Cass. Sez. III Sent. 2477 del 17gennaio 2008 (Ud. 9 ott. 2007)
Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Marcianò ed altri
Rifiuti. Discarica abusiva e confisca area in comproprietà indivisa
La confisca prevista dall’art. 256 co. 3 D.Lv. 152-06 non può essere disposta dal giudice, in caso di comproprietà indivisa dell\'area, nei confronti di quei comproprietari che non siano responsabili, quanto meno a titolo di concorso, del reato di discarica abusiva, non potendo applicarsi la misura di sicurezza, ablativa della proprietà, in danno di persone che non hanno commesso alcun illecito penalmente rilevante e non avendo l\'area medesima natura intrinsecamente criminosa. La restituzione dell\' intero bene, però, ad uno o più titolari della comproprietà indivisa rimasti estranei al reato, consentirebbe anche al proprietario condannato di riacquistare la piena disponibilità dell\'immobile, con evidente elusione della "ratto" della norma, che va individuata nell\' opposta esigenza di evitare che l\'area interessata rimanga nella disponibilità del proprietario il quale la abbia già utilizzata come strumento del reato. Affinché, pertanto, il diritto del terzo estraneo al reato non venga sacrificato, la quota di spettanza di esso estraneo potrà essergli restituita come proprietà singolare sulla quale il reo non abbia diritto di disporre
Pres. Lupo Est. Fiale Ric. Marcianò ed altri
Rifiuti. Discarica abusiva e confisca area in comproprietà indivisa
La confisca prevista dall’art. 256 co. 3 D.Lv. 152-06 non può essere disposta dal giudice, in caso di comproprietà indivisa dell\'area, nei confronti di quei comproprietari che non siano responsabili, quanto meno a titolo di concorso, del reato di discarica abusiva, non potendo applicarsi la misura di sicurezza, ablativa della proprietà, in danno di persone che non hanno commesso alcun illecito penalmente rilevante e non avendo l\'area medesima natura intrinsecamente criminosa. La restituzione dell\' intero bene, però, ad uno o più titolari della comproprietà indivisa rimasti estranei al reato, consentirebbe anche al proprietario condannato di riacquistare la piena disponibilità dell\'immobile, con evidente elusione della "ratto" della norma, che va individuata nell\' opposta esigenza di evitare che l\'area interessata rimanga nella disponibilità del proprietario il quale la abbia già utilizzata come strumento del reato. Affinché, pertanto, il diritto del terzo estraneo al reato non venga sacrificato, la quota di spettanza di esso estraneo potrà essergli restituita come proprietà singolare sulla quale il reo non abbia diritto di disporre
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 25 ottobre 2006, confermava la sentenza 17 maggio 2005 del Tribunale monocratico di quella città, che aveva affermato la responsabilità penale di Marcianò Pasquale, Marcianò Consolato e Sgroi Elia Francesca in ordine al reato di cui:
- all’art. 51, 3° comma, D.Lgs. n. 22/1997, per avere realizzato e gestito, in concorso tra loro, una discarica non autorizzata di rifiuti in un fondo di proprietà comune - acc. in Reggio Calabria, il 7 maggio 2003
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, aveva condannato ciascuno alla pena di mesi quattro di arresto ed euro 3.000,00 di ammenda, disponendo la confisca dell’area e concedendo a tuffi il beneficio della sospensione condizionale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso congiunto il difensore degli imputati, il quale, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, ha eccepito:
- la inconfigurabilità del reato di discarica abusiva, poiché il fondo interessato dall’accumulo dei rifiuti, fino ad un anno e mezzo prima dell’accertamento in oggetto, era rimasto privo di recinzione, sicché chiunque poteva accedere liberamente ad esso per depositare qualsivoglia materiale. Mancherebbe, inoltre, la dimostrazione sia dell’attivazione di una pur rudimentale organizzazione di persone e di mezzi finalizzata al funzionamento della stessa, sia del degrado oggettivo del sito;
- la inconfigurabilità del reato, in particolare, nei confronti della Sgroi e di Marcianò Pasquale, in quanto, secondo la giurisprudenza di legittimità, detta configurabilità è esclusa nei confronti di chi, avendo la disponibilità di un’area sulla quale altri abbiano abbandonato rifiuti, si limiti, senza fornire alcuna forma di contributo concreto alla realizzazione della discarica, a non attivarsi perché questi ultimi vengano rimossi;
- la illegittimità della disposta confisca del fondo di proprietà comune, che cagiona una ingiusta spoliazione patrimoniale dei comproprietari incolpevoli.
