Cons. Stato Sez.IV n. 888 del 16 febbraio 2010
Rifiuti. Sansa di olive ed attività agricola
La possibile non riconducibilità della sansa vergine alla disciplina dei rifiuti, non è di per sé sufficiente ad affermare la stretta connessione dell’attività assentita per l’opificio della società appellante con la trasformazione dei prodotti agricoli.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. 00888/2010 REG.DEC.
N. 02891/2009 REG.RIC.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 2891 del 2009, proposto da:
Oil Salento S.r.l., rappresentato e difeso dall'avv. Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso Gianluigi Pellegrino in Roma, corso del Rinascimento N.11;
contro
Comune di Veglie, n.c.;
Comune di Salice Salentino, Comune di Sandonaci, Comune di San Pancrazio Salentino, Comune di Guagnano, Comune di Porto Cesareo, rappresentati e difesi dall'avv. Pietro Quinto, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi in Roma, via Cosseria N.2;
per la riforma
della sentenza del TAR PUGLIA - LECCE :Sezione I n. 00339/2009, resa tra le parti, concernente REALIZZAZIONE STABILIMENTO INDUSTRIALE.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dei Comuni appellati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2009 il Cons. Anna Leoni e uditi per le parti gli avvocati Pellegrino e l'avv. Quinto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Il TAR Puglia- Lecce, Sez. I, con la sentenza n. 339 del 2009 impugnata in questa sede ha accolto il ricorso n. 1524/08 proposto dai Comuni di Salice Salentino, Sandonaci, San Pancrazio Salentino, Guagnano e Porto Cesareo, diretto all’annullamento del provvedimento conclusivo del procedimento unico n. 50/08, rilasciato in data 11/8/08 dal Responsabile del Settore Urbanistica del Comune di Veglie sull’istanza in data 6/8/08 n. prot. 10448 della soc. Oil Salento, nonchè del permesso di costruire in sanatoria n. 172 dell’11/8/08 ed atti connessi.
Nel ricorso erano intervenuti, ad opponendum, le soc. Masseria Pisanello s.r.l., l’Azienda agricola Graziuso Vincenza, la soc. Benegiamo Lucio e figli, l’Azienda Gennaccari di Giuseppa Gennaccari e C., la soc. coop. Agricola Botrugnese e Anglano Antonio, responsabile del S.U.A.P. del Comune di Veglie.
L’istanza presentata dalla soc. Oil Salento ai sensi dell’art.4 del DPR n. 447/98 era finalizzata alla realizzazione di uno stabilimento industriale diretto alla produzione ed alla commercializzazione di olii vegetali e nocciolino di sansa, con essiccazione di sansa, estrazione di olii vegetali con solventi, deposito liquidi infiammabili e combustibili(il progetto originario era stato, poi, ridotto da una ulteriore DIA in variante al permesso di costruire, escludendo la fase di lavaggio della sansa con esano per l’estrazione dell’olio vegetale).
L’intervento ricadeva in una zona agricola qualificata dal PUTT come ambito territoriale esteso di valore “C” all’interno di un’area definita “Parco del Negroamaro”, interessata dalla coltivazione del corrispondente vitigno a denominazione d’origine controllata.
Il Tribunale amministrativo ha ritenuto meritevole di accoglimento il ricorso sotto il profilo di censura, ritenuto assorbente, della violazione della normativa in tema di giusto procedimento.
Invero, secondo il TAR, le notevolissime dimensioni dell’impianto in progetto e le sue eccezionali capacità produttive(può lavorare 13.000 quintali di sansa umida al giorno pari a 474.500 quintali all’anno), unitamente alla particolare natura del materiale trattato, avrebbero richiesto il coinvolgimento e la partecipazione al procedimento dei soggetti pubblici e privati gravitanti entro un’area di qualche chilometro dalla stesso, quali potenziali destinatari del provvedimento, mediante forme di pubblicità idonee a raggiungere la platea dei residenti, degli enti e delle imprese operanti in aree vicine, ai sensi dell’art. 8 comma 3 L. n. 241 del 1990.
Una volta acquisiti gli elementi valutativi e conoscitivi apportabili dagli interessati, rispetto ai quali il Tribunale non ha espresso alcun giudizio, l’Amministrazione avrebbe potuto operare più consapevolmente e sulla base di una istruttoria esaustiva, anche sotto il profilo del punto di vista dei soggetti portatori di interessi contrari.
2. Ricorre in appello la Soc. Oil Salento s.r.l. avverso la sentenza n. 339/09 del TAR di Lecce, precisando anzitutto in punto di fatto che:
- l’area in cui ricade l’opificio(già utilizzato per pomodorificio)è zona tipizzata E2 dal vigente strumento urbanistico, nella quale sono consentite, oltre alla destinazione agricola e connesse, tutte le destinazioni d’uso compatibili con quella agricola;
.- la stessa norma di piano comprende tra tali ultime destinazioni sia la costruzione di complessi produttivi agricoli, sia la costruzione di opifici industriali purchè strettamente connessi con la trasformazione dei prodotti agricoli e con la zootecnia;
- la norma di piano, a conferma di tale impostazione, prevede per tali insediamenti la possibilità di deroga agli indici per le nuove costruzioni, nonché la possibilità di ampliamento del 20% della volumetria esistente;
- essendo possibile che all’interno l’area E2 fossero già presenti insediamenti di tipo industriale, viene fatta salva l’attività in corso, chiarendosi che alla dismissione della stessa le nuove destinazioni non potranno che essere quelle consentite dalla intervenuta pianificazione;
- l’appellante ha onerosamente acquisito la disponibilità dell’opificio esistente, destinandolo, senza nuove costruzioni né implementazioni di volumi, a sansificio e quindi ad attività industriale tipicamente connessa con la trasformazione del prodotto agricolo;
- l’impianto è funzionale al completamento di una filiera della tipica economia connessa all’attività agricola di zona, essendo l’area salentina terra di intensa coltivazione ad uliveto, con elevata attività di molitura di olive e conseguente necessità e possibilità di utilizzazione del sottoprodotto costituito dalla sansa;
- l’appellante, procedendo alla ristrutturazione dell’opificio, ha realizzato un moderno impianto di essiccazione della sansa a mezzo di semplice riscaldamento con aria calda, con separazione meramente meccanica del cd. nocciolino di sansa, che trova utilizzazione come combustibile alternativo;
- l’iniziale contemporaneo processo di estrazione dalla medesima sansa di olio vegetale tramite solventi è stato successivamente stralciato dall’originario progetto;
- l’attività in questione, consistente in trasformazione di prodotto agricolo qual è la sansa, ha comportato un investimento di 5 milioni di Euro, giusta autorizzazioni rilasciate dal Comune di Veglie- Settore Urbanistica ai sensi del DPR n. 447/98, con acquisizione dei pareri espressi di ASL e Vigili del fuoco, senza fare ricorso al procedimento semplificato a mezzo di autocertificazioni di cui all’art.4 del DPR n. 447/98 cit.;
- l’appellante ha formulato puntuale istanza al competente settore della Provincia di Lecce per l’autorizzazione alla emissione in atmosfera di cui all’art. 269 D.Lgs. n. 152/06;
- la Provincia di Lecce ha sottoposto l’iniziativa a procedura di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, incaricando per l’istruttoria una commissione di esperti indicati dal Rettore dell’Università del Salento, che ha concluso per la conferma della compatibilità ambientale dell’intervento, con esclusione della sua assoggettabilità a procedura di VIA.
