Il trasporto occasionale non integra il reato di cui al 1° comma dell’art. 256 d.leg. 152/06
di Vincenzo PAONE
Con particolare soddisfazione abbiamo letto la sentenza 10 giugno 2014-6 ottobre 2014, n. 41352 della terza sezione della Cassazione perché, finalmente, viene fatta chiarezza, speriamo definitivamente, su una questione specifica in tema di trasporto di rifiuti che potrebbe, tuttavia, avere implicazioni anche più estese.
Si tratta della posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui il reato di trasporto di rifiuti senza autorizzazione ha natura di reato istantaneo che si perfeziona nel momento in cui si realizza la condotta tipica.
Si sostiene, infatti, che anche un trasporto occasionale sia sufficiente per integrare la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 256, 1° comma, d.leg. 152/06 come quella omologa di cui all'art. 6, 1° comma, lett. d), l. n. 210/2008 (1).
La Cassazione, peraltro, oltre a riproporre in modo tralaticio questo principio, è attestata da tempo sull’opinione che la violazione prevista dall’art. 256, 1° comma, configuri un'ipotesi di reato «comune».
Integrando i due principi, gli effetti sono deflagranti: anche un privato cittadino non titolare di impresa che sia colto a trasportare (ed abbandonare) un carico di rifiuti rischia la condanna e la confisca del veicolo!
In verità, prima della sentenza in commento la Corte suprema aveva (timidamente) affermato che con il termine attività (che compare nella norma incriminatrice) deve intendersi «ogni condotta che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità» (2).
Tale concetto è stato ripreso in altra sentenza (3) in cui si è detto che l'art. 256 prevede al 1° ed al 2° comma due distinte ipotesi di reato: nel primo caso, non è sufficiente, ai fini della rilevanza penale, il mero abbandono o deposito incontrollato di rifiuti, che può essere anche occasionale, occorrendo invece una attività, necessariamente organizzata, di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio o intermediazione di rifiuti; nel secondo caso, è sufficiente l'abbandono o il deposito in modo incontrollato di rifiuti.
Un ulteriore passo avanti in direzione del chiarimento si è avuto con la sentenza 24 giugno 2014-9 luglio 2014, n. 29992, PM in proc. Lazzaro, che, annullando il proscioglimento di un raccoglitore cd. itinerante di rifiuti, ha dettato il principio che «La condotta sanzionata dall'art. 256, comma 1 d.lgs. 152/06 è riferibile a chiunque svolga, in assenza del prescritto titolo abilitativo, una attività rientrante tra quelle assentibili ai sensi degli articoli 208, 209, 210, 211, 212, 214, 215 e 216 del medesimo decreto, svolta anche di fatto o in modo secondario o consequenziale all'esercizio di una attività primaria diversa che richieda, per il suo esercizio, uno dei titoli abilitativi indicati e che non sia caratterizzata da assoluta occasionalità».
Una volta acquisito che la condotta incriminata contiene il riferimento ad un’attività continuativa e sistematica, e comunque non connotata dall’occasionalità, diventa meno sostenibile la tesi che la norma si rivolga ad un indifferenziato soggetto e non invece solo al titolare di impresa o comunque al soggetto che, di fatto, svolga, in modo professionale, la gestione dei rifiuti.
In base a quanto appena osservato, si può dunque affermare che l’art. 256, 1° comma, descriva un tipico reato proprio nonostante la norma utilizzi il generico pronome «chiunque» che, come si sa, di per sé non consente certo di definire la natura comune anziché propria del reato. Questa interpretazione, peraltro, trova riscontro anche nelle direttive comunitarie in materia di rifiuti: l’art. 12 direttiva 91/156/Cee stabiliva, infatti, che «gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che provvedono allo smaltimento o al recupero di rifiuti per conto di terzi (commercianti o intermediari) devono essere iscritti presso le competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazione» e, analogamente, l’art. 26 della vigente direttiva 2008/98 parla di enti e imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale (4).