Motivi della decisione
1. Il ricorso di Marcianò Consolato deve essere rigettato, perché le doglianze a quegli riferite sono infondate.
L’art. 51, comma 3, del D.Lgs. n. 22/1997 (con previsione trasfusa nell’art. 256, 3° comma, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) sanziona penalmente “chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata” e la giurisprudenza di questa Corte Suprema ha evidenziato che:
a) la realizzazione di una discarica può effettuarsi attraverso diverse attività:
- anzitutto, il vero e proprio allestimento a discarica di un’area, con il compimento delle opere occorrenti a tal fine: spianamento del terreno, apertura dei relativi accessi, recinzione, etc. (vedi Cass.: Sez. Unite 28 dicembre 1994, Zaccarelli e, più di recente, Sez. III, 30 aprile 2002, Francese);
- ma anche il ripetitivo accumulo nello stesso luogo di sostanze oggettivamente destinate all’abbandono con trasformazione, sia pure tendenziale, del sito, degradato dalla presenza dei rifiuti (vedi Cass., Sez. III: 10 gennaio 2002, Garzia; 24 settembre 2001, Bistolfi; 11 ottobre 2000, Cimini).
Secondo un’interpretazione giurisprudenziale, potrebbe integrare il reato di discarica abusiva anche un unico conferimento di ingenti quantità di rifiuti che faccia però assumere alla zona interessata l’inequivoca destinazione di ricettacolo di rifiuti, con conseguente trasformazione del territorio (Cass., Sez. III, 4 novembre 1994, Zagni);
b) la gestione di una discarica si identifica in una attività autonoma, successiva alla realizzazione, che può essere compiuta dallo stesso autore di quest’ultima o da altri soggetti, e che consiste nell’attivazione di un’organizzazione, articolata o rudimentale, di persone e cose diretta al funzionamento della discarica medesima (vedi Cass,: Sez. III, 11 aprile 1997, Vasco).
Nella fattispecie in esame la Corte di merito ha appunto accertato, in fatto - e ne ha dato conto con motivazione razionale ed esauriente - la realizzazione di una discarica attraverso il ripetitivo accumulo nello stesso luogo (pari a circa 3.000 mq. di un fondo esteso complessivamente circa 28.000 mq.) di una notevole quantità di materiali oggettivamente destinati all’abbandono (materiali edilizi di risulta, suppellettili varie, elettrodomestici in disuso, barattoli vuoti di vernice, lastre di catrame, pezzi di asfalto ed altro), con trasformazione del sito, oggettivamente degradato dalla presenza dei rifiuti, e tale accertamento è, altresì, assolutamente compatibile con la definizione di “discarica” introdotta dall’art. 2, lett. g), del D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 31.
Nel sito anzidetto - un fondo di proprietà comune dei tre imputati, interamente recintato - i Carabinieri della Stazione di Cannavò di Reggio Calabria hanno personalmente constatato l’effettuazione flagrante di attività di scarico di materiale derivante da demolizioni, ivi trasportato con un autocarro di proprietà di Consolato Marcianò e condotto da un suo dipendente.
2. Il ricorso, invece, è fondato in riferimento alla configurabilità della contravvenzione contestata nei confronti della Sgroi e di Marcianò Pasquale (rispettivamente madre e fratello di Marcianò Consolato).
