Cass. Sez. III n. 13121 del 28 aprile 2020 (UP 6 feb 2020)
Pres. Andreazza Est. Noviello Ric. Giordano
Rifiuti.Responsabilità del sindaco per gestione illecita

In tema di responsabilità del sindaco per gestione illecita di rifiuti va considerata la distinzione operata dall'art. 107 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali fra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, demandati agli organi di governo, e i compiti di gestione attribuiti ai dirigenti, che delinea un quadro generale di riparto di responsabilità, rispetto al quale la responsabilità del Sindaco o va rinvenuta in concreto, in ragione della adozione diretta di iniziative idonee a determinare un effettivo contributo alla gestione incriminata, oppure, in presenza di una gestione effettuata attraverso soggetti interposti, viene in rilievo attraverso il dovere di attivazione del sindaco allorché gli siano note situazioni, non derivanti da contingenti ed occasionali emergenze tecnico-operative, che pongano in pericolo la salute delle persone o l'integrità dell'ambiente


RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza del 26 marzo 2019, il tribunale di Vallo della Lucania condannava Giordano Domenico in relazione al reato di cui all’art. 256 comma 1 lett. a) e comma 2 del Dlgs. 152/06 per avere depositato in modo incontrollato rifiuti non pericolosi.

    2.  Avverso la pronuncia del predetto tribunale proponeva appello, trasmesso a questa Corte per l’eventuale riqualificazione in ricorso, Giordano Domenico, mediante il proprio difensore.

