associazione, un club, una società, ovvero un soggetto comunque portatore di interessi riconducibili direttamente ad una persona fisica, che e’ destinataria in via per così dire naturale della tutela della norma. La condotta corrisponde a quella del già citato reato di violazione di domicilio, per cui diviene indispensabile delineare l’esatta

1 “Il pubblico ufficiale che , abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni,si introduce o si trattiene nei luoghi indicati nell’articolo precedente… ( abitazione altrui o altro luogo di privata dimora o relativa appartenenza, N.d.R. ) ”.Il capoverso della norma contiene poi un’ipotesi, della quale e’ controversa in dottrina la natura di fattispecie autonoma o attenuata di quella di cui al comma precedente, la cui condotta consiste nell’introdursi nei medesimi luoghi senza rispettare le formalità prescritte dalla legge. Per un approfondimento della fattispecie de qua, unitamente ad altre correlate alla qualifica di polizia giudiziaria del soggetto agente ci sia consentito rinviare a A.Manzione, La responsabilità penale e disciplinare dell’ufficiale/agente di Polizia Giudiziaria, in Atti del Convegno Nazionale di Polizia Locale, Maggioli ed., Santarcangelo di Romagna (RN), 2007.

accezione penalistica della stessa per circoscriverne la portata. In pratica, occorre capire quale sia l’oggetto della tutela penale (la privata dimora, al di la’ della etimologia del termine e della apparente chiarezza e logicita’ della sua assimilazione ad abitazione privata), per capire anche le possibilità di intervento in violazione della stessa. Ma di questo parleremo più diffusamente nel prosieguo, anche affrontando le norme procedurali, sia amministrative, che penali, che a livello generale legittimano la condotta, astrattamente offensiva, del pubblico ufficiale-agente operante che si introduce, appunto, in un luogo di privata dimora. Tornando ora alla fattispecie della violazione di domicilio di cui all’art. 615 C.P., occorre evidenziarne quale elemento di specializzazione la natura abusiva dell’introduzione o della permanenza nel domicilio altrui o nei luoghi ad esso assimilati, a prescindere, quindi, dal contrasto con la volontà del titolare del cosiddetto jus excludendi.2 In linea di massima si tende a ritenere che la violazione di domicilio commessa con usurpazione di funzioni pubbliche –fattispecie che non dovrebbe mai essere ipotizzata a carico di operatori di polizia locale, comunque astrattamente competenti in tutte le materie di rilievo sanzionatorio, amministrativo o penale, pur con le note specificità di competenze– sia punita in base al combinato disposto degli artt. 614 e 347 C.P. ovvero 614 e 323 C.P., non in base alla disposizione ora in esame. La scarsa giurisprudenza, peraltro piuttosto datata, rinvenuta sul reato in esame conforta la ricostruzione dottrinaria in forza della quale l’abuso di poteri richiesto dalla norma non si identifica nel reato di abuso d’ufficio: in poche parole, esso si realizza per effetto di qualsiasi “abuso” , quasi etimologicamente inteso, come l’usurpazione, lo sviamento, il perseguimento di una finalità diversa, l’inosservanza di leggi, regolamenti, istruzioni, ecc, indipendentemente dall’ingiustizia o meno degli scopi perseguiti dall’agente. Non a caso, tale affermazione compare apoditticamente in motivazione di una sentenza il cui caso concreto vedeva coinvolto proprio un vigile urbano che aveva effettuato una perquisizione in un locale ove si esercitava abusivamente l’attività’ di parrucchiere, perquisizione effettuata in dispregio dell’art. 13 della L.689/1981 che, come vedremo meglio più avanti, per il controllo finalizzato alla repressione di violazioni amministrative pone appunto il limite della privata dimora.3 Solo per completezza si ricordi che, trattandosi di ipotesi di delitto, l’elemento psicologico non può che essere il dolo, nel caso di specie generico, ovvero consistente nella coscienza e volontà di introdursi o trattenersi nel domicilio altrui con la consapevolezza di abusare dei poteri che derivano al pubblico ufficiale dalle proprie funzioni. Ricostruita come sopra la fattispecie, ben si comprende la difficoltà di distinguerla concretamente da quella, autonoma o attenuata che dir si voglia, di cui al comma 2 del medesimo art. 615. Secondo la dottrina più accreditata in tale ipotesi l’abuso si caratterizzerebbe in maniera più specifica, consistendo nella mera inosservanza di non troppo chiare regole formali.4 Sicuro elemento di diversificazione desumibile dalla formulazione letterale della norma si individua nella tipologia della condotta, che per la fattispecie di cui al comma 2 è limitata al solo “introdursi”, mentre in quella di cui al comma 1 si concretizza anche nel “trattenersi”: solo ipotizzando, come peraltro taluni fanno, una sorta di applicazione analogica in bonam partem, stante la pena più mite prevista dall’art. 615, c. 2, si finisce per evitare un’iniqua disparita’ di trattamento, consentendo che anche la condotta di “ trattenersi” sia considerata, appunto, elemento costitutivo della fattispecie meno grave. Ad colorandum, si ricordi anche il reato di cui all’art. 615-bis C.P., recante “Interferenze illecite nella vita privata”, introdotto con L. 98/1974, che punisce la condotta di chi si procura

2 Nel senso del testo cfr. T.Padovani, Codice Penale, Giuffre’ ed., Milano, 2000, Commento all’art. 615. Contra, Marini, Delitti contro la persona, Torino, 1995, p. 297 ss., citato da Padovani medesimo, il quale sostiene che anche per la sussistenza della fattispecie in esame e’ necessario il dissenso del soggetto passivo del reato. 3 Cass., sez.V, 19 maggio 1993, n. 5088. 4 In realta’ il Mancini sottolinea come l’inosservanza debba riguardare formalita’ essenziali, come tali “….costituenti garanzie per la liberta’ individuale”, con cio’ rendendo davvero difficile una concreta distinzione tra le due ipotesi previste nei distinti commi della norma.

indebitamente notizie o immagini – si pensi, quindi, ad eventuale documentazione fotografica – nei medesimi luoghi oggetto di tutela da parte delle norme sopra esaminate. Ragioni di sintesi e di coerenza stretta con l’argomento assegnatomi, inducono a non approfondire ulteriormente la tematica, pure di sicuro interesse, rinviando se non altro alla lettura della norma il completamento del quadro penalistico di riferimento. Tuttavia proprio in relazione all’art. 615-bis si trovano recenti ed interessanti affermazioni dei giudici di legittimità valide anche per l’ambito di attuale interesse. Si legge infatti in Cassazione, sez. V, sentenza n. 35947 del 4 giugno 2001 che la tutela di cui alla norma “…non è estensibile allo stabilimento industriale in cui l’imprenditore si rechi saltuariamente per svolgere le funzioni di direzione e di controllo che gli competono in quanto detto luogo non può essere assimilato ai luoghi di privata dimora di cui all’art. 614 C.P. i quali presuppongono un soggiorno, sia pur breve, ma di una certa durata. Con la conseguenza che ove manchi nel luogo in considerazione un minimo grado di stabilità, tale da far ritenere ragionevolmente apprezzabile l’esplicazione di vita privata che in esso si svolge, si è fuori dall’ambito della tutela accordata dall’art. 615-bis C.P.”.

Curioso che la medesima Cassazione avesse in passato affermato l’esatto contrario proprio in relazione a stabilimenti industriali, anche se appartenenti a società di capitali.5 Il problema, quindi, è quello di delineare l’esatta accezione da attribuire al concetto di “privata dimora”, per legittimare un intervento al di fuori delle ipotesi di flagranza. Il concetto non va ricondotto, dunque, al significato civilistico di luogo ove la persona si trova attualmente, ma va desunto dalla elaborazione che dello stesso è stata fatta proprio in sede di analisi e sviluppo giurisprudenziale sul “domicilio” di cui all’art. 614 C.P.

Ai fini dell’applicazione dell’art. 14 della Costituzione, che segna il limite del potere di ispezione locale, è privata dimora “…quello spazio isolato dall’ambiente esterno legittimamente ed attualmente adibito allo svolgimento degli atti della vita privata e dal quale il soggetto o i soggetti titolari, abbiano inteso normalmente escludere la presenza dei terzi6. Come si vede, accanto a situazioni per le quali la risposta può essere univoca ed immediata, ne esistono altre che finiscono per collocarsi in una zona chiaroscurale di difficile inquadramento dogmatico, in relazione alle quali la riprova delle difficoltà è costituita dalla copiosità di sentenze non sempre a contenuto univoco. E’ sicuramente privata dimora una casa, sia essa appartamento o villa isolata, ma anche roulotte, prefabbricato, tenda da campeggio, camera di albergo, ecc. Rientrano nei casi dubbi il laboratorio artigianale, il circolo privato, non a caso fonte di tante problematiche operative proprio per la polizia locale.

Sono note le oscillazioni giurisprudenziali, delle quali ci occuperemo a parte, in materia di veicoli, salvo gli stessi risultino permanentemente adibiti ad uso abitativo, come nel caso del “clochard”: ad una posizione molto rigorosa della giurisprudenza del passato, ha fatto seguito un orientamento più blando, che tende a disconoscere suddetta qualifica agli autoveicoli7. In particolare, ai fini dell’individuazione delle condizioni e dei limiti di ammissibilità delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti, si è, a seconda dei casi, fatto rientrare nel concetto di privata dimora il luogo che assolve alla funzione di proteggere la vita privata e che per questo è destinato al riposo, all’alimentazione, alle occupazioni professionali e allo svago, tra le quali

5 Cass, sez. V, n. 1005 del 30 ottobre 1968, ove si legge assiomaticamente che “…anche lo stabilimento industriale rientra nel concetto di privata dimora”.

6 Così testualmente Barile e Cheli, voce Domicilio - libertà di, in Enc. Dir. XIII, 1964, p. 861 ss. 7 In realtà, le pronunce giurisprudenziale hanno la finalità pratica di legittimare l’intercettazione di colloqui tra presenti che si svolgano all’interno di un’autovettura, quando esista il fondato sospetto, da intendersi come prognosi con giudizio ex ante rispetto al provvedimento autorizzatorio, giacché in tal caso l’interesse all’inviolabilità del domicilio trova il limite della tutela di interessi generali, anch’essi costituzionalmente garantiti, ravvisabili nell’esigenza di esercitare l’azione penale che, ex art. 112 Cost., è obbligatoria. Cfr. Cass., sez. V 5 novembre 2004, n. 43426, ove si afferma che l’abitacolo di un’autovettura è sfornito dei requisiti minimi indispensabili per potervi risiedere in modo stabile per un apprezzabile lasso di tempo, nonché di quelli di appartenenza che devono caratterizzare la privata dimora, in quanto non collegato in un rapporto funzionale di accessorietà o di servzio con la stessa. Conformemente, si veda Cass., sez I, 27 gennaio 2005 n. 2613. Contra, si veda invece Cass. sez. II, 10 giugno 1998, n. 1831.

rientrerebbe anche l’autovettura adibita di regola ai trasferimenti da e per il luogo di lavoro e di svago 8. D’altro canto, analoghe oscillazioni si riscontrano in materia di esercizi commerciali, esercizi pubblici, opifici industriali, come già detto, per non parlare dei cantieri edilizi, ove salvo si agisca in presenza del fumus di un illecito costituente reato, non si può mai ipotizzare un’ispezione effettuata rispettando i limiti di legge in mancanza del consenso degli aventi diritto. Un’interessante pronuncia attinente l’operatività della polizia locale, concerne l’intervento in esecuzione di atto di un procedimento di esproprio (ma il principio può estendersi alla esecuzione di qualsiasi provvedimento a contenuto similare adottato dalla pubblica amministrazione): affermano infatti i giudici di legittimità che la tutela della inviolabilità del domicilio viene meno quando la proprietà, il possesso o la detenzione del bene costituiscano oggetto di interventi dell’autorità giudiziaria o amministrativa. Pertanto, ogni qualvolta sia venuto a mancare in forza di procedura legittima il titolo che giustifica la proprietà, il possesso o la detenzione, come nel caso dell’occupazione di urgenza finalizzata, appunto, ad un esproprio, non si può nemmeno invocare il diritto alla inviolabilità del domicilio9.

Il potere ispettivo nell’ambito dell’accertamento di illeciti amministrativi.

Delineato dunque il limite per così dire “patologico” dell’operato dell’organo di polizia rappresentato dalla possibilità di incorrere nella fattispecie di reato di cui all’art. 615 C.P., occorre ora approfondire quello “fisiologico” dell’ambito legittimo di intervento. La prima disposizione da prendere in esame al riguardo e’ la summa dei possibili atti di accertamento di un illecito amministrativo di cui all’art. 13 della L. 24 novembre 1981, n. 689, che costituisce, come si suole affermare in maniera sicuramente riduttiva, ma efficace, il codice di rito degli illeciti amministrativi.

Di interesse specifico in questa sede, all’interno dell’elenco dei possibili atti di accertamento, e’ la riconosciuta possibilità di “…procedere a ispezioni di cose e di luoghi diversi dalla privata dimora, quale attivita’ finalizzata, appunto, ad accertare violazioni punite con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro. La norma amplia i poteri di accertamento per quei soggetti, come gli appartenenti alla polizia locale, che abbiano anche la qualifica di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria10, ai quali è riconosciuta la facoltà “…quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova”, di procedere a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, “ previa autorizzazione motivata del pretore del luogo ove le perquisizioni stesse dovranno essere effettuate”. Sgombrato subito il campo dall’anacronistico riferimento letterale al “pretore” come giudice competente, da leggere oggi come “tribunale ordinario”, giusta l’avvenuta soppressione ad opera del d.lgs. 51/1998, del relativo ufficio di giudice monocratico, occorre ora comprendere l’esatta portata della disposizione in esame. 11 In poche parole, si tratta di comprendere l’esatta estensione del potere ispettivo generale e di quello più ampio – ammesso che tale maggiore ampiezza sussista – riconosciuto alla polizia giudiziaria. L’ispezione, come regola generale è dunque consentita purchè non abbia ad oggetto luoghi che costituiscono “privata dimora”, in quanto in tale caso prevale la tutela della stessa.

8 Non a caso, le ispezioni su veicoli vengono legittimate sulla base della norma speciale “scriminante” di cui all’art. 192 del C.d.S. , che consente, appunto, di procedervi “… al fine di verificare l’osservanza delle norme relative alle caratteristiche e all’equipaggiamento del veicolo stesso”. 

9 Cfr. Cass,sez V, 11 giugno 1999, n. 2257. 10 In ordine ai limiti e all’estensione delle qualifiche di P.G. della Polizia Locale si rinvia ancora ad A.Manzione, op. cit. supra, in particolare p. 1-6. 11 Ai sensi del d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, citato nel testo, l’ufficio del pretore e’ stato soppresso con decorrenza 2 giugno 1999, fatta salva l’attivita’ necessaria all’epoca per l’esaurimento degli affari pendenti. Le relative competenze sono passate al Tribunale, anche laddove si tratti, come nel caso di specie, di richieste che per rapporto funzionale si tenderebbero a rivolgere alla Procura della Repubblica, fuori dei casi in cui sia la stessa legge a disporre diversamente.

L’attenzione, quindi, si deve spostare, come anticipato nel paragrafo precedente, sull’esatta accezione da attribuire al termine, sia attingendo al diritto positivo, civile o penale, sia esaminando le posizioni giurisprudenziali e dottrinarie più acclarate in merito. L’analisi dei lavori preparatori della L.689/1981 non reca traccia di ipotizzate limitazioni ai poteri ispettivi degli organi di vigilanza. In sede di redazione del testo definitivo della norma, invece, con il preciso intento di non incorrere in censure d’incostituzionalità ex art. 14 della Costituzione, che tutela, appunto, l’inviolabilità’del domicilio, si ritrovano le limitazioni sopra menzionate. 

Il concetto di “ privata dimora” non si identifica con l’omonimo termine utilizzato dall’art. 43, c.2, C.C., che ne parla per esplicitare la nozione di “residenza”, quindi in un’accezione decisamente restrittiva rispetto a quella cui si fa riferimento per delineare l’ambito della tutela penale.12 Viceversa, esso richiama letteralmente l’espressione utilizzata dal legislatore penale nel gia’ menzionato art. 614, laddove punisce la condotta di chi, contro la volonta’ dell’avente diritto ovvero clandestinamente o con inganno, si introduce “nell’abitazione altrui, o in altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi”. Nell’individuare l’esatto oggetto giuridico della tutela accordata dalla norma, la dottrina parla genericamente della liberta’ del privato, id est del suo interesse alla tranquillita’ e sicurezza nei luoghi in cui esplica attivita’ privata lato sensu intesa, afferente cioe’ sia alla sua vita intima (riposo, alimentazione, pratiche igieniche), sia a quella lavorativa, di studio, di svago, di commercio, ecc. La nozione di domicilio oggetto della tutela di cui all’art. 614 C.P., dunque, in ragione dell’ampiezza e poliedricità del relativo concetto, si estende, oltre che alle abitazioni, ad altri luoghi, dove il soggetto non abita, ma esplica in qualche modo attività permanenti, espressioni della propria vita personale o lavorativa. Non coincide quindi neppure con la sede principale degli interessi ed affari di una persona, come richiesto dall’ art. 43 C.C.

E’ indifferente, ovviamente, la specie, la forma, l’ampiezza, la struttura dell’abitazione, nell’accezione ampia sopra delineata, purche’ sia evidente, ai fini della sussistenza dell’indebita interferenza del terzo, la volontà di escludere i terzi dalla sua fruizione. Vi rientrano quindi sia le grotte adibite ad uso domestico, sia i veicoli utilizzati da famiglie nomadi, sia le baracche e strutture precarie con analoga finalità. Anche a tutela di un’abitazione saltuaria, purchè attuale, può sussistere l’ipotesi di reato in esame. Ed in tale ottica e’ stata via via considerata “privata dimora” la casa colonica o “casale” su fondo coltivato, pur se utilizzata dal possessore per uso domestico saltuariamente, in relazione alla cura di animali o alla coltivazione stagionale del fondo13; il luogo ove il soggetto esplica la propria attivita’ commerciale, come il ristorante 14; lo stabilimento industriale, come già detto, perchè luogo ove l’imprenditore esercita la sua attività lavorativa e dal quale pertanto ha il diritto di escludere le persone a lui non accette15; un box in costruzione su terreno recintato 16; lo studio di un libero professionista che pure eserciti compiti che si inseriscono in un’attività procedimentale di rilevanza pubblicistica17; il pianerottolo condominiale cosi’ come l’androne di accesso all’edificio ( le “appartenenze” al luogo di privata dimora) 18 e così via . Interessante – e preoccupante - e’ proprio la casisistica in materia di pubblici esercizi, tra i quali in particolare quelli di somministrazione di alimenti e bevande: si legge infatti nelle motivazioni di alcune pronunce dei giudici di legittimità che resta luogo di privata dimora anche quello adibito all’esercizio di un’attività destinata ad un’utenza indiscriminata, in quanto il titolare mantiene

12 “La residenza e’ nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. Cosi’ testualmente il comma 2 dell’art. 43 C.C. La residenza, dunque, a fini civilistici, si identifica con il luogo dove abitualmente e volontariamente il soggetto permanga e non viene meno in caso di sua assenza per motivi contingenti, quali le vacanze, il lavoro, ecc., purche’ esso resti centro delle sue relazioni familiari e sociali. 13 Cass., sez V, 14 gennaio 1985, n. 410. 14 Cfr. Cass. , sez. II, 09 febbraio 1985, n. 1353 nonche’ Cass. , sez. , V, 07 dicembre 1983, n. 10531, Cass. , sez. V, 10 novembre 1994, n. 11277. 15 Cass., sez. V, 18 novembre 1985, n.10745. 16 Cass., sez. V 23 gnaio 1990, n. 794. 17 Cass. , sez. V 05 febbraio 1997, n. 879. 18 Cass., sez. V, 03 dicembre 1998, n. 12758.

inalterato il proprio diritto di svolgere liberamente e legittimamente senza turbamenti da parte di terzi suddetta attività, esercitando il proprio Jus excludendi per vietare l’introduzione o la permanenza nel luogo stesso di persone non gradite. In realtà vanno ricordate le importanti – e divergenti- pronunce della Suprema Corte che, ancorché in relazione ad altra tipologia di luoghi (lo spogliatoio di avvocati all’interno del Palazzo di Giustizia, n.d.r.) e con altra finalità ( la valutazione della sussistenza dell’ ipotesi di furto aggravato di cui all’art.624-bis ) in forza delle quali il furto in abitazione, “allineato dal legislatore alla autonoma figura della violazione di domicilio di cui all’art-.614 C.P.”, comprende “qualsiasi luogo, non pubblico, in cui una persona si trattenga, in modo permanente oppure transitorio e contingente”.19 E ancora, in relazione al bagno all’interno di un locale pubblico, in senso diametralmente opposto: “…il luogo in questione, caratterizzato da una frequenza assolutamente temporanea degli avventori e condizionata unicamente alla soddisfazione di un bisogno personale, non puo’ essere assimilato ai luoghi di privata dimora di cui all’art. 614 C.P., che presuppongono una relazione con un minimo grado di stabilita’ con le persone che li frequentano”.20 Persino le Sezioni Unite hanno avuto modo di pronunciarsi sulla materia, sempre in relazione alla ammissibilita’ o meno di certi mezzi di ricerca della prova, nel caso di specie videoregistrazioni. Si legge quindi nella sentenza n. 26795 del 28 marzo 2006 come i cosiddetti privè di un locale notturno, come pure i bagni pubblici, “non possono essere considerati domicilio, neppure nel tempo in cui sono occupati da persone, in quanto il concetto di domicilio individua un particolare rapporto con il luogo in cui si svolge la vita privata, in modo da sottrarre la persona da ingerenze esterne, indipendentemente dalla sua presenza”. In materia di pubblici esercizi, ove si parli di jus excludendi, occorre avere a mente anche la disposizione contenuta nell’art. 187 del Regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S., che si ritiene ancora applicabile anche a quella particolare species di pubblici esercizi che sono quelli di somministrazione di alimenti e bevande, ove il relativo titolo di legittimazione venga ricondotto al concetto di “autorizzazione di polizia”: e’ obbligatoria l’effettuazione delle prestazioni proprie del singolo esercizio a favore di “chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo”, purche’ non sussista un legittimo motivo di diniego, primo fra tutti l’età o lo stato di infermita’ di mente o di ubriachezza del richiedente 21. Tutto si gioca, dunque, sul concetto di “legittimo motivo” che consente di estromettere dal pubblico esercizio l’avventore non gradito, pena la querela per violazione di domicilio, a quel punto sicuramente sussistente22. Ovviamente, una cosa è estromettere dal locale un avventore, altra è negare potere ispettivo ad un organo di polizia. Tuttavia i principi elaborati dalla giurisprudenza, non essendo specifici in relazione alle attivita’ di controllo, non possono che indurre ad un approccio cauto alla relativa tematica, come ribadiremo piu’ volte nel prosieguo della presente trattazione. Per completezza espositiva, si ricordi come la violazione dell’art. 187 sopra citato sia riconducibile all’art. 221- bis, c.1, T.U.L.P.S., che, in forza dell’espresso richiamo contenuto nell’art. 17-ter, c.1,

19 Cass., sez. IV, n.20002 del 2008, ove in relazione ad un ufficio pubblico se ne ammette l’assimilazione a luogo di privata dimora solo in relazione alla natura dell’attività che in esso si esplichi, non in relazione all’ammissione o meno del pubblico al suo interno. Nel caso di specie, pertanto, i giudici hanno escluso che il locale-spogliatoio si potesse qualificare come “pubblico”, ammettendone al contrario la natura di “privata dimora”. 20 Cass., sez.VI, n. 6962 del 10 gennaio 2003, avente ad oggetto la legittimità di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni tra presenti ai sensi dell’art. 266, comma 2, C.P.P. Da notare come la valutazione venga fatta dalla parte, per cosi’ dire, del cliente-utente, il che potrebbe portare a conclusioni diametralmente opposte per il gestore che in quel luogo svolge la sua attività lavorativa. 21 L’art. 187 reg. es. T.U.L.P.S. si apre, infatti, con una clausola di rinvio ai divieti di somministrazione di alcolici rispettivamente ai minori di anni 16, a persona che appaia affetta da infermita’ di mente, o che si trovi in manifeste condizioni di deficienza psichica a causa di un’altra infermita’ (art. 689 C.P.), ovvero a persona in stato di manifesta ubriachezza ( art. 691 C.P.). 22 Secondo la Cassazione, infatti, in presenza di un legittimo motivo, proprio in forza della previsione contenuta nell’art. 187 sopra citato, l’esercente puo’ estromettere dal proprio esercizio qualunque persona, potendo lo stesso, nel caso di specie una trattoria, ben configurare un “luogo di privata dimora” ( cfr. Cass., sez. I, 16 ottobre 1979, n. 8458).

del medesimo Testo Unico, comporta anche l’applicazione della misura cautelare della sospensione dell’attivita’ per il tempo occorrente ad uniformarsi alle prescrizioni. 23 Sempre per completezza, si ricordi come questa sorta di recepimento sul piano del diritto pubblico con tanto di risvolto sanzionatorio del principio civilistico, in forza del quale l’offerta al pubblico deve essere onorata, caratterizzi, anche all’interno delle attività soggette ad autorizzazione di polizia i soli pubblici esercizi: l’art. 187, infatti, piu’ volte citato, e’ inserito nell’apposito paragrafo che all’interno delle disposizioni regolamentari contenute nel Titolo I si applica esclusivamente a tale tipologia di attivita’ (artt. 152-196, peraltro abrogato). Non esiste analoga disposizione, ad esempio, per le attivita’ di trattenimento e svago autorizzabili ex artt. 68 o 69 T.U.L.P.S., fermo restando, quindi, che per le analoghe considerazioni sopra sviluppate, i luoghi che ospitano tali attivita’ potrebbero essere parificati a “luoghi di privata dimora”, con ancor piu’ ampio margine di discrezionalita’ da parte dell’avente diritto nell’esercizio del proprio jus excludendi che, come la prassi e i costumi di certe zone ben testimoniano, si puo’ spingere fino alla selezione della clientela in relazione alla tipologia dell’abito indossato.24 Nell’ambito delle attivita’ commerciali in genere, fu invece salutata come grande novita’ l’introduzione nel corpo del d.lgs. 114/1998 della disposizione di cui all’art. 3, non a caso inserita tra i principi generali della nuova normativa. La disposizione, rubricata “Obbligo di vendita”, richiama espressamente proprio l’art. 1336 C.C., inerente la cosiddetta “ offerta al pubblico”, come modalita’ di proposta contrattuale revocabile solo nella stessa forma o in forma equipollente all’offerta stessa. La mancanza di riferimento sanzionatorio per l’inottemperanza al precetto de quo, ne ha comportato una lettura in chiave di mera conferma di un principio generale – quello, cioe’, contenuto nel citato art. 1336 C.C. - in teoria azionabile giudizialmente, di fatto gia’ applicabile per l’astratta rispondenza dell’offerta di merci o servizi allo schema contrattuale dell’offerta al pubblico. Di particolare interesse per l’attività della Polizia Locale è la tematica dell’ispezione, amministrativa o meno, su veicolo, in relazione alla quale si registrano le maggiori oscillazioni giurisprudenziali circa l’esatto inquadramento dello stesso. La disamina delle massime rinvenute dimostra come spesso il medesimo concetto finisca per subire letture divergenti in ragione della diversa angolazione/finalità dalla quale lo si approccia: se infatti fino ad epoca recente l’abitacolo del veicolo veniva considerato in maniera pressoche’ unanime “luogo di privata dimora”, nel tempo, per esigenze processualpenalistiche piu’ che di diritto sostanziale (si pensi alla disciplina, mutevole in ragione del luogo di effettuazione, delle intercettazioni ambientali), si e’ addivenuti alla posizione diametralmente opposta. Si legge, infatti, in Cassazione, sez. VI, sentenza n. 4125 del 2007 come “…l’abitacolo di un’autovettura, in quanto spazio destinato naturalmente al trasporto delle persone o al trasferimento di oggetti da un luogo a un altro e in quanto sfornito dei conforti minimi necessari per potervi soggiornare per un apprezzabile lasso di tempo, non puo’ essere considerato luogo di privata dimora, secondo la definizione dell’art. 614 C.P., giacchè nell’autovettura non si compiono, di norma, atti caratteristici della vita domestica”. Il criterio è quello della oggettività del luogo, piuttosto che dell’attività che in esso eventualmente si svolge. 

23 L’applicabilita’ della misura cautelare di cui nel testo e’ ampiamente discussa in dottrina per la difficolta’ di stabilire l’esatta accezione dell’espressione “violazione delle prescrizioni”, non essendo chiaro se la stessa vada intesa in senso ampio di violazione di qualsivoglia disposizione ordinamentale, ovvero in maniera piu’ ristretta, come violazione delle prescrizioni espressamente inserite nel titolo di legittimazione ex art. 9 T.U.L.P.S. Chi scrive ha avuto modo di precisare in piu’ occasioni la propria adesione a tale ultima chiave di lettura, ritenuta maggiormente conforme anche al disposto del successivo art. 17-quater, inerente la vera e propria sanzione accessoria della sospensione dell’attivita’, ove si citano disgiuntamente “le prescrizioni imposte dalla legge” e quelle “impartite dall’Autorita’ nell’esercizio di attivita’ soggette ad autorizzazione”. Ad onor del vero, tuttavia, e’ chiaro che secondo tale ricostruzione ermeneutica le violazioni riconducibili all’art. 221-bis, non consistendo mai in carenza di titolo di legittimazione, ma in violazione, appunto, di singole norme disciplinanti specifiche attivita’, non darebbero neppure mai luogo al procedimento ex art. 17-ter e il relativo richiamo normativo risulterebbe del tutto pleonastico.24 Si pensi, per fare un esempio tratto da realta’ operativa nota alla scrivente, all’usanza , tipica dei locali notturni della Versilia, di ammettere la clientela appunto solo se in giacca e cravatta o comunque con abbigliamento ritenuto consono.

Per tornare alla disciplina contenuta nell’art. 13 della L. 689/1981, abbiamo detto come la qualifica di P.G. degli agenti operanti, venga presa in considerazione in maniera esplicita, laddove si parla del potere di perquisire determinati siti, oltre che di ispezionarli. La norma, prevede tale eventualità quale extrema ratio (“…quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova…”), ma pur sempre “in luoghi diversi dalla privata dimora”. Come si vede, la differenza sta nella tipologia dell’atto di accertamento – ispezione, nel primo caso, perquisizione, nel secondo, ovvero quando ad agire e’ soggetto con qualifica di P.G. – non nell’oggetto dell’atto di accertamento medesimo, che va incontro ai medesimi limiti nell’uno come nell’altro caso. Vedremo meglio nel paragrafo dedicato agli omonimi atti di polizia giudiziaria in cosa consista la differenza tra ispezioni e perquisizioni. Per il momento, basti qui ricordare la minor incisivita’delle prime rispetto alle seconde, come da etimologia delle corrispondenti denominazioni: una cosa, infatti, e’ guardare (inspicere), altra e’ cercare guardando (prospicere). La previsione normativa di un potere di perquisizione amministrativa alla sola polizia giudiziaria, si giustifica quale indicazione di diritto positivo finalizzata a riconoscere potere di accertamento a tutti i soggetti con relativa qualifica nell’ambito dei meri illeciti amministrativi, piuttosto che quale ampliamento dei relativi poteri di accertamento stessi. Recita infatti la Relazione Ministeriale al primo disegno di legge, poi sfociato nella 689/1981, illuminante sul punto: “L’art. 7 (ora l’art. 13, n.d.r.) intende colmare la lacuna ( ovvero la lacunosita’ della disciplina previgente in ordine all’accertamento degli illeciti amministrativi, anche conseguenti a depenalizzazione), disciplinando in modo organico i poteri e gli atti di accertamento degli organi ai quali la vigente normativa attribuisce il controllo sull’osservanza delle disposizioni per la cui violazione e’ prevista la sanzione amministrativa pecuniaria. Si tratta di organi che, avendo gia’ attualmente il compito di accertare i reati del settore alla cui vigilanza sono destinati, hanno la qualifica di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria… Poiche’, pero’, nessuno dei poteri di polizia giudiziaria puo’ di per se’ estendersi all’accertamento degli illeciti amministrativi, occorre precisare - per rendere concretamente possibile l’opera di accertamento – quali di questi poteri spettano in relazione ai detti illeciti, naturalmente sempre nell’ambito dei settori dei singoli organi”.25 Il legislatore, insomma, si e’ preoccupato di tutti quei casi in cui la norma di settore attributiva della relativa competenza non ha espressamente previsto anche i poteri dei soggetti interessati in ambito amministrativo, oltre che penale, ed ha introdotto un principio generale in tal senso che estende a tutti quel potere di accertamento, paradossalmente altrimenti menomato proprio per i cosiddetti organi di polizia a competenza generale. La facolta’ di effettuare perquisizioni incontra comunque il limite della “ privata dimora”, oltre agli altri espressamente individuati dalla norma, in particolare la necessità della preventiva autorizzazione del giudice. Come si vede, il legislatore del 1981 ha avuto piu’ a cuore la preoccupazione di estendere troppo i poteri di accertamento, andando oltre i casi consentiti dalla tutela costituzionale della inviolabilita’ del domicilio, che quella di garantire la effettività dei controlli di polizia amministrativa.26 Da notare come il giudice da interpellare sia, come gia’ detto, il tribunale, non la Procura della Repubblica, con la quale si è viceversa abituati a confrontarsi nell’ambito delle attività di accertamento. Si potrebbe dunque trattare di un soggetto addirittura diverso da quello preposto a decidere l’eventuale contenzioso conseguente all’instaurazione del procedimento sanzionatorio amministrativo, individuato nel medesimo tribunale o nel giudice di pace, secondo i criteri di ripartizione delle competenze di cui all’art. 22-bis della medesima L.689/1981, ovvero preposto a decidere della medesima sanzione amministrativa, ove sussista

25 La relazione lascia intendere una sorta di legame privilegiato tra specifiche competenze di P.G. e conseguenti illeciti amministrativi da accertare, come espressamente dimostrato da un altro passaggio della stessa, ove si legge “…nei limiti del servizio a cui sono destinati e secondo le attribuzioni ad essi conferite dalle leggi e dai regolamenti”, passaggio mutuato testualmente dall’allora vigente art. 221 C.P.P., oggi recepito nell’art. 57 del medesimo codice di rito penale.26Anche la preoccupazione di salvaguardare l’inviolabilita’ del domicilio, emerge a tutto tondo dalla disamina dei lavori parlamentari dato che ad un certo punto scompare in toto il potere di perquisizione, successivamente reinserito ad opera della Commissione Giustizia della Camera, nell’ultimissima fase della elaborazione del provvedimento.

connessione con ipotesi di reato deferita alla sua cognizione. ( art. 24 L.689/1981). E’ chiaro, dunque, che neppure interpellando il magistrato sara’ possibile introdursi in luogo di privata dimora, per accertare un illecito amministrativo anche in presenza per mutuare terminologia processualpenalistica di indizi gravi, precisi e concordanti che al suo interno si svolgano attivita’ abusive. Nella comparazione di interessi, tra la prevenzione e repressione di attivita’ costituenti, appunto, illecito amministrativo, e la tutela dei luoghi privati ove le stesse vengono effettuate, il legislatore non ha potuto che privilegiare quest’ultima, nel pieno rispetto delle norme costituzionali vigenti in materia. Per sola completezza di trattazione, si ricordi infine il richiamo contenuto nel comma 4 dell’art. 13 della L.689/1981 agli artt. 333 e 334, c. 1 e 2, dell’allora vigente C.P.P., quali disposizioni da avere a mente per individuare le concrete modalità di effettuazione delle perquisizioni: il richiamo va attualizzato alle corrispondenti norme del codice di rito penale vigente del 1988, id est agli artt. 250 e 251, inerenti le perquisizioni locali e domiciliari disposte dal P.M.27

Il rinvio agli “specifici poteri” previsti dalle leggi vigenti.