In relazione alla possibilità di ritenere integrata la contravvenzione “de qua” anche in forma omissiva, la più recente giurisprudenza di questa Corte Suprema - sulla scia della sentenza delle Sezioni Unite 28 dicembre 1994, Zaccarelli - è orientata nel senso della inconfigurabilità del reato di realizzazione o esercizio di discarica abusiva rispetto alla condotta di chi, avendo la disponibilità di un’area sella quale altri abbiano abbandonato rifiuti, si limiti a non attivarsi affinché questi ultimi vengano rimossi, purché non risulti accertato il concorso, a qualunque titolo, del possessore del fondo con gli autori del fatto (non sussistendo una posizione di garanzia in capo allo stesso), ovvero una condotta di compartecipazione agevolatrice (vedi Cass., Sez. III: 21 settembre 2006, n. 31401, Boccabella; 2 aprile 2006, n. 13456, Gritti ed altro; 10 giugno 2005, n. 21966, Nugnes; 5 novembre 2002, Laganà; 26 settembre 2002, Ponzio).
Nella fattispecie in esame la Corte territoriale - dopo avere inconfutabilmente accertato la realizzazione del reato, informa commissiva, ad opera di Consolato Marcianò - si è limitata, in relazione agli altri due imputati, ad affermare, in modo apodittico, che essi “hanno comunque consentito al congiunto di utilizzare il terreno per lo smaltimento dei rifiuti provenienti da demolizione e hanno indubbiamente avallato comportamenti similari, tenuto conto che l’area era anche ingombra di altro tipo di materiale”.
Marcianò Consolato ha prospettato che i congiunti erano del tutto estranei alla sua attività ed il Tribunale, al riguardo, aveva evidenziato un “atteggiamento psicologico quanto meno colposo”, per avere i due imputati “cooperato alla realizzazione della recinzione”.
In una situazione siffatta non si rinvengono nella sentenza impugnata (pure in una lettura integrata con la decisione di primo grado) argomentazioni logiche e coerenti che, con considerazioni riferite a riscontrati elementi di fatto, evidenzino una situazione non di mera consapevolezza e tolleranza, da parte dei coimputati anzidetti, dell’esistenza di una discarica da altri realizzata, bensì di compartecipazione attiva (quantomeno per negligenza) alla imponente attività di abbandono di rifiuti sistematicamente reiterata nel fondo di proprietà comune.
Non risulta motivata, in sostanza, la sussistenza di una ben individuata condotta agevolatrice efficiente sotto il profilo causale, a fronte della pacifica insussistenza di una posizione di garanzia.
La sentenza impugnata, conseguentemente, deve essere annullata in punto di affermazione della corresponsabilità di Marcianò Pasquale e Sgroi Elia Francesca, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di Appello di Messina; poiché la Corte territoriale di Reggio Calabria ha un’unica sezione penale.
3. Quanto alla disposta confisca dell’area comune interessata dalla discarica, va rilevato che, a norma dell’art. 51, 3° comma, del D.Lgs. n. 22/1997, “alla sentenza di condanna o alla decisione emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., consegue la confisco dell’area sulla quale è stata realizzata la discarica abusiva, se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi”. [Ciò significa che il soggetto responsabile, o compartecipe nel reato per dolo o colpa, oltre a subire la pena e la conseguente confisca obbligatoria del sito, resta altresì obbligato alla bonifica ed al ripristino dello stato dei luoghi secondo le prescrizioni di legge].
Trattasi di disposizione testualmente riprodotta nell’art. 256, 3° comma, del D.Lgs. n. 152/2006, in relazione alla quale va ribadito il principio secondo il quale la confisca in essa prevista non può essere disposta dal giudice - in caso di comproprietà indivisa dell’area - nei confronti di quei comproprietari che non siano responsabili, quanto meno a titolo di concorso, del reato di discarica abusiva, non potendo applicarsi la misura di sicurezza, ablativa della proprietà, in danno di persone che non hanno commesso alcun illecito penalmente rilevante e non avendo l’area medesima natura intrinsecamente criminosa (vedi Cass., Sez. III, 26 febbraio 2002, n. 7430, Dessena).
