Cass. Sez. III n. 24723 del 7 luglio 2025 (UP 12 giu 2025)
Pres. Ramacci Est. Scarcella Ric. PG in proc. Picilli
Rifiuti.Spandimento incontrollato sul suolo degli effluenti derivanti da attività agricola o di allevamento del bestiame

La raccolta in una vasca e il successivo spandimento incontrollato sul suolo degli effluenti derivanti da attività agricola o di allevamento del bestiame, non determina l’applicabilità dell’art. 137, comma 14, D.lgs. n. 152 del 2006 né della disciplina sugli scarichi, giacché le assimilazione alle acque reflue domestiche dei reflui delle imprese agricole o da allevamento di bestiame è subordinata all'esistenza di uno scarico diretto tramite condotta, e non escludendo l'eventuale utilizzazione agronomica dei reflui l'autorizzazione per lo stoccaggio. Irrilevante è quindi l'assunto difensivo per cui la destinazione dei reflui alla fertirrigazione rendeva lecito lo sversamento incontrollato sul terreno dei reflui, che, tracimando dai bordi, si riversavano, come accertato in fatto, nel terreno circostante dando luogo a ruscellamenti e a infiltrazioni in profondità. 

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22 ottobre 2024, il Tribunale di Salerno assolveva per insussistenza del fatto Erasmo Picilli dal reato di cui all’art. 256, D. lgs. n. 152 del 2006, per aver realizzato presso l’omonima azienda agricola una vasca di raccolta di rifiuti zootecnici provvista di un’apertura sul lato, funzionale a consentire lo sversamento dei liquami nel terreno sottostante.

2. Avverso la predetta sentenza il Procuratore generale presso Corte d'appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi, di seguito enunciati ex art. 173, disp. att., cod. proc. pen. nei limiti strettamente necessari per la motivazione. 
2.1. Deduce, con i predetti due motivi (che, attesa l’intima connessione dei profili di doglianza, meritano congiunta illustrazione), il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 137, comma 14, d. lgs. n. 152 del 2006 nonché all’art. 507, cod. proc. pen. 
In sintesi, il Procuratore generale si duole dell'errata applicazione e, anzi, della mancata applicazione delle norme che disciplinano la pratica della fertirrigazione, utili a far ritenere inapplicabili le norme incriminatrici in tema di deposito e abbandono di rifiuti prodotti da aziende agricole-zootecniche da assimilarsi a vere e proprie imprese, a norma dell'articolo 137, comma 14, Testo unico ambientale. Difformemente da quanto affermato dal primo giudice, con accertamento istruttorio assolutamente carente e basato su prove documentali travisate, la pratica della fertirrigazione che sottrae il deposito delle deiezioni animali alla disciplina dei rifiuti richiede, da un lato, l'esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento nonché l'adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e delle modalità di destinazione al tipo e fabbisogno delle colture e, dall'altro, l'assenza di dati sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione, quindi, ad esempio, lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta a fine ciclo vegetativo. Ciò è sufficiente ad integrare il reato di cui all'articolo 137 citato in quanto, muovendo dalla nozione di “effluente di allevamento”, il P.G. sostiene che il giudice si sarebbe limitato in maniera apodittica a richiamare l’inconferente norma di cui all'articolo 256 del Testo unico ambientale e non, invece, a qualificare giuridicamente il fatto a norma dell'articolo 137 citato, valorizzando erroneamente la generica e incompleta ricostruzione dell'ufficiale di polizia giudiziaria intervenuto in occasione del sequestro e le risultanze orali e documentali della prova difensiva. Il giudice avrebbe, invece, dovuto verificare che la formale comunicazione di utilizzazione agronomica degli effluenti zootecnici solidi e liquidi non fosse soltanto una copertura di comodo e che i reflui zootecnici effettivamente ed utilmente venissero in concreto (nella misura indicata dagli allegati alla comunicazione medesima e relativa alla qualità e quantità volumetriche degli effluenti palabili e non e del fabbisogno ettaro-culturale) utilizzati come concime utile e proporzionato alla qualità delle colture effettivamente in atto presso l'azienda agricola, ciò attraverso un accertamento agronomico che non poteva certo ritenersi quello fornito dalle generiche ed incompetenti indicazioni dell'agente di polizia giudiziaria sentito in udienza o meramente ricavabile dalla documentazione inattendibile offerta dalla stessa parte. La semplice visione e lettura del contratto esibito dalla difesa allegato alla relazione tecnica del teste Marciano, privo di firma completa e di autentica oltre che recante una data del tutto incompleta e relativa ad epoca successiva alla data dell'accertamento, unitamente a tutta l’incompletezza istruttoria ed all’erroneità dell'interpretazione del giudice, avrebbero dovuto condurre a valutare come inesistenti le prove di un effettivo utilizzo agronomico degli effluenti zootecnici che, invece, venivano di fatto sversati tal quali nei terreni circostanti in ragione di una risalente, strutturale ed intenzionale apertura della vasca in cemento a suo tempo costruita per la raccolta dei liquami, così realizzando un vero e proprio scarico da abbandono abusivo di rifiuti in violazione delle norme regolanti la pratica, altrimenti ammessa, della fertirrigazione. Nella specie, i rifiuti in eccedenza, tracimando dai bordi delle vasche, si riversavano e venivano assorbiti nel terreno circostante dando luogo a ruscellamenti ed infiltrazioni, così integrando il reato di deposito incontrollato di rifiuti allo stato liquido (si richiama a tal proposito in ricorso la sentenza n.40782 del 2015). Gli accertamenti tecnici che avrebbero potuto consentire l'assoluzione sarebbero stati totalmente pretermessi imponendosene pertanto l'effettuazione a mezzo della nomina di un consulente tecnico esperto che, sulla base della documentazione inattendibile prodotta dalle parti sulla scorta delle originarie ma incomplete constatazioni della polizia giudiziaria intervenuta in occasione del sequestro dei luoghi, approfondisca la questione. A ciò si aggiunga che la vasca che avrebbe dovuto contenere i liquami solidi e liquidi di provenienza zootecnica, fin dall'origine, era stata costruita con un'apertura strutturale su di un lato, tale da non consentire il contenimento dei liquami ed, anzi, era tale da favorirne l'illecito smaltimento e spandimento in violazione della normativa in materia di fertirrigazione, che solo se rispettata nella sostanza consente di ritenere inapplicabili le più stringenti discipline dettate per lo stoccaggio e lo smaltimento dei materiali costituenti rifiuto speciale, così solo fondando correttamente una pronuncia assolutoria come quella adottata. Inoltre, puntualizza il P.G., non pare esservi assolutamente traccia del contratto di smaltimento di rifiuti attestante, secondo il giudice, che la parte liquida prelevata dalla vasca a tenuta tramite autospurgo venisse successivamente cosparsa sul terreno dell'azienda come concime, né sono stati ricercati dal giudice documenti attestanti l'intervenuto periodico prelievo. Assolutamente inconferente sarebbe, poi, la verifica che alcuno spandimento fosse avvenuto in corsi d'acqua insistenti sui fondi adiacenti ad esso o anche che alcun accertamento fosse stato condotto sulla qualifica dei rifiuti. La decisione, pertanto, si baserebbe su un'evidente lacunosità investigativa rispetto a quanto contestato in imputazione, lacunosità che avrebbe dovuto essere superata mediante azionamento del potere dovere ufficioso di cui all'articolo 507 cod. proc. pen., che avrebbe sicuramente consentito di acquisire gli elementi sufficienti ad assistere il giudice nella decisione onde evitare una pronuncia unicamente basata sulla mancanza di attività di indagine, e ciò al fine di non incorrere in un vizio di nullità della sentenza per violazione di legge, richiamando a tal proposito copiosa giurisprudenza di questa Corte.

3. In data 20 maggio 2025 il Procuratore Generale presso questa Corte ha fatto pervenire le proprie conclusioni scritte, con cui ha chiesto di annullare la sentenza con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Salerno. 
In sintesi, secondo il PG, il ricorso è fondato. La pratica della fertirrigazione, quale presupposto di sottrazione delle deiezioni animali alla disciplina sui rifiuti, richiede, in primo luogo, l'esistenza effettiva di colture in atto sulle aree interessate dallo spandimento, nonché l'adeguatezza di quantità e qualità degli effluenti e dei tempi e modalità di distribuzione al tipo e fabbisogno delle colture e, in secondo luogo, l'assenza di dati sintomatici di una utilizzazione incompatibile con la fertirrigazione, quali, ad esempio, lo spandimento di liquami lasciati scorrere per caduta a fine ciclo vegetativo (ex multis, sez. 3, 17 gennaio 2012, n. 5039, rv. 251973; sez. 3, 22 gennaio 2013, n. 15043, rv. 255248).
Come correttamente evidenziato nel ricorso non risulta che la sussistenza di tali presupposti sia stata accertata dal Giudice di primo grado, il quale non ha neppure esercitato le facoltà previste dall’art 507 cod. proc. pen.  È pur vero che non sussiste l'obbligo del giudice di disporre d'ufficio tutte le prove astrattamente pertinenti e rilevanti, bensì il potere-dovere di disporre nuovi mezzi di prova quando risulti "assolutamente necessario". L'esercizio di tale potere-dovere, correlato alla difficoltà che il giudice ritiene sussistente di procedere ad un compiuto accertamento dei fatti sulla base delle risultanze già acquisite, può essere sindacato in sede di legittimità, qualora, come nel caso in esame, si evidenzi una manifesta assoluta necessità della trascurata assunzione probatoria, emergente dal testo della sentenza impugnata (Sez. 4, n. 8083 del 08/11/2018, dep. 2019, Rv. 275149 – 01).

4. In data 26 maggio 2025, l’avv. Gianluca Lembo ha fatto pervenire una memoria, con cui ha chiesto di dichiarare inammissibile ovvero rigettare il ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Salerno e confermare l’impugnata sentenza. 
Secondo il difensore il primo motivo di ricorso sarebbe inammissibile in quanto il Procuratore Generale ha lamentato l’errata applicazione delle norme sulla fertirrigazione (art. 137 D.lgs. 152/2006), ma l’imputazione riguardava esclusivamente l’art. 256 D.lgs. 152/2006. La censura è quindi ritenuta inammissibile perché si riferisce a una norma non pertinente rispetto all’accusa contestata. Infondate sarebbero poi le censure sulla valutazione probatoria. Il ricorso si limita a criticare la valutazione di merito del giudice di primo grado, che esula dal sindacato di legittimità proprio della Cassazione. Non sono state evidenziate responsabilità investigative né da parte della polizia giudiziaria né della Procura. Non sono state effettuate analisi di laboratorio sui reflui zootecnici sequestrati, né nominato un consulente tecnico, rendendo infondate le contestazioni sulla pericolosità dei materiali. La difesa sottolinea che: a) l’imputato era in possesso di regolare comunicazione per l’utilizzo agronomico degli effluenti zootecnici, valida all’epoca dei fatti; b) non vi era prova di smaltimento illecito di rifiuti. Le testimonianze raccolte (compreso il teste della pubblica accusa e il consulente tecnico della difesa) hanno escluso responsabilità dolose o colpose dell’imputato e la presenza di corsi d’acqua in prossimità della vasca oggetto di sequestro. 
Quanto al secondo motivo, sarebbe infondata la censura relativa all’art. 507 cod. proc. pen. Il Procuratore Generale ha lamentato la mancata attivazione dei poteri istruttori ex art. 507 citato da parte del giudice. La difesa richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo cui il giudice non è tenuto a motivare espressamente il mancato esercizio di tali poteri se il quadro probatorio è già completo ed esaustivo, come nel caso in esame.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, trattato cartolarmente in assenza di richiesta di discussione orale, è fondato nei limiti di cui si dirà infra.

2. Dagli atti è emerso che in data 28.07.2020, alle ore 12.00 circa, personale in servizio presso la Stazione CC di Capaccio - unitamente ai militari della Compagnia CC forestale di Foce Sele -, durante l'attività di controllo di prevenzione su reati ambientali da parte di aziende zootecniche del territorio, si portava presso la società Agri Cannito s.n.c. di Picilli Erasmo & C. in località Cannito agro del Comune cii Capaccio, ed appurava che ivi insisteva una vasca di raccolta di reflui zootecnici che presentava un'apertura su un lato tale da consentirne lo sversamento dei liquami nel terreno sottostante. Pertanto, ritenendo violato l'art. 256, commi 1 e 2, del D. Lgs. 152/2006, alla presenza del PICILLI Erasmo, socio e amministratore della predetta società, i militari procedevano al sequestro della vasca ai sensi dell'art. 321 cod. proc. pen. cfr. verbale di sequestro e fascicolo fotografico della Stazione CC di Capaccio del 28.07.2020). Il teste di p.g. Balestrieri Maurizio. all'epoca dei fatti in servizio presso la Compagnia CC di Capaccio, in udienza confermava la vicenda, precisando che lo sversamento non avveniva nel fiume bensì nel terreno dello stesso PICILLI; che il predetto produceva ai militari la comunicazione per l'utilizzo degli effluenti zootecnici; che l'odierno ricorrente, all'atto del sopralluogo "si era adoperato con un mezzo proprio dell'azienda a cercare di arginare la falla che si era creata nella vasca": che alcun accertamento sulla qualifica dei rifiuti aveva eseguito (cfr. escussione testimoniale del 22.11.2022).

3. Tanto premesso, come anticipato, l’impugnazione del Procuratore Generale va accolta. 
3.1. È stato accertato, in fatto, che i reflui di allevamento, raccolti in tale vasca, pur essendo l’azienda autorizzata alla pratica della fertirrigazione, venivano stoccati, tracimando dai bordi della vasca, riversandosi e venendo assorbiti nel terreno circostante. 
Corretta è, dunque, la qualifica di rifiuto di cui all’imputazione, dovendosi richiamare il costante orientamento di questa Corte secondo cui integrano il reato di deposito di rifiuti allo stato liquido la raccolta in una vasca ed il successivo spandimento incontrollato sul suolo degli effluenti derivanti da attività agricola o di allevamento del bestiame, non ricadendo tale condotta nella disciplina sugli scarichi, giacché la assimilazione alle acque reflue domestiche dei reflui delle imprese agricole o da allevamento di bestiame è subordinata all'esistenza di uno scarico diretto tramite condotta, e non escludendo l'eventuale utilizzazione agronomica dei reflui l'autorizzazione per lo stoccaggio (Sez. 3, n. 27071 del 20/05/2008, Cornalba, Rv. 240264 - 01). 
3.2. Nella specie, l’autorizzazione, pur esistente, non escludeva la configurabilità dell’illecito, essendo stato accertato lo sversamento dei reflui avveniva nel terreno dello stesso Picilli, attraverso l’apertura esistente su un lato, tanto che lo stesso Picilli ebbe ad adoperarsi con un mezzo proprio per arginare la falla, come riferito dal teste Balestrieri. 
Ed è stato già affermato, in tal senso, che integra il reato di deposito incontrollato di rifiuti allo stato liquido lo spandimento, alla rinfusa ed a tempo indeterminato, dei fanghi di sedimentazione derivanti da attività di allevamento raccolti in vasche fuori terra, non rilevandone il legittimo, ma parziale, impiego nell'attività di fertirrigazione (Nella specie, come nella vicenda esaminata da questa Corte nel caso in esame, i reflui in eccedenza, tracimando dai bordi delle vasche, si riversavano e venivano assorbiti nel terreno circostante, dando luogo a ruscellamenti e ad infiltrazioni in profondità: Sez. 3, n. 21785 del 28/04/2011, Corbelli, Rv. 250479 – 01). Infatti, in assenza di uno «scarico» in senso tecnico-giuridico, i reflui costituiscono rifiuto, con applicazione della disciplina della parte quarta del Decreto anche in termini sanzionatori, ai sensi dell'art. 256 d. lgs. n. 152/2006. 
3.3. Il criterio distintivo (applicabilità dell’art. 137, comma 14, D. lgs. n. 152 del 2006; applicabilità dell’art. 256, comma 1, D. lgs. n. 152 del 2006), è dato dalla presenza di acque di scarico (con conseguente applicazione dell'articolo 137, comma 14, d. lgs. 152/2006) ovvero dalla presenza di rifiuti allo stato liquido (con conseguente applicazione dell'articolo 256, comma 1, del decreto). E, nella specie, le emergenze processuali militavano verso il secondo approdo (si v. amplius, Sez. 3, n. 24085 del 30/05/2024, Bonfà, non mass.). 
3.4. Il tema sollevato dal primo motivo di ricorso concerne, peraltro, l'esercizio della pratica della «fertirrigazione» o utilizzazione agronomica, cui conseguirebbe l'esclusione della tipicità del reato contestato. Essa è definita dall'articolo 74, lettera p), del testo unico come «la gestione di effluenti di allevamento, acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive, acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agiroalimentari, dalla loro produzione fino all'applicazione al terreno ovvero al loro utilizzo irriguo o fertirriguo, finalizzati all'utilizzo delle sostanze nutritive e ammendanti nei medesimi contenute». Questa Corte (Sez. 3, n. 9717 del 10/01/2020, Battipaglia, non mass.) ha chiarito che detta pratica prescinde dalla modalità di gestione delle acque reflue di allevamento, sia che esse siano o no soggette alla normativa sui rifiuti o a quella sulle acque, ed in questo ultimo caso indipendentemente dalla classificazione dello scarico come industriale o domestico. 
3.5. Deve tuttavia escludersi come già anticipato – e difformemente a quanto sostenuto dal P.G. nel suo ricorso - l'applicabilità dell'articolo 137, comma 14, d. lgs. 152/2006, al caso in esame. 
La norma infatti sanziona con la pena dell'ammenda «chiunque effettui l'utilizzazione agronomica di effluenti di allevamento, di acque di vegetazione dei frantoi oleari, nonché di acque reflue provenienti da aziende agricole e piccole aziende agroalimentari di cui all'articolo 112, al di fuori dei casi e delle procedure ivi previste». È quindi di tutta evidenza che ciò che la norma sanziona è l'attività di fertirrigazione svolta in casi non consentiti dalla legge o con modalità difformi da quelle consentite, non anche il mero sversamento di rifiuti allo stato liquido prodotti dall’azienda bufalina del ricorrente sul terreno (non rilevando la circostanza che non sversassero in un corso d’acqua superficiale), per il quale si applica la disciplina sui rifiuti (in termini, si v. Sez. 3, n. 29351 del 5/04/2024, Ponticelli, non mass.; Sez. 3, n. 36926 del 12/09/2024, Rinaldi, non mass.).
Deve, quindi, essere ribadito che la raccolta in una vasca e il successivo spandimento incontrollato sul suolo degli effluenti derivanti da attività agricola o di allevamento del bestiame, non determina l’applicabilità dell’art. 137, comma 14, D.lgs. n. 152 del 2006 né della disciplina sugli scarichi, giacché le assimilazione alle acque reflue domestiche dei reflui delle imprese agricole o da allevamento di bestiame è subordinata all'esistenza di uno scarico diretto tramite condotta, e non escludendo l'eventuale utilizzazione agronomica dei reflui l'autorizzazione per lo stoccaggio. Irrilevante è quindi l'assunto difensivo per cui la destinazione dei reflui alla fertirrigazione rendeva lecito lo sversamento incontrollato sul terreno dei reflui, che, tracimando dai bordi, si riversavano, come accertato in fatto, nel terreno circostante dando luogo a ruscellamenti e a infiltrazioni in profondità. 
3.6. Pertanto, la raccolta nella vasca costituiva raccolta di rifiuti allo stato liquido che doveva essere autorizzata: il deposito di rifiuti nel luogo in cui sono stati prodotti è infatti equiparabile giuridicamente all'attività di gestione di rifiuti non autorizzata, prevista come reato dal D.lgs. n. 152 del 2006, art. 256. 

4. Alla stregua di quanto sopra, l’accoglimento del primo motivo esime questa Corte dall’esaminare il secondo, afferente alla violazione della legge processuale, nella specie, peraltro, non rilevante tenuto conto del chiaro quadro probatorio che emergeva in atti che non necessitava un supplemento istruttorio ma semplicemente una più attenta valutazione giuridica dei fatti. 

5. L’impugnata sentenza dev’essere, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale di Salerno, in diversa composizione personale, per un nuovo giudizio sul punto, che tenga conto di quanto affermato ai §§ 3 e segg. della motivazione della presente sentenza.  
  
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al tribunale di Salerno, in diversa persona fisica.
Così deciso, il 12/06/2025