Un discorso a parte merita il potere ispettivo riconosciuto da singole leggi speciali, che di fatto legittimano il relativo atto di accertamento anche in luoghi riconducibili al concetto di “privata dimora”. In pratica, l’accennato bilanciamento di interessi sperequato a vantaggio della inviolabilita’ del domicilio, finisce per subire un ribaltamento in singole ipotesi oggetto di disciplina di legge speciale. Semplificando al massimo per evidenti ragioni di sintesi, e’ come se il pubblico ufficiale che effettua l’ispezione e conseguentemente si introduce in uno dei luoghi di cui sopra, pur avendo tenuto una condotta astrattamente riconducibile se non altro all’art. 614 C.P., non viene punito per l’operativita’ della scriminante dell’adempimento del dovere impostogli da una norma.28 L’ultimo comma dell’art. 13 della L.689/1981, con clausola di rinvio, fa infatti salvo “l’esercizio degli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti”. L’organo accertatore, quindi, deve di volta in volta individuare la norma speciale che gli consente – rectius, gli impone, nell’ambito dei propri compiti di vigilanza - di accedere al luogo che intende ispezionare anche solo per accertare un illecito amministrativo.

a) Normativa in materia ambientale. Il d.lgs. 152/06, recante “Norme in materia ambientale”, meglio noto come “Testo Unico sull’Ambiente” (T.U.A.), recependo in toto quanto gia’ previsto nel d.lgs. 22/97, all’art. 197, rubricato “ Competenze delle Province”, prevede espressamente che gli addetti al controllo possano effettuare ispezioni , oltre a verifiche e prelievi di campioni, all’interno di stabilimenti, impianti o imprese che producono o che svolgono attivita’ di gestione di rifiuti. E’’ ovvio che il problema dell’accesso a tali luoghi si pone solo sposando l’interpretazione, come già detto tutt’altro che univoca, che si tratti di luoghi qualificabili come “privata dimora”, in quanto diversamente opinando il limite di cui all’art. 13 della L. 689/81 neppure si pone.

La criticita’ della norma, gia’ segnalata a proposito della formulazione letterale del previgente art. 20 del cosiddetto decreto Ronchi, sta nell’aver inserito il riconoscimento del potere ispettivo all’interno di una disposizione inerente, come si evince dalla stessa rubrica, le competenze delle Province. Il riferimento alla Provincia come Ente cui si tende a riconoscere in via per cosi’ dire fisiologica il compito dei controlli in materia ambientale, si inserisce in un filone normativo che parte dalla L.142/1990 di riforma delle autonomie locali, trova consacrazione in altre disposizioni di settore –si pensi, a mero titolo di esempio, all’art. 5 della L.447/1995, legge-quadro sull’inquinamento acustico– e culmina con la previsione, contenuta nel medesimo T.U.A., di una competenza pressoche’ generalizza sulla materia dei rifiuti comprensiva dell’incameramento degli

27 L’art. 352, c.3, C.p.p., nel disciplinare le perquisizioni di iniziativa della P.G. prevede la possibilita’ di eseguirle fuori dei limiti temporali dell’art. 251 “quando il ritardo potrebbe pregiudicarne l’esito” . 28 Art. 51 C.P., in forza del quale non e’ punibile chi commette il reato nel “l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica”.

introiti delle sanzioni amministrative.29 Ora, mentre nessuno nega la possibilità di controlli in materia ambientale anche agli altri organi di polizia, municipale compresa, in forza dei principi generali dell’ordinamento, in particolare, per quanto attiene all’accertamento degli illeciti amministrativi, proprio l’art. 13 della L.689/1981, non altrettanto agevole e’ il riconoscimento di un generalizzato potere ispettivo. 30 Di fronte, infatti, all’apparente monopolio della Provincia in materia di controllo ambientale, tornano di attualita’ le affermazioni dei giudici di legittimita’ che, facendo riferimento all’accertamento dei reati, da tempo hanno affermato che “…l’art.55 C.P.P. consente di ritenere che i reati in materia ambientale sono di competenza di tutta la polizia giudiziaria, senza distinzione di competenze selettive o esclusive per settori, anche se in punto di fatto esistono delle specializzazioni…”31

Solo ignorando la formulazione letterale della norma e la sua collocazione sistematica nella parte del T.U.A. concernente proprio la ripartizione delle competenze fra i vari enti territoriali interessati, piuttosto che in una disposizione a carattere generale, si puo’ estendere la portata, apparentemente circoscritta, di quell’espressione “addetti al controllo” che costituisce l’incipit della disciplina degli atti di accertamento possibili a tutti gli organi di polizia. E certamente, ora come allora non depone a vantaggio di tale interpretazione estensiva il successivo comma 4 dell’art. 197 medesimo, che cita nominativamente il personale appartenente al Comando Carabinieri Tutela Ambientale (C.C.T.A.), gia’ Nucleo Operativo Ecologico (N.O.E.), quale autorizzato ad effettuare le ispezioni e le verifiche necessarie all’espletamento delle funzioni di cui alla L.349/1986, istitutiva del Ministero dell’Ambiente. Pertanto, a fronte di un atteggiamento ostativo e di diniego all’accesso da parte del titolare dell’opificio che si intende ispezionare, e’ consigliabile in via cautelare, piuttosto che di inquadramento dogmatico, un approccio “autolimitato”, che, partendo dall’accettazione che si tratti di luogo di privata dimora, ritenga impossibile l’accesso per accertare un mero illecito amministrativo. 

Per correttezza ricostruttiva, occorre ricordare come invece autorevolissima dottrina di settore, dando per assodato l’assunto inverso, ritenga sempre possibile un ingresso coattivo e forzato da parte dell’organo di vigilanza. In caso di controllo preventivo ed amministrativo, cio’ avverrebbe in forza del diritto di suddetto organo di vigilanza di richiedere ed ottenere il libero e immediato accesso all’interno delle aree citate, previo il solo atto di qualificazione professionale, mediante esibizione dei documenti di rito. In caso di diniego, l’accesso dovrebbe avvenire coattivamente passando dalla intimazione –diffida, secondo l’autore in questione- alla ipotizzazione di fattispecie di reato specifiche connesse alla resistenza attiva o passiva.32 L’affermazione, cosi’ come e’ formulata, pare un tantino apodittica e comunque rischia purtroppo di esporre gli operatori a difficolta’ pratiche di non agevole aggiramento.

29 L’art. 262 del d.lgs. 152/06, infatti, individua nella Provincia l’Ente competente in materia di accertamento degli illeciti amministrativi, con l’unica eccezione della violazione dell’art. 261, c.3, inerente la materia degli imballaggi smaltiti in discarica, per la quale e’ fatta salva la competenza del Comune. Il successivo art. 263, precisa poi che anche i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie sono devoluti alla Provincia, con l’unica eccezione, decisamente minimale, sopra gia’ ricordata. 30 Per una disamina delle criticita’ che scaturiscono dalla formulazione letterale dell’allora vigente art. 20 del decreto Ronchi – criticita’, come riportato nel testo, ancora attuale, per la riproposizione testuale del dettato normativo dell’epoca nel T.U.A.- ci sia consentito rinviare a A.Manzione – F.Ferroni, Manuale tecnico-operativo sulla nuova disciplina dei rifiuti, Sal Editore, Viareggio (LU), 1998, in particolare p. 109 ss. 31 Trattasi della motivazione della celeberrima sentenza Dalmazzo, pietra miliare nella disciplina ambientale, n. 1872 del 27 settembre 1991 della sezione III, avente ad oggetto la legittimita’ di prelievi di campione di refluo da parte di soggetti diversi dagli allora LIP, legittimati apparentemente in via esclusiva dalla normativa dell’epoca. Alla pronuncia, che aveva un precedente contrario in Cass., sez. III, 24 giugno 1988, n. 1394, ha fatto seguito un orientamento consolidato in giurisprudenza. 32 Cfr. in tal senso M.Santoloci, Rifiuti acqua e altri inquinamenti, IV edizione, Laurus Robuffo ed. Roma, 2005, in particolare p. 86 ss. Per correttezza si ricorda che anche la scrivente non condivide, a livello teorico, la riconduzione dell’opificio nell’ambito dei luoghi di privata dimora. Tuttavia, sotto il profilo operativo e non conoscendo l’opinione delle singole Procure in merito, ritiene tuzioristico optare per l’interpretazione estensiva, piu’ cautelante per l’organo di vigilanza.

Anche in materia di controlli sul rispetto della normativa sull’inquinamento idrico esiste analoga norma speciale, peraltro oggetto di recente modifica ad opera del d.lgs. 4/2008: trattasi dell’art. 101, c.4, che regolamenta quella che tecnicamente viene definita “verifica aziendale”, ovviamente comprensiva del potere ispettivo per accertare le condizioni che danno luogo alla formazione degli scarichi. Trattasi di un’attivita’ amministrativa e preventiva, sicuramente preliminare all’accertamento di un eventuale reato, anche se l’organo di polizia si stesse gia’ muovendo in presenza del fumus dello stesso. La disposizione parla genericamente di “autorita’ competente per il controllo”, in un ambito di disciplina dei criteri generali degli scarichi e pertanto puo’ essere legittimamente intesa in senso ampio ed omnicomprensivo di tutti i soggetti con poteri di vigilanza, amministrativa o penale.

b) Normativa edilizia. La materia dell’edilizia è oggi disciplinata, almeno a livello nazionale, dal d.P.R.. 380/2001 che, come è noto, a differenza della sopracitata normativa ambientale, non contempla disposizioni “scriminanti” che legittimino l’accesso all’area di cantiere o, ancor peggio, all’abitazione all’interno della quale si presuppone realizzato o in corso di realizzazione l’illecito. Ovviamente anche in questo caso presupposto di partenza del ragionamento e’ che il cantiere medesimo possa essere ricondotto al concetto di luogo di privata dimora. Resta altresì inteso, come vedremo nel prosieguo, che il potere di accesso sussiste pienamente ove si tratti di accertare ipotesi di reato flagrante, non ipotesi di realizzazione di interventi in assenza o difformità da D.I.A., costituenti illecito amministrativo. Innanzitutto occorre dunque esaminare la nozione di “cantiere” desumibile dalla legge, che non autorizza distinzioni in relazione a dimensioni e collocazione dello stesso.33 Se si parifica il cantiere, in quanto luogo dove si svolge una certa attività lavorativa ad un luogo di privata dimora, non è di aiuto per superare l’eventuale diniego all’accesso la disposizione di carattere generale di cui all’art. 27 del d.P.R. 380/2001 laddove si attribuisce al Comune, in persona dei suoi dirigenti o responsabili del servizio la funzione di vigilanza, in quanto non specifica quali siano gli atti di accertamento utilizzabili allo scopo. Malgrado le indicazioni dottrinarie di senso diametralmente opposto, sicuramente condivisibili, anche in questo ambito, in assenza di giurisprudenza univoca , si ritiene di dover optare per la tesi più estensiva del concetto di privata dimora, conseguentemente più restrittiva in ordine all’estensione dei poteri di accesso dell’organo di vigilanza.34 A maggior ragione tale linea ermeneutica deve prevalere ove il cantiere abbia ad oggetto esclusivamente opere all’interno di edifici già esistenti, anche se temporaneamente non abitati proprio in ragione degli interventi in corso. Da notare, anche se ragioni di sintesi e di sedes materiae non consentono di approfondire oltre l’interessantissima tematica, come esista un dibattito sull’ applicabilità o meno della L. 689/1981 alla materia edilizia, essendo controversa la natura sanzionatoria ad esempio di quei provvedimenti meramente ripristinatori quali la demolizione.35

33 L’art.27, c. 4, T.U. sull’edilizia, nel disciplinare i compiti di controllo della Polizia Giudiziaria fa riferimento ai luoghi in cui vengono realizzate le opere. L’art. 2 del d.Lgs. 494/96, cosiddetta “direttiva cantieri”, li definisce come “qualunque luogo in cui si effettuano lavori edili o di genio civile il cui elenco è riportato all’allegato I”. E l’allegato prevede lavori di costruzione, manutenzione, riparazione, demolizione, conservazione e risanamento di opere fisse, permanenti o temporanee, in muratura, in cemento armato, in metallo, in legno o in altri materiali, comprese le linee elettriche e gli impianti elettrici, le opere stradali, ferroviarie, idrauliche, idroelettriche, di bonifica, sistemazione forestale e di sterro, gli scavi, il montaggio e lo smontaggio di elementi prefabbricati, la ristrutturazione o equipaggiamento, la trasformazione, il rinnovamento, la riparazione, lo smantellamento, il consolidamento, il ripristino e il montaggio e smontaggio di impianti.34 Cfr. sull’argomento S. Maini, Manuale operativo di polizia edilizia, Maggioli ed., Santarcangelo di Romagna (RN), 2003, in particolare p. 323 ss., il quale tuttavia, pur lasciando intendere la non condivisione di una nozione di privata dimora che ricomprenda anche il cantiere edilizio, finisce per suggerire, esattamente come la scrivente, di evitare forzature rivolgendosi sempre alla Procura della Repubblica di riferimento a fronte di un diniego all’accesso.35 Si pensi alla sanzione per l’esecuzione di opere in assenza o difformità da D.I.A. di cui all’art. 37 del T.U., che consiste in una somma pari al doppio dell’aumento di valore venale dell’immobile, comunque non inferiore ad €

Si tratta, ad esempio, della violazione dell’art. 24, c.2, in materia di abitabilità o della violazione dell’art 37 , c. 5 in materia di D.I.A. presentata ad opera già in corso di realizzazione. Si ricordi che secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato ( sez.V, n.3184/2000) viene affermata, piuttosto genericamente, l’applicabilità anche agli illeciti in materia urbanistico-edilizia puniti con sanzione amministrativa pecuniaria, dei principi di cui alla L.689/81 (nello specifico, dell’art. 28, inerente il termine quinquennale di prescrizione). 36 Pur in assenza di indicazioni sulle singole norme che troverebbero applicazione, nessuno dubita che vi rientri l’art.13, concernente le modalità di accertamento. 

c) Polizia amministrativa.

Un altro settore di sicuro interesse per la polizia locale, è quello dei controlli genericamente ascrivibili al concetto di polizia amministrativa, id est ai controlli sulle attività assoggettate a quel particolare tipo di autorizzazioni amministrative un tempo denominate “ di polizia”, caratterizzate dall’applicabilità delle disposizioni generali del T.U.L.P.S., in primo luogo quelle di cui agli artt. 8 e seguenti. Suddetto Testo Unico, infatti, prevede espressamente all’art. 16 che “ Gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza hanno facoltà di accedere in qualunque ora nei locali destinati all’esercizio di attività soggette ad autorizzazioni di polizia”. L’art. 20 del d.P.R. 616/1977 a sua volta , nel dare attuazione al primo decentramento amministrativo trasferendo determinate funzioni dallo Stato agli Enti locali, stabilisce che “rimane ferma” –come a dire che si conferma il potere ispettivo previsto dal T.U.L.P.S. anche dopo l’attribuzione delle relative competenze a soggetto territorialmente diverso- la facoltà di ufficiali ed agenti di P.S. di accedere nei locali destinati all’esercizio di attività, come già detto soggette ad autorizzazione di polizia. Trattasi di chiara norma speciale nell’accezione che riteniamo di aver ben chiarito sopra ma che proprio per il suo ancorarsi ad un concetto ampiamente discusso quale quello di “autorizzazione di polizia” è divenuta di sempre maggiore attualità dopo la modifica del titolo V della Costituzione e l’attribuzione in via esclusiva e residuale della competenza legislativa alle Regioni in materia commerciale, ricomprendendo nella stessa se non altro la disciplina dei pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande.37 Ma il discorso può tranquillamente essere ampliato a tutti i pubblici esercizi, già autorizzati ai sensi del solo art. 86 T.U.L.P.S. oggi oggetto di specifiche disposizioni di legge regionale. Il Testo Unico delle Leggi di P.S., approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, ed il relativo regolamento, approvato con R.D. 6 maggio 1940, n. 635, non contengono peraltro, come è noto, una definizione degli esercizi pubblici. Per tradizione, essa viene estrapolata dall’elencazione esemplificativa contenuta, rispettivamente, nel già citato art. 86 e nel corrispondente art. 174 del relativo regolamento di esecuzione. Tra essi ritroviamo,oltre ai più volte menzionati pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, già oggetto dell’autonoma legge di settore 287/1991, quelli nei quali si effettuano prestazioni e servizi di conforto, meglio conosciuti come strutture ricettive di varia denominazione (alberghi, pensioni, locande, ecc.)38, ovvero stabilimenti balneari, ecc. Per tutti gli esercizi pubblici e’ prevista una licenza o autorizzazione il cui rilascio, a seguito del trasferimento delle relative competenze attuato con l’art.19 del già citato d.P.R. 24 luglio 1977, n.

516,00. In tale ipotesi, in teoria – non risulta in realtà che venga seguita tale prassi operativa, doverosa in punto di diritto- dovrebbe essere redatto un verbale di accertamento secondo le regole generali, per taluni ricorribile comunque al TAR secondo i principi di cui da ultimo alla L.205/2000, per altri di competenza del tribunale ordinario in forza dell’art. 22–bis della L. 689/1981. 36 La natura permanente di tale tipo di illeciti, che cessa solo con il ripristino della legalità della situazione, di fatto consente di intervenire ben oltre il termine di prescrizione riportato nel testo.37 Volendo fare un esempio tratto dalla realtà operativa ove lavoro, l’art. 1 della L.R. 28/2005 Toscana ( cosiddetto “Codice del Commercio”), nell’elencare ciò che costituisce “attività commerciale” alla lett. d) riporta la somministrazione di alimenti e bevande , in conformità del resto con quanto effettuato da tutte le altre Regioni che hanno normato la materia. 38 Per la definizione dei pubblici esercizi nel senso di cui al testo, cfr. R.O. Di Stilo, La disciplina dei pubblici esercizi, Maggioli ed., Santarcangelo di Romagna (RN), 2006, p. 23 ss. 

616, spetta al Comune, oggi nella persona del Dirigente del settore interessato per competenza 39. Dopo la modifica del Titolo V della Costituzione e il noto ribaltamento di competenze fra Stato ed Enti locali cui abbiamo gia’ accennato, la prospettiva è radicalmente cambiata ed occorre fare i conti con le varie leggi regionali che, prima o dopo la riforma, hanno disciplinato la materia del commercio, della polizia amministrativa locale e delle attività produttive in genere. La questione e’ stata ampiamente dibattuta per quella particolare species di pubblici esercizi rappresentata dai pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, ma le considerazioni che sono state fatte a riguardo hanno sicuramente valenza generale. Occorre chiedersi, cioè, se ancora oggi abbia senso parlare di una categoria di “autorizzazioni di polizia”, connotate dal mantenimento di una finalità di tutela dell’ordine pubblico, oltre che di regolamentazione dell’attività economica in se’, categoria alla quale continuare ad applicare le disposizioni previste per la stessa nel Capo III del Titolo I, del T.U.L.P.S. (artt. 8 e seguenti). Un’ eventuale risposta affermativa, alla quale per varie strade sembra pervenire la dottrina maggioritaria quanto meno relativamente, al settore della somministrazione di alimenti e bevande, comporta una coerente ricostruzione dell’intero quadro normativo di riferimento, ivi compreso il richiamo alle disposizioni sanzionatorie di cui agli artt.17­bis e seguenti. Ciò a prescindere dal rinvio per così dire quoad poenam contenuto in molte leggi regionali in materia di pubblici esercizi di somministrazione di alimenti e bevande a suddetto sistema sanzionatorio, richiamo che spesso, per il suo sovrapporsi a specifiche previsioni delle medesime leggi regionali, finisce per generare piu’ problemi di inquadramento dogmatico di quanti non ne risolva.40 Il tentativo di trovare la chiave di volta della questione nella formulazione letterale dell’art. 152 del regolamento di esecuzione del T.U.L.P.S. appare ad avviso di chi scrive una palese forzatura, trattandosi di disposizione introdotta nella norma in epoca antecedente, ancorché di poco, alla riforma costituzionale, e che come tale non ne tiene necessariamente conto.41 Analoga considerazione vale per il disposto dell’art. 9 della L.135/2001 che nella materia delle strutture ricettive prevede espressamente che “ l’autorizzazione per l’esercizio dell’attività’ ricettiva e’ rilasciata anche ai fini dell’art.86 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza”.. La complessità della tematica e la possibilità di addivenire al riguardo, a seconda dell’angolazione seguita, a soluzioni di senso diametralmente opposto trova riscontro anche in una recente indicazione ministeriale in materia di modalità di inoltro della comunicazione delle persone alloggiate da parte dei gestori di strutture ricettive: con circolare del Ministero dell’Interno del 29 luglio 2005, n.557, si legge infatti che gli stessi controlli di pubblica sicurezza debbono essere ispirati a modalità modulate sulla tipologia dell’esercizio ricettivo, tenendo conto del regime autorizzatorio in vigore nelle rispettive regioni.42 Sta di fatto che la scelta dogmatica che si va ad effettuare, con il complesso intersecarsi di questioni di diritto conseguenti,43 impatta anche sulla tematica qui di specifico interesse, come dimostrato proprio dalla circolare da ultimo citata inerente la specifica materia dei controlli. Questo giustifica l’ampia digressione che si è inteso proporre in proposito. 

39 Per la verita’, il titolo esplicito e’ stato sostituito in molte leggi regionali da una mera D.I.A, le cui scansioni temporali risultano talvolta diversificate nel senso della più accentuata semplificazione rispetto a quanto desumibile dall’attuale formulazione dell’art.19 della L. 241/1990. Anche prima della legislazione regionale, il Ministero aveva espressamente ammesso l’utilizzo delle cosiddette autorizzazioni implicite in materia di polizia amministrativa. 40 A riguardo, ci sia consentito rinviare a A.Manzione, Attività di controllo, sanzioni e ordinanze di chiusura, in La disciplina dei pubblici esercizi nella Regione Marche, Atti della giornata di studio tenutasi a Grottammare l’8 giugno 2006, Maggioli ed ., Santarcangelo di Romagna (RN),2007, p.115 ss. 41 L’art.152 reg.es.T.U.L.P.S. e’ stato, come e’ noto, modificato nel senso di cui nel testo con d.P.R. 28 maggio 2001,

n.135 e prevede che “ …la licenza e ogni altro titolo autorizzatorio, comunque denominato , previsti da queste ultime disposizioni , svolge anche…. la funzione di autorizzazione ai fini del predetto art.86…”.

42 La circolare è pubblicata sulla G. U. del 30 agosto 2005, n.201 e si occupa nello specifico dei bed and breakfast. 43 Si pensi al dibattito, giunto ormai a conclusioni più o meno consolidate, sull’applicabilità o meno degli istituti della

D.I.A. e del silenzio-assenso all’intero settore delle autorizzazioni di polizia dopo la novella del 2005 che, modificando il dettato degli artt. 19 e 20 della L. 241/90 sembrava escluderle in toto dall’ambito della semplificazione e alla riconosciuta possibilità alle Regioni di incidere anche sul tempo del procedimento.

Le norme “scriminanti” poc’anzi ricordate contenute rispettivamente nell’art. 16 T.U.L.P.S. e nell’art. 20 del d.P.R. 616/1977, infatti, hanno quale presupposto di operativà il controllo di attività soggette ad autorizzazioni di polizia: se cade tale postulato di partenza, perché l’attività di riferimento non può più essere annoverata in tale ambito, ne cade anche il presupposto di operatività e si amplificano le difficoltà di controllo, stante la parificazione che la giurisprudenza come gia’ detto ha talvolta effettuato, anche di tali locali a luoghi di privata dimora. Le poche attività unanimemente rimaste in ambito T.U.L.P.S., quali ad esempio quelle di trattenimento e svago di cui agli artt. 68 e 69, viceversa , restano assoggettate inconfutabilmente al potere ispettivo, salvo si tratti di quei non meglio precisati trattenimenti minori che con varia denominazione e descrizione le leggi regionali hanno inteso stralciare dall’ambito del giuridicamente rilevante per ricondurle al medesimo titolo di legittimazione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande cui accedono , quasi si trattasse di un loro mero complemento.44

d) Circoli privati. Anche la tematica dei circoli privati meriterebbe un’autonoma trattazione, in particolare in ragione delle problematicità operative che da sempre presenta per gli operatori di polizia municipale proprio in ragione del fatto che i locali destinati ad ospitarli vengono sicuramente assimilati a luoghi di privata dimora e pertanto non sono di per se’ ispezionabili per il già citato limite costituzionale di cui all’art.14. Il circolo privato in quanto tale, infatti non necessita di alcuna autorizzazione proprio perché espressione del diritto di libera associazione garantito dall’art.18 della Costituzione e il luogo che lo ospita proprio per questo è a sua volta tutelato dal sopra citato principio di inviolabilità del domicilio. In questa materia, quindi, la norma speciale è stata creata ad esclusivo vantaggio della polizia municipale: trattasi dell’ultimo alinea del comma 6 dell’art. 2 e del c.8 dell’art. 3 del d.P.R. 235/2001, recante “Regolamento di semplificazione del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione alla somministrazione di alimenti e bevande nei circoli privati”, che riconosce proprio ai Comuni il potere di effettuare controlli ed ispezioni. Al di fuori del controllo dei circoli ove si effettui attività di somministrazione, vuoi che sia stata autorizzata con la procedura semplificata di cui all’art.2, applicabile ai circoli aderenti ad enti o organizzazioni nazionali con finalità assistenziale, vuoi che si tratti di circoli non aderenti a tali enti o organizzazioni, assoggettati alla procedura del successivo art. 3, il problema dell’accesso è spesso limite insormontabile al controllo. Anche la recente disciplina dei giochi leciti, che impone il titolo di legittimazione anche laddove gli stessi vengano collocati nei circoli privati, finisce per ricondurre solo a quelli che effettuano somministrazione di alimenti e bevande le possibilità di controllo.45 Infatti, la modifica dell’art.110, c. 3, ad opera della L.266/2005, ha limitato la possibilità di installazione degli apparecchi automatici per il gioco lecito di cui ai commi 6 e 7 della medesima norma ai pubblici esercizi o ai circoli privati ed associazioni autorizzati ai sensi dell’art. 86, e dunque legittimati alla somministrazione di alimenti e bevande. Per quanto attiene invece alle altre possibili attività di un circolo, tipico esempio delle quali sono sicuramente i trattenimenti danzanti o musicali in genere, occorre pensare ai criteri di riconoscimento della natura pubblica degli stessi, onde valutare la corrispondente necessarietà dei relativi titoli di legittimazione di polizia amministrativa. Al riguardo, non possono che essere ricordate le note figure indiziarie via via riportate nelle circolari ministeriali intervenute sull’argomento, in particolare quelle del Ministero dell’Interno, circolare del 19 maggio 1984,

44 A titolo esemplificativo si ricordi ancora la L.R. Toscana 28/2005 che all’art.48, c.1, lett.a) prevede che non costituisca attività di spettacolo, trattenimento e svago “…la semplice musica di accompagnamento e compagnia”. 45 L’installazione dei giochi leciti nei circoli privati fino al 1 gennaio 2001, data di entrata in vigore della L.388/2000 era libera, salvo avvenisse in locali destinati alla somministrazione di alimenti e bevande. Da tale data, invece, tutti giochi leciti installati nei circoli devono essere in possesso di autorizzazione ex art. 86 T.U.L.P.S., previo nulla osta ex art. 38 della citata L. 388.

ancora attuale, ove si legge : “Ai fini dell’attribuzione del carattere privato o pubblico del locale, sembra opportuno richiamare in limine il principio ricavato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 56 del 9 aprile 1970, secondo cui ad un determinato locale va attribuito il carattere di locale pubblico quando si accerti , con un giudizio sintetico ed induttivo, che in esso si svolge una attività professionalmente organizzata a scopo di lucro, diretta allo scambio o alla produzione di beni o servizi”. E ancora, quale vera e propria elencazione degli elementi indiziari sopra citati: “… a) pagamento del biglietto d’ingresso effettuato volta per volta anche da non socio rilascio, senza alcuna formalità particolare , di tessere associative a chiunque acquisti il biglietto stesso; b) pubblicità degli spettacoli o dei trattenimenti a mezzo di giornali, manifesti , ecc., destinati all’acquisto o alla visione della generalità dei cittadini; c) complessità del locale dove si svolge l’attività, nel senso che appaia trattarsi di struttura avente caratteristiche tali da essere impiegata in attività di natura palesemente imprenditoriale; d) rilevante numero delle persone che accedono al circolo…”, avendo quale parametro di riferimento la capienza superiore a 100 posti rilevante ai fini del certificato prevenzione incendi ex D.M. 16 febbraio 1982.46 Interessante strumento di controllo è poi rinvenibile nel D.P.C.M. 16 settembre 1999 , n. 504 e nei chiarimenti forniti allo scopo nella circolare del Ministero delle Finanze n. 165 del 7 settembre 2000, ove si prevede che i circoli privati e le associazioni ONLUS :

                     debbono far partecipare solo i soci che abbiano acquisito tale qualità almeno 60 giorni prima;

                     non possono fare più di quattro manifestazioni all’anno;

                     se organizzano eventi fuori della sede sociale devono munirsi di autorizzazione ex art. 68 T.U.L.P.S.;

                     non devono superare il numero di 500 tra soci e invitati ;

                      hanno comunque l’obbligo del titolo di accesso SIAE come disposto dall’art.2 del D.P.R. 544/1999.47

 

L’ attività ispettiva dei e sui veicoli.

Per quanto concerne la norma speciale che in ambito amministrativo consente le ispezioni sui veicoli, si tratta dell’art. 192 C.d.S. che prevede espressamente, nell’ambito della disciplina degli obblighi verso funzionari, ufficiali ed agenti addetti ai servizi di polizia stradale, il potere di “procedere ad ispezioni del veicolo al fine di verificare l’osservanza delle norme relative alle caratteristiche e all’equipaggiamento del veicolo medesimo”. Anche in questo caso, ovviamente, si parte dal presupposto, che pare cadere in base alla più recente giurisprudenza sulla materia, che il veicolo sia assimilabile ad un luogo di privata dimora e quindi sussista un limite generale alle possibilità di intervento ai sensi dell’art. 13 della L. 689/1981.48 Si ricordi come per questa ipotesi, al pari di quanto avviene per l’inottemperanza alle altre disposizioni contemplate nella norma, esiste apposito riscontro sanzionatorio nel comma 6 49

La valenza speciale della norma si caratterizza per la finalita’ dell’ispezione, che non puo’ nascere da esigenze generiche di verifica, ma e’ legata al controllo delle caratteristiche e dell’equipaggiamento del veicolo stesso. 

46Non pochi problemi ha suscitato l’orientamento della giurisprudenza che ha inteso negare rilevanza al solo fatto dell’acquisto della tessera di socio al momento dell’accesso al circolo, con ciò mettendo in discussione uno degli elementi di più immediato riscontro per l’organo di controllo. 47 Per un approfondimento della tematica dei controlli nei circoli privati, si veda C. Malavasi, Circoli privati e pubblici esercizi, Maggioli ed., Santarcangelo di Romagna (RN) , 2005. 48 Si ricordi per tutte da ultimo la sentenza n. 4125 del 2007, già citata. 49 L’art. 192 e’ dunque speciale anche in relazione al sistema sanzionatorio. Per meglio comprendere l’affermazione, si pensi al rifiuto di fornire la patente di guida su invito degli operatori di polizia stradale, il cui precetto e’ pure contenuto nell’articolo in esame: non e’ assolutamente ipotizzabile in tale ipotesi la violazione dell’art. 651 C.P., in quanto una cosa e’ la verifica del possesso del titolo abilitante alla guida, altra l’identificazione personale.

Vedremo come in materia di perquisizioni su veicolo le posizioni dottrinarie siano ancora piu’ divergenti e peculiari.

La mancanza di potere di coazione in ambito amministrativo.

A parte i casi in cui il legislatore assoggetti espressamente a sanzione il non consentire l’attività dell’organo di vigilanza, come quello sopra menzionato di cui all’art. 192 C.d.S., non esiste alcuna indicazione normativa generale circa l’atteggiamento da assumere a fronte di un atteggiamento ostativo da parte del cittadino all’esercizio di suddetto controllo. E le difficoltà operative si accentuano quando, al di fuori del riconoscimento da parte di una norma speciale, quali le molteplici sopra ricordate, del potere di porre in essere uno specifico atto di accertamento, ci si trovi di fronte alla generica necessità di effettuare un’ispezione in un luogo da definire come di privata dimora. Manca infatti la previsione della possibilità di superare con un atteggiamento coercitivo l’inerzia o il rifiuto di collaborazione del cittadino. D’altro canto proprio la Corte Costituzionale, con sentenza n. 10 del 1971, ancora attuale per indicazioni contenutistiche, ha chiarito come i poteri di coercizione esulino dalla funzione amministrativa di vigilanza tanto che se di essi insorga la necessità, devono soccorrere le norme che, nel consentirli in forme appropriate, tutelano anche la libertà personale e il diritto di difesa dei cittadini. In questo senso la previsione da parte di una legge speciale di un determinato potere di intervento, può legittimamente indurre l’agente operante ad ipotizzare a carico di chi lo ostacoli una delle fattispecie di reato poste a tutela della libertà di azione dei pubblici poteri nella fase di esecuzione delle decisioni autonomamente adottate, quale la resistenza a pubblico ufficiale ( art.337 C.P.). Anche in questo caso senza alcuna pretesa di esuastività, va ricordata la speciale causa di non punibilità di cui all’art.4 del d.lgs.lt. 14 settembre 1944, n.288 che rende inapplicabile la disposizione di cui all’art.337 quando il pubblico ufficiale abbia dato causa al fatto “eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”.50 Si ricordi soltanto la ritenuta necessità di rapporto causale, non di mera occasionalità, tra reazione dell’agente e condotta arbitraria del pubblico ufficiale, con conseguente necessaria identificazione tra chi invoca la scriminante e la vittima dell’arbitrio.Non a caso, proprio in relazione ad una perquisizione, ancorché personale, si trova affermata l’insussistenza della scriminante medesima a favore di una donna che si opponga all’effettuazione dell’atto da parte di agente di sesso maschile, essendo ciò possibile ed espressamente previsto per le ipotesi di urgenza.51 In linea generale, dunque, l’art.13 della L.689/1981 non pone alcuna sanzione a carico di chi non aderisca alle richieste dei funzionari preposti all’accertamento di violazioni amministrative. Se ne deve dedurre che il cittadino non ha un obbligo giuridico di cooperazione. Ciò pare confermato ed anche chiarito nella relazione Bonifacio al progetto iniziale della legge, che prevede quale “..

miglior partito consentire le perquisizioni piuttosto che prevedere un obbligo di collaborazione, penalmente sanzionato, della persona soggetta all’attività di accertamento e ciò anche in considerazione della sua dubbia costituzionalità”.

