Cass. Sez. III n. 44973 del 4 dicembre 2007 (Ud 6 no. 2007)
Pres. Lupo Est. Lombardi Ric. Magnabosco
Rifiuti. Terre e rocce da scavo (evoluzione normativa)


L\'art. 10, comma l, della L. 23.3.2001 n. 93 ha introdotto la lettera fbis) nell\'art. 8 del D. L.vo n. 22-97 e, per l\'effetto, ha escluso dal novero dei rifiuti le terre e le rocce da scavo, successivamente l\'art. l, commi 17-19, della L. 21.12.2001 n. 443, ha dettato norme per l\'interpretazione autentica, tra l\'altro, di tale disposizione. Non appare quindi dubbio che le terre e rocce da scavo in tanto possono essere escluse dal novero dei rifiuti, in quanto siano state sottoposte a verifica che la composizione media dell\'intera massa non superi i limiti massimi di tollerabilità di cui al comma 18 e che il reimpiego delle terre sia stato autorizzato dalla amministrazione competente, ai sensi del comma 19, e venga effettuato secondo modalità di rimodellazione del territorio interessato. In prosieguo di tempo, peraltro, le disposizioni citate sono state ulteriormente modificate dall\'art. 23 della L. 31.10.2003 n. 306, nel senso che sono stati prescritti più pregnanti controlli per il reimpiego delle terre o rocce da scavo, richiedendosi che lo stesso avvenga previo progetto sottoposto a VIA o autorizzazione amministrativa preceduta da parere dell\'ARPA. Analoghe prescrizioni, con riferimento alla necessita di un progetto sottoposto a VIA o ad autorizzazione amministrativa previo parere dell\'ARPA, sono poi contenute nell\'art. 186 del vigente T.U. in materia ambientale, approvato con D. Lvo 3.4.2006 n. 152.

Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata il Tribunale di Lodi ha affermato la colpevolezza di Magnabosco Margherita in ordine di cui all’art. 51, comma secondo in relazione al comma primo lett. a), del D.L.vo n. 22/97, ascrittole perché, quale legale rappresentante della ditta Magnabosco S.r.l., effettuava il deposito incontrollato di rifiuti speciali non pericolosi, costituiti da materiali di risulta, all’interno di un parco pubblico.
Nella sentenza si rileva in punto di fatto che, secondo gli accertamenti eseguiti dai verbalizzanti, un autocarro della ditta Magnabosco aveva scaricato materiali di risulta, costituiti da macerie varie e terra, in un cantiere ubicato all’interno del parco pubblico del Comune di San Giuliano Milanese.
Il giudice di merito ha dato, quindi, atto che secondo le sommarie informazioni assunte, ai sensi dell’art. 391 bis e ter c.p.p. dal difensore dell’imputata, il materiale di cui alla contestazione era costituito da terra “vergine” o “di coltivo” da utilizzarsi, su richiesta della ditta che eseguiva i lavori nel parco pubblico, per interventi di spianamento e livellamento del terreno, ma ha ritenuto, sulla base delle fotografie in atti, che detto materiale non era costituito solo da terra, ma anche da macerie da demolizioni e, pertanto, doveva qualificarsi rifiuto ai sensi dell’art. 7 del D.L.vo n. 22/97; che, in ogni caso, detto materiale non poteva essere escluso dal novero dei rifiuti, ai sensi degli art. 10 della L. n. 93/2001 e 1, commi 17-19, della L. n. 443/2001, non essendovi alcuna autorizzazione amministrativa al reimpiego della terra ed in quanto la normativa di cui alla L. n. 443/2001, concernente le rocce e terre da scavo, deve essere riferita alla esecuzione delle grandi opere e non può essere estesa indiscriminatamente alle normali attività di demolizione e costruzione.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputata, che la denuncia per violazione di legge e vizi della motivazione.

Motivi della decisione
Con il primo mezzo di annullamento la ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione degli art. 51, comma secondo, 51, comma primo lett. a), 6 e 7, comma 3 lett. b), del D.L.vo n. 22/97.
Si deduce, in sintesi, che il giudice di merito ha erroneamente qualificato il materiale di cui alla contestazione quale rifiuto derivante da attività di demolizione, trattandosi invece di terra vergine proveniente dallo scavo di un più profondo strato di terreno effettuato dalla ditta Magnabosco e destinato ad essere riutilizzato per livellamenti, reinterri e riempimenti da eseguirsi nell’area del parco pubblico, nel quale erano in corso lavori per la realizzazione di un parcheggio e la sistemazione del parco, sicché nella specie non sussisteva il requisito richiesto dalla legge per la nozione di rifiuto e, cioè, che si tratti di materiale di cui il detentore “si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi”.
Con il secondo motivo di gravame la ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. I, commi 17 e 19, della L. n. 443/2001, attualmente dell’art. 186 del D.L.vo n. 152/2006. Si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente affermato che le rocce e le terre da scavo sono escluse dal novero dei rifiuti ai sensi della disposizione citata solo se provenienti dalla esecuzione di grandi opere pubbliche; che tale interpretazione si palesa, infatti, in contrasto con il prevalente indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità secondo la quale le terre e le rocce da scavo sono escluse dalla categoria dei rifiuti anche se non legate alle cosiddette grandi opere. Si precisa inoltre che i tre spezzoni di cemento poggiati sul terreno ed evidenziati nelle fotografie non possono snaturare il materiale di cui tratta facendolo rientrare nella categoria dei rifiuti.
Con il terzo e quarto mezzo di annullamento la ricorrente denuncia la sentenza per carenza assoluta ed illogicità della motivazione.
Si deduce che il giudice di merito non ha fornito alcuna spiegazione in ordine alle ragioni per cui ha disatteso le prove documentali e testimoniali addotte dalla difesa dell’imputata, dalle quali era emerso che i materiali diversi dalla terra cui alla contestazione e costituenti rifiuto erano stati regolarmente smaltiti in discarica e che la Provincia di Milano aveva disposto l’archiviazione di una segnalazione a carico della ditta per violazione dell’art. 52, comma terzo, del D.L.vo n. 22/97, non avendo ravvisato gli estremi di detta violazione; che inoltre la sentenza ha illogicamente valorizzato la presenza di tre spezzoni di cemento rilevati nelle risultanze fotografiche e svalutato il contenuto delle deposizioni testimoniali acquisite dalla difesa dell’imputata, dalle quali era emerso che il materiale di cui alla contestazione era costituito esclusivamente da terra vergine, sicché i predetti spezzoni di cemento non facevano parte di quanto depositato dalla ditta Magnabosco, ma dovevano ritenersi residuo dei diversi lavori di demolizione eseguiti in loco.
Con un primo motivo aggiunto ex art. 585, quarto comma, c.p.p. la difesa della ricorrente ha ulteriormente ribadito la denuncia di violazione ed errata applicazione dell’art. 1, commi 17-19, del D.L.vo n. 443/2001.
Si osserva che a seguito dell’entrata in vigore del D.L.vo n. 152/2006 l’erroneità della interpretazione delle disposizioni citate contenuta nella impugnata sentenza risulta particolarmente palese, in quanto l’art. 186 del T.U. ha imposto un ulteriore requisito perché le terre e le rocce da scavo vengano escluse dal novero dei rifiuti e, cioè, che il loro reimpiego avvenga in base ad un progetto sottoposto a V.I.A. ovvero secondo le modalità previste dalle autorità competenti, mentre l’art. 8 lett. f bis) del D.L.vo n. 22/97 richiedeva quale unico requisito che le terre e le rocce da scavo venissero effettivamente riutilizzate. Si aggiunge che nella specie il riutilizzo del terreno di cui alla contestazione avveniva su richiesta della ditta esecutrice dei lavori nel parco pubblico e con il consenso della amministrazione competente, secondo quanto emerso dalle deposizioni testimoniali assunte dalla difesa.
Con un secondo motivo aggiunto si denuncia la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza risultante anche da altri atti del processo e specificamente dalla documentazione e dalle deposizioni prodotte dalla difesa dell’imputata.
Sul punto si ribadiscono, quindi, le precedenti deduzioni in ordine alla natura ed alla destinazione del materiale terroso di cui alla contestazione.
Il ricorso non è fondato.
Osserva preliminarmente la Corte che l’ultimo motivo aggiunto di gravame è inammissibile, in quanto la ricorrente, attraverso la denuncia di un vizio di motivazione, sostanzialmente richiede la rivalutazione del materiale probatorio già compiutamente esaminato dal giudice di merito, sicché la doglianza sul punto non rientra affatto nella previsione dell’art. 606, primo comma lett. e), c.p.p., anche a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 8, comma primo lett. b), della L. n. 46/2006.