La restituzione dell’intero bene, però, ad uno o più titolari della comproprietà indivisa rimasti estranei al reato, consentirebbe anche al proprietario condannato di riacquistare la piena disponibilità dell’immobile, con evidente elusione della “ratio” della norma, che va individuata nell’opposta esigenza di evitare che l’area interessata rimanga nella disponibilità del proprietario il quale la abbia già utilizzata come strumento del reato.
Affinché, pertanto, il diritto del terzo estraneo al reato non venga sacrificato, la quota di spettanza di esso estraneo potrà essergli restituita come proprietà singolare sulla quale il reo non abbia diritto di disporre (vedi Cass., Sez. III, 21 febbraio 2006, n. 6441, Serra).
Nella vicenda in esame, conseguentemente, la confisca dell’area deve essere confermata nei confronti della quota ideale di spettanza di Consolato Marcianò (demandandosi alla fase esecutiva la individuazione concreta di tale quota) e, quanto alle quote dominicali residue, allorché venisse ravvisata - nel giudizio di rinvio - la corresponsabilità di tutti i comproprietari, dovrà essere disposta la confisca dell’intera area; mentre, in caso di responsabilità limitata ad alcuni soltanto dei comproprietari, la confisca medesima dovrà essere limitata alle sole quote dei soggetti condannati.
4. Al rigetto del ricorso proposto nell’interesse di Marcianò Consolato segue la condanna di detto ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 25 ottobre 2006, confermava la sentenza 17 maggio 2005 del Tribunale monocratico di quella città, che aveva affermato la responsabilità penale di Marcianò Pasquale, Marcianò Consolato e Sgroi Elia Francesca in ordine al reato di cui:
- all’art. 51, 3° comma, D.Lgs. n. 22/1997, per avere realizzato e gestito, in concorso tra loro, una discarica non autorizzata di rifiuti in un fondo di proprietà comune - acc. in Reggio Calabria, il 7 maggio 2003
e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, aveva condannato ciascuno alla pena di mesi quattro di arresto ed euro 3.000,00 di ammenda, disponendo la confisca dell’area e concedendo a tuffi il beneficio della sospensione condizionale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso congiunto il difensore degli imputati, il quale, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, ha eccepito:
- la inconfigurabilità del reato di discarica abusiva, poiché il fondo interessato dall’accumulo dei rifiuti, fino ad un anno e mezzo prima dell’accertamento in oggetto, era rimasto privo di recinzione, sicché chiunque poteva accedere liberamente ad esso per depositare qualsivoglia materiale. Mancherebbe, inoltre, la dimostrazione sia dell’attivazione di una pur rudimentale organizzazione di persone e di mezzi finalizzata al funzionamento della stessa, sia del degrado oggettivo del sito;
- la inconfigurabilità del reato, in particolare, nei confronti della Sgroi e di Marcianò Pasquale, in quanto, secondo la giurisprudenza di legittimità, detta configurabilità è esclusa nei confronti di chi, avendo la disponibilità di un’area sulla quale altri abbiano abbandonato rifiuti, si limiti, senza fornire alcuna forma di contributo concreto alla realizzazione della discarica, a non attivarsi perché questi ultimi vengano rimossi;
- la illegittimità della disposta confisca del fondo di proprietà comune, che cagiona una ingiusta spoliazione patrimoniale dei comproprietari incolpevoli.
Motivi della decisione
1. Il ricorso di Marcianò Consolato deve essere rigettato, perché le doglianze a quegli riferite sono infondate.
L’art. 51, comma 3, del D.Lgs. n. 22/1997 (con previsione trasfusa nell’art. 256, 3° comma, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) sanziona penalmente “chiunque realizza o gestisce una discarica non autorizzata” e la giurisprudenza di questa Corte Suprema ha evidenziato che:
a) la realizzazione di una discarica può effettuarsi attraverso diverse attività:
- anzitutto, il vero e proprio allestimento a discarica di un’area, con il compimento delle opere occorrenti a tal fine: spianamento del terreno, apertura dei relativi accessi, recinzione, etc. (vedi Cass.: Sez. Unite 28 dicembre 1994, Zaccarelli e, più di recente, Sez. III, 30 aprile 2002, Francese);
- ma anche il ripetitivo accumulo nello stesso luogo di sostanze oggettivamente destinate all’abbandono con trasformazione, sia pure tendenziale, del sito, degradato dalla presenza dei rifiuti (vedi Cass., Sez. III: 10 gennaio 2002, Garzia; 24 settembre 2001, Bistolfi; 11 ottobre 2000, Cimini).