2.1. La società deduce, quindi, i seguenti motivi di appello:
2.1.1. Inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione.
Il ricorso accolto dal T.A.R. è stato proposto esclusivamente avverso gli atti con cui il Comune di Veglie ha rilasciato gli assensi edilizi all’iniziativa dell’appellante e ha raccolto, a mezzo dello sportello unico, i relativi pareri istruttori di ASL e Vigili del fuoco. Tali atti vengono impugnati da Amministrazioni comunali che pongono a base della loro iniziativa pretesi interessi di tipo ambientale delle rispettive collettività amministrate. Esse non avrebbero i requisiti di legittimazione ad agire nei confronti dei provvedimenti di natura edilizia di altra autonoma amministrazione comunale. Né potrebbe individuarsi un interesse sovracomunale di natura ambientale, per il quale è in corso un procedimento non ancora concluso e non avendo, peraltro, i Comuni ritenuto di partecipare con osservazioni o rilievi alla verifica di assoggettabilità a VIA.
A giudizio dell’appellante il TAR avrebbe operato una illegittima equiparazione fra interesse alla partecipazione procedimentale da un lato e legittimazione processuale dall’altro, richiedendo quest’ultima(a differenza del primo) la sussistenza di una specifica posizione differenziata a tutela di un interesse protetto dall’ordinamento.
Per le medesime ragioni i ricorrenti in I grado sarebbero, altresì, sprovvisti di un interesse attuale e diretto alla proposta impugnazione avverso gli atti gravati.
2.2. Erroneità nel merito della pronuncia di accoglimento del preteso vizio relativo al mancato avviso di avvio del procedimento.
L’accoglimento di detta censura sarebbe errato, perché oggetto di impugnazione sono unicamente le determinazioni comunali di assenso edilizio ed il relativo atto dello sportello unico che ha raccolto i pareri di ASL e Vigili del fuoco, per i quali né la normativa generale sul procedimento né la normativa di semplificazione di cui al DPR n. 447/98 richiedono alcuna comunicazione di avvio del procedimento.
Il Tar, inoltre, avrebbe errato nel valutare la capacità produttiva dell’impianto, non considerando la stagionalità del medesimo e che detta capacità è funzionale proprio all’abbattimento dei tempi di emissione, azzerando i tempi di stoccaggio.
Non corrisponderebbe, poi, al vero l’affermazione, riportata in sentenza, che l’unico frantoio presente nel comprensorio lavorerebbe solo 600 quintali di sansa all’anno, essendo al contrario prodotti nel solo territorio di Veglie circa 120.000 quintali di sansa umida, provenienti dai sette frantoi presenti, quantità che raggiunge i 400.000 quintali riferendosi al comprensorio dei paesi limitrofi.
La comunicazione di avvio del procedimento non sarebbe stata necessaria, neppure nelle forme indicate dal TAR richiamando l’art. 8 comma 3 della L. n. 241/90(forme di pubblicità)in quanto essa è prevista nei confronti dei soggetti destinatari del pregiudizio solo là dove individuati o facilmente individuabili. Al contrario, nella fattispecie, come viene espressamente detto nella sentenza, la selezione dei soggetti effettivamente e concretamente interessati si sarebbe determinata a posteriori in ragione della stessa circostanza di partecipazione.
In nessun caso i ricorrenti potrebbero ritenersi soggetti destinatari di effetti diretti degli atti impugnati in I grado(assensi edilizi e relativi pareri istruttori), in quanto destinatario diretto degli stessi sarebbe solamente l’istante.
Né a diverse conclusioni potrebbe giungersi sulla base della normativa di semplificazione per gli impianti produttivi di cui al DPR n. 447/98, che solo per il procedimento in autocertificazione prevede un sistema di pubblicità, al fine di bilanciare con un controllo diffuso l’eventuale abuso di autocertificazione.
Del resto sarebbe la stessa legge n. 241 del 1990 a distinguere fra facoltà di partecipazione procedimentale e obbligo di avviso, laddove all’art.9 facultizza all’intervento ogni soggetto pubblico, privato o esponenziale che possa subire pregiudizio dall’emanando provvedimento, con ciò confermando che non tutti tali soggetti sono titolari della posizione legittimante a ricevere la necessaria comunicazione di avvio.
Infine, l’appellante ritrae conferma della bontà delle proprie tesi anche dall’art. 21 octies della L. n. 241 del 1990, in quanto la piena conformità urbanistica ed edilizia dell’intervento renderebbe dovuti gli atti amministrativi impugnati in I grado.
3. Si costituiscono per resistere i Comuni ricorrenti in I grado, eccependo:
3.1. Violazione dell’art. 7 L. n. 241 del 1990 e successive modificazioni- Mancata comunicazione di avvio del procedimento.
L’assenza dell’adempimento procedurale avrebbe prodotto effetti negativi sul piano sostanziale, essendo stato precluso a tutti coloro che potevano subire un pregiudizio dal provvedimento conclusivo di partecipare per far rilevare tutte le ritenute violazioni di legge.
Le Amministrazioni comunali ricorrenti in I grado e odierne resistenti fondano la propria legittimazione attiva ed il proprio interesse sulla circostanza che tutte rientrano nel cd. Parco del Negramaro, al pari del Comune di Veglie.
3.2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 DPR n. 447/98. Violazione e falsa applicazione degli artt. 8.1 e 9.2 N.T.A. del P.R.G. del Comune di Veglie. Eccesso di potere- Carenza di istruttoria.
Sostengono i resistenti che l’attività che intende esercitare la Oil Salento s.r.l. non potrebbe, per tipologia di struttura e per modalità del processo di produzione e quantità del prodotto trattato, considerarsi né attività agricola, perché del tutto scollegata dal terreno asservito all’impianto, né strettamente connessa con l’utilizzazione agricola, perché destinata a produrre un bene destinato ad altri scopi, da ricercare nell’oggetto sociale della Oil Salento.
Essa, quindi, sarebbe in contrasto con la disciplina di zona di cui all’art. 8.1. N.T.A. del P.R.G. del Comune di Veglie.
Neppure può essere considerata come strettamente connessa con la trasformazione di prodotti vegetali(art. 9.2. N.T.A.), essendo la sansa umida qualificabile come rifiuto, seppure non pericoloso. Essa, inoltre, non proviene direttamente dalla coltivazione, ma è il risultato di una precedente lavorazione industriale.