Tenendo conto di questa conclusione e della rilevanza dell’elemento «organizzazione e continuità» insito nel concetto di attività (di cui al 1° comma dell’art. 256), il passo successivo non poteva che essere quello di negare che il reato di trasporto abusivo sia istantaneo, idoneo quindi a sanzionare un qualsiasi atto estemporaneo, isolato, episodico di trasporto di rifiuti, anche se commesso dall’imprenditore.
Immaginiamo, infatti, che un trasporto irregolare sia effettuato, in modo del tutto occasionale, all’interno di una complessiva attività di gestione di rifiuti autorizzata. Seguendo la tesi della prevalente giurisprudenza, si dovrebbe sanzionare questo singolo trasporto ai sensi del 1° comma dell’art. 256, ma così svanisce la linea di confine tra questo reato e quello di inosservanza delle modalità di esercizio dell’attività (4° comma dell’art. 256). Infatti, un trasporto abusivo, perchè ad esempio effettuato con mezzi diversi da quelli originariamente comunicati in sede di iscrizione all'Albo, potrebbe configurare un episodio isolato, espressione di momentanee e/o contingenti deviazioni dall’ordinario modo di svolgere l’attività, e perciò potrebbe essere sanzionato sotto il meno grave titolo di reato del 4° comma dell’art. 256. Soltanto se si accertasse che l’attività di gestione è svolta stabilmente con modalità diverse da quelle autorizzate, sarebbe corretto contestare il più grave reato di cui al 1° comma dell’art. 256 (5).
Va quindi ribadito che un trasporto autenticamente «occasionale», inteso nel senso rigoroso di operazione oggettivamente isolata e del tutto slegata da una continuativa attività di gestione di rifiuti, non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 256, 1° comma, a prescindere comunque da chi l’abbia posto in essere.
D’altronde, come abbiamo altrove osservato (6), se fosse fondata la tesi per cui è sufficiente un solo trasporto per commettere il reato, anche quando l’atto è posto in essere da un privato, non titolare di impresa, dovrebbe derivarne che il soggetto che abbandona gli stessi rifiuti previamente trasportati sarà punito penalmente per il trasporto e sanzionato in via amministrativa per l’abbandono. Sicchè il fatto illecito più grave, perchè offende direttamente l’ambiente, verrebbe ad essere sanzionato meno gravemente del trasporto di rifiuti, oggettivamente meno grave dell’abbandono.
L’irrazionalità di questa conclusione è invece evitabile applicando il principio che: a) il trasporto occasionale commesso dal privato non è autonomamente punibile; b) l’illecito amministrativo, consistente nell’abbandono, assorbe il trasporto degli stessi rifiuti. Nulla di strano visto che si tratta di applicare, anche in questo campo, la soluzione adottata in materia di sostanze stupefacenti: infatti, tutte le volte in cui lo stesso stupefacente trasportato risulti destinato esclusivamente all’uso personale, la prima condotta – astrattamente punibile ex art. 73 d.p.r. n. 309/1990 - è assorbita nell’illecito amministrativo di cui all’art. 75 stesso decreto.
Orbene, ci fa piacere prendere atto che la Corte suprema nella sentenza in commento abbia aderito completamente a questa nostra impostazione.
Nella specie, il tribunale di Treviso aveva condannato un soggetto per avere effettuato il trasporto di rifiuti non pericolosi (cemento, calcestruzzo, mattonelle provenienti di attività di costruzione e demolizione) per mezzo di un rimorchio trascinato da una macchina agricola che era finito fuori strada sicchè i rifiuti si erano sversati sul terreno adiacente.
Dalla sentenza di merito risulta che i rifiuti da demolizione provenivano dall'appartamento della madre dell'imputato il quale non svolgeva alcuna attività imprenditoriale e non era titolare di impresa, né si occupava di smaltimento, trasporto o gestione di rifiuti, in quanto svolgeva l'attività di fornaio.