Secondo un’interpretazione giurisprudenziale, potrebbe integrare il reato di discarica abusiva anche un unico conferimento di ingenti quantità di rifiuti che faccia però assumere alla zona interessata l’inequivoca destinazione di ricettacolo di rifiuti, con conseguente trasformazione del territorio (Cass., Sez. III, 4 novembre 1994, Zagni);
b) la gestione di una discarica si identifica in una attività autonoma, successiva alla realizzazione, che può essere compiuta dallo stesso autore di quest’ultima o da altri soggetti, e che consiste nell’attivazione di un’organizzazione, articolata o rudimentale, di persone e cose diretta al funzionamento della discarica medesima (vedi Cass,: Sez. III, 11 aprile 1997, Vasco).
Nella fattispecie in esame la Corte di merito ha appunto accertato, in fatto - e ne ha dato conto con motivazione razionale ed esauriente - la realizzazione di una discarica attraverso il ripetitivo accumulo nello stesso luogo (pari a circa 3.000 mq. di un fondo esteso complessivamente circa 28.000 mq.) di una notevole quantità di materiali oggettivamente destinati all’abbandono (materiali edilizi di risulta, suppellettili varie, elettrodomestici in disuso, barattoli vuoti di vernice, lastre di catrame, pezzi di asfalto ed altro), con trasformazione del sito, oggettivamente degradato dalla presenza dei rifiuti, e tale accertamento è, altresì, assolutamente compatibile con la definizione di “discarica” introdotta dall’art. 2, lett. g), del D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 31.
Nel sito anzidetto - un fondo di proprietà comune dei tre imputati, interamente recintato - i Carabinieri della Stazione di Cannavò di Reggio Calabria hanno personalmente constatato l’effettuazione flagrante di attività di scarico di materiale derivante da demolizioni, ivi trasportato con un autocarro di proprietà di Consolato Marcianò e condotto da un suo dipendente.
2. Il ricorso, invece, è fondato in riferimento alla configurabilità della contravvenzione contestata nei confronti della Sgroi e di Marcianò Pasquale (rispettivamente madre e fratello di Marcianò Consolato).
In relazione alla possibilità di ritenere integrata la contravvenzione “de qua” anche in forma omissiva, la più recente giurisprudenza di questa Corte Suprema - sulla scia della sentenza delle Sezioni Unite 28 dicembre 1994, Zaccarelli - è orientata nel senso della inconfigurabilità del reato di realizzazione o esercizio di discarica abusiva rispetto alla condotta di chi, avendo la disponibilità di un’area sella quale altri abbiano abbandonato rifiuti, si limiti a non attivarsi affinché questi ultimi vengano rimossi, purché non risulti accertato il concorso, a qualunque titolo, del possessore del fondo con gli autori del fatto (non sussistendo una posizione di garanzia in capo allo stesso), ovvero una condotta di compartecipazione agevolatrice (vedi Cass., Sez. III: 21 settembre 2006, n. 31401, Boccabella; 2 aprile 2006, n. 13456, Gritti ed altro; 10 giugno 2005, n. 21966, Nugnes; 5 novembre 2002, Laganà; 26 settembre 2002, Ponzio).
Nella fattispecie in esame la Corte territoriale - dopo avere inconfutabilmente accertato la realizzazione del reato, informa commissiva, ad opera di Consolato Marcianò - si è limitata, in relazione agli altri due imputati, ad affermare, in modo apodittico, che essi “hanno comunque consentito al congiunto di utilizzare il terreno per lo smaltimento dei rifiuti provenienti da demolizione e hanno indubbiamente avallato comportamenti similari, tenuto conto che l’area era anche ingombra di altro tipo di materiale”.