L’insediamento è, inoltre , incompatibile con l’art.9.2 N.T.A. del P.R.G. di Veglie che prevede la destinazione ad attività agricola o ad essa connessa degli opifici industriali di zona non correlati ad attività agricola.
Si sarebbe, in realtà, in presenza di una vera e propria attività industriale, che necessiterebbe di una variante urbanistica, non essendo compatibile con la destinazione di zona.
3.3. Violazione e falsa applicazione dell’art.4 D.P.R. n. 447/98 e successive modificazioni- Carenza assoluta d’istruttoria.
La procedura seguita rivelerebbe carenze istruttorie e di pareri tecnici.
3.4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 DPR n. 380/01 e successive modificazioni- Eccesso di potere per erroneità dei presupposti di fatto e di diritto- Carenza d’istruttoria- Perplessità dell’azione amministrativa.
Non si tratterebbe, nella fattispecie, di ristrutturazione edilizia, ma di nuova costruzione rispetto all’esistente.
3.5. Violazione e falsa applicazione dell’art.4.02 e 5.01 N.T.A. P.U.T.T./PBA-Puglia- Errata applicazione dell’art. 4.02 N.T.A. PUTT/PBA_Puglia-Eccesso di potere- Carenza d’istruttoria.
Il Responsabile del S.U.A.P. avrebbe dovuto effettuare lo studio di impatto paesaggistico, onde verificare l’entità delle modifiche introdotte dall’intervento proposto sugli elementi strutturali del territorio, l’effetto delle opere di mitigazione previste ed il livello della compatibilità paesaggistica.
In ogni caso, il nulla osta paesaggistico avrebbe dovuto essere richiesto essendo stata modificata la precedente destinazione d’uso.
4. Con memoria di replica, la soc. Oil Salento ha preliminarmente fatto rilevare che la lavorazione della sansa, quale prodotto residuo della lavorazione delle olive, rientrerebbe nelle destinazioni d’uso previste dalla normativa urbanistica di piano che regola l’area in questione, che consente tutte le destinazioni d’uso compatibili con quella agricola, ivi compresa la costruzione di complessi produttivi agricoli e di opifici industriali purchè strettamente connessi con la trasformazione dei prodotti e con la zootecnia.
Nel merito, poi, ha contestato che la sansa costituisca un rifiuto speciale, in quanto le cd. sanse umide sarebbero prodotto di diretta derivazione agricola, usata come ammendante per i terreni agricoli, ovvero più spesso per l’ulteriore estrazione dell’olio di sansa destinato al mercato.
Quanto al D.Lgs. n. 152/06 l’appellante contesta la riconducibilità della sansa ai rifiuti, quali definiti dall’art. 183 comma 1 lett.a), essendo invece, a suo avviso riconducibile ai sottoprodotti, quali definiti dalla successiva lett.p) e dall’art. 185 commi 1 e 2.
Il medesimo T.U., poi, all’All.X rubricato”disciplina dei combustibili” include le sanse di oliva disoleata fra le biomasse combustibili, purchè ottenute dal trattamento delle sanse vergini con esano per l’estrazione dell’olio di sansa destinato all’alimentazione umana e da successivo trattamento termico, purchè i predetti trattamenti siano effettuati all’interno del medesimo impianto.
Il medesimo riconoscimento sarebbe pervenuto a livello comunitario(Comunicazione del 21/02/07 della Commissione dell’Unione europea riguardante linee guida per ottenere una definizione comunitaria di sottoprodotto). In base ad essa un residuo è considerato sottoprodotto e non rifiuto quando l’utilizzo è certo e non una mera possibilità; non ci sono state trasformazioni preliminari; l’utilizzo è parte di un processo di produzione.
Tali principi sono stati, poi, acquisiti dalla direttiva quadro sui rifiuti adottata in via definitiva dal Consiglio europeo e dal Parlamento europeo.
A livello nazionale sarebbe stato, poi, riconosciuto espressamente che la sansa di oliva è idonea, in virtù dei requisiti indicati, ad essere qualificata come sottoprodotto dell’agricoltura(risoluzione della 13^ Commissione permanente- territorio, ambiente e beni ambientali, approvata in data 31/07/08).
Analogamente, a livello regionale si definisce la sansa un sotto prodotto del ciclo di lavorazione delle olive(deliberazione G.R. del 27/11/07 n. 1933 di approvazione del progetto regionale di certificazione della filiera delle biomasse).
Secondo l’appellante, poi, le decisioni del giudice penale citate si riferirebbero a fattispecie di scarico incontrollato a cielo aperto di vegetazione e sansa umida derivante dall’attività di oleifici, senza utilizzazione alcuna nei cicli produttivi citati. Con ciò le decisioni del giudice penale sarebbero coerenti con il principio contenuto nell’art. 183 comma 1 lett.a) del D.Lgs. n. 152/06.
L’appellante ribadisce, poi, la piena compatibilità urbanistica dell’iniziativa in questione, comprendendo la norma di piano anche la costruzione di opifici industriali, purchè connessi con la trasformazione dei prodotti agricoli e con la zoootecnia, aggiungendo per tali insediamenti la possibilità di deroga sugli indici per le nuove costruzioni, nonché la possibilità di ampliamento del 20% della volumetria esistente ed, altresì, facendo salva l’attività in corso, fermo restando che alla dismissione della stessa le nuove destinazioni non potranno essere che quelle consentite.
Viene, inoltre, contestato che l’impianto dovesse essere approvato in variante urbanistica.
Vengono, infine, contestate le censure afferenti ai risalenti titoli edilizi che hanno conformato l’opificio esistente.
5. I Comuni resistenti hanno depositato memoria difensiva con la quale hanno ribadito le proprie tesi.
6. L’appellante, a sua volta, ha effettuato una breve replica deducendo la inammissibilità delle tesi avversarie, in quanto esse sarebbero volte ad ottenere un risultato più favorevole di quello ottenuto in I grado, senza però aver contestato la statuizione di assorbimento che il TAR ha operato.
7. Il ricorso è stato inserito nei ruoli d’udienza del 27 ottobre 2009 e trattenuto per la decisione.
DIRITTO
1. La sentenza appellata ha annullato il provvedimento conclusivo del procedimento unico n. 50/08 ex DPR n. 447/98, rilasciato in data 11/8/08 dal Responsabile del settore urbanistica del Comune di Veglie e finalizzato alla realizzazione di uno stabilimento industriale per produzione e commercializzazione di olii vegetali e nocciolino di sansa, tramite sua essiccazione, nonché il permesso di costruire in sanatoria n. 172 dell’11/8/2008.
Il TAR, assorbiti tutti gli altri motivi esposti nel ricorso proposto dal Comune di Salice Talentino ed altri, ha accolto quello afferente alla violazione della normativa in tema di giusto procedimento, sostenendo che le notevolissime dimensioni dell’impianto e le sue eccezionali capacità produttive, unitamente alla natura del materiale trattato, avrebbero richiesto il coinvolgimento e la partecipazione al procedimento dei soggetti pubblici e privati gravitanti entro un’area di qualche chilometro dallo stesso, quali potenziali destinatari del provvedimento, mediante forme di pubblicità idonee a raggiungere la platea dei residenti, degli enti e delle imprese operanti in aree vicine, ai sensi dell’art.8 comma 3 L. n. 241 del 1990.
