Cass. Sez. III n. 37303 del 10 novembre 2006 (ud. 4 ott. 2006)
Pres. Papa Est. Sarno Ric. Nataloni
Rifiuti. Attività di recupero di rifiuti di legno

L’attività di recupero di rifiuti speciali pericolosi costituiti da scarti di legno e sughero e imballaggi di legno, consistente nell’acquisizione e nel primo assemblaggio degli scarti da cedere ad altri in vista di successive trasformazioni che ne consentano l’utilizzo non è astrattamente riconducibile alla nozione di materia prima secondaria già contemplata dall’abrogato art. 14 DL 138-2002 né a quella di MPS ora disciplinata dall’art. 181 lettera b) D.Lv. 152-2006 o di sottoprodotto definita dall’art. 183 lettera n) del medesimo D.Lv.

Udienza pubblica del 4.10.2006
SENTENZA N. 01545/2006
REG. GENERALE n. 033712/2005


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli III. mi Signori
1. Dott. PAPA ENRICO                                       Presidente
2. Dott. TERESI ALFREDO                                  Consigliere
3. Dott. TARDINO VINCENZO LUIGI                     Consigliere
4. Dott. IANNIELLO ANTONIO                              Consigliere
5. Dott. SARNO GIULIO                                       Consigliere

ha pronunciato la seguente


SENTENZA/ORDINANZA


sul ricorso proposto da :
1) NATALONI PAOLO                N. IL 07/02/1958


avverso SENTENZA del 14/02/2005

TRIBUNALE                          di ROMA

visti gli atti, la sentenza ed il procedimento
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere SARNO GIULIO
Udito il Procuratore Generale in persona del dott. Izzo Gioacchino

che ha concluso per il rigetto del ricorso
Udito, per la parte civile il  l'Avv. /
Udito il difensore avv. Liberali Alberto


Nataloni Paolo imputato del reato di cui agli articoli 51 comma 1 lettera a) d. L. vo n. 22/97, perchè, in qualità di legale rappresentante della ditta "Ecolegno Roma srl" effettuava dal 13.6.2001 al 9.5.2002 attività di recupero di rifiuti speciali pericolosi, costituiti da scarti di legno e sughero, imballaggi di legno senza la prescritta autorizzazione o iscrizione in quanto revocata dalla provincia di Roma in data 5.6.2001 e avendo iniziato la predetta attività prima del 90 giorni previsti dall'art. 33 comma 1 del d. Lvo 22/97 dalla comunicazione di inizio attività inoltrata alla provincia di Roma in data 22.2.2002, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del tribunale di Roma con la quale veniva condannato alla pena di euro 1800 di ammenda, con pena sospesa.


Eccepisce il ricorrente l'illegittimità costituzionale dell'articolo 14 DL n 138/2002, così come convertito con modificazione nella legge n 178/2002 recante interpretazione autentica della definizione di rifiuto di cui all'articolo 6 comma 1 lettera a) d.Lvo n 22/1997 per violazione dell'articolo 25 comma 2 della Costituzione attinente al principio di legalità della pena nonché a quello connesso di tassatività e sufficiente determinatezza della fattispecie penale; dell'articolo 112 della Costituzione relativo all'obbligatorietà dell'azione penale; dell'articolo 111 della Costituzione relativo al diritto di difesa; e dell'articolo 3 comma 2 della Costituzione relativo all'uguaglianza sostanziale dei cittadini.


Eccepisce inoltre l'inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 14 d.l. n 138/2002 così come convertito con modificazione della legge numero 178/2002.


Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.


Motivi della decisione


Il ricorso deve essere rigettato.


Le questioni poste dal ricorrente, accomunando profili diversi e non tutti omogenei, impongono anzitutto che si faccia ordine sotto il profilo logico nella trattazione di esse.


In questa sede il ricorrente, richiamando il disposto dell'art. 14, nega la necessità dell'autorizzazione per lo svolgimento della sua attività ritenendo che in base alla predetta disposizione gli scarti trattati non potevano essere considerati rifiuti ma invece materia prima secondaria in quanto riutilizzata in diversi cicli produttivi senza pregiudizio per l'ambiente.


In subordine eccepisce l'illegittimità costituzionale dell'art. 14 stesso sul presupposto che manca nell'ordinamento una nozione definita di rifiuto, e che, comunque, non può riconoscersi efficacia diretta della normativa comunitaria.


Orbene, in ordine alla prima questione va anzitutto premesso che il d. l.vo n. 22/1997, - analogamente a quanto attualmente dispone l'allegato D del d. l.vo n. 152/2006 - includeva tra i rifiuti anche quelli della lavorazione del legno (03.01).


Ciò posto, rispetto all'obiezione del ricorrente secondo cui nella specie si sarebbe in presenza non già di rifiuti ma di materia prima secondaria si rendono preliminarmente necessarie alcune puntualizzazioni in relazione alla delimitazione delle due nozioni.


Per quanto concerne la nozione di materia prima secondaria nell'art. 4, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 22/1977 si faceva riferimento alla "materia prima" ottenuta dal recupero di rifiuti e l'art. 3, comma 1, del d.m. 5 febbraio 1998, adottato in attuazione di quanto disposto dall'art. 31 del citato d.lgs. n. 22/1997, espressamente precisava che "restano sottoposti al regime dei rifiuti i prodotti, le materie prime e le materie prime secondarie ottenuti dalle attività di recupero che non vengono destinati in modo oggettivo ed effettivo all'utilizzo nei cicli di consumo o di produzione."


L'art. 14 del d.l. 8 luglio 2002 n. 138, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 2002 n. 178 esclude dal concetto di rifiuto "beni, sostanze e materiali residui di produzione" che possano essere e siano effettivamente e oggettivamente reimpiegati nello stesso o in diverso ciclo produttivo, e ciò sia che si renda necessario, ovvero che non sia necessario, un qualche trattamento preventivo, purché non si tratti di una delle operazioni di trasformazione di cui all'allegato C del d.lgs. n. 22 del 1997.


In relazione alla disposizione citata questa stessa Sezione con una decisione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della norma citata essendosi ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 del D.L. n. 8 luglio 2002 n. 138, convertito in legge 8 agosto 2002 n. 178, di interpretazione autentica della nozione di rifiuto contenuta nell'art. 6 del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, attuativo delle direttive 91/156/CEE, 91/689/CEE e 94/62/CE sui rifiuti, come ulteriormente definita dalla Corte di Giustizia europea, per contrasto con gli artt. 11 e 117 Cost. (Sez. 3, Ordinanza n. 1414 del 14/12/2005 Rv. 232603).


La Corte infatti sostiene che "l'art. 14 ha introdotto una doppia deroga alla definizione comunitaria di rifiuto, sia laddove ha identificato l'attività di "disfarsi" della sostanza con quella di smaltimento o di recupero della medesima (escludendo così l'attività di abbandono), sia laddove ha escluso la volontà o l'obbligo di "disfarsi" di residui di produzione o di consumo quando questi sono o possono essere riutilizzati tal quali senza trattamenti recuperatori e senza pregiudizio per l'ambiente. In tal modo ha esonerato dal controllo amministrativo e dalla disciplina sui rifiuti attività con cui il detentore si disfa di residui di produzione o di consumo, creando pericolo per l'ambiente.


In altre decisioni, invece, e da ultimo nella sentenza n. 20499 del 14/04/2005, Colli ed altri, Rv. 231528, si è comunque ritenuto che anche per la normativa nazionale deve accedersi, quanto all'ipotesi dei residui di produzione, ad un'interpretazione della fattispecie derogatoria del secondo comma dell'art. 14 cit., orientata dall'esigenza di conformità alla normativa comunitaria e, di conseguenza si è affermato che al fine di delineare l'ambito di operatività della nozione di rifiuto occorre distinguere tra i "residui di produzione" che, pur se suscettibili di eventuale successiva utilizzazione previa trasformazione, vanno qualificati come rifiuti ed i "sottoprodotti" che non vi rientrano, atteso che solo ciò che non nuoce all'ambiente e può essere inequivocabilmente ed immediatamente utilizzato come materia prima secondaria senza previa trasformazione in un processo produttivo si sottrae alla disciplina sui rifiuti di cui al D lgs. 5 febbraio 1997 n. 22.


Ciò che interessa comunque evidenziare ai fini della decisione in esame è che in entrambe le situazioni si è comunque ritenuto che l'ordinamento nazionale non potesse che uniformarsi ai principi comunitari per la nozione di rifiuto.


Nelle more della pronuncia della Corte Costituzionale il quadro normativo è ancora mutato.


la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 14 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138 (Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della spesa farmaceutica e per il sostegno dell'economia anche nelle aree svantaggiate), convertito, con modificazioni, in legge 8 agosto 2002, n. 178, e dell'art. 1, commi 25, 26, 27, 28 e 29, della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, coordinamento e l'integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), con riferimento agli artt. 11 e 117 della Costituzione, con ordinanza del 3 luglio 2006 n. 288, ha ordinato la restituzione degli atti ai giudici a quibus ai fini di una nuova valutazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni sollevate alla luce dello ius superveniens.


Ed, invero, ha osservato la Corte che, successivamente alle ordinanze di rimessione, è intervenuto il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2006, supplemento ordinario, il quale, in attuazione della delega conferita dall'art. 1 della legge n. 308 del 2004, reca, nella parte quarta (Norme in tema di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati), una nuova disciplina della gestione dei rifiuti, integralmente sostitutiva di quella gia contenuta nel d.lgs. n. 22 del 1997.


Il d.lgs. n. 152 del 2006 ha espressamente abrogato, infatti, all'art. 264, comma 1, lettera l), la norma di interpretazione autentica di cui all'art. 14 del d.l. n. 138 del 2002, - pure originariamente tenuta ferma in alcune disposizioni della l. 308/2004 ed ha provveduto con l'art. 183 a ridefinire la nozione di rifiuto (lettera a) introducendo, al contempo, alla lettera n) la nozione di sottoprodotto e prevedendo alla lettera q) quella di materia prima secondaria.


Peraltro, come osservato dalla stessa Corte Costituzionale, il quadro normativo di riferimento deve contemporaneamente registrare anche l'abrogazione della direttiva 75/442/CEE ad opera della nuova direttiva in materia di rifiuti 2006/12/CE del 5 aprile 2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 27 aprile 2006, n. L 114, ed entrata in vigore 17 maggio 2006 che, tra l'altro, all'art. 1, paragrafo 1, lettera a), modifica anche, sia pure parzialmente, la precedente definizione di rifiuto espressamente includendo nella definizione anche i beni dei quali vi sia "l'intenzione di disfarsi".


Venendo ora alla specifica questione osserva il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata sottolinea che, pure a seguito di revoca dell'autorizzazione da parte della provincia di Roma, la società del ricorrente ha continuato a svolgere la sua attività di ricevimento di rifiuti in legno, compattazione degli stessi anche mediante il taglio, adeguamento volumetrico e realizzazione di colli cubici da imballare per la destinazione successiva verso la ditta di vera e propria trasformazione.


Si evidenzia, dunque, che l'attività del ricorrente consisteva nell'acquisizione ed in un primo assemblaggio di scarti - e, quindi, di rifiuti - da cedere ad altri in vista di successive trasformazioni che ne consentissero l'utilizzo.


In questo senso, il materiale "lavorato" dalla ditta del ricorrente, ancora privo di una specifica identità, correttamente è stato ritenuto essere ancora rifiuto alla luce dell'interpretazione dell'art. 14 costituzionalmente orientata in rapporto ai principi comunitari.


Se è vero, infatti, che la Corte di Giustizia ha affermato che in determinate situazioni, un bene, un materiale o una materia prima che deriva da un processo di estrazione o di fabbricazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo, quanto un sottoprodotto, del quale l'impresa non cerca di «disfarsi» ai sensi dell'art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442, ma che essa intende sfruttare o commercializzare a condizioni ad essa favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari, occorre anche ricordare come nella stessa occasione la Corte ha ritenuto che l'interpretazione risultante da una disposizione quale l'art. 14 del decreto legge n. 138/02, secondo la quale affinché un residuo di produzione o di consumo sia sottratto alla qualifica come rifiuto sarebbe sufficiente che esso sia o possa essere riutilizzato in qualunque ciclo di produzione o di consumo, vuoi in assenza di trattamento preventivo e senza arrecare danni all'ambiente, vuoi previo trattamento ma senza che occorra tuttavia un'operazione di recupero ai sensi dell'allegato II B della direttiva 75/442, si risolve manifestamente nel sottrarre alla qualifica come rifiuto residui di produzione o di consumo che invece corrispondono alla definizione sancita dall'art. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 75/442.


(La Corte ha successivamente precisato, peraltro, che la nozione di sottoprodotto non dipende necessariamente dal fatto che sia impiegato dallo stesso operatore che l'ha generato, potendo soddisfare anche il bisogno di altre imprese. causa C-121/03 e C-416/02)

Ed a fronte della tesi difensiva secondo cui nel caso di specie rottami ferrosi successivamente sottoposti a cernita ed a taluni trattamenti, costituivano una materia prima secondaria destinata alla siderurgia, la Corte ha obiettato che essi dovevano tuttavia conservare la qualifica di rifiuti finchè non venivano effettivamente riciclati in prodotti siderurgici, finche cioè non costituivano prodotti finiti del processo di trasformazione cui sono destinati. (Corte di Giustizia Comunità Europee, - Sentenza 11 novembre 2004, causa C-457/02, Niselli).


Alla medesima conclusione si deve pervenire anche alla luce delle nuove disposizioni contenute nel D.Lvo n. 152/2006.


Quest'ultimo, infatti, per un verso all'art. 181 lett. b) – richiamato dall'art. 183 lett. q) – ribadisce che la materia prima secondaria si ottiene all'esito di un'attività di recupero, e per altro alla lettera n) dell'art. 183, mutuando almeno in parte i concetti elaborati dalla Corte di Giustizia, fornisce la nozione di sottoprodotto definendo tali i prodotti dell'attività dell'impresa che, pur non costituendo l'oggetto dell'attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo industriale dell'impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o al consumo.


Si precisa, tuttavia, anche che non sono soggetti alle disposizioni di cui alla parte quarta del decreto i sottoprodotti di cui l'impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi e non abbia deciso di disfarsi ed in particolare i sottoprodotti impiegati direttamente dall'impresa che li produce o li commercializza a condizioni economicamente favorevoli per l'impresa stessa direttamente per il consumo o per l'impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo; e che, a quest'ultimo fine, per trasformazione preliminare s'intende qualsiasi operazione che faccia perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche merceologiche di qualità e le proprietà che esso gia possiede, e che si rende necessaria per il successivo impiego in un processo produttivo o per il consumo.


Si aggiunge anche che l'utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale e, soprattutto che deve essere attestata la destinazione del sottoprodotto ad effettivo utilizzo in base a tali standard e norme tramite una dichiarazione del produttore o detentore, controfirmata dal titolare dell'impianto dove avviene l'effettivo utilizzo.


Il che evidentemente non è avvenuto nel caso di specie.


Peraltro nemmeno la nuova normativa è stata ritenuta da più parti conforme ai principi comunitari ed in particolare alla nozione di rifiuto ivi elaborata.


In questo senso si è già eccepita, infatti, anche per gli artt. 181, commi 7-11, 183, comma 1, lettere g), h), m), n), q) ed u), del d.lgs. n. 152 del 2006, i quali, rispettivamente, riguardano la previsione di accordi di programma per la definizione dei metodi di recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento di materie prime secondarie, di combustibili o di prodotti e la fissazione delle nozioni di "smaltimento", "recupero", "deposito temporaneo", "sottoprodotto", "materia prima secondaria", "materia prima secondaria per attività siderurgiche e metallurgiche",il contrasto con gli artt. 11, 76, 117 e 118 della Costituzione, operando essi una deregolamentazione del settore e riducendo, mediante l'introduzione di definizioni di sottoprodotto e materia prima secondaria contrastanti con la disciplina comunitaria, l'area di applicazione del regime dei rifiuti. (vd. Corte Costituzionale ord. n. 245 del 2006 che ha dichiarato non luogo a provvedere sull'istanza di sospensione degli artt. 63, 64, 101, comma 7, 154, 155, 181, commi da 7 ad 11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3, 214, commi 3 e 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 proposta dalla Regione Emilia-Romagna).


Appare, correttamente formulata, dunque la decisione impugnata, né, come detto vi può essere spazio per eccepire ancora la prospettata questione di legittimità costituzionale che, dunque, per le ragioni indicate appare nella specie irrilevante.


Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali


P.Q.M.


La Corte Suprema di Cassazione

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Così deciso in Roma il 4.10.2006



L' estensore              Il presidente
 Sarno Giulio                    Enrico Papa