Marcianò Consolato ha prospettato che i congiunti erano del tutto estranei alla sua attività ed il Tribunale, al riguardo, aveva evidenziato un “atteggiamento psicologico quanto meno colposo”, per avere i due imputati “cooperato alla realizzazione della recinzione”.
In una situazione siffatta non si rinvengono nella sentenza impugnata (pure in una lettura integrata con la decisione di primo grado) argomentazioni logiche e coerenti che, con considerazioni riferite a riscontrati elementi di fatto, evidenzino una situazione non di mera consapevolezza e tolleranza, da parte dei coimputati anzidetti, dell’esistenza di una discarica da altri realizzata, bensì di compartecipazione attiva (quantomeno per negligenza) alla imponente attività di abbandono di rifiuti sistematicamente reiterata nel fondo di proprietà comune.
Non risulta motivata, in sostanza, la sussistenza di una ben individuata condotta agevolatrice efficiente sotto il profilo causale, a fronte della pacifica insussistenza di una posizione di garanzia.
La sentenza impugnata, conseguentemente, deve essere annullata in punto di affermazione della corresponsabilità di Marcianò Pasquale e Sgroi Elia Francesca, con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di Appello di Messina; poiché la Corte territoriale di Reggio Calabria ha un’unica sezione penale.
3. Quanto alla disposta confisca dell’area comune interessata dalla discarica, va rilevato che, a norma dell’art. 51, 3° comma, del D.Lgs. n. 22/1997, “alla sentenza di condanna o alla decisione emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., consegue la confisco dell’area sulla quale è stata realizzata la discarica abusiva, se di proprietà dell’autore o del compartecipe al reato, fatti salvi gli obblighi di bonifica o di ripristino dello stato dei luoghi”. [Ciò significa che il soggetto responsabile, o compartecipe nel reato per dolo o colpa, oltre a subire la pena e la conseguente confisca obbligatoria del sito, resta altresì obbligato alla bonifica ed al ripristino dello stato dei luoghi secondo le prescrizioni di legge].
Trattasi di disposizione testualmente riprodotta nell’art. 256, 3° comma, del D.Lgs. n. 152/2006, in relazione alla quale va ribadito il principio secondo il quale la confisca in essa prevista non può essere disposta dal giudice - in caso di comproprietà indivisa dell’area - nei confronti di quei comproprietari che non siano responsabili, quanto meno a titolo di concorso, del reato di discarica abusiva, non potendo applicarsi la misura di sicurezza, ablativa della proprietà, in danno di persone che non hanno commesso alcun illecito penalmente rilevante e non avendo l’area medesima natura intrinsecamente criminosa (vedi Cass., Sez. III, 26 febbraio 2002, n. 7430, Dessena).
La restituzione dell’intero bene, però, ad uno o più titolari della comproprietà indivisa rimasti estranei al reato, consentirebbe anche al proprietario condannato di riacquistare la piena disponibilità dell’immobile, con evidente elusione della “ratio” della norma, che va individuata nell’opposta esigenza di evitare che l’area interessata rimanga nella disponibilità del proprietario il quale la abbia già utilizzata come strumento del reato.
Affinché, pertanto, il diritto del terzo estraneo al reato non venga sacrificato, la quota di spettanza di esso estraneo potrà essergli restituita come proprietà singolare sulla quale il reo non abbia diritto di disporre (vedi Cass., Sez. III, 21 febbraio 2006, n. 6441, Serra).
Nella vicenda in esame, conseguentemente, la confisca dell’area deve essere confermata nei confronti della quota ideale di spettanza di Consolato Marcianò (demandandosi alla fase esecutiva la individuazione concreta di tale quota) e, quanto alle quote dominicali residue, allorché venisse ravvisata - nel giudizio di rinvio - la corresponsabilità di tutti i comproprietari, dovrà essere disposta la confisca dell’intera area; mentre, in caso di responsabilità limitata ad alcuni soltanto dei comproprietari, la confisca medesima dovrà essere limitata alle sole quote dei soggetti condannati.
4. Al rigetto del ricorso proposto nell’interesse di Marcianò Consolato segue la condanna di detto ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.