Passando all’esame degli altri motivi di gravame si osserva che il tribunale con valutazione di merito, non suscettibile di censura in sede di legittimità sulla base di rilievi di fatto, ha accertato che il materiale di cui alla contestazione era costituito, oltre che da terra, da residui di demolizione, e, pertanto, doveva qualificarsi quale rifiuto.
Il giudice di merito, peraltro, ha altresì osservato che il predetto materiale, seppure si fosse trattato di terreno proveniente da scavo, doveva essere egualmente qualificato rifiuto per le ragioni indicate in narrativa.
Orbene, tale affermazione si palesa sostanzialmente corretta sulla base, però, delle seguenti precisazioni in punto di diritto.
L’art. 10, comma 1, della L. 213/2001 n. 93 ha introdotto la lettera f bis) nell’art. 8 del D.L.vo n. 22/97 e, per l’effetto, ha escluso dal novero dei rifiuti “le terre e le rocce da scavo destinate all’effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti.”
Successivamente l’art. 1, commi 17-19, della L. 21 novembre 2001 n. 443, nella formulazione vigente all’epoca del fatto, ha dettato norme per l’interpretazione autentica, tra l’altro, della disposizione citata, stabilendo che:
17 “Il comma 3, lettera b), dell’articolo 7 ed il comma 1, lettera f-bis) dell’articolo 8 del decreto legislativo n. 22 del 1997, si interpretano nel senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall’ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, sempreché la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti.”
18 “Il rispetto dei limiti di cui al comma 17 è verificato mediante accertamenti sui riti di destinazione dei materiali da scavo. I limiti massimi accettabili sono individuati dall’allegato 1, tabella 1, colonna B, del decreto del Ministro dell’ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore.”
19 “Per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, ivi incluso il riempimento delle cave coltivate, nonché la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall’autorità amministrativa competente, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato.”
Alla luce delle riportate disposizioni interpretative non appare dubbio che le terre e rocce da scavo, in tanto possono essere escluse dal novero dei rifiuti, in quanto siano state sottoposte a verifica che la composizione media dell’intera massa non superi i limiti massimi di tollerabilità di cui al comma 18 e che il reimpiego delle terre sia stato autorizzato dalla amministrazione competente, ai sensi del comma 19, e venga effettuato secondo modalità di rimodellazione del territorio interessato.
In prosieguo di tempo, peraltro, le disposizioni citate sono state ulteriormente modificate dall’art. 23 della L. 31 ottobre 2003 n. 306, nel senso che sono stati prescritti più pregnanti controlli per il reimpiego delle terre o rocce da scavo, richiedendosi che lo stesso avvenga previo progetto sottoposto a VIA o autorizzazione amministrativa preceduta da parere dell’ARPA.
Analoghe prescrizioni, con riferimento alla necessita di un progetto sottoposto a VIA o ad autorizzazione amministrativa previo parere dell’ARPA, sono poi contenute nell’art. 186 del vigente T.U. in materia ambientale, approvato con D.L.vo 3 aprile 2006 n. 152.
E appena il caso di rilevare che l’intenzione del detentore dei materiali di riutilizzarli o il loro effettivo riutilizzo non fanno venir meno la natura di rifiuto, ai sensi dell’art. 6, comma primo lett. a), del D.L.vo n. 22/97, allorché il reimpiego di detti materiali non avvenga nei limiti e con l’osservanza delle prescrizioni di legge.
Orbene, nel caso in esame, il giudice di merito ha accertato che l’utilizzazione delle terre da scavo di cui alla contestazione per riempimenti ed altro è avvenuto al di fuori dì ogni controllo ed autorizzazione dell’amministrazione competente, sicché il materiale di cui si tratta, in ogni caso, non si sottrae alla qualificazione di rifiuto, come esattamente affermato in sentenza.
Ne può ritenersi equipollente all’autorizzazione amministrativa richiesta dalla legge, quale provvedimento necessariamente formale, e dei prescritti controlli di cui all’art. 1, comma 18, della L. n. 443/2001 la assenta conoscenza da parte della pubblica amministrazione del fatto che la ditta incaricata dei lavori aveva chiesto una fornitura di terra alla Magnabosco.
I rilievi che precedono sono del tutto assorbenti di quanto dedotto con i vari motivi di gravame.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. al rigetto dell’impugnazione segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.