Il potere ispettivo per eseguire atti amministrativi.

Un discorso a parte merita di essere affrontato in relazione alla esecuzione delle ordinanze comunali, pur trattandosi di attività non necessariamente è correlata all’accertamento di un illecito: anche in tali ipotesi, infatti, spesso e volentieri è necessario accedere su area privata, magari proprio in luogo sicuramente “di privata dimora” , addirittura mediante un atto di violenza sulle cose come l’effrazione di una serratura o l’abbattimento di una porta di ingresso. 

50 In realtà la natura giuridica dell’istituto è ampiamente discussa, dato che c’è chi parla di una causa di giustificazione e chi di una causa di non punibilità, con quanto ne consegue sulla disciplina dell’errore in ordine alla sua sussistenza. 51 Cass., sez. I, 25 novembre 1986, in Cass.pen.,1988, 1405.

In queste ipotesi si entra in un domicilio privato in conseguenza di un illecito, piu’ che per la sua verifica, che ne costituisce il presupposto, per perfezionare il relativo procedimento in conseguenza della mancata ottemperanza spontanea al provvedimento medesimo. Le ordinanze, al pari degli altri provvedimenti amministrativi, sono atti caratterizzati dal requisito, molto discusso soprattutto dopo le recenti modifiche alla L. 241/90, della “esecutorietà”: esse, cioè, come viene sinteticamente chiarito dalla dottrina di settore, possono essere portate ad esecuzione direttamente dalla Pubblica Amministrazione che le ha adottate, senza necessità dell’intervento di altre Autorità, quale in particolare la magistratura, viceversa spesso chiamata in causa del tutto inopinatamente. In particolare, quelle che rivolgono ai destinatari un’intimazione di fare o di dare contengono anche – rectius, dovrebbero contenere – una previa diffida, intesa come l’avviso che in caso di inottemperanza si provvederà ad esecuzione d’ufficio con addebito delle spese. Quanto sopra e’ stato espressamente recepito, come noto, nel testo della L.241 con la novella del 2005, con la quale è stato inserito un art. 21-ter che reca nella rubrica proprio quella denominazione in passato frutto di sola elaborazione dottrinaria (esecutorietà, appunto).Si ricordi come in precedenza per attribuire valenza esecutoria al provvedimento amministrativo, non esistesse una regola formale generica, ma specifiche previsioni normative. Tipico esempio, l’ormai abrogato art. 39 della L.426/1971, di disciplina del commercio in sede fissa, che prevedeva appunto l’inserimento nell’ordinanza di chiusura dell’esercizio della formula di cui all’art. 475 C.P.C. Altre ipotesi di ordinanze per le quali il legislatore prevede espressamente l’esecuzione d’ufficio sono quella di cui all’art. 217 T.U.L.S, in materia di eliminazione o riduzione delle esalazioni o emissioni provenienti da manifatture o fabbriche; quella di cui agli artt. 27,31,33,34 e 35 del Testo Unico sull’Edilizia in materia di demolizione delle opere abusive o ripristino dello stato dei luoghi; quella di cui all’art. 192 del T.U.A., in materia di smaltimento dei rifiuti indebitamente abbandonati su area pubblica o privata.Lo stesso Codice della Strada imposta tutto il sistema delle sanzioni accessorie del ripristino dello stato dei luoghi di cui all’art. 211 sulla esecutorieta’ del provvedimento ingiuntivo del Prefetto, che addirittura può intervenire in maniera anticipata rispetto alle normali scansioni della procedura sanzionatoria, ove si versi in situazione di immediato pericolo per la circolazione e sia impossibile che provveda direttamente il trasgressore (comma 6). Per le sole ordinanze contingibili ed urgenti di cui all’art. 54, comma 4 del T.U.E.L. – non quelle, dunque, di cui all’art. 50 del medesimo Testo Unico, che pure ne condividono la natura – è pure prevista l’esecuzione d’ufficio a spesa dell’interessato, per cui il semplice richiamo alla norma di riferimento, sembra implicarne l’esecutorietà nell’accezione sopra precisata La materia peraltro è divenuta di particolare attualità in ragione dell’ampliamento proprio dei poteri di ordinanza del Sindaco quale ufficiale di governo a seguito della modifica del citato art. 54 del D.lgs.267/2000 ad opera del cosiddetto “pacchetto sicurezza”, ovvero la L. 125/2008. In particolare la norma nella sua formulazione attuale prevede la possibilità di adottare sia ordinanze ordinarie che contingibili ed urgenti “…al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’ incolumità dei cittadini e la sicurezza urbana.”52 Le ordinanze in questione devono essere preventivamente comunicate al Prefetto, al quale si continua a riconoscere in subiecta materia un ruolo centrale e strategico piu’ ampio di quello previgente, che lo chiamava in causa solo per la fase esecutiva ove fosse necessario, appunto, l’utilizzo della forza pubblica. L’esecutorietà, dunque, consente l’esecuzione coatta del provvedimento senza necessità di una previa pronuncia dell’Autorita’ Giudiziaria ed in tale ottica legittima l’eventuale accesso anche in

52 La congiunzione “anche”, inserito durante la discussione in assemblea al Senato, ha legittimato l’adozione di emanare ordinanze cosiddette ordinarie in materia di sicurezza urbana, evitando il proliferare delle contingibili ed urgenti, ben al di là dei limiti di ammissibilità delle stesse, come delineati anche dalla copiosa giurisprudenza sul punto. Le schede di lettura del “pacchetto sicurezza” predisposte dall’ufficio ricerche sulle questioni istituzionali sulla giustizia e sulla cultura, in relazione alla norma ora in commento contengono un richiamo, esemplificativo ma emblematico, ai provvedimenti sindacali che già in un recente passato hanno attirato l’attenzione anche mediatica sulla questione. In particolare viene richiamata l’ordinanza del Sindaco del Comune di Venezia del 13 giugno 2008 che vieta il commercio su aree pubbliche in forma itinerante su tutto il territorio comunale dal 16 giugno al 31 dicembre 2008, basata sul testo del decreto legge non ancora convertito.

un luogo di privata dimora.53 Quanto sopra comporta anche la conseguenza che al privato che subisce l’esecuzione di un provvedimento a suo modo di vedere illegittimo, non si riconosce comunque possibilità di resistenza, ma solo di rifiuto dell’osservanza volontaria, incorrendo nelle relative sanzioni, penali ex art. 650 C.P. per i soli provvedimenti di natura contingibile ed urgente, ovvero comunque riconducibili alla tipologia di motivazioni richiamate nella norma.54 A di là delle ricostruzioni dogmatiche, e’ evidente come spesso per la Polizia Locale chiamata a dare esecuzione ai provvedimenti comunali incontri difficoltà pratiche talvolta legate alla effettiva complessità delle situazioni da gestire (si pensi alla esecuzione coatta di un provvedimento di sgombero che coinvolga nuclei familiari con minori, infermi, donne in stato di gravidanza, ecc., problematiche che comunque esulano dalla problematica dell’an dell’esecuzione, per rientrare piu’ tipicamente in quella del quomodo della stessa), talaltra correlate semplicemente alla titubanza nel dare esecuzione ad un provvedimento che di per se’ ha quale elemento materiale una condotta di violazione di domicilio. Ed è impensabile fornire al riguardo un preciso vademecum che si attagli a tutte le situazioni: in linea di massima, infatti, quando l’esecuzione avviene attraverso il compimento di atti materiali attuativi di provvedimenti amministrativi non si può parlare di una procedimentalizzazione dell’azione esecutiva, atteso che di frequente non viene neppure esternata in atti formalmente distinti la sequenza che conduce alla esecuzione medesima. La Pubblica Amministrazione, in considerazione del fatto che attraverso l’attività esecutiva incide su interessi individuali, e’ spesso chiamata ad effettuare una scelta discrezionale, sia in ordine all’an dell’utilizzo dei mezzi di coercizione, sia in ordine al tipo di strumento utilizzabile e ai tempi di esecuzione. In tale ottica, la L. 241, introducendo un minimo di tipizzazione del procedimento attraverso la disciplina della obbligatorietà della previa diffida – una sorta di precetto precedente l’esecuzione degli sfratti secondo la normativa civilistica sulle locazioni- vuole coinvolgere nel procedimento i destinatari per consentire una comparazione effettiva tra l’interesse pubblico primario e gli interessi secondari dello stesso. 55 Il diritto del privato di resistere all’esecuzione coatta dei provvedimenti ritenuti illegittimi viene circoscritto alle sole ipotesi di palese nullità dell’atto, con esclusione quindi dei tradizionali casi di invalidità che possono determinarne il mero annullamento ( incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere).56 Anche la giurisprudenza amministrativa conferma quanto sopra, pur ribadendo la necessarietà di prevedere il potere degli agenti operanti di introdursi nella proprietà privata in maniera esplicita nel provvedimento che si deve andare ad eseguire.Si legge ad esempio in TAR Umbria, n. 217 del 5 maggio 2005, che il Comune può “ordinare ai propri agenti di introdursi nella proprietà privata al fine di prelevare i rifiuti, asportarli e provvedere alla ripulitura straordinaria del sito”. 57 E ancora

53In passato l’esecutorietà, che la dottrina piu’ autorevole riconduceva ad una forma di autotutela della Pubblica Amministrazione, non veniva riconosciuta a tutti i provvedimenti amministrativi, in quanto ciò sarebbe andato in contrasto con il principio di legalità del nostro ordinamento, ma solo a quelli per i quali vi fosse un’esplicita previsione normativa in tal senso. Cfr. per tutti al riguardo A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Jovene ed., Napoli, 1982, in particolare p.594 ss., con ampie note di rinvio.

54 In conseguenza della modifica dell’art.54 T.U.E.L. richiamata nel testo, è tutta da valutare la giurisprudenza futura in ragione dei contorni non ancora ben definiti della “sicurezza urbana”, quale bene da tutelare con le relative ordinanze sindacali. Essendo, infatti, l’art. 650 C.P. tipica norma penale in bianco, il giudice penale potrebbe disapplicare quelle disposizioni che, pur formalmente adottate richiamando nelle premesse la norma in questione, non hanno molto da spartire con la tutela del buon assetto e dell’ordinato vivere civile, nei quali si identifica la “sicurezza pubblica, l’ordine pubblico e l’igiene espressamente previste dalla fattispecie. Quanto sopra nel rispetto dei noti principi sulla separazione dei poteri di cui all’art. 5 dell’all. E alla L. 224 del 20 marzo 1865. 55 D’altro canto, l’art.5 del T.U.L.P.S. già anticipava l’istituto della previa diffida per dare esecuzione ai provvedimenti delle Autorità di P.S., prevedendo anche un termine di 3 giorni – salvi i casi d’urgenza – prima della successiva esecuzione d’ufficio. 56 Contra , Cannada Batoli, riportato in F. Caringella, L.Delpino, F.del Giudice, Diritto Amministrativo, Simone ed. Napoli, 1996, p. 515. 57 Nel caso di specie, si trattava di dare esecuzione ad un’ordinanza adottata ai sensi del previgente decreto Ronchi in conseguenza dell’accertato abbandono di rifiuti su area privata. La sentenza peraltro affronta la questione dell’accesso

e più specificatamente: “una tale intromissione autoritativa extra ordinem per la rimozione di rifiuti abbandonati da terzi può58 e deve essere attuata dal Comune nell’esercizio dei suoi specifici poteri a tutela dell’igiene, del decoro e della salute pubblica”. 

In materia penale, l’unica sentenza edita rinvenuta è sicuramente datata, ma contiene affermazioni di straordinaria attualità ed interesse. Si legge quindi in Cassazione, sez.II, n.1558 del 28 ottobre 1960 come non sussista il reato di violazione di domicilio commessa da pubblico ufficiale che va ad eseguire un provvedimento amministrativo, nel caso di specie un’ordinanza di demolizione di fabbricato realizzato in dispregio di vincolo panoramico, ancorché ciò sia avvenuto coattivamente a mezzo di vigili urbani e con l’ausilio di apposita manovalanza.”Dal carattere di esecutorietà di un atto amministrativo, legittimamente emanato, deriva l’attribuzione, all’autorità amministrativa, dei poteri di concreta attuazione del contenuto dello stesso, atto con tutti i mezzi apprestati dall’ordinamento giuridico.” Fra questi rientrerebbero anche gli strumenti di coercizione indiretta, che implica la non necessarietà di avvalersi delle procedure esecutive del C.P.C., mantenendo così distinta la sfera dell’attività amministrativa e quella della tutela giurisdizionale ordinaria.

Le perquisizioni e le ispezioni nel codice di rito penale.

Esaurita la disciplina dei poteri ispettivi per l’accertamento di illeciti amministrativi, come abbiamo visto piuttosto circoscritti, si tratta ora di inquadrare correttamente quelli riconducibili all’attività, non alla qualifica, di polizia giudiziaria, id est quelli finalizzati all’accertamento e alla repressione dei reati. La prima distinzione, forse scontata, ma di certo necessaria per un corretto approccio alla materia, è nuovamente quella, peraltro già accennata, tra “ispezioni”, da un lato e “ perquisizione”, dall’altro. L’ispezione consiste nella disamina di un luogo documentando ciò che e’ oggetto di percezione da parte dell’agente operante; la perquisizione, invece, e’ un mezzo di ricerca della prova e consiste in un’attività più approfondita e teleologicamente orientata all’acquisizione della prova, appunto. Dal punto di vista rigorosamente formale, l’ispezione di iniziativa della polizia giudiziaria non e’ menzionata tra i relativi atti tipici della stessa, a differenza della perquisizione che trova il proprio dettato normativo nell’art. 352 C.P.P. Tuttavia e’ ovvio che la visualizzazione dello stato dei luoghi e’ la prima e indispensabile attività da compiere da parte della polizia giudiziaria medesima, in ragione del potere–dovere ad essa riconosciuto di prendere notizia dei reati ed evitare che gli stessi vengano portati ad ulteriori conseguenze (art.55 C.P.P.). Nell’ambito di tali poteri, l’art. 354 prevede una serie di attività, tipiche ed atipiche, aventi natura investigativa e, soprattutto, assicurativa, al fine di impedire che lo stato dei luoghi subisca modifiche prima dell’intervento del Pubblico Ministero. Nel comma 1 della norma si parla appunto di una generica e non meglio precisata attività di conservazione; nei commi successivi, si descrive invece una positiva attività di intervento che si sostanzia nel compimento degli accertamenti e rilievi urgenti su persone, luoghi o cose , nonchè nell’eventuale sequestro del corpo del reato e delle cose ad esso pertinenti. Sia l’attività di mera conservazione, che quella di accertamento sono estremamente varie, dovendo essere correlate al tipo di reato per il quale si e’ intervenuti e alle condizioni spazio-temporali del suo accadimento. In genere le ispezioni di luoghi o cose, anche se non menzionate espressamente con tale denominazione, vengono ricondotte appunto agli accertamenti urgenti di cui ai commi 2 e 3 della norma ora in esame. Esse consistono nell’osservazione immediata e diretta di un determinato luogo o di una determinata cosa allo scopo di individuare le tracce e gli altri effetti materiali del reato. Normalmente all’ispezione si affianca un’attività di rilevazione e documentazione volta ad acquisirne definitivamente al procedimento le risultanze. Un tipico esempio viene ravvisato proprio

incidentalmente, avendo in via principale ad oggetto la tematica dei destinatari del provvedimento, che non possono essere i meri proprietari del terreno in relazione ai quali non siano stati acquisiti più precisi elementi di responsabilità 58 Si noti come nell’esempio riportato nel testo, la possibilità di procedere d’ufficio è espressamente previsto dall’art.192 del T.U.A., in base al quale è stato adottato il provvedimento de quo.

nei rilievi planimetrici, magari corredati da documentazione fotografica, del teatro del sinistro stradale e dello stato di quiete dei veicoli riscontrato in conseguenza dello stesso. La possibilità di eseguire ispezioni di luoghi o cose di iniziativa, si deduce quindi per così dire a contrario dalla formulazione letterale dell’art. 354, comma 3, che vieta espressamente la sola ispezione personale, oltre che dalla logica dell’accertamento dei reati. Ma proprio per la mancanza di una disciplina specifica, accettata come logica e ovvia la disamina dello stato dei luoghi nell’immediatezza dell’intervento, per le modalità esecutive specifiche occorre rifarsi alle disposizioni degli artt. 244 e seguenti del codice di rito penale, aventi ad oggetto le ispezioni quale mezzo di ricerca della prova tipico del Pubblico Ministero.59 Attività concettualmente diversa dall’ispezione, ma che finisce per identificarsi nella documentazione della stessa, sono i rilievi, gli accertamenti e le altre operazioni di natura tecnica finalizzate a descrivere e riprodurre su documenti le situazioni rilevanti ai fini delle indagini. Tipici esempi, oltre ai già citati rilievi descrittivi e planimetrici del luogo di un sinistro stradale, i rilievi segnaletici per identificare una persona, ovviamente estranei all’oggetto della presente trattazione. Come si vede, comunque, il presupposto dell’ispezione e’ l’avvenuta commissione di un reato e l’intervento della P.G. successivamente allo stesso, non le verifiche finalizzate ad appurarne l’ipotizzata commissione in astratto. In tale ottica si comprende perché il codice di rito penale non preveda l’ispezione quale atto di iniziativa della P.G.: una cosa, infatti, è il sopralluogo della e sulla scena di un reato, altra l’assunzione di iniziative di indagine per verificarne la commissione. Solo in tale ambito circoscritto è ammissibile introdursi in un luogo di privata dimora senza incorrere in particolari problematiche ( si pensi all’accesso in un appartamento ove si è consumato un efferato delitto di sangue). Ben diverso sarebbe il caso dell’operatore che volesse introdursi nel medesimo luogo di privata dimora per il sospetto che in esso sia stato commesso un reato, senza il previo coinvolgimento del magistrato e una conseguente delega da parte dello stesso, nel pieno rispetto delle garanzie difensive dell’indagato ( ammesso ve ne sia già uno).L’ispezione, infatti, rientra tipicamente fra gli atti delegabili da parte del Pubblico Ministero.60 La perquisizione, viceversa, quale mezzo di ricerca della prova, può essere effettuata di iniziativa, quando si ha fondato motivo di ritenere che cose o tracce pertinenti al reato si trovino in un determinato luogo o che ivi si trovi la persona sottoposta alle indagini o l’evaso.

Le perquisizioni di luoghi di privata dimora: regole generali.

Le perquisizioni locali possono avere ad oggetto anche un’abitazione o altro luogo di privata dimora ed in tale caso si denominano anche “domiciliari”. La perquisizione e’ dunque quel mezzo di ricerca della prova che, appunto attraverso una ricerca sulla persona o, per quanto qui di interesse, in un luogo, mira al sequestro delle cose pertinenti al reato ovvero all’arresto dell’imputato o dell’evaso. Trattasi di atto che, se di iniziativa, ha quali presupposti legittimanti sono la flagranza del reato, l’evasione (art. 352, comma 1, C.P.P.), ovvero l’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare, di un ordine di carcerazione o il fermo di un indiziato di delitto ( art. 352,comma2, C.P.P.). Da notare che nulla e’ detto per il caso in cui la P.G. intenda procedere ad un arresto, facoltativo o obbligatorio, ne’ in relazione alla eventuale perquisizione personale dell’indagato, sicuramente opportuna in termini di cautela operativa, ne’ in termini di perquisizione del veicolo, ad esempio, a bordo del quale l’indagato stesso viaggiava. Essendo impensabile una traduzione del soggetto in questione anche semplicemente nei locali del Comando a fini identificativi o per il perfezionamento

59 Un tipo particolare di ispezione che esula dall’ambito della presente trattazione, ma ha una notevole incidenza casisistica nell’attività della P.M. nel settore dell’infortunistica stradale, e’ quella sul cadavere. La norma di riferimento è in questo caso l’art. 116 disp. att. C.P.P., che riserva al Procuratore della Repubblica il potere di ordinare la rimozione del cadavere nonchè le indagini anche autoptiche necessarie ad accertare la causa del decesso, fini all’autorizzazione al seppellimento al termine di suddetti accertamenti. 60 Solo certe ispezioni, così come le perquisizioni, in alcuni luoghi ( ad esempio negli uffici dei difensori -art. 104, comma 4 C.P.P.), non sono neppure delegabili.

degli atti, ovvero addirittura verso la camere di sicurezza di altra forza di polizia, come spesso avviene per le note carenze logistiche della Polizia Locale, la perquisizione, da effettuare, troverà la sua motivazione, logica prima ancora che giuridica, nella flagranza del reato per il quale si procede all’arresto. In poche parole, la medesima flagranza che consente addirittura la misura coercitiva della libertà personale dell’indagato, legittima a maggior ragione la ricerca sulla sua persona e suoi luoghi ove viene arrestato, ovvero sul veicolo appena utilizzato, di una perquisizione finalizzata ad acquisire al processo eventuali riscontri probatori. Il fatto che l’art. 352, c. 2 C.P.P. menzioni espressamente l’istituto del fermo di indiziato di reità quale condizione legittimante la perquisizione, si spiega attraverso il richiamo al corretto inquadramento dell’istituto stesso, che,giusta il disposto dell’art. 384 C.p.p. che ne disciplina le modalità, è consentito “anche fuori dei casi di flagranza”.61 A questo proposito, per la possibile incidenza casistica della materia si ricorda come, a seguito degli inasprimenti di pena correlati alle esigenze di tutela della sicurezza stradale attuati con il già citato “pacchetto sicurezza”, in caso di omicidio colposo con violazione di norme del C.d.S. si rientra oggi nei limiti edittali che consentono suddetto fermo di polizia, diversamente che in passato.62 Si potrebbe discutere anche dei rari casi nei quali l’ordinamento consente l’arresto al di fuori dei casi di flagranza: si pensi all’ipotesi di reato di cui all’at. 189 comma 6 ( fuga in caso di sinistro stradale con lesioni o omicidio colposo) C.d.S. Pur essendo stato definitivamente chiarito che si tratta di un caso di arresto facoltativo in flagranza, la natura speciale della disposizione sembrerebbe, appunto consentirne l’effettuazione anche in deroga dal presupposto della flagranza medesima. Nelle ipotesi di flagranza il presupposto della necessita’ ed urgenza che legittima l’intervento di iniziativa della P.G. e’ implicito; nei casi invece elencati nel comma 2, e’ previsto dal legislatore. La flagranza, lo si ricordi per completezza, trova il suo fondamento normativo nell’art. 382 C.p.p., che disciplina anche quella situazione dottrinariamente denominata “quasi flagranza”. Trattasi della situazione di individuazione del presunto colpevole “subito dopo il reato” dalla Polizia Giudiziaria, dalla persona offesa o da chiunque altro lo abbia inseguito, ovvero venga sorpreso “…con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima”.63

Alla perquisizione di iniziativa dovrebbero procedere i soli ufficiali di polizia giudiziaria, con tutte le conseguenze pratiche correlate alla mancanza all’interno delle strutture della polizia locale, tipica polizia a competenza specifica, di soggetti in possesso di tale qualifica, temporaneamente o in ragione di scelte organizzative e carenze numeriche.64 In realtà, il condizionale e’ d’obbligo, in quanto la prassi operativa si e’ assestata in direzione diametralmente opposta, rendendo regola ciò che per il dettato normativo dell’art. 113 disp.att. C.P.P. avrebbe dovuto essere eccezione. La norma infatti riconosce il potere di compiere, tra gli altri, anche tali atti, agli agenti di polizia giudiziaria solo in “casi particolari di necessità e urgenza” . Non vi rientrerebbe certo, a livello di stretta interpretazione, la menzionata l’assenza, magari semplicemente correlata all’articolazione dei turni di servizio, dell’ufficiale di P.G. nella struttura, ovvero l’impossibilita’ di suo reperimento immediato quale presupposto legittimante la particolare urgenza di intervenire, senza

61 Presupposti del fermo e’ il pericolo di fuga, oltre che, ovviamente, la gravità dei delitti commessi,desumibile dall’entità della pena prevista per gli stessi (l’ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a due anni e superiore nel massimo a sei), ovvero dalla tipologia ( delitti in materia di armi da guerra o di esplosivi). 62 Proprio l’ulteriore elevazione del massimo edittale, portato dai sei anni previsti nel D.L., ai sette di cui alla legge di conversione n.125, consente oggi l’effettuazione del fermo di polizia in caso di omicidio colposo riconducibile a violazione di norme sulla circolazione stradale. Quanto sopra, parrebbe di potersi desumere dai lavori preparatori, proprio con la specifica finalità che ne è conseguita. 63 La definizione dello stato di flagranza formulata nell’art. 382 C.p.p. ripropone, pur con terminologia diversa, quella dell’art. 237 del previgente codice di rito, puntualizzando solo maggiormente il concetto di sorpresa come fatto esterno al soggetto attivo. La locuzione normativa “immediatamente prima”, in particolare, rappresenta solo una puntualizzazione sulla connessione temporale tra il fatto reato e la sorpresa con tracce del pregresso reato medesimo64 Per un approfondimento della tematica delle qualifiche di P.G. della polizia locale si rinvia ancora ad A. Manzione, La responsabilità penale e disciplinare dell’ufficiale/agente di P.G., cit., in particolare p.1-6.

necessariamente chiedere il supporto di altra forza di polizia che possa contare su soggetto con qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria. Tuttavia che scrive suggerisce di superare schemi ermenuetici troppo rigorosi e conseguentemente di fatto di impaccio all’operatività necessaria, accettando l’effettuazione di perquisizioni anche da parte di agenti di polizia giudiziaria, pur ricordando che nella verbalizzazione dell’attività le motivazioni della scelta dovrebbero essere esplicitate.65 La scarsa giurisprudenza rinvenuta sulla tematica specifica depone a favore di tale tesi, più pragmatica che giuridica, evidenziando un orientamento sostanzialistico delle Procure della Repubblica, in particolare in relazione all’accettazione come veicolo di conoscenza di una notitia criminis anche della ricezione di denuncia da parte di ufficiale della P.M., ad esempio in materie non riconducibili astrattamente alla relativa competenza specifica. Anche laddove poi e’ stata eccepita proprio, quale astratta causa di invalidazione dell’atto, la qualifica di P.G. dell’agente operante, si e’ finito infatti per riconoscere efficacia allo stesso66 Quanto alle modalità esecutive della perquisizione, in assenza di espresse indicazioni nella parte relativa all’attività di iniziativa della polizia giudiziaria, si devono applicare ancora una volta quelle previste per l’omonimo atto effettuato dal Pubblico Ministero. Pertanto, se attraverso la perquisizione si cerca una cosa determinata, l’ufficiale di P.G. può –non deve– invitare l’interessato a consegnarla, fermo restando che, qualora anche dopo la consegna della cosa ritenga utile per completezza di indagini procedere egualmente, è legittimato a farlo. Trattasi di previsione contenuta nell’art. 248, comma 1, C.P.P. particolarmente interessante anche se poco conosciuta, dato che spesso e volentieri, acquisito l’oggetto che, ad esempio, si presumeva rubato, si ritiene venuto meno il presupposto della ricerca del corpo del reato e quindi la possibilità di perquisire comunque l’indagato ( il suo veicolo, per quanto qui di interesse). La perquisizione domiciliare non può essere iniziata prima delle 7 e dopo le 20 (art.251, c.1, C.P.P.). Se iniziata nel rispetto di suddetti limiti temporali, può proseguire al di fuori degli stessi e quindi in teoria durare per l’intero arco della notte.Quando il ritardo potrebbe pregiudicare l’esito, anche i limiti temporali possono essere derogati.67In caso di perquisizione effettuata su delega del P.M., copia del decreto che la dispone deve essere consegnata all’interessato, che ha facoltà di farsi assistere dal difensore, purchè prontamente reperibile ed idoneo (in realtà, l’art.249, non parla del difensore, ma di “persona di fiducia”, che potrebbe essere chiunque, purche’ idoneo all’ufficio di testimone ex art. 120 C.P.P.68 ). Qualora si tratti di perquisizione di iniziativa, occorre avere a mente il disposto dell’art. 356 rubricato “ Assistenza del difensore”. La norma prevede il diritto del difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini di assistere, senza obbligo di preavviso, in quanto incompatibile con la natura di atti a sorpresa di quelli de quibus, alle perquisizioni, agli accertamenti urgenti, ai sequestri e alla acquisizione di plichi o di corrispondenza. La violazione di tale obbligo di avviso comporta un vizio dell’atto, che comunque secondo la giurisprudenza di legittimità e’ sanato, a norma dell’art. 182, comma 2, C.P.P., se non dedotto immediatamente dalla parte prima del compimento del suo compimento ovvero, ove cio’ non sia stato possibile, immediatamente dopo.69 Non si ritiene, tuttavia, che ne consegua mai

65 In realtà, l’utilizzo di modulistica prestampata fa sì che le motivazioni dell’urgenza vengano quasi sempre completamente omesse, dandosi semplicemente atto nel verbale della loro ritenuta sussistenza, magari barrando con una crocetta la frase prestampata già presente nell‘ atto. 66 In materia di sequestro probatorio,ad esempio, la Cassazione ha espressamente ritenuto legittima la convalida, di un atto fosse eseguito da un semplice agente di P.G., fuori dei casi di particolare necessità ed urgenza previsti dall’art. 113 disp att. C.P.P. Cfr. in tal senso Cass. , sez. IV, 20 marzo 1996, n. 613. 67 In assenza di esplicita previsione normativa, i limiti non valgono per le perquisizioni personali e per quelle locali non domiciliari. Come si vede, anche in questo ambito, dunque, può diventare rilevante la parificazione di un luogo, o ancor meglio del veicolo, a luogo di privata dimora. 68 Non si deve quindi trattare di minore degli anni 14, persona palesemente affetta da infermità di mente o in stato di manifesta ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope ovvero sottoposta a misure di sicurezza detentive o a misure di prevenzione. 69 La Corte ha ad esempio rigettato l’eccezione di nullità per violazione dell’obbligo di preavviso al difensore perche’ non risultava che l’indagato avesse formulato, ne’ prima, ne’ dopo l’assunzione del mezzo di prova, alcuna riserva e addirittura il suo difensore non aveva avanzato eccezioni in sede di convalida dell’arresto. Cfr. Cass., sez VI, 4 marzo

l’obbligo di nominare un difensore d’ufficio, con quanto ne consegue in termini di modalità di individuazione dello stesso. Infatti, la norma impone solo l’obbligo di avvertire l’indagato della facolta’ di farsi assistere dal difensore di fiducia, se presente, ma non fissa alcun obbligo di preavviso, ne’ stabilisce, appunto, un corrispondente obbligo di nominare un difensore d’ufficio. Pertanto non e’ assolutamente ipotizzabile una violazione dei diritti di difesa da parte della P.G., qualora proceda senza avvisare il difensore ovvero senza attenderlo, ove questi abbia comunque avuto notizia dell’imminente perquisizione e volesse parteciparvi.70 Non e’ neppure obbligatoria la presenza dell’indagato alla perquisizione locale. Puo’ accadere che nel corso di una perquisizione locale, domiciliare o meno, intervengano nuove persone o comunque si renda necessario procedere anche a perquisizione personale dei presenti. In tale caso, l’operante deve enunciare nel verbale i motivi del provvedimento aggiuntivo. Ovviamente deve anche strumentalmente intimare ai presenti di non allontanarsi prima della conclusione delle operazioni, trattenendo o riconducendo coattivamente sul posto chi non ottemperi, a quel punto responsabile del reato di cui all’art. 650

C.P.71 Abbiamo già detto come in caso di perquisizione delegata, copia del decreto che la dispone vada consegnata all’indagato, se presente, e a chi abbia l’attuale disponibilita’ del luogo ove la si va ad effettuare.72 Se mancano suddette persone, la consegna della copia di decreto e avviso avviene ad un congiunto, ad un coabitante, a un collaboratore, ovvero, in assenza, al portiere o a chi ne fa le veci, avendo cura in tale ultima ipotesi, di consegnare gli atti in plico chiuso con relata di notifica apposta all’esterno (art. 250, commi 1 e 2 C.P.P. in relazione all’art. 80 disp. att. C.P.P. medesimo). Il comma 2 dell’art. 80 delle disposizioni attuative del codice prevede quale extrema ratio, nell’impossibilita’ di provvedere come indicato in scansione successiva, il deposito di copia del decreto presso la cancelleria o la segreteria dell’Autorita’ Giudiziaria che procederà dandone avviso mediante affissione alla porta del luogo dove la perquisizione e’ stata eseguita. Le garanzie difensive risultano diverse, dunque, nel caso di atto effettuato di iniziativa e atto effettuato su delega del P.M.: nel primo caso, infatti, come abbiamo gia’ detto, l’art. 356 impone solo l’obbligo di indicare la facolta’ di farsi assistere dal difensore, senza alcun obbligo in mancanza anche di semplice designazione nominativa di individuarne uno d’ufficio; nel secondo, invece, una volta richiesto all’interessato se e’ assistito da difensore di fiducia, gliene va designato uno d’ufficio a norma dell’art. 97, comma 3, fermo restando che non lo si deve aspettare, come già precisato prima di procedere all’effettuazione dell’atto ( art. 365 C.p.p. – Atti ai quali il difensore ha diritto di assistere senza avviso). Il quadro prospettato non cambia, si ritiene, dopo l’introduzione nel codice di rito penale della cosiddetta “ informazione di garanzia bis”, disciplinata dall’art. 369 – bis, appunto, inserito con l’art. 19 della L.60/2001 sulla difesa d’ufficio. La norma prevede, a pena di nullita’ di tutti gli atti successivi, l’obbligo di comunicare tutta una serie di informazioni all’indagato,” al compimento del primo atto cui il difensore ha diritto di assistere”. Tra esse rientra espressamente l’indicazione del difensore d’ufficio e il suo indirizzo e recapito telefonico (comma 2, lett. b) ). Infatti, diversamente da quanto opinato in maniera decisamente tuzioristica da altri, non va dimenticato che l’adempimento di cui all’art. 369-bis, al pari di quello previsto dal previgente e

1994, n. 2705. Contra, si veda Trib. Tortona,27 marzo 1992, secondo il quale l’obbligo di avviso ex art.114 disp. att. C.p.p., e’ finalizzato all’attuazione non di un diritto, ma di un adempimento a carattere meramente accidentale, la cui violazione non trova sanzione nel procedimento, ma unicamente in sede disciplinare. Per contro, non vale a sostituire validamente la mancata documentazione dell’avvertimento della possibilità di farsi assistere durante la perquisizione da un difensore, il medesimo avvertimento dato al momento dell’arresto ( Cass., sez.VI, n.2705 del 4 marzo 1994). Secondo Cass., sez.VI, n.2001 del 26 luglio 1995, nonché Cass., sez.IV, n.38014 del 12 novembre 2002, l’avviso al soggetto sottoposto a perquisizione domiciliare della facoltà di farsi assistere o rappresentare non è richiesto per le perquisizioni operate dalla P.G. nella flagranza del reato, salva la facoltà del difensore di assistervi, senza essere preventivamente avvisato. 70 Cfr. in tal senso Cass, sez. VI, 12 dicembre 1992, n. 11908. 71 In tal senso si veda G.Amato, M.D’Andria, Organizzazione e funzioni della polizia giudiziaria nel nuovo codice di procedura penale, Giuffre’ ed. Milano 1990, p. 100, ove si chiarisce anche che tale possibilita’ di ampliare l’originaria perquisizione locale ad una o piu’ perquisizioni personali, valga anche in caso si stia agendo su delega del P.M.72 E’ in tale atto che e’ previsto l’avviso della facolta’ di farsi assistere da persona di fiducia prontamente reperibile ed idonea.

precedente art. 369 ( Informazione di garanzia), spetta al Pubblico Ministero, come riportato espressamente nella norma – oltre che desumibile dalla sistematica del codice – e non puo’ essere esteso ad atti di iniziativa della polizia giudiziaria, aggravandone inutilmente il procedimento di effettuazione. Il difensore che assiste alla perquisizione puo’ presentare richieste, osservazioni e riserve, da riportare nel corpo del verbale. Non puo’ invece fare segni di approvazione o disapprovazione (art. 364, c.7 e 365, c.3). La perquisizione va documentata con verbale, come previsto espressamente per quella effettuata di iniziativa dall’art. 357 c. 2 lett d). Le modalita’ di redazione del verbale sono quelle generali di cui agli artt. 134 e seguenti. In particolare, come e’ logico, il verbale dovrebbe essere redatto nell’immediatezza dell’avvenimento che si va a documentare. L’art. 373, comma 4, che merita di essere ricordato perche’ spesso ignorato nella prassi della polizia giudiziaria, prevede, infatti, quale regola esplicita la documentazione degli atti “nel corso del loro compimento”, ovvero “immediatamente dopo”, ma in tali ipotesi si dovrebbe indicare espressamente quali “ insuperabili circostanze”ne hanno impedito, appunto, la documentazione contestuale. Per fare un esempio tratto dalla piu’ frequente casistica della polizia locale, si pensi ancora una volta ai rilievi planimetrici di un sinistro stradale con lesioni o esito infausto (omicidio colposo). Come riteniamo di aver già, seppur succintamente evidenziato, i rilievi planimetrici possono coincidere con la documentazione dell’attività ispettiva, che si concretizza, appunto, in tali specifiche ipotesi, in operazioni tecniche piuttosto semplici e per questo distinte da consulenze tecniche e perizie.73 Per questo la prassi consistente nel “mettere in bella” i rilievi planimetrici, di fatto e’ una distorsione della corretta verbalizzazione dell’ispezione del luogo del sinistro effettuata nell’immediatezza dello stesso.Correttamente si potrebbe semmai parlare di una sorta di brogliaccio riportante i punti rilevati per la ricostruzione dello stato dei luoghi redatto su strada e poi, ma a distanza ravvicinata e dandone atto con una sorta di premessa del tipo “documentazione effettuata in ufficio non avendo potuto procedere nell’immediatezza e sul luogo dei fatti”, della sua redazione in versione definitiva tramite la cosiddetta “bella copia”. Assolutamente inaccettabile sembrerebbe invece la documentazione dello stato dei luoghi redatta d’ufficio in maniera diversificata nei soli casi di richiesta di accesso agli atti, allo scopo di fornire la planimetria dei luoghi in maniera maggiormente intellegibile, ma non corrispondente alla sua verbalizzazione originaria, bensì con correzioni rispetto alla stessa, sicuramente non assimilabile neppure ad una sua copia. Altra cosa, ovviamente, è l’eventuale planimetria redatta su delega del

P.M. ovvero richiesta dal consulente tecnico dello stesso, che costituisce una sorta di supporto tecnico fornito da organo di polizia munito al riguardo delle necessarie competenze.

L’art. 115 disp. att. C.P.P. prevede che la copia dei verbali redatti a norma dell’art. 357- e dunque anche la copia dei verbali delle operazioni di cui all’art. 354, oltre che delle perquisizioni – debba essere conservata presso l’ufficio di polizia giudiziaria operante. Dal combinato disposto dell’art. 136 C.P.P., inerente il contenuto dei verbali, con l’art. 115 delle disposizioni attuative sopra menzionato, si evince la fede privilegiata del contenuto dell’atto, valido fino a querela di falso. Pertanto esso non può essere liberamente valutato dal Giudice, posto che il suo valore probatorio si riflette proprio sull’attività di cui il funzionario e’ chiamato a curare la verbalizzazione e che rientra specificamente nell’ambito della sua competenza.74 Viceversa, non e’ affatto previsto, come invece avviene per prassi, che copia del verbale di perquisizione venga consegnata all’interessato, salvo, come gia’ detto, si tratti di atto da effettuare su delega, nel qual caso e’ prevista la notifica del relativo decreto.

73 Si tratta del semplice rilevamento di una situazione obbiettiva di dati, senza che tale operazione importi una conoscenza particolarmente tecnica, ma soltanto la mera percezione e rilevazione di suddetti dati, non implicante una loro elaborazione e valutazione. Per un approfondimento della tematica dei rapporti di coordinamento tra ispezione-rilievo e consulenza tecnica e perizia si veda M.Chiavario, E.Marzaduri, Le Prove, Tomo secondo, Utet ed. , Torino, 1999, p. 343 ss. 74 Cosi’ in Cass, sez. I, 10 dicembre 1990, n. 3952, inerente fattispecie nella quale si contestava la corrispondenza al vero della data di arresto risultante dal verbale della P.G. ai fini del calcolo dei termini di custodia cautelare.

Sempre a garanzia dei diritti di difesa, l’art. 366 C.P.P. prevede che i verbali degli atti compiuti dalla P.G. ai quali, come nei casi di specie, il difensore ha diritto di assistere, devono essere depositati nella segreteria del Pubblico Ministero entro il terzo giorno successivo al loro compimento, con facolta’ per il difensore di esaminarli ed estrarne copia nei cinque giorni successivi. Se il difensore non e’ stato avvertito preventivamente, come di regola avverra’ per accertamenti urgenti e perquisizioni, i cinque giorni decorrono dalla notifica dell’avviso di deposito a cura del P.M. medesimo. Combinando il contenuto di tale disposizione, divenuta di particolare interesse e attualita’ in realzione a quella particolare tipo di accertamento urgente che e’ la prova etilometrica, con il disposto dell’art. 347, comma 2-bis C.p.p., si individua una fitta rete di garanzie difensive che si concretizzano nella stringente tempistica a carico della polizia giudiziaria. Recita, infatti, suddetto comma 2-bis dell’art. 347 che “ Qualora siano stati compiuti atti per i quali e’ prevista l’assistenza del difensore della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, la comunicazione della notizia di reato e’ trasmessa al piu’ tardi entro 48 ore dal compimento dell’atto…” . Quindi, se viene effettuata una perquisizione di iniziativa, atto al quale il difensore ha diritto di assistere, senza obbligo di preavviso, non solo il verbale dell’atto compiuto deve essere trasmesso entro le 48 ore al P.M. del luogo dove la perquisizione e’ stata compiuta ai fini della convalida ( art. 352, c. 4 ), ma l’intera notizia di reato dovrebbe rispettare i medesimi termini. Ovviamente, trattandosi di atto soggetto a convalida, il rispetto del termine di deposito, viceversa, rimane assorbito in quello minore finalizzato, appunto, alla convalida medesima. Tutto quanto sopra mal si concilia, almeno da un punto di vista letterale, con quanto accennato in materia di infortunistica stradale, ivi compresa la disciplina sulla competenza che per le lesioni colpose spetta al Giudice di Pace, con l’unica eccezione di quelle cagionate da soggetto in stato di ebbrezza grave o di alterazione da uso di sostanze stupefacenti o psicotrope.75 Infatti, se come gia’ evidenziato, se i rilievi del sinistro (il cosiddetto “rapporto” dello stesso) altro non sono che la documentazione dell’attività ispettiva o di quella sua modalità che sono gli accertamenti urgenti, comunque disciplinati nell’art. 354 C.P.P., sussiste il dubbio circa l’applicabilità della regola generale dell’inoltro della relazione ex art. 11 d.lgs. 274 nel termine di 4 mesi a prescindere dall’avvenuta effettuazione di atti che in base all’art. 347, comma 2-bis, imporrebbero il rispetto delle 48 ore e ancora se il verbale degli atti compiuti non sia soggetto comunque al deposito nel termine di 3 giorni come disposto dal gia’ citato art. 366 C.P.P.76 In linea di massima, in questa materia ci si attiene alle indicazioni delle proprie Procure di riferimento, talvolta se ci e’ consentita l’espressione desumibili per facta concludentia, nel senso che si limitano ad avallare prassi ormai consolidate presso gli organi di polizia stradale.77

75 La L. 125/2008 ha modificato anche l’art. 4 del d.lgs. 274/2000 inerente la competenza del Giudice di Pace penale, attribuendo allo stesso il reato di lesioni colpose commesso in violazione di norme del C.d.S. da persona in stato di ebrezza alcolica grave (> di 1.5 g/l) ovvero in stato di intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope. Tenuto conto che gli artt. 186 e 187 C.d.S. erano già di competenza del Tribunale, la disposizione comporta l’inoltro in tali ipotesi solo della comunicazione di notizia di reato, non anche della relazione, come parrebbe necessario per le altre ipotesi di lesioni colpose non ancorate ad ebbrezza grave e a prescindere dagli effetti della connessione che, come noto, non è criterio originario di attribuzione della competenza. 76 La questione dell’applicabilità delle disposizioni del codice di rito penale laddove nulla disponga il d.lgs. 274 e dunque in particolare in relazione ai tempi di inoltro della notitia criminis e’ stato affrontato da A.Manzione, Commento al D.M.6 aprile 2001 n.204 – Regolamento di esecuzione del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.274, recante disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, in AA.VV.,Giudice di pace e processo penale, Utet ed.,Torino, 2002, p.553 ss. Per quanto attiene all’applicabilita’ dell’art. 366 agli atti di accertamenti urgenti, nello specifico le prove etilometriche, si vedano le molteplici e ormai consolidate pronunce giurisprudenziali, che comunque hanno sempre ricondotto al regime delle nullita’ relative il mancato rispetto della norma in questione. In materia di infortunistica stradale, in linea di massima esistono istruzioni diversificate a seconda della Procura di riferimento, ispirate più a criteri pratici di deflazione delle segreterie dei P.M., che a criteri giuridici di rispetto della formulazione letterale delle norme. 77 Si pensi, a mero titolo di esempio, alle direttive diversificate in materia di lesioni colpose, con indicazione di inoltro della relazione solo al di sopra di questo o quel tempo di durata della malattia.

In relazione, infine , alla perquisizione dei mezzi di trasporto, la dottrina discute addirittura circa la sua riconducibilità ad un’ipotesi di perquisizione personale, locale o domiciliare.Ovviamente, nulla quaestio laddove si tratti di veicoli che servano anche da abitazione, quali roulotte, camper, caravan e simili, nel qual caso si deve sicuramente parlare di perquisizione domiciliare. Sono gli altri ad aver dato adito a dubbi, da ultimo approdati all’orientamento prevalente Negli altri casi, come già anticipato parlando del potere ispettivo in ambito amministrativo, tende a prevalere la tesi della loro non assimilabilità a luoghi di privata dimora, come tali non assistiti dalla tutela costituzionale sulla inviolabilità del domicilio.78 De jure condendo e ancora una volta per completezza espositiva, si ricordi come nel disegno di legge n.2807 del 2007, di iniziativa dei Ministri, D’alema, Mastella e altri, si prevedeva espressamente una modifica degli artt.352 e 354 C.P.P. per consentire da un lato perquisizioni d’iniziativa degli ufficiali di P.G.su sistemi informatici e telematici, anche protetti da misure di sicurezza, dall’altro l’adozione di misure tecniche o l’imposizione di prescrizioni necessarie ad assicurare la conservazione e ad impedire l’alterazione e l’accesso a dati, informazioni e programmi

o sistemi informatici o telematici. 
Le perquisizioni previste dalle leggi speciali.

Per completezza espositiva, occorre ora far menzione delle disposizioni di legge speciale che consentono l’effettuazione della perquisizione al di fuori dei casi di flagranza.Ovviamente in questa sede parleremo soltanto di quelle disposizioni ritenute di maggior interesse per la Polizia locale, obliterando quelle, pure disseminate nell’ordinamento, di minore o pressoché nullo interesse di settore.

Un primo esempio in tal senso e’ rappresentato dalla perquisizione di cui all’art. 103, comma 3, del

d.P.R. n. 309/1990, in materia di stupefacenti. In questo caso non e’ necessaria l’esistenza di una notitia criminis, trattandosi di attivita’ di carattere preventivo. Tipico esempio della sua effettuazione,la ricerca di stupefacenti nel bagagliaio di un veicolo ovvero addirittura negli effetti personali di un soggetto. 79 Altro esempio ancora la perquisizione effettuata ai sensi dell’art. 41 del T.U.L.P.S., finalizzata alla ricerca di armi, munizioni e materie esplodenti, non denunziate, non consegnate o comunque abusivamente detenute. Ad essa fa riferimento e rinvio l’art. 225 delle norme di coordinamento del C.P.P., rubricato proprio “Perquisizioni domiciliari”. La materia e’ stata oggetto di approfondimento giurisprudenziale con tutt’altra finalita’, ovvero il presupposto della sua effettuazione, individuato nella ipotizzata presenza illecita di armi. Suddetta presenza illecita puo’ dipendere infatti anche da denuncia anonima, idonea comunque a stimolare l’attività della P.G. per individuare una notitia criminis ancora inesistente e di conseguenza al di fuori delle indagini preliminari80 In tale ipotesi, non e’ neppure ritenuto ostativo il disposto del comma 3 dell’art. 333 C.P.P. che prevede il divieto di utilizzo nel processo di denunce o delazioni anonime,

78 Secondo G.Riccio, Le perquisizioni nel codice di procedura penale, Jovene ed., Napoli, 1974, nonché P.Gualtieri, Sulle perquisizioni dei mezzi di trasporto, in G.P., 1979, III, 216, si tratterebbe addirittura di perquisizioni personali. Per P.Balducci,voce Perquisizione in Enc.dir., Giuffrè ed. , Milano, 136, si tratterebbe di perquisizione locale. La dottrina maggioritaria viceversa segue la tesi della perquisizione domiciliare, consolidatasi anche in giurisprudenza, fino alle sentenze in materia di intercettazione ambientale, già citate nel testo, che hanno segnato un netto revirement sul punto . 79 Cfr. a riguardo Cass, sez.VI, n. 1864 del 27 maggio 1997, nonche’ sez. VI n. 11908 del 12 dicembre 1992 e sez. VI n. 5547 del 4 giugno 1996. 80 Secondo Cass., sez. IV, n. 30313 del 10/08/2005 l’unico effetto degli elementi contenuti in una denuncia anonima e’ quello di stimolare l’attivita’ di iniziativa del P.M. e della Polizia Giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi, diretti a verificare se dall’anonimo possono ricavarsi gli estremi utili per l’individuazione di una notizia criminis. Tali investigazioni si pongono fuori delle indagini preliminari perche’ sulla base di una denuncia anonima o confidenziale, non inseribile in atti ed inutilizzabile, non si puo’ procedere a perquisizioni, sequestri, etc…, trattandosi di atti che implicano e presuppongono l’esistenza di indizi di reita’. Solo se ricorre l’ipotesi di cui all’art. 41 R.D. 18 giugno 1931n. 773 la polizia giudiziaria e’ legittimata a compiere perquisizioni di iniziativa.

ma non preclude all’Autorita’ Giudiziaria e alla Polizia Giudiziaria di iniziare le indagini e di apprezzare le notizie anonime in relazione alle successive acquisizioni. 81 La valenza di norma speciale dell’art. 41 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 si desume dalla formulazione letterale del gia’ citato art. 225 disp.att. C.P.P. che prevede, appunto, che continuino ad applicarsi le relative procedure, riconoscendo alla P.G. la facoltà di compiere perquisizioni di iniziativa ove abbia notizia, anche per indizio, della presenza in un determinato luogo di armi, munizioni o materie esplodenti non denunciate o non consegnate o comunque abusivamente detenute. Analogamente, del tutto particolare e pure fatta salva nella medesima disposizione attutiva del Codice di rito penale e’ la facoltà di perquisizione locale prevista dall’art. 33 della legge 7 gennaio 1929, n. 4, recante “Norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie”. Trattasi di norma speciale, valida solo nella tassativa ipotesi di violazione di legge finanziaria, a prescindere dalla individuazione di ipotesi di reato con specifico riferimento a concreti elementi indizianti, diversamente da quanto avviene in via generale per le perquisizioni.82 Vanno poi citate, per analogia di materia, altre disposizioni di legge speciale che tuttavia prevedono una ispezione od accesso al quale si riconosce natura amministrativa e pertanto diversa da quella della perquisizione prevista dagli artt. 247 e seguenti e 352 C.P.P. Oltre a quelle gia’ citate ed inquadrate come “scriminanti” della condotta del pubblico ufficiale, si ricorda in questa sede l’art. 4 della L. 22 maggio 1975, n. 152 che riconosce ad ufficiale ed agenti della P.G. di procedere alla perquisizione sul posto, al fine di accertare l’eventuale possesso di armi esplosivi e strumenti di effrazione di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo non appaiono giustificabili. Come si vede, si tratta di una situazione di mero sospetto, spesso utilizzata impropriamente per giustificare ex post una perquisizione effettuata al di fuori della flagranza del reato, che abbia per giunta dato esito infruttuoso.

La perquisizione e le ispezioni illegittime.

Abbiamo gia’ detto all’inizio delle presenti note del reato di cui all’art. 615 C.P., quale fattispecie ascrivibile al pubblico ufficiale che agendo al di fuori dei suoi legittimi poteri di intervento, di fatto commette, ove si introduca in un luogo di privata dimora, una violazione di domicilio caratterizzata ed aggravata proprio dalla particolare qualifica del soggetto agente, che la diversifica dalla fattispecie comune di cui all’art. 614 C.P. Non esiste per le ispezioni e perquisizioni locali una norma generale che punisca l’arbitrarieta’ delle stesse, cosi’ come previsto dall’art. 609 C.P. in relazione alle perquisizioni e ispezioni personali. In realta’ l’inciso “…abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni “ previsto in entrambe le ipotesi di reato, ne qualifica comunque la condotta come non rispondente alle modalita’ previste dalla legge, indipendentemente dall’ingiustizia o meno dei fini perseguiti dall’agente. Solo che per la violazione di domicilio rileva esclusivamente quella ispezione o perquisizione che abbia impropriamente avuto ad oggetto “luoghi di privata dimora”. Taluni autori ricordano poi l’astratta ipotizzabilità a seconda dei casi e purche’ ne sussistano gli elementi costitutivi, dell’art. 610 C.P. inerente la violenza privata.83 Sul piano delle conseguenze processuali, della materia hanno avuto modo di occuparsi anche le Sezioni Unite della Cassazione, affermando che allorquando la perquisizione sia stata effettuata senza l’autorizzazione del magistrato e non nei “casi” e nei “modi” stabiliti dalla legge, come prescritto dall’art.13 della Costituzione, si è in presenza di un mezzo di ricerca della prova che non

81 L’art. 41 del T.U.L.P.S., costituisce una deroga al principio di nullita’ della perquisizione, anche disposta dal P.M., in seguito a denuncia confidenziale o anonima, in quanto la stessa non e’ inseribile negli atti e come tale e’ inutilizzabile e non puo’ qualificarsi come notitia criminis . 82 Cfr. in tal senso Cass., sez. III, n. 3893 del 14 dicembre 1995. 83 Per la verita’, la fattispecie non risulta di agevole esemplificazione in relazione alla casistica concreta ora in esame. Ne richiama la astratta applicabilita’ G.Amato, M.D’Andria, op. cit. , p. 107.

è compatibile con la tutela del diritto di libertà del cittadino estrinsecabile attraverso il riconoscimento dell’inviolabilità del domicilio. Ne consegue che, non potendo essere qualificato come inutilizzabile un mezzo di ricerca della prova, ma solo la prova stessa, la perquisizione è nulla e il sequestro eseguito all’esito di essa non è utilizzabile come prova nel processo,salvo ricorra l’ipotesi prevista dall’art.253, comma 1, C.P.P., nella quale il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, costituendo un atto dovuto, rende del tutto irrilevante il modo con cui ad esso si sia pervenuti.84

Restano ferme le sanzioni disciplinari, stante che l’art. 16 disp.att C.p.p. tra i casi di possibile illecito disciplinare menziona proprio la violazione “…di ogni altra disposizione di legge relativa all’esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria”. 85 E’ doveroso pertanto ricordarne in questa sedei relativi contenuti, ancorché per sommi capi.

La responsabilità disciplinare della polizia giudiziaria.

Accanto alla responsabilità disciplinare di cui ai vigenti contratti di lavoro, le disposizioni di attuazione del C.P.P. ne prevedono una, del tutto peculiare ed assai meno nota, ma non per questo meno rilevante, che è correlata, come anticipato sopra, alle sole qualifiche di polizia giudiziaria.. La natura “speciale” del relativo meccanismo si evince in maniera chiara dal disposto del comma 3 dell’art.16 disp.att., che recita: “Fuori delle trasgressioni previste dal comma 1, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria rimangono soggetti alle sanzioni disciplinari stabilite dai propri ordinamenti”. Gli illeciti disciplinari tipizzati da suddetto comma 1 si identificano nella omissione di notizia di reato o sua tardività, omissione o ritardo nell’esecuzione di un ordine dell’autorità giudiziaria o sua esecuzione parziale o negligente, nonché, per quanto qui di interesse, nella violazione di qualsiasi disposizione di legge relativa all’esercizio delle funzioni di P.G. Trattasi di clausola di chiusura aperta, nella quale, come ben si intuisce, può rientrare qualsivoglia tipologia di abuso, nel senso etimologico e non tecnico del termine, correlabile all’esercizio dell’attività di polizia giudiziaria.

Le sanzioni che conseguono alla commissione degli illeciti disciplinari di cui sopra hanno

articolazioni diverse rispetto a quelle, più graduate, previste per gli illeciti disciplinari dei quali al

contratto di lavoro. Vi troviamo infatti esclusivamente la censura e, nei casi più gravi, la

sospensione dall’impiego per un tempo non eccedente i 6 mesi. Solo per il personale inserito nelle

sezioni di polizia giudiziaria, può essere disposto l’esonero.

Il procedimento ha le sue scansioni nel successivo art.17 delle disposizioni di attuazione, norma la

cui non chiara formulazione ha comportato non risolte problematiche interpretative, che in più di

un’occasione sembravano portare ad una riforma della norma stessa, in realtà mai tradotta in

interventi concreti.Titolare dell’azione disciplinare è il Procuratore generale presso la Corte

d’Appello nel cui distretto l’operatore di polizia giudiziaria presta servizio, il quale ha anche

l’obbligo di comunicare all’amministrazione di appartenenza l’avvenuta attivazione dell’azione

disciplinare stessa. L’addebito è contestato per iscritto indicando succintamente il fatto e la

specifica trasgressione della quale l’operatore è chiamato a rispondere, nonché l’avviso che fino a

cinque giorni prima dell’udienza egli può presentare memorie, produrre scritti difensivi e

richiedere l’audizione di testimoni. La contestazione deve essere notificata all’incolpato.

Fin qui, ci pare, nessun particolare problema essendo in qualche modo mutuato il meccanismo che

caratterizza il procedimento disciplinare nelle pubbliche amministrazioni.In relazione, quindi, al

84 Cass., sez.un., n.5021 del 16 maggio 1996 in Arch. Nuova proc. pen., 1996, 397, inerente una perquisizione domiciliare nel corso della quale erano stati sequestrati circa 31 grammi di cocaina. Di fatto, attraverso il principio della obbligatorietà del sequestro del corpo del reato, si finisce sempre per salvare l’acquisizione probatoria, a prescindere dalla arbitrarietà o illiceità della condotta del soggetto agente. 85 Proprio in materia di perquisizione illegittima, la sanzionabilita sul piano disciplinare, a prescindere dalla acquisizione delle risultanze del conseguente sequestro, è espressamente affermata in Cass., sez. I, n.5430 del 16 novembre 1995.

procedimento disciplinare a carico di appartenenti alla Polizia Municipale quali appartenenti comunque al comparto enti locali, si pongono tutte le questioni note agli esperti della materia circa come debba intendersi la specificità dell’addebito, il diritto di accesso agli atti, ecc. Il problema più consistente nasce per l’individuazione dell’organo competente a giudicare giudizio, ovvero i componenti della Commissione descritta dal comma 3 dell’art.17, già indicato come non immediatamente comprensibile nella sua formulazione letterale.. La Commissione infatti si dovrebbe comporre:

                     del Presidente di sezione della Corte di Appello, che la presiede;

                     di un magistrato di tribunale;

                     di un ufficiale di polizia giudiziaria scelto in una terna di nomi indicati dal Questore, se si debba procedere nei confronti di un appartenente alla Polizia di Stato, dal Comandante di Regione dei C.C., se, appunto, trattasi di un appartenente all’Arma, dal Comandante di zona della G.d.F., se trattasi di un proprio militare.

 

La nomina ha validità biennale, per cui in teoria ogni Corte di Appello dovrebbe avere a disposizione una serie di terne di nomi, oltre che, ovviamente, i nominativi del magistrato di tribunale, che non è ben chiaro se debba essere lo stesso a prescindere dal circondario nel quale presta servizio l’operatore di P.G. incolpato. Ma per gli operatori di polizia locale, relativamente ai quali, appunto, non potendosi applicare le regole e quindi le composizioni di cui sopra, vale l’ulteriore precisazione, pure contenuta nella norma, in forza della quale deve essere chiamato a far parte della commissione “un ufficiale di polizia giudiziaria appartenente alla stessa amministrazione dell’incolpato e nominato ogni due anni dagli organi che la rappresentano”.

Cosa si deve intendere per “ufficiale appartenente alla stessa amministrazione”? Si deve trattare di un ufficiale del medesimo Comune, ovvero di un ufficiale di P.G. comunque appartenente alla Polizia locale? E in tale ipotesi, chi lo designa? Il Sindaco del Comune capoluogo di Provincia o addirittura di Regione? Come si intuisce, la norma, poco conosciuta proprio perché fortunatamente almeno fino ad oggi poco applicata, rischia di complicare non poco la vita del Procuratore generale della Corte di Appello ove gli pervenga la segnalazione di un fatto comportante la necessarietà di addebito disciplinare per un vigile urbano. E a stretto rigore, in tutti i casi nei quali venga promossa un’azione penale per reati specifici che presuppongono proprio la qualifica di P.G. del soggetto agente – primo fra tutti quello di cui all’art.361 C.P.(Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale) –l’addebito disciplinare dovrebbe essere provato per così dire in re ipsa. Salvo a voler attendere l’accertamento del fatto-reato in tutte le sue componenti e dunque la relativa sentenza di condanna.

In buona sostanza, e con buona pace della certezza del diritto, che, viste le gravi conseguenze che possono scaturire da un accertamento disciplinare di siffatta tipologia, pare rimessa alla mera discrezionalità dell’ Autorità giudiziaria, vuoi che si tratti della magistratura giudicante che requirente, dare notizia dei fatti al Procuratore generale presso la Corte di Appello affinché promuova, lui sì, necessariamente, l’azione disciplinare conseguente.Circostanza che potrebbe verificarsi anche laddove sotto il profilo penale si addivenga ad archiviazione della notitia criminis, magari per mancanza dell’elemento psicologico del dolo e la ritenuta sussistenza, invece, di negligenza gestionale tale da poter fondare del tutto propriamente una responsabilità esclusivamente disciplinare. D’altro canto, lo scarsissimo utilizzo del potere disciplinare in queste fattispecie ci conforta circa l’asserita discrezionalità degli organi giudiziari nello stabilire l’an del procedimento de quo. Per come risulta impostato il meccanismo, è evidente inoltre che, se non si vuole pensare che ciascun comune trasmetta in autonomia il nominativo dell’ufficiale di P.G. delegato a far parte della commissione di primo grado, ingolfando le segreterie delle procure distrettuali, sembrerebbe doversi ipotizzare una chiamata volta per volta con formazione della Commissione al momento in cui si presenta il problema e conseguente palese violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge. E’ anche vero che se ciascuna amministrazione provvedendo comunque

alla nomina del proprio membro, potenziale componente della Commissione, tenendo il relativo provvedimento ( ordinanza sindacale? delibera di Giunta?) agli atti del Comune, le criticità non verrebbero comunque meno: si pensi alle ridotte dimensioni della stragrande maggioranza dei Comuni di Italia e alle conseguenti ridotte dimensioni dei relativi Corpi e servizi. Il risultato sarà una nomina “scontata” per l’impossibilità di reperire più nominativi e quindi l’obbligatorietà dei contenuti della scelta.86 La Commissione di secondo grado di cui all’art. 18 disp.att. C.P.P. replica in toto le criticità sopra evidenziate: trattasi dell’organo collegiale cui è possibile fare ricorso contro la decisione “di primo grado” sia da parte dell’accusa ( procuratore generale presso la Corte d’appello) che della difesa ( incolpato).Essa infatti si compone di:

                     un magistrato di Cassazione, che la presiede;

                     un magistrato che esercita funzioni di appello;

                     un ufficiale di polizia giudiziaria scelto fra una terna di nomi designati, a seconda dell’appartenenza dell’incolpato, dal capo della polizia, dai comandanti generali dei carabinieri e della guardia di finanza.

 

In questi casi, la designazione, che per i magistrati compete al C.S.M., deve avvenire ogni quattro anni. L’accusa è esercitata da un magistrato della procura generale della Cassazione per cui, almeno in teoria, l’organismo, ove precostituito come sembrerebbe dover essere, andrebbe concretamente nominato dal Procuratore generale della Cassazione stessa. Per un incolpato non appartenente alla Polizia di Stato,ai carabinieri o alla G.d.F. valgono le stesse regole – e conseguono le stesse problematiche- viste in precedenza. Il procedimento ricalca anche in questo caso il meccanismo di quello disciplinare: è quindi possibile farsi assistere da un difensore scelto tra gli appartenenti alla propria amministrazione o tra gli avvocati iscritti all’albo professionale. In mancanza, si procede alla nomina di un difensore d’ufficio con le modalità di cui all’art.97 C.p.p. Il procedimento infine segue le regole dettate dall’art. 127 C.p.p. per quelli che si svolgono in camera di consiglio.L’ art.129 delle disposizioni di attuazione del C.p.p. prevede che “Quando esercita l’azione penale nei confronti di un impiegato dello Stato o di un altro ente pubblico, il pubblico ministero informa l’autorità da cui l’impiegato dipende, dando notizia dell’imputazione”.

Con le stesse modalità, quindi, l’informativa potrebbe essere inoltrata anche al titolare di questo specifico potere disciplinare, determinando l’attivazione del procedimento sopra sommariamente descritto.

Conclusioni

Come si vede, il potere di accesso in un luogo da parte di un organo di polizia, vuoi che la finalità sia di natura amministrativa che penale, incontra l’insormontabile limite della privata dimora , in forza della tutela accordata alla stessa dall’art.14 della Costituzione e, prima ancora, dall’art.13, inerente la inviolabilità della libertà personale in senso lato intesa. Ed è proprio attraverso il filtro della tutela della libertà personale che si è via via addivenuti ad un ampliamento del concetto di privata dimora. Il “domicilio”, infatti, rappresenta sicuramente la sfera in cui più di ogni altra l’uomo esplica la sua personalità e la sua tutela è legata da un vincolo di strumentalità alla tutela della libertà personale medesima. Al pari della libertà personale, infatti, il domicilio è qualificato come “inviolabile” e protetto con garanzie analoghe ( riserva assoluta di legge proprio in relazione a ispezioni, perquisizioni e sequestri). Tale maggior tutela, se da un lato ha avuto l’innegabile pregio di rafforzare le garanzie accordate dall’ordinamento all’individuo e ai luoghi ove estrinseca la propria personalità, dall’altro rischia di imbrigliare notevolmente le possibilità di accertamento degli illeciti da parte degli organi di

86 Ovviamente analoghe problematiche valgono per tutte le forze di polizia a competenza settorialmente limitata, come la Polizia Provinciale, ma anche i servizi ispettivi di A.S.L. e A.R.P.A., ecc.

controllo. Le oscillazioni giurisprudenziali evidenziate ad esempio in materia di collocazione dogmatica del veicolo, risultano paradigmatiche di suddette difficoltà operative, spesso insormontabili in assenza di precise indicazioni della magistratura locale. Questo perché gli approfondimenti giurisprudenziali di legittimità, viceversa, non paiono tranquillizzanti in un senso

o nell’altro e a parte l’interesse accademico alla vicenda assai spesso mostrano orientamenti restrittivi teleologicamente orientati all’acquisizione di prove nel processo, piuttosto che all’analisi e alla confutazione di precedenti affermazioni di diritto sostanziale. Se è vero, poi, che la giurisprudenza in materia di violazione di domicilio commessa da pubblico ufficiale è particolarmente – e fortunatamente – scarsa, altrettanto vero è che su tutte le pronunce che hanno inteso recuperare la valenza probatoria del sequestro conseguente a perquisizione illegittima, aleggia, se ci è consentito il termine, lo spauracchio della ipotetica responsabilità disciplinare che comunque consegue alla violazione di norme che disciplinano l’operato della Polizia giudiziaria. Forzare la mano con intimazioni-diffide la cui successiva sanzionabilità, o, peggio ancora, coercibilità, è a sua volta dubbia, francamente ci pare altrettanto poco conveniente, potendo esporre al rischio di commissione di ulteriori ipotesi di reato, pure da taluni ritenute sussistenti, quale la violenza privata, il cui richiamo risulterebbe altrimenti ben poco comprensibile. E’ evidente quindi che in siffatto panorama il consiglio operativo non può che essere in termini di cautela, quasi si dovessero condividere necessariamente i suggerimenti della Suprema Corte che hanno via via esteso –pur con ripensamenti ed oscillazioni – il concetto di privata dimora, imponendo per l’accertamento degli illeciti, in particolare quelli di natura amministrativa, l’utilizzo di atti diversi da quelli che in qualsiasi modo vengano ad incidere negativamente e coattivamente sull’utilizzo anche illegittimo della stessa da parte del privato cittadino. Tutto quanto sopra, ovviamente, solo laddove manchi una disposizione di legge che disciplini espressamente il potere inverso, con ciò soddisfacendo anche il principio di riserva assoluta più volte ricordato quale baluardo di tutela della libertà personale in genere, di domicilio come sua prima estrinsecazione, in specie.