Cass. Sez. III n. 13281 del 9 aprile 2021 (UP 23 mar 2021)
Pres. Andreazza Est. Sessa Ric. Masselli
Rifiuti.Operatività della causa di non punibilità prevista dall’art. 257, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006
L’operatività della causa di non punibilità prevista dall’art. 257, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 è collegata alla bonifica del sito in osservanza ai progetti approvati ai sensi degli artt. 242 e ss. del D.Lgs. cit., trova applicazione, per espressa previsione normativa, solo con riguardo ai «… reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1», ossia relativamente a reati che, per un verso, siano diversi da quello in relazione al quale è intervenuta la bonifica del sito inquinato e che, per altro verso, rientrino nel genus degli illeciti ambientali. Tale natura, tuttavia, non può riconoscersi al reato previsto dall’art. 677, commi 2 e 3, cod. pen., per cui v’è stata condanna, che appartiene al novero delle contravvenzioni concernenti la pubblica incolumità, nelle quali l’interesse tutelato è, per l’appunto, quello alla salvaguardia dell’incolumità pubblica.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 02/07/2020 la Corte di appello di Campobasso, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Larino del precedente 16/05/2018, ha affermato la penale responsabilità di Domenico Silvio Masselli in ordine alla sola contravvenzione di omissione di lavori in edifici che minacciano rovina, esclusa l’aggravante ambientale di cui all’art. 452-novies cod. pen., mandandolo assolto, per l’insussistenza del fatto, dai delitti di inquinamento ambientale colposo e di omessa bonifica e, per l’effetto, ha rideterminato la pena.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del Masselli, avv.to Gianluca Ursitti, articolando due motivi di doglianza, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione all’art. 677 cod. pen. e vizio di motivazione per travisamento della prova.
Deduce, per un verso, che la Corte territoriale avrebbe erroneamente applicato la norma incriminatrice di cui all’art. 677, comma 3, cod. pen., in quanto non sussisteva un concreto pericolo per la pubblica incolumità, che non sarebbe mai potuto scaturire da una situazione ex se non in grado di diffondersi, sostenendo, conseguentemente, che, nella vicenda concreta, sarebbe stato configurabile, al più, l’illecito amministrativo previsto dall’art. 677, comma 1, cod. pen.
Osserva, per altro verso, che il percorso motivazionale seguito dal giudice gravato sarebbe inficiato da travisamento della prova, essendosi tratta la conclusione, posta a base della decisione di condanna, che la costruzione crollata fosse accessibile ad estranei da circostanze, quali l’inefficienza della recinzione e la presenza in loco di rifiuti di terzi, asseritamente contrastanti con le risultanze probatorie, essendosi accertato dal personale di P.G. operante soltanto che detta costruzione era non custodita e che sul posto vi erano altri rifiuti.
2.2. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione all’art. 257, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 e vizio di motivazione per omesso pronunciamento su doglianza fatta valere con l’atto di appello.
Assume, in particolare, che il giudice del merito non avrebbe fatto applicazione della causa di non punibilità prevista dalla norma indicata, asseritamente valevole per tutti i reati ambientali, omettendo, peraltro, di esplicitare le ragioni di tale decisione, nonostante la specifica deduzione della questione con l’atto di appello.
3. Il procedimento è stato trattato in udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalità di cui all’art. 23, commi 8 e 9, del d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla l. n. 176 del 2020.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso presentato nell’interesse di Domenico Silvio Masselli risulta manifestamente infondato per le ragioni che di seguito si espongono.
2. Destituite di fondamento appaiono, innanzitutto, le doglianze fatte valere con il primo motivo, mediante il quale il ricorrente lamenta, per un verso, l’erronea applicazione dell’art. 677, commi 2 e 3, cod. pen. per essere configurabile l’illecito amministrativo di cui al comma 1 della medesima disposizione in ragione dell’insussistenza di un concreto pericolo per la pubblica incolumità e, per altro verso, il travisamento della prova in punto di ritenuta accessibilità ad estranei dell’area su cui insiste la costruzione interessata dal crollo.
Si osserva, infatti, che la censura afferente la ritenuta configurabilità della contravvenzione per cui vi è stata condanna risulta caratterizzata da un evidente difetto di specificità, che rende in parte qua inammissibile il gravame.
Ciò perché è di fatto riproposta una questione già devoluta illo tempore alla Corte di appello molisana e dal giudice di merito puntualmente esaminata e disattesa con motivazione coerente e adeguata (rinvenibile, segnatamente, alla pag. 8 della decisione gravata), che, oltretutto, non è stata in alcun modo sottoposta ad autonoma e argomentata confutazione.
In particolare, la Corte distrettuale ha ritenuto che i rilievi fotografici allegati alla relazione di accertamento redatta dal personale di P.G. operante documentassero il concreto pericolo di collassamento di parti della copertura dello stabile e lo stato di totale abbandono dell’area su cui questo insisteva, inferendo da tali circostanze, con percorso argomentativo lineare e privo di contraddizioni, che il ricorrente, nella qualità di amministratore della società proprietaria della struttura, fosse penalmente responsabile per aver tollerato, per un apprezzabile lasso temporale, una situazione di fatto all’evidenza produttiva di pericolo per coloro che potevano accedere all’area in oggetto, in ragione dell’inefficiente recinzione ivi esistente.
Con tale impianto motivazionale non si confronta la parte, che si limita, sostanzialmente, a riproporre le lamentazioni in precedenza prospettate alla Corte distrettuale.
Orbene, è pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Corte che con i motivi di doglianza non possono essere riprodotte le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi, ove ciò accada, ritenere aspecifici i motivi stessi.
La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di specificità, che conduce, ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità dell’impugnazione (così, ex multis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710-01, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425-01, Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568-01 e Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849-01).
Ad analoghe conclusioni si perviene con riguardo all’altra censura sottesa al primo motivo, mediante la quale si è dedotto il travisamento della prova in punto di ritenuta accessibilità ad estranei dell’area su cui insiste la costruzione crollata.
Deve infatti evidenziarsi che il travisamento della prova, deducibile in cassazione, ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., è quel vizio configurabile allorquando sia stata introdotta nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando sia stata omessa la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (in tal senso, ex multis, Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, PG. c/Borriello Filadelfo, Rv. 276567-01 e Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499-01).
Tanto chiarito, appare evidente la palese infondatezza della censura mossa alla sentenza impugnata, non apprezzandosi nella parte dell’impianto motivo relativa alla ritenuta accessibilità ad estranei dell’area su cui insiste la costruzione crollata alcun travisamento degli elementi probatori valevole a vulnerare la complessiva tenuta della motivazione stessa.
E invero, la Corte distrettuale, per come sostenuto in sentenza, ha inferito l’anzidetta accessibilità, cui ha ancorato la sussistenza del concreto pericolo per l’incolumità di terze persone, dall’inefficienza della recinzione e del cancello ivi esistenti, documentata dai rilievi fotografici effettuati dal personale di P.G. operante, illustrativi, tra l’altro, del molteplici rifiuti di diversa natura abbandonati in loco.
A fronte di un argomentato motivazionale siffatto, il ricorrente, nel sostenere che l’accessibilità all’area non potesse desumersi dal rinvenimento sulla stessa di rifiuti diversi da quelli causati dal crollo della copertura dello stabile, non contesta, in sostanza, il travisamento di una prova specifica, ma sollecita questa Corte a una diversa lettura dei dati processuali non consentita in sede di legittimità.
Con riguardo alla censura in disamina, il Collegio non ha, pertanto, ragione di discostarsi dal consolidato insegnamento secondo cui mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di travisamento della prova, ravvisabile ove il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova inesistente o su un risultato di prova obiettivamente e incontestabilmente diverso da quello reale, non è permesso, invece, dedurre il vizio del travisamento del fatto, essendo preclusa al giudice di legittimità la sovrapposizione della propria valutazione delle risultanze processuali a quella effettuata in sede di merito.
3. Del pari infondato appare, poi, il secondo motivo di doglianza, con cui si lamenta l’omessa applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 257, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 e la mancata esplicitazione delle ragioni di tale decisione, a fronte della specifica deduzione della questione con l’atto di appello.
Osserva, infatti, il Collegio che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la menzionata causa di non punibilità, la cui operatività è collegata alla bonifica del sito in osservanza ai progetti approvati ai sensi degli artt. 242 e ss. del D.Lgs. cit., trova applicazione, per espressa previsione normativa, solo con riguardo ai «… reati ambientali contemplati da altre leggi per il medesimo evento e per la stessa condotta di inquinamento di cui al comma 1», ossia relativamente a reati che, per un verso, siano diversi da quello in relazione al quale è intervenuta la bonifica del sito inquinato e che, per altro verso, rientrino nel genus degli illeciti ambientali.
Tale natura, tuttavia, non può riconoscersi al reato previsto dall’art. 677, commi 2 e 3, cod. pen., per cui v’è stata condanna, che appartiene al novero delle contravvenzioni concernenti la pubblica incolumità, nelle quali l’interesse tutelato è, per l’appunto, quello alla salvaguardia dell’incolumità pubblica (in tal senso Sez. 1, n. 7179 del 1981, Pedrotti, Rv. 149848).
L’esposta considerazione esclude in radice l’applicabilità, nel caso di specie, della causa di non punibilità di cui all’art. 257, comma 4, del D.Lgs. n. 152 del 2006.
Né può sottacersi che la deduzione difensiva risulta manifestamente infondata, sì da rendere inammissibile il ricorso in parte qua, anche sotto altro profilo, atteso che costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui «In tema di ricorso per cassazione, i vizi di motivazione indicati dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. non sono mai denunciabili con riferimento alle questioni di diritto, non solo quando la soluzione adottata dal giudice sia giuridicamente corretta, ma anche nel caso contrario, essendo, in tale ipotesi, necessario dedurre come motivo di ricorso l'intervenuta violazione di legge» (così SS.UU., n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027-05).
4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi in favore della Cassa delle Ammende la somma, determinata in via equitativa, di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 23/03/2021