Cass. Sez. III n. 42528 del 14 novembre 2008 (Ud. 4 nov. 2008)
Pres. Grassi Est. Teresi Ric. Iesari
Rifiuti. Inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione

La sussistenza del reato di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione non può essere esclusa sotto il profilo soggettivo per errore sulla persistenza della prescrizione contenuta nell\'autorizzazione non più in vigore perché nemmeno in virtù del criterio dell\'ignoranza inevitabile teorizzato nella sentenza Corte Costituzionale marzo 1988 n. 364 è possibile scusare il destinatario di un provvedimento amministrativo che si sottragga all\'obbligo di osservare le norme che disciplinano la materia, incombendo all\'interessato l\'onere di verificare la portata del provvedimento in materia rifiuti. (nella specie non si è ritenuto che l\'ignoranza della legge penale fosse stata incolpevole a cagione della sua inevitabilità, poiché l\'interessato non aveva assolto, con il criterio dell\'ordinaria diligenza, al dovere di esaminare l\'articolato provvedimento con cui la Provincia autorizzava la sua azienda al trattamento dei rifiuti imponendo nuove e diverse prescrizioni, attraverso l\'espletamento di ogni utile accertamento per conoscere la reale consistenza del provvedimento che autorizzava l\'esercizio della sua attività di gestione di rifiuti, né era emerso un comportamento positivo degli organi amministrativi o un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale da cui l\'agente avesse tratto il convincimento della correttezza dell\' interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto).

Con sentenza in data 20.06.2007 il Tribunale di Macerata condannava Iesari Enrico alla pena di €. 1.000 d’ammenda per avere, quale legale rappresentante della s. r. l. Macero maceratese, effettuato attività di deposito preliminare (D 15) e operazioni di messa in riserva (R 13) di rifiuti speciali in violazione della determinazione dirigenziale n. 235/2004, detenendo i rifiuti in cassoni posti nel piazzale esterno del fabbricato.
Avverso la sentenza l’imputato proponeva appello [che la Corte d’Appello trasmetteva a questa Corte ai sensi dell’art. 568 n. 5 c.p.p.] deducendo che non era stata acquisita la documentazione relativa alla precedente autorizzazione rilasciata il 9.12.1998 nella quale era prevista l’ubicazione dei cassoni, anche pieni di rifiuti, all’esterno dell’impianto.
L’autorizzazione aveva perso efficacia a causa dell’inagibilità dell’impianto, danneggiato da un incendio, ma, con l’approvazione di un progetto di risanamento conservativo dello stabilimento, era intervenuta altra autorizzazione in cui era stabilito che nel piazzale esterno potessero stazionare soltanto cassonetti vuoti.
Era, però, nella specie configurabile un errore di fatto inevitabile e, quindi, scusabile data la complessità degli atti del procedimento e la difficoltà, per il titolare dell’azienda, di comprensione del loro contenuto anche perché, dopo l’accertamento, era intervenuta altra determinazione, del 26.05.2006, che aveva autorizzato la sosta, per un massimo di 7 giorni, all’esterno dell’opificio, ma all’interno dell’area di sedime dello stesso, di 13 cassonetti scarrabili, muniti di chiusura, contenenti esclusivamente rifiuti solidi.
Rilevava, ancora, l’imputato che non era chiara la portata dell’autorizzazione del 2004 nella quale si legge che tutte le operazioni devono avvenire con le modalità di cui al progetto [che non prevedeva che i cassonetti in sosta fossero vuoti] e nel contempo s’impone il divieto di ubicazione dei cassonetti pieni.
La palese ambiguità della determinazione provinciale giustificava, quindi, la dedotta buona fede, unitamente al modo di conduzione dell’ispezione [eseguita dall’esterno dell’impianto si da non consentire all’imputato di giustificare la presenza dei cassonetti quale accorgimento necessario per consentire l’esercizio dell’attività industriale e all’uso dell’espressione “ripristino delle precedenti autorizzazioni”.
Conseguentemente egli aveva ritenuto di riprendere l’attività con le stesse modalità operative ante incendio per errore determinato dall’atteggiamento della PA.
Il ricorso è inammissibile perché articola censure che distorcono la sostanza del provvedimento impugnato che, invece, possiede un valido apparato argomentativo del tutto rispondente alle utilizzate acquisizioni processuali.
I giudici di merito hanno accertato, con congrua motivazione, che cassoni scoperti contenenti rifiuti non pericolosi erano collocati all’interno del piazzale nord dell’impianto di cernita gestito dalla società rappresentata dall’imputato in violazione delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione rilasciata dalla Provincia di Macerata n.235/2004 secondo cui potevano essere depositati soltanto contenitori privi di rifiuti.
Conseguentemente irrilevante è la diversa previsione della precedente autorizzazione del 9.12.1998 [che consentiva di collocare cassoni contenenti rifiuti nella parte scoperta dell’impianto], divenuta efficace con la sopravvenuta inagibilità, per incendio, dall’impianto, sicché si era reso necessario il rilascio di una nuova autorizzazione, previa redazione di un progetto di risanamento, nella quale è stato inserito il divieto de quo.
Pertanto, il Tribunale ha correttamente escluso che l’autorizzazione del 2004 costituisse la pedissequa riproposizione del contenuto di quella precedente per avere la stessa disciplinato l’attività di gestione dei rifiuti impartendo prescrizioni di contenuto diverso da quello della previgente autorizzazione.
Il provvedimento conteneva, come rilevato in sentenza, una dettagliata capitolazione delle singole prescrizioni e rimandava espressamente agli allegati A, B, C, sicché i destinatari erano tenuti a sottoporlo ad attenta analisi.
La sussistenza del reato non poteva essere esclusa sotto il profilo soggettivo per errore sulla persistenza della prescrizione contenuta nell’autorizzazione non più in vigore perché, è stato ritenuto, nemmeno in virtù del criterio dell’ignoranza inevitabile teorizzato nella sentenza Corte Costituzionale marzo 1988 n. 364 è possibile scusare il destinatario di un provvedimento amministrativo che si sottragga all’obbligo di osservare le norme che disciplinano la materia, incombendo all’interessato l’onere di verificare la portata del provvedimento in materia rifiuti.
Nella specie, infatti, non poteva ritenersi che l’ignoranza della legge penale fosse stata incolpevole a cagione della sua inevitabilità, poiché l’interessato non ha assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al dovere di esaminare l’articolato provvedimento con cui la Provincia autorizzava la sua azienda al trattamento dei rifiuti imponendo nuove e diverse prescrizioni, attraverso l’espletamento di ogni utile accertamento per conoscere la reale consistenza del provvedimento che autorizzava l’esercizio della sua attività di gestione di rifiuti, né è emerso un comportamento positivo degli organi amministrativi o un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale da cui l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto.
Infatti, il richiamo, nel provvedimento, del progetto di risanamento per stabilire che tutte le operazioni dovessero avvenire con le modalità in esso stabilite e l’uso di espressioni facenti riferimento alla precedente autorizzazione non erano idonee a ingenerare nell’imputato il legittimo convincimento di poter agire in spregio al divieto summenzionato, chiaramente enunciato, e perfettamente compatibile con quanto segnalato in ricorso.
Nè poteva incidere sull’elemento psicologico la rimozione del divieto di depositare nella parte scoperta dell’impianto cassoni contenenti rifiuti perché intervenuta nel 2006 col provvedimento di modifica dell’autorizzazione del 2004.
L’inammissibilità del ricorso comporta l’onere delle spese del procedimento e del versamento alla cassa delle ammende della somma di €. 1.000 equitativamente determinata.