    3. Deduce l’insussistenza di prove a fondamento della condanna. Rappresenta come l’imputato in qualità di sindaco disponesse di tutte le autorizzazioni per la gestione del centro di raccolta dove venivano temporaneamente depositati rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata in vista del successivo recupero e trattamento, e lo stesso sito era rispettoso di tutte le disposizioni vigenti. Rispetto a tale dato di fatto i testi esaminati non avrebbero accertato chi gestiva l’area – coincidente in realtà, come riferito da un tecnico comunale in dibattimento che avrebbe anche attestato la regolarità della gestione, con una società denominata General Enterprise che curava anche la raccolta a monte e il conferimento di rifiuti dopo la loro gestione nel sito - né se vi fosse stato un contratto di appalto, non avendo neppure acquisito documentazione utile per contestare i fatti in capo al ricorrente. Quanto alla motivazione della sentenza, l’affermazione per cui non erano stati rimossi i rifiuti costituiti da sfalci di potatura come anche quella secondo la quale i rifiuti biodegradabili non erano stati smaltiti entro 72 ore previste per legge, sarebbe smentita da dati contrapposti emergenti da un verbale di sopralluogo dell’Arpac del 16.12.2014, di cui nell’atto si riporta uno stralcio. Né alcuno avrebbe verificato, dopo il citato sopralluogo dell’Arpac, se nel frattempo erano state rispettate tutte le prescrizioni di legge, come di fatto avvenuto. In tale quadro l’imputato era quindi sicuro del fatto che il centro di raccolta in questione fosse gestito legittimamente, potendo confidare in ciò senza che si possa muovere al medesimo sul punto alcun addebito, così difettando l’elemento soggettivo. Quanto all’addebito del deposito illegittimo di sfalci di potatura esso sarebbe stato smentito dalla deposizione del già citato tecnico comunale, oltre che dal dato per cui, essendo secchi, non produrrebbero percolato ed erano comunque poggiati su una superficie impermeabilizzata coperta di un telo. Del resto a norma dell’art. 185 comma 1 lett. f) del Dlgs. 152/06 i predetti sfalci esulano dal novero dei rifiuti ed ex art. 184 del Dlgs. cit. sono invece rifiuti urbani i rifiuti “vegetali provenienti da aree verdi…” e tuttavia nel caso in esame non è stata verificata la provenienza dei citati sfalci di potatura, così da doversi considerare quest’ultimo profilo in favor rei.
        3.1. Atterrebbe poi ai compiti del soggetto gestore e non del Sindaco il controllo del funzionamento e gestione del sito di raccolta diversamente da quanto sostenuto dal giudice.
        3.2. Rileverebbe altresì l’occasionalità della condotta gestoria dei rifiuti contestata, come tale penalmente irrilevante.
        3.3. Dovrebbe in conclusione rivedersi la valutazione della prova essendo stata effettuata in violazione del principio dell’”oltre ogni ragionevole dubbio”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Premesso che la sentenza impugnata, relativa alla condanna alla sola pena dell’ammenda, è suscettibile esclusivamente di ricorso per cassazione ad opera dell’imputato ex artt. 593 comma 3 cod. proc. pen.  e 607 cod. proc. pen., in ordine alla qualificazione dell'appello sub specie di ricorso di legittimità, le SS.UU. di questa Corte hanno ritenuto (sent. n. 16 del 1998, Nexhi, RV 209336) che il precetto di cui all'art. 568 cod. proc. pen., comma 5, deve essere inteso nel senso che la sola erronea attribuzione del nomen juris non può pregiudicare l'ammissibilità di quel mezzo di impugnazione di cui l'interessato, a prescindere dalla qualificazione attribuitagli, abbia effettivamente inteso avvalersi. Pertanto, il giudice ha il potere-dovere di provvedere all'appropriata qualificazione del gravame, privilegiando, rispetto alla formale apparenza, la volontà della parte di attivare il rimedio all'uopo predisposto dall'ordinamento giuridico. Di converso, posto che la disposizione indicata è finalizzata alla salvezza e non alla modifica della volontà reale dell'interessato, al giudice non è consentito sostituire il mezzo d'impugnazione effettivamente voluto e propriamente denominato (ma inammissibilmente proposto dalla parte) con quello, diverso, che sarebbe stato astrattamene ammissibile: in tale ipotesi, infatti, non può parlarsi di inesatta qualificazione giuridica del gravame, come tale suscettibile di rettifica ope iudicis, ma di una infondata pretesa, da sanzionare con l'inammissibilità (cfr. da ultimo Sez. 5 - , n. 55830 del 08/10/2018 Rv. 274624 – 01 Eliseo).
        1.1. Nel caso in esame, con l’atto di impugnazione sono state formulate sostanzialmente censure in termini di violazione di legge e vizi di motivazione, afferenti in particolare la qualifica o meno di taluni materiali come rifiuti e la riconducibilità diretta della responsabilità del sito in capo al sindaco che come tali  consentono di ritenere che l'imputato avesse inteso proporre ricorso per cassazione e solo per mero errore l’avesse denominato come appello. Cosicchè, l’impugnazione deve essere preliminarmente riqualificata in ricorso per cassazione nella presente sede di legittimità.
        1.2. Quanto alle censure, mentre è infondata quella inerente la qualifica degli sfalci di potatura come “non rifiuto”, atteso che l’esclusione dalla parte quarta del Dlgs. 152/06 degli sfalci di potatura opera solo se “utilizzati in agricoltura nella selvicoltura o per la produzione di energia..” (cfr. art. 185 comma 1 lett. f) Dlgs. 152/06), circostanze queste ultime chiaramente esulanti dal caso di specie,   appare fondata la critica sulla immotivata attribuzione della responsabilità del sindaco, siccome elaborata in assenza di ogni spiegazione in ordine alla riconduzione al medesimo della gestione del sito, nonostante i noti principi relativi alla separazione del piano amministrativo e politico anche nell’ambito degli enti comunali. Va invero considerata la distinzione operata dall'art. 107 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali fra i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo, demandati agli organi di governo, e i compiti di gestione attribuiti ai dirigenti, che delinea un quadro generale di riparto di responsabilità, rispetto al quale la responsabilità del Sindaco o va rinvenuta in concreto, in ragione della adozione diretta di iniziative idonee a determinare un effettivo contributo alla gestione incriminata, oppure, in presenza di una gestione effettuata attraverso soggetti interposti, viene in rilievo attraverso il dovere di attivazione del sindaco allorché gli siano note situazioni, non derivanti da contingenti ed occasionali emergenze tecnico-operative, che pongano in pericolo la salute delle persone o l'integrità dell'ambiente (cfr. Sez. 3,  n. 37544 del 27/06/2013  Rv. 256638 - 01 Fasulo).

    2. Consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Vallo della Lucania.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Vallo della Lucania.
Così deciso in Roma, il 6.2.2020.