2. Con riguardo ai Comuni resistenti, l’appellante ha riproposto, in primo luogo, le eccezioni di difetto di legittimazione ad agire e di difetto d’interesse, in quanto essi non avrebbero i requisiti di legittimazione ad agire nei confronti dei provvedimenti di natura edilizia di altra autonoma amministrazione comunale. Né potrebbe individuarsi un interesse sovracomunale di natura ambientale, per il quale è in corso un procedimento non ancora concluso e non avendo, peraltro, i Comuni ritenuto di partecipare con osservazioni o rilievi alla verifica di assoggettabilità a VIA.
A giudizio dell’appellante il TAR avrebbe operato una illegittima equiparazione fra interesse alla partecipazione procedimentale da un lato e legittimazione processuale dall’altro, richiedendo quest’ultima(a differenza del primo) la sussistenza di una specifica posizione differenziata a tutela di un interesse protetto dall’ordinamento.
Per le medesime ragioni i ricorrenti in I grado sarebbero, altresì, sprovvisti di un interesse attuale e diretto alla proposta impugnazione avverso gli atti gravati
Ritiene il Collegio che le eccezioni possano essere superate.
L’insistenza sul territorio d’interesse degli Enti territoriali resistenti comprova la sussistenza di comuni scopi di tutela, in ragione delle finalità dalle stesse perseguite di creare una rete di turismo rurale nel territorio, di tutelare e valorizzare il territorio di insediamento della rete e di incrementare lo sviluppo delle attività turistico- ricettive ivi presenti. In ragione della natura degli Enti in questione, non può essere revocato in dubbio che le loro finalità di tutela siano di carattere permanente, atteso il loro radicamento sul territorio e l’innegabile sussistenza di comuni ragioni a difendersi da eventuali pregiudizi ambientali nell’ambito del territorio di loro competenza.
Analoghe considerazioni possono svolgersi per l’interesse dei Comuni ad agire, in difesa del settore della vinicoltura nella zona, importante qualitativamente e quantitativamente, a che l’area non venga pregiudicata sotto il profilo paesaggistico e della vocazione enologica.
Quanto alla eccepita carenza d’interesse, ritiene il Collegio che anch’essa possa essere superata.
Se, infatti, da un lato è vero che la giurisprudenza ha avuto modo di puntualizzare che la mera circostanza della prossimità all’opera pubblica da realizzare non è idonea a radicare un interesse all’impugnazione in assenza della congrua dimostrazione del danno che deriverebbe dall’impianto (Cons. St., Sez. VI, 18 luglio 1995 n. 754; Sez. V 13 luglio 1998 n. 1088; 31 gennaio 2001 n. 358; 20 maggio 2002 n. 2714; 16 aprile 2003 n. 1948), dall’altro lato nella specie i ricorrenti di I grado si sono dati cura della richiesta dimostrazione in termini ritenuti dal Collegio sufficienti a radicare la legittimità del proprio titolo alla impugnazione.
Non appare, invero, fuor di logica ritenere, come gli stessi hanno sostenuto, che i soggetti ricorrenti abbiano interesse a ricorrere in relazione al danno concreto, immediato ed attuale che gli stessi temono di ricevere nella propria sfera giuridica in ragione delle lavorazioni praticate dalla Oil Salento o per il fatto che la localizzazione dell’impianto della stessa, unitamente alle nuove lavorazioni ivi previste, riducano il valore economico del territorio, in ragione delle attività ivi praticate.
3. Per quanto riguarda il profilo di censura accolto dal TAR, con assorbimento delle restanti censure, incentrato sulla ritenuta violazione della normativa in tema di giusto procedimento, ritiene il Collegio che esso sia fondato.
Invero, va ricordato come la giurisprudenza amministrativa si sia ormai consolidata nell’escludere che l’obbligo di cui agli artt. 7 e 8 della L. n. 241 del 1990 possa essere inteso in senso puramente formale.
E’ stato ritenuto, infatti(dec. V Sez. n. 5436/05), che l’obbligo di cui all’art.7 non può essere applicato meccanicamente e formalisticamente, essendo volto non solo ad assolvere ad una funzione difensiva a favore del destinatario dell’atto conclusivo, ma anche a formare nell’Amministrazione procedente una più completa e meditata volontà e dovendosi, comunque, ritenere che il vizio derivante dall’omissione di comunicazione non sussiste nei casi in cui lo scopo della partecipazione del privato sia stato comunque raggiunto o manchi l’utilità della comunicazione all’azione amministrativa(VI Sez., n. 1844/08; V n. 6641/04 e n. 343/02).
Dal che consegue che non può ritenersi sussistente la violazione di tale obbligo di comunicazione nel caso in cui il soggetto inciso sfavorevolmente da un provvedimento non dimostri che, ove fosse stato reso edotto dell’avvio del procedimento, sarebbe stato in grado di fornire elementi di conoscenza e di giudizio tali da far determinare in modo diverso le scelte dell’Amministrazione procedente(cfr. in termini, dec. nn. 1844 e 343 cit.; Sez. II, n. 1359/99).
Sotto altro profilo, la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato che l’esigenza di informazione del destinatario dell’azione amministrativa non sussiste ogniqualvolta lo stesso destinatario ne abbia già avuto conoscenza aliunde(V Sez., n. 6641/04).
Quanto alla individuazione della platea dei destinatari dell’atto, osserva il Collegio che l’art. 7 co. 1 della L. n. 241 del 1990 impone tale comunicazione nei riguardi dei “soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi”(Sez. IV, n. 1234/97).
Precisato che oggetto di impugnazione sono unicamente le determinazioni comunali di assenso edilizio ed il relativo atto dello sportello unico che ha raccolto i pareri di ASL e Vigili del fuoco, e che i ricorrenti originari non sono fra i soggetti che per legge sono tenuti a partecipare al procedimento anzidetto, a causa dell’assenza di una norma che sancisca tale diritto di partecipazione(né nella normativa generale sul procedimento né nelle norme di semplificazione di cui al DPR n. 447/98), deve, allora, essere valutato se ricorra l’altra circostanza prevista dalla disposizione riferita, quella secondo la quale l’Associazione ricorrente, le sue associate ed il Consorzio di tutela vinicola siano soggetti nei cui confronti l’atto è destinato a produrre effetti diretti.
Tale circostanza non sembra sussistere, nel caso in esame.
Gli effetti diretti dei provvedimenti impugnati sono quelli che si verificano nei confronti dei richiedenti gli assensi edilizi, che sono i veri destinatari degli stessi, mentre quelli che si verificano nei riguardi dell’Associazione e degli altri ricorrenti sono soltanto effetti indiretti, assistiti dal potere di esperire apposita azione per la tutela giurisdizionale(Cons. Stato, IV Sez., n. 1234/97), esattamente quella che è stata richiesta in primo grado.
Il medesimo art. 7 della L. n. 241 cit., al secondo comma, prevede che la comunicazione del procedimento debba avvenire anche nei confronti di eventuali ulteriori soggettivi quali dal provvedimento possa derivare un pregiudizio, purchè “individuati e facilmente individuabili”.
Orbene, trattandosi di atti edilizi, riferiti alla struttura dell’impianto e non alla attività produttiva conseguente al funzionamento dello stesso e alle sue eventuali immissioni(procedimento distinto e risultante tuttora in corso presso la competente autorità provinciale, nel quale potranno essere eventualmente valutati i fattori delle dimensioni dell’impianto, della sua capacità di lavorazione e della quantità di sansa prodotta dai frantoi dell’area)non sembra potersi convenire sul fatto che i ricorrenti in I grado fossero soggetti da ritenersi, a monte, individuati o facilmente individuabili, sicchè la disposizione in questione non è ad essi applicabile.
Del resto, come ha correttamente fatto notare l’appellante, lo stesso giudice di prime cure ha affermato che il Comune avrebbe dovuto procedere a mezzo di avviso pubblico, così sarebbe stata la successiva concreta partecipazione al procedimento ad individuare i soggetti interessati. Ma se così è, essi non potevano certo ritenersi a monte né individuati né facilmente individuabili.
Né può giovare il richiamo all’art. 8 della L. n. 241 del 1990, che, al comma 3, prevede che qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’Amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al precedente comma 2, mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’Amministrazione medesima.
Detta disposizione, invero, non costituisce in alcun modo un ampliamento delle ipotesi di comunicazione del procedimento, ma, una volta fissati dal comma 2 i contenuti della comunicazione, ne consente l’effettuazione mediante forme idonee di pubblicità ove la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa.
Si osserva, infine , che la L. n. 241 del 1990 accorda, all’art.9, ai soggetti portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati la possibilità di partecipazione al procedimento. Si tratta, però, di una norma che sancisce una possibilità e non un diritto di partecipazione e che, in ogni caso, ha come sua primaria finalità quella di dare rilevanza ad interessi che non sono riconoscibili in capo a singoli individui e dei quali è dubbia la tutela giurisdizionale nei casi in cui ne siano portatrici associazioni che non risultino inserite negli elenchi previsti dall’art.5 della L. n. 281 del 1998.
Da quanto sopra esposto, deriva che non poteva ritenersi sussistente alcun obbligo di comunicazione di avvio del procedimento ai sensi della L. n. 241 del 1990.
Ad analoghe conclusioni si giunge sulla base della disciplina di semplificazione prevista per gli impianti produttivi dal DPR n. 447/98, che solo per il procedimento mediante autocertificazione di cui al Capo III prevede, all’art.6, commi 2 e 13, un sistema di pubblicità, evidentemente finalizzato a compensare, con un controllo diffuso, l’utilizzazione di un procedimento ad alta semplificazione come quello mediante autocertificazione.
4. La riconosciuta fondatezza dell’unico motivo dell’appello proposto dalla OIL SALENTO, impone l’esame delle censure di merito sollevate dai ricorrenti in primo grado, dichiarate assorbite dal giudice di primo grado e riproposte con memoria dai Comuni resistenti.
Le questioni da risolvere, ai fini della odierna decisione, ruotano sostanzialmente attorno ai seguenti punti:
1)stabilire se l’intervento che la soc. Oil Salento intende realizzare ( e per cui ha chiesto l’autorizzazione e la concessione in sanatoria assentite dagli organi competenti) possa ritenersi compatibile con la destinazione dell’area interessata;
2) stabilire se la materia utilizzata nel ciclo produttivo e i prodotti dallo stesso derivanti siano riconducibili ad attività agricola;
3) stabilire se l’intervento edilizio in sé rientri fra quelli consentiti nella zona E secondo le NTA del Comune di Veglie, anche con riferimento al principio di conservazione della originaria destinazione d’uso.
Relativamente al primo punto, va ricordato che, come già esposto in fatto:
- l’area in cui ricade l’opificio (già utilizzato per pomodorificio) è zona tipizzata E2 dal vigente strumento urbanistico, nella quale sono consentite, oltre alla destinazione agricola e connesse, tutte le destinazioni d’uso compatibili con quella agricola;
.- la stessa norma di piano comprende tra tali ultime destinazioni sia la costruzione di complessi produttivi agricoli, sia la costruzione di opifici industriali purchè strettamente connessi con la trasformazione dei prodotti agricoli e con la zootecnia;
- la norma di piano, a conferma di tale impostazione, prevede per tali insediamenti la possibilità di deroga agli indici per le nuove costruzioni, nonché la possibilità di ampliamento del 20% della volumetria esistente;
- essendo possibile che all’interno dell’area E2 fossero già presenti insediamenti di tipo industriale, viene fatta salva l’attività in corso, chiarendosi che alla dismissione della stessa le nuove destinazioni non potranno che essere quelle consentite dalla intervenuta pianificazione.
Ne deriva che gli strumenti urbanistici del Comune non precludevano del tutto l’edificabilità, in zona agricola, di opifici industriali, essendo consentita in certa misura la realizzazione di impianti ed insediamenti produttivi, purchè “strettamente connessi con al trasformazione dei prodotti agricoli e con la zootecnia”.
Si tratta, quindi, di verificare l’esatta portata di tale definizione, onde accertare se l’intervento che l’appellante ha chiesto di realizzare possa esservi ricompreso.
Al riguardo va rilevato che si definiscono attività connesse all’agricoltura (art. 2135 c.c., nel testo introdotto dal D.Lgs. 18 maggio 2001 n. 228) le attività esercitate dal medesimo imprenditore agricolo dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione e di ospitalità, come definite dalla legge.
La parte del nuovo articolo 2135 del codice civile riferita alle cosiddette "attività connesse" è quella che ha suscitato maggiori discussioni, in quanto quella di "attività connesse" non costituisce una ulteriore definizione che si aggiunge alle fondamentali, ma sta proprio ad indicare che esse non possono essere esercitate da soggetti diversi dall'imprenditore agricolo che esercita una o più delle attività di coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento di animali. Infatti, il nuovo secondo comma inizia proprio affermando che le attività subito dopo elencate si intendono sempre "connesse" quando sono svolte dall'imprenditore agricolo che esercita le attività di coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento di animali. Secondo l'elencazione contenuta nella norma, queste attività sono quelle "dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione" dei prodotti.
A proposito di questi ultimi la norma, logicamente, precisa che le attività connesse, come prima elencate, devono avere "ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali". Viene introdotto il concetto di "prevalenza", fino ad ora presente in una parte della legislazione riferita alle attività agricole e mai esplicitato chiaramente, il che consente all'imprenditore agricolo il ricorso al mercato per acquistare prodotti da destinare alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, sempreché non siano prevalenti rispetto a quelli ottenuti dall'imprenditore attraverso la coltivazione del fondo o del bosco e l'allevamento di animali e integrino il prodotto originario al fine di realizzare un migliore prodotto finale.
E’ stato precisato, in giurisprudenza, che la suddetta attività connessa dell’imprenditore agricolo deve restare collegata all’attività dal medesimo esercitata in via principale mediante un vincolo di strumentalità o complementarietà funzionale, in assenza del quale essa non rientra nell’esercizio normale dell’agricoltura ed assume, invece, il carattere prevalente od esclusivo dell’attività commerciale o industriale(cfr. Cons. Stato, IV Sez., 12 ottobre 1999 n. 1555; 14 maggio 2001 n. 2669; VI Sez., 6 marzo 2007 n. 1051).
In ogni caso, è stato affermato che allorquando l’attività della cui connessione con un’attività propriamente agricola si discute abbia in concreto dimensioni tali (anche nell’ambito della medesima impresa) che la rendono principale rispetto a quella agricola, deve escludersi il carattere agricolo dell’attività stessa(Cass. 6 giugno 1974 n. 1682, ripresa da Cons. Stato, VI Sez., n. 1051/07 cit.).
Alla stregua dei ricordati principi va verificato l’aspetto rilevante della fattispecie in esame e cioè la stretta connessione con la trasformazione dei prodotti agricoli dell’attività industriale che la soc. Oil Salento intenderebbe realizzare, onde poterne inferire la compatibilità urbanistica.
Come risulta incontestatamente dagli atti di causa, il ciclo produttivo dell’impianto, nella sua ultima definizione, è finalizzato al trattamento di derivati di seconda lavorazione della molitura delle olive (sanse vergini), conferiti da opifici di zona, per ottenerne, mediante il metodi di essiccazione ad aria calda, il nocciolino di sansa, da utilizzare quale combustibile.
Si sostiene, da parte dei resistenti, contrastati con avverse argomentazioni dalla soc. Oil Salento, che l’Amministrazione avrebbe operato una errata qualificazione giuridica della tipologia del prodotto lavorato (sanse umide), in quanto la circostanza che esso derivi dalla lavorazione di un prodotto agricolo, qual è l’oliva, non sarebbe sufficiente a farlo qualificare come sottoprodotto, ostandovi la normativa comunitaria recepita nel nostro ordinamento con il D.M. 5/2/98, che qualifica la sansa come rifiuto e non come sottoprodotto agricolo.
Né sarebbe idoneo a conferire alla sansa una diversa qualificazione il D.Lgs. n. 152/06, che pur definendo nell’All. X la sansa di oliva disoleata come biomassa combustibile, prevede che a tali fini essa debba essere sottoposta ad una lavorazione preliminare.
Alla sansa, pertanto, sarebbe applicabile la disciplina relativa agli impianti che utilizzano rifiuti speciali, per i quali il D.Lgs. n. 152/06 all’art. 184, comma 3 lett. a) prevede una competenza specifica per la autorizzazione relativa.
Le approvazioni di detti impianti, invero, sarebbero (art. 196 D.Lgs. cit.) di competenza delle Regioni (o della Provincia delegata) che, ai fini della localizzazione di detti impianti, privilegerebbero le aree industriali. La stessa Regione Puglia con decreto n. 246 del 2006 ha approvato un Piano regionale di gestione dei rifiuti che, all’art.9, prevede per i rifiuti speciali il vincolo di localizzazione in aree industriali, mentre l’impianto assentito è situato in zona qualificata dal P.R.G. come verde agricolo.
Per definire la natura della sansa vergine di oliva occorre ripercorrere la normativa, comunitaria e nazionale, che se ne è in qualche modo occupata e l’evoluzione giurisprudenziale succedutasi in materia.
Anzitutto, per quanto riguarda la disciplina normativa, l’art.6 del D.Lgs. 5/2/97 n. 22 (cd. Decreto Ronchi) definisce rifiuto qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie dell’All. X e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi; distingue, poi, rifiuti pericolosi e non pericolosi e per questi ultimi prevede le modalità di raccolta e avvio alle operazioni di recupero e smaltimento.
Il D.M. 5/2/98, art.11 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del D.Lgs. n. 22/97) prevede, al punto 11, i rifiuti derivati dall’industria agroalimentare, fra cui rientra (punto 11.12) la sansa esausta di oliva (provenienza: industria olearia, processo di produzione di olio di sansa mediante estrazione con solvente).
Il DPCM 8/3/2002(Disciplina della caratteristiche merceologiche dei combustibili aventi rilevanza ai fini dell’inquinamento atmosferico.), all’All. III (Individuazione delle biomasse combustibili e delle loro condizioni di utilizzo), come modificato dal successivo DPCM 8 ottobre 2004, prevede fra le biomasse la sansa di olive disoleata, avente le caratteristiche riportate in apposita tabella, ottenuta dal trattamento delle sanse vergini con n-esano per l’estrazione dell’olio di sansa destinato all’alimentazione umana e da successivo trattamento termico, purchè i predetti trattamenti siano effettuati all’interno del medesimo impianto; tali requisiti, nel caso di impiego del prodotto al di fuori dell’impianto stesso di produzione, devono risultare da un sistema di identificazione conforme a quanto stabilito al punto 3. (Il decreto è stato abrogato dall’art. 297 D.Lgs. n. 152/06, coi limiti ivi indicati).
Il D.L. 8/7/2002 n. 138(Interventi urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni etc.) all’art.14 prevede “Interpretazione autentica della definizione di rifiuto di cui all’art.6, comma 1, lett.a) del decreto legislativo 5 febbraio 1997 n. 22”. In particolare, prevede che non vengano considerati rifiuti: a) i beni o sostanze o materiali residuali di produzione o di consumo ove gli stessi possano essere effettivamente ed oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o in diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all’ambiente; b) ove gli stessi possano essere e siano effettivamente ed oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell’All. C del D.Lgs. n. 22/97(La norma è stata abrogata dall’art. 264 del D.Lgs. n. 152 del 2006 e sostituita dall’art. 183 lett.n) D.lgs. n. 152 cit.).
Il D.Lgs. 3/4/2006 n. 152, recante “Norme in materia ambientale” prevede, per quanto d’interesse per la fattispecie, le seguenti disposizioni:
- a) art. 183(Definizioni), nel testo sostituito dall’art. 2, comma 20, del D.Lgs. 16 gennaio 2008 n. 4(correttivo ambientale) che, al comma 1 lett.a) definisce “rifiuto” qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’Allegato A alla parte quarta del decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi; alla lett.p) definisce “sottoprodotto” le sostanze e i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell’art. 183 comma 1 lett.a) che soddisfino tutti i seguenti criteri, requisiti e condizioni: 1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione; 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase di produzione, integrale ed avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito; 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientali idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l’impianto dove sono destinati ad essere utilizzati; 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici o di qualità ambientale di cui al punto 3, ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione; 5) abbiano un valore economico di mercato;
- b) art. 184(Classificazione) che, al comma 3, ricomprende fra i rifiuti speciali anche i rifiuti da attività agricole e agro-industriali;
- c) art. 185 (Limiti al campo di applicazione) che, al comma 2, prevede, fra l’altro, che possano essere “sottoprodotti”, nel rispetto delle condizioni della lett.p, comma 1, dell’art. 183, “ materiali fecali e vegetali provenienti da attività agricole utilizzati nelle attività agricole o in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore o biogas”;
- d) art. 196(Competenza delle Regioni) che definisce le competenze regionali in materia di gestione di rifiuti.
- e) Allegato X (Disciplina dei combustibili) che ricomprende fra le biomasse combustibili la sansa di oliva disoleata e ne definisce le caratteristiche e le condizioni di utilizzo.
Per quanto riguarda, poi, gli orientamenti giurisprudenziali succedutisi nella disciplina ricordata, va anzitutto rilevato, in merito all’applicazione dell’art. 183 D,.Lgs. n. 152/06, che ha distinto in maniera precisa rifiuti e sottoprodotti, che, nella pratica, l’individuazione e la differenziazione fra tali categorie è risultata più difficoltosa.
Per quanto attiene alla giurisprudenza comunitaria, si ricordano i principali passaggi interpretativi:
- Corte di giustizia delle comunità europee: Sentenza 11 novembre 2004(Causa C 457/02): ha introdotto il concetto di sottoprodotto per descrivere un bene che non presentava le caratteristiche del prodotto principale, ma del quale comunque l’impresa produttrice non intendeva disfarsi perché poteva riutilizzarlo all’interno del ciclo produttivo o commercializzarlo a condizioni economiche favorevoli. La sentenza ha proposto una applicazione restrittiva del concetto, limitata ai casi in cui il riutilizzo, certo e non eventuale, avvenga all’interno dello stesso ciclo.
- Corte di giustizia delle comunità europee: Sentenza 8 settembre 2005 (Causa C- 121/03, Regno di Spagna): ha ribadito il concetto introdotto con la sentenza 11 novembre 2004.
- Corte di giustizia delle comunità europee: Sentenza 8 settembre 2005 (Causa C-416/02 Regno di Spagna): è stata abbandonata l’applicazione restrittiva a favore di una posizione più aperta alla commercializzazione(“una sostanza non può essere considerata un rifiuto ai sensi della direttiva 74/442 se viene utilizzata con certezza per il fabbisogno di operatori economici diversi da chi l’ha prodotta”).
- Corte di giustizia delle comunità europee: Sentenza 18 dicembre 2007(Causa C- 263/05, Repubblica italiana): è stato precisato che “se per il riutilizzo occorrono operazioni di deposito che possono avere una certa durata e, quindi, rappresentare un onere per il detentore, nonché essere potenzialmente fonte di quei danni per l’ambiente che la direttiva mira specificamente a limitare, esso non può considerarsi certo né prevedibile solo a più o meno lungo termine, cosicché la sostanza di cui trattasi deve essere considerata, in linea di principio, come rifiuto”.
- Grande Sezione della Corte di giustizia: Sentenza 24 giugno 2008(Causa C- 188/07): è stato precisato che una sostanza(nella specie si trattava di olio pesante venduto come combustibile) non costituisce rifiuto ai sensi della direttiva n. 75/442 CEE relativa ai rifiuti, nei limiti in cui è sfruttata o commercializzata a condizioni economicamente vantaggiose e può essere effettivamente utilizzata come combustibile senza necessitare di preliminari operazioni di trasformazione.
Per quanto attiene, invece, alla più recente giurisprudenza italiana si ricordano:
- Sentenza Corte Cassazione 4 aprile 2007 n. 13754: sono state ribadite le condizioni che rendono possibile escludere i residui di lavorazione dalla disciplina dei rifiuti, soffermandosi in particolare sulla necessità dell’assenza di trasformazione preliminare e sull’utilizzo certo. Per quanto riguarda l’olio di sansa la Corte ha sottolineato che è lo stesso D,Lgs. N. 152 del 2006 che stabilisce espressamente, tra le condizioni di riutilizzo delle biomasse combustibili, che la sansa di oliva disoleata deve avere(per poter essere riutilizzata) determinate caratteristiche tecniche, ottenibili mediante un apposito e peculiare trattamento preliminare. Ha, quindi, escluso che la stessa possa farsi rientrare nella categoria dei sotto prodotti.
- Sentenza Corte Cassazione 29 luglio 2008 n. 31462: è stato affermato che, ai fini della qualifica di un materiale o una sostanza come sottoprodotto, non è necessario che il riutilizzo avvenga nello stesso processo produttivo che lo ha originato, essendo sufficiente che il processo di utilizzazione sia stato preventivamente individuato e definito(la pronuncia si discosta da precedenti pronunce: v. sent. N. 14557 dell’11 aprile 2007).
- Sentenza Corte Cassazione 12 settembre 2008 n. 35235: in materia di residui da lavorazione(nella specie, pavimenti in linoleum) è stata rimarcata l’importanza del valore economico, elemento determinante per la distinzione tra scarto e sottoprodotto.
- Tar Campania 5 giugno 2006 n. 8169: richiamando la giurisprudenza comunitaria, ha sottolineato come sia centrale, nella determinazione del concetto di sottoprodotto, accertare l’intenzione dell’impresa di sfruttare o commercializzare in un processo diverso e successivo il bene in questione. Il caso affrontato riguardava proprio la sansa vergine qualificata come materia prima utilizzabile sia all’interno dei sansifici, sia successivamente in un processo produttivo diverso. E ciò diversamente dalle sanse esauste, derivanti dalla estrazione dell’olio di sansa, che invece sono oggetto di regolamentazione come rifiuto (artt. 31 e 33 D.Lgs. n. 22 del 1997).
- Tar Emilia Romagna 9 luglio 2008 n. 3296: è stata esclusa la qualifica di sottoprodotto per il liquame zootecnico perché previsto come rifiuto ex All.D al D.Lgs. n. 152 cit. e perché il suo utilizzo per produrre energia richiede la trasformazione in biogas e, quindi, la trasformazione tramite un successivo processo produttivo.
- Tar Sicilia 24 maggio 2007 n. 1430: è stato ritenuto che l’individuazione della natura di sottoprodotto ruoti essenzialmente attorno alle modalità di utilizzo del materiale, per cui da un lato è assolutamente indifferente che tale riutilizzo avvenga presso il luogo di produzione o altrove, da parte di un terzo, mentre dall’altro è necessario che vengano in ogni caso fornite garanzie sufficienti sull’identificazione e sull’utilizzazione effettiva delle sostanze nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo tale da non costituire recupero; il che risulta ammissibile solo per quelle attività che si limitano a rendere la sostanza idonea al riutilizzo, senza mutarne la composizione chimica.
- C.G.A. 21 gennaio 2008 n. 2: è stato ritenuto che l’utilizzazione delle buccette essiccate (derivato dalla produzione vinicola) come combustibile rientri nella nozione di rifiuto, trattandosi di beni riutilizzati dopo un processo di trasformazione(lavaggi ed essiccazione) e destinati ad operazioni di smaltimento e di recupero secondo gli Allegati B e C del D.Lgs. n. 22 cit.
Dalle decisioni soprariportate, sembra di potersi dedurre che, a livello comunitario, è stata messa a fuoco la nozione collaterale di “sottoprodotto”, nel senso che un bene, un materiale o una materia prima derivante da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo non è sempre un residuo, ma può anche essere considerato un sottoprodotto, ossia un bene del quale l’impresa non ha intenzione di disfarsi, ma che intende utilizzare commercialmente. Centrale nella determinazione di tale concetto appare, allora, l’intenzione dell’impresa di sfruttare o commercializzare in un processo diverso e successivo il bene in questione(in termini, TAR Campania, sent. N. 8169/06).
Nel caso di specie, la circostanza che la soc. Oil Salento intenda utilizzare la sansa vergine parrebbe confortare l’interpretazione dalla stessa società proposta, ossia che nella fattispecie non si verta in tema di rifiuti(Cass. Pen. III, 17 maggio 2005).
Essa, invero, sembra rappresentare una materia di derivazione dal processo di estrazione dell’olio di oliva, costituito dal residuo solido della spremitura della pasta di olive, utilizzabile sia all’interno dei santifici, sia successivamente in un ciclo produttivo diverso, come intende fare la società appellante( e ciò diversamente dalle sanse esauste, derivanti dal processo estrattivo dell’olio di sansa, che sono invece soggette di regolamentazione quale rifiuto e di procedure semplificate di recupero ex artt. 31 e 33 D.L.vo n. 22 del 1997).
Gli utilizzi principali che può avere la sansa, oltre alla estrazione dell’olio di sansa, sono la distribuzione come ammendante sui terreni agrari e l’impiego come combustibile per riscaldamento (utilizzazione che interessa la fattispecie).
Tuttavia, ad avviso del Collegio, la possibile non riconducibilità della sansa vergine alla disciplina dei rifiuti, non è di per sé sufficiente ad affermare la stretta connessione dell’attività assentita per l’opificio della società appellante con la trasformazione dei prodotti agricoli.
Come risulta dai provvedimenti impugnati, il progetto in questione riguarda (dopo il suo ridimensionamento) la ristrutturazione edilizia e la riconversione dei fabbricati esistenti in uno stabilimento industriale precedentemente adibito a pomodorificio, per destinarlo a produzione e commercializzazione di nocciolino di sansa, tramite sua essiccazione.
L’impianto di essiccazione, che viene incontestatamente considerato fra i più grandi d’Europa, è in grado di lavorare circa 13.000 quintali al giorno di sansa (ancorché su base stagionale, essendo legato al periodo di lavorazione dell’oliva) il che fa supporre la necessità di approvvigionamenti corposi sul territorio, anche a notevole distanza dalla localizzazione dell’impianto.
La caratteristica principale dell’attività consiste, dunque, in una lavorazione di prodotti di terzi mediante una tecnologia che non è, di per sé, espressione di tipica attività di trasformazione agricola, in cui normalmente dal prodotto grezzo, attraverso la conoscenza dei processi chimici e biodinamici e con l’applicazione di adeguate tecnologie di trasformazione, si passa a prodotti più definiti, specificamente finalizzati all’utilizzazione umana od animale.
A tale ambito di attività di trasformazione è, infatti, estranea l’attività di smaltimento dei residui di precedenti lavorazioni agricole, ancorché finalizzata, come nella fattispecie, a produzioni alternative.
Nella fattispecie, come si è già detto, viene infatti in considerazione un impianto per la lavorazione di sanse vergini, il cui processo tecnologico consiste nella estrazione, mediante particolari strutture di essiccazione ad aria calda, del nocciolino di sansa da utilizzare come combustibile.
Non si è, pertanto, in presenza di una attività strettamente connessa alla trasformazione di prodotti agricoli, bensì di una vera e propria attività industriale di secondo livello, che utilizza residui derivanti dalla lavorazione dell’oliva provenienti da opifici operanti su una vasta area territoriale e in cui la precedente lavorazione ne ha spezzato la diretta derivazione dalla produzione agricola in quanto tale.
Invero, in tanto un impianto può essere considerato strettamente connesso con la trasformazione di prodotti agricoli in quanto l’aspetto industriale di trasformazione sia, per un verso, connesso alla chiusura del ciclo produttivo agricolo e, per altro verso, non sia prevalente, per modalità di approvvigionamento o di trasformazione, rispetto all’attività agricola in quanto tale.
Resta da stabilire se l’intervento edilizio in sé rientri fra quelli consentiti nella zona E secondo le NTA del Comune di Veglie, con riferimento al principio di conservazione della originaria destinazione d’uso, attraverso la mera attività di ristrutturazione.
Secondo la OIL SALENTO ciò potrebbe consentirsi in quanto si tratta di opificio industriale, nato precedentemente alla entrata in vigore del P.R.G., cui dovrebbe attagliarsi la previsione, contenuta nelle N.T.A., in base alla quale “nel caso di cessazione di attività industriali esistenti non correlate con l’attività agricola, gli edifici relativi dovranno essere destinati esclusivamente all’attività agricola o ad essa connessa”.
Ritiene il Collegio che, sulla base delle considerazioni sopraesposte circa la natura dell’attività che la soc. Oil Salento intende esercitare, resti preclusa anche la possibilità di recupero delle attività industriali già esistenti contemplata dalle N.T.A.
Invero, viene espressamente previsto che gli edifici dismessi debbano essere esclusivamente destinati all’attività agricola o ad attività ad essa connessa, il che, come si è detto, non si verifica nella fattispecie. Né alcun rilievo può assumere la circostanza che in precedenza negli edifici venisse svolta attività di pomodorificio, essendo detta attività cessata da moltissimi anni.
5. Le considerazioni che precedono consentono di ritenere fondati gli esaminati profili di censura ed assorbiti i restanti motivi di gravame.
Deriva da quanto sopra che la sentenza di accoglimento del TAR Puglia- Lecce, n. 339 del 2009, va confermata sia pure con diversa motivazione e conseguente annullamento degli atti impugnati in primo grado, salvi restando gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.
Attesa la complessità della vicenda, sussistono i presupposti per la compensazione tra le parti delle spese e degli onorari del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sez. IV, definitivamente pronunciando in merito al ricorso in appello indicato in epigrafe, conferma con diversa motivazione la sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati in primo grado, salvi restando gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.
Compensa tra le parti le spese e gli onorari del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio del giorno 27 ottobre 2009 e 15 febbraio 2010 con l'intervento dei Signori:
Costantino Salvatore, Presidente
Luigi Maruotti, Consigliere
Goffredo Zaccardi, Consigliere
Armando Pozzi, Consigliere
Anna Leoni, Consigliere, Estensore