La Cassazione ha ritenuto che il reato del 1° comma dell’art. 256 non sia integrato dalla condotta di un soggetto privato (che non agisca nell'ambito di una attività di impresa) il quale abbandoni occasionalmente in modo incontrollato un proprio rifiuto e che, a questo scopo, lo porti nel luogo dove poi lo abbandonerà. Infatti, in una tale fattispecie ciò che rileva è solo la condotta principale e finale costituita dall'abbandono del rifiuto, mentre il suo trasporto sul luogo di abbandono costituisce solo una fase preliminare e preparatoria che non acquista autonomo rilievo sotto il profilo penale, rimanendo appunto assorbita nella condotta di abbandono.
E’ stato perciò affermato il principio che «il soggetto privato, non titolare di una impresa e non titolare di un ente, che abbandoni in modo incontrollato un proprio rifiuto, e che a tal fine lo trasporti occasionalmente nel luogo ove lo stesso verrà abbandonato, risponderà solo dell'illecito amministrativo di cui all'art. 255 d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, per l'abbandono e non anche del reato di trasporto abusivo di cui all'art. 256, 1° comma, in quanto la condotta di trasporto si esaurisce nella fase meramente preparatoria e preliminare rispetto alla condotta finale e principale di abbandono».
1 Cfr. in tema Cass. 17 ottobre 2013, n. 45306, C., in Riv. giur. ambiente, 2014, 346, con nostra nota critica; Cass. 19 dicembre 2012, Caraccio, Ambiente e sviluppo, 2013, 574; Cass. 4 ottobre 2012, De Rosa, ibid., 469; Cass. 24 ottobre 2012, n. 49449, D’Angelo, inedita; Cass. 23 gennaio 2013, n. 15617, Massa, inedita; Cass. 23 gennaio 2013, n. 24787, Cuomo, inedita; Cass. 12 luglio 2012, Trevisan, Foro it., 2014, II, 37; Cass. 13 aprile 2010, Hrustic, Ced Cass., rv. 247605; Cass. 13 aprile 2010, Omerovic, Ambiente e sviluppo, 2011, 79; Cass. 13 aprile 2010, Pireddu, Foro it., 2011, II, 106; Cass. 30 novembre 2006, Gritti ed altro, Ced Cass., rv. 236326.
2 Cass. 17 gennaio 2012, Granata, Ambiente e sviluppo, 2013, 60. Nella specie gli imputati avevano rilevato che la nozione di «attività» prevista dall’art. 256, 1° comma, richiede un'attività professionale con un minimo di stabilità e di organizzazione incompatibile con una condotta occasionale ed estemporanea quale si asseriva essere quella dagli stessi commessa.
3 Cass. 2 maggio 2013, n. 37357, De Salve, Ambiente e sviluppo, 2014, 309.
4 Ricordiamo a questo proposito che Corte giust. 9 giugno 2005, n. 270/03, Foro it., 2005, IV, 349, occupandosi dell’art. 30, 4° comma, D.Lgs. n. 22/1997, ha detto che l’inciso comunitario «a titolo professionale» riguarda le imprese che effettuano attività di raccolta e trasporto di rifiuti «come attività ordinaria e regolare». Tale concetto può essere ricostruito attingendo all’elaborazione giurisprudenziale in tema di scarico di reflui: si è infatti sempre sostenuto che lo scarico, rilevante a fini penali, non implica necessariamente la continuità o abitualità dello sversamento potendo rientrare in quella definizione anche gli scarichi saltuari o sporadici, purché provenienti da un insediamento che produca i reflui con stabilità e permanenza.
Pertanto, la nozione «a titolo professionale» evoca l’idea di un’attività continuativa e non certo la mera occasionalità dell’atto.
5 Ci si permette il rinvio a Paone, Il rapporto tra il reato di gestione illecita di rifiuti e l’inosservanza di modalità operative (Nota a Cass. pen., sez. III, 29 aprile 2010, n. 22763, Sfrecola), in Ambiente e sviluppo, 2011, 417.
6 Paone, Un trasporto occasionale di rifiuti è sempre sufficiente per integrare la fattispecie incriminatrice?, in Riv. giur. ambiente, 2014, 353. Sullo stesso tema, v. anche il nostro Ma è proprio vero che il reato di trasporto abusivo di rifiuti si realizza anche in presenza di una condotta occasionale?, in Foro it., 2014, II, 43.
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