Consiglio di Stato Sez.III n. 1315 del 22 marzo 2017
Rifiuti.Traffico illecito di rifiuti e interdittiva antimafia

Il delitto di cui all’art. 260 del D.L.vo n. 152 del 2006 costituisce elemento in sé bastevole a giustificare l’emissione dell’informativa, perché il disvalore sociale e la portata del danno ambientale connesso al traffico illecito di rifiuti rappresentano, già da soli, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali, nei quali sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al rischio di infiltrazioni di malaffare che hanno caratteristiche e modalità di stampo mafioso. La presenza di legami con la criminalità organizzata, a fronte di tale grave condotta, è data per presupposta dal legislatore, con una praesumptio iuris tantum che certamente deve ammettere la prova contraria, non potendosi postulare un automatismo tra l’emissione dell’ordinanza e l’emissione dell’informativa (segnalazione Avv. M. BALLETTA)

Pubblicato il 22/03/2017

N. 01315/2017REG.PROV.COLL.

N. 00810/2015 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 810 del 2015, proposto dal
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, e dall’U.T.G. - Prefettura di Roma, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Clarizia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;

nei confronti di

Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Angela Raimondo, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
A.M.A. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Damiano Lipani, Francesca Sbrana ed Anna Mazzoncini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Damiano Lipani in Roma, via Vittoria Colonna, n. 40;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, Sezione I-ter, n. 7.571/2014, resa tra le parti, concernente il provvedimento di informativa interdittiva antimafia adottata nei confronti del -OMISSIS-

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio del -OMISSIS- di Roma Capitale e dell’A.M.A. S.p.A.;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2017 il Consigliere Oswald Leitner e uditi, per gli appellanti, l'Avvocato dello Stato Mario Antonio Scino, per l’appellato -OMISSIS-, l’Avvocato Maria Ida Leonardo, su delega dichiarata dell’Avvocato Angelo Clarizia, nonché, per A.M.A. S.p.A., l’Avvocato Francesca Sbrana;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. L’odierna appellata, -OMISSIS-, ha impugnato avanti al T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, la nota della Prefettura di Roma prot. n. 17.327/Area I-bis O.S.P. del 27 gennaio 2014, con la quale si è informato il responsabile del procedimento della Direzione Acquisiti di A.M.A. S.p.A., della sussistenza di situazioni relative a tentativi di infiltrazione mafiosa previste dal D.L.vo 159/11 in capo al -OMISSIS- nonché alle società riconducibili allo stesso, ovvero -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-, e, articolando due distinte censure di illegittimità, ne ha chiesto, previa sospensione, l’annullamento.

1.1. Con successivo atto di motivi aggiunti e contestuale integrazione spontanea del contraddittorio il ricorrente ha impugnato, oltre alla predetta nota prefettizia, con tre motivi, l’uno per illegittimità derivata e gli altri due rispettivamente per illegittimità propria di queste, anche a) l’ordinanza contingibile ed urgente ex articolo 50, comma 5, D.L.vo 267/00 (TUEL), n. 37 del 21 febbraio 2014, emessa dal Sindaco di Roma Capitale, concernente il superamento delle situazioni di criticità riguardanti il processo di gestione del ciclo rifiuti urbani nella città di Roma, con la quale il sindaco di Roma Capitale, ha ordinato all’A.M.A. S.p.A. di continuare il conferimento dei rifiuti urbani raccolti nella città di Roma, anche presso i due TMB denominati “Malagrotta 1” e “Malagrotta 2” nonché presso l’impianto di tritovagliatura indicato nella premessa del provvedimento, e al -OMISSIS- nonché alle società comunque ad esso riconducibili, di assicurare la piena operatività dei due TMB e dell’impianto di tritovagliatura, il tutto per il tempo strettamente necessario all’individuazione di più opportune soluzioni e, comunque per un periodo non superiore a tre mesi, impugnazione che è stata estesa anche alla sconosciuta nota del Prefetto di Roma ad A.M.A. S.p.A. n. 40107/8/2014 del 19 febbraio 2014, alla sconosciuta relazione di A.M.A. S.p.A., prot. 10004/U del 21 febbraio 2014 a Roma Capitale e alla sconosciuta direttiva di Roma Capitale di cui alla nota prot. RA11352 del 21 febbraio 2014, richiamate nell’ordinanza contingibile e urgente; b) della nota dell’A.M.A. S.p.A. prot. 010924/U del 27 febbraio 2014, con la quale predetta società ha comunicato a -OMISSIS- che l’intervenuta interdittiva antimafia le impediva allo stato di procedere al pagamento delle prestazioni pregresse eseguite dal Consorzio.

1.2. Si sono costituiti nel primo grado del giudizio il Ministero dell’Interno, l’U.T.G. – Prefettura di Roma, Roma Capitale e l’A.M.A. S.p.A. per resistere al ricorso e ai motivi aggiunti.

2. Il T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, con la sentenza n. 7.571, deposita in data 15 luglio 2014, ha annullato l’informativa antimafia emessa nei confronti di -OMISSIS- e, per illegittimità derivata, l’ordinanza del Sindaco di Roma Capitale n. 37 del 21 febbraio 2014 nonché tutti gli altri atti gravati con i motivi aggiunti che sono stati adottati sul presupposto costituito dall’informativa antimafia annullata.

2.1. Avverso tale sentenza hanno proposto appello il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Roma, che hanno articolato tre motivi di censura che saranno di seguito esaminati, e ne hanno chiesto la riforma, con conseguente reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti proposti in primo grado dal -OMISSIS-.

2.2. Si è costituita l’appellato -OMISSIS- e ha chiesto la reiezione del gravame. Inoltre, si sono altresì costituite Roma Capitale ed A.M.A. S.p.A..

2.3. Nella pubblica udienza del 23 febbraio 2017 il Collegio, sentiti i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione.

2. L’appello è fondato.

3. Oggetto del presente giudizio è l’informativa antimafia emessa dalla Prefettura di Roma a carico del -OMISSIS- sulla base di due fondamentali elementi:

a) l’ordinanza applicativa di misure cautelari personali emesse dal G.I.P. presso il Tribunale di Roma nei confronti di -OMISSIS-, presidente del consiglio di amministrazione del -OMISSIS- – -OMISSIS-, proprietario con quote di maggioranza delle società -OMISSIS- e -OMISSIS-, nonché amministratore unico della società -OMISSIS-, e dei suoi numerosi collaboratori, per i delitti di associazione a delinquere (art. 416 c.p.) e di traffico illecito di rifiuti (art. 260 del D.L.vo n. 152 del 2006), nonché il decreto di sequestro preventivo emanato a carico della -OMISSIS-;

b) la pregressa informativa antimafia emessa il 29 novembre 2006 dalla Prefettura di Roma, ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 252 del 1998, a carico della -OMISSIS-;

3.1. Il T.A.R. per il Lazio, con la sentenza qui impugnata, ha ritenuto tali elementi inidonei a giustificare la valutazione prefettizia di permeabilità mafiosa del -OMISSIS- e la conseguente emissione del provvedimento antimafia a carattere interdittivo.

4. Con un primo motivo (pp. 4-8 del ricorso) il Ministero dell’Interno e l’U.T.G. – Prefettura di Roma lamentano la violazione dell’art. 84, comma 4, lett. a), del D.L.vo n. 159 del 2011 da parte del primo giudice, che erroneamente avrebbe affermato l’inidoneità del solo procedimento penale, avente ad oggetto la commissione del reato di traffico illecito di rifiuti, a giustificare l’emissione di una informativa antimafia, senza verificare se la fattispecie di reato costituisca o meno indice di rischio di infiltrazione da parte della criminalità di stampo mafioso.

4.1. Secondo il T.A.R. per il Lazio, infatti, sebbene sia esatto che le organizzazioni mafiose, comunque denominate, abbiano ormai da anni grande interesse nel settore dei rifiuti, tanto che è stato coniato da anni il termine “ecomafie”, ciò non implica necessariamente che tutti i soggetti sottoposti a misura cautelare o rinviati a giudizio con l’imputazione di essere coinvolti nel traffico illecito di rifiuti siano ipso facto a rischio di collusione con ambienti della criminalità organizzata e che, come tali, non forniscano più sufficienti garanzie per la pubblica amministrazione.

4.2. Questa valutazione o, in altri termini, presunzione non può essere assoluta, tenuto conto degli effetti dirompenti prodotti dall’informativa, ma deve essere relativa, dovendo il Prefetto comunque verificare, prima di adottare il provvedimento, l’esistenza della concreta possibilità di interferenze mafiose, come del resto si evincerebbe anche dalla circolare ministeriale ricordata da -OMISSIS-.

4.3. Il primo giudice ha fatto propria la tesi secondo cui, a norma dell’art. 84, comma 4, lett. a), del D.L.vo n. 159 del 2011, a giustificare l’informativa «non basta il titolo del reato riportato nel provvedimento del giudice penale, ma occorre esaminare il contenuto dell’ordinanza o della sentenza del giudice penale e rintracciare nel provvedimento stesso gli indizi da cui desumere il rischio di contiguità con la malavita organizzata, e dunque l’inaffidabilità dell’impresa» (p. 18 della sentenza impugnata).

4.4. Questo assunto è tuttavia avversato dagli appellanti, i quali sostengono che l’elencazione dei titoli di reato, contenuta nell’art. 84, comma 4, lett. a), del D.L.vo n. 159 del 2011, sarebbe di per sé esaustiva, nel senso che per quei reati il legislatore ha inteso operare a monte una valutazione circa il pericolo di infiltrazione mafiosa, in quanto si tratta di fattispecie che destano maggiore allarme sociale, intorno alle quali con maggiore regolarità statistica gravita il mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso.

4.5. Il motivo, con le precisazioni che ora seguiranno, merita condivisione.

4.6. Occorre anzitutto ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, il Prefetto può e non deve già desumere elementi di infiltrazione mafiosa dalla contestazione dei reati previsti dall’art. 84, comma 4, lett. a) del D.L.vo n. 159 del 2011.

4.7. A mente dell’art. 84, comma 4, lett. a), del D.L.vo n. 159 del 2011, le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all’adozione dell’informazione antimafia interdittiva, di cui al comma 3, sono desunte, fra l’altro, «dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all’articolo 12-quinquies del D.L. 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356».

4.8. Ora questo Consiglio ha distinto nettamente il valore estrinseco del provvedimento giurisdizionale emesso in sede penale per uno dei delitti-spia dell’art. 84, comma 4, lett. a), quale fatto sintomatico dell’infiltrazione mafiosa, dal contenuto intrinseco di tale provvedimento, ossia dall’«apprezzamento che il Prefetto compie della sentenza» – o di altro provvedimento in sede penale – «e, cioè, il valore intrinseco che il contenuto della sentenza assume nella valutazione discrezionale compiuta dall’autorità» (Cons. Stato, sez. III, 24 luglio 2015, n. 3653).

4.9. L’informativa antimafia è infatti per sua stessa ragion d’essere un provvedimento discrezionale, e non vincolato, che deve fondarsi su di un autonomo apprezzamento degli elementi delle indagini svolte, o dei provvedimenti emessi in sede penale, da parte dell’autorità prefettizia.

4.10. Il Prefetto, in altri termini, deve necessariamente tenere in conto l’emissione o, comunque, il sopravvenire di un provvedimento giurisdizionale, nel suo valore estrinseco, tipizzato dal legislatore, di fatto sintomatico dell’infiltrazione mafiosa a fronte di uno dei delitti-spia previsti dall’art. 84, comma 4, lett. a), del codice delle leggi antimafia, ma deve nel contempo effettuarne un autonomo apprezzamento, nel suo contenuto intrinseco, delle risultanze penali, senza istituire un automatismo tra l’emissione del provvedimento cautelare in sede penale e l’emissione dell’informativa ad effetto interdittivo.

4.11. E tanto l’autorità prefettizia ha correttamente fatto, nel caso di specie, perché l’informativa antimafia adottata dal Prefetto di Roma riporta, valuta e valorizza i gravi indizi di colpevolezza che hanno giustificato l’emissione della misura degli arresti domiciliari nei confronti di -OMISSIS- e dei suoi collaboratori e/o fiduciari (tra i quali, come si dirà, -OMISSIS-), accusati di essersi associati al fine di commettere una serie indeterminata di reati di abuso d’ufficio, falso in atto pubblico, traffico di rifiuti, truffa aggravata, frode nelle pubbliche forniture, gestione illecita di rifiuti e comunque atti o attività illeciti necessari a consentire il mantenimento o l’ampliamento della posizione di sostanziale monopolio dello stesso -OMISSIS- e delle sue aziende nel settore della gestione dei rifiuti solidi urbani, prodotti dai Comuni insistenti all’interno della Regione Lazio, nonché di aver posto in essere sistematiche violazioni dell’art. 260 del D.L.vo n. 152 del 2006 perché, anche in tempo diversi e in concorso tra loro, al fine di consentire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate gestivano abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti.

4.12. Si tratta di condotte gravi, compendiate nell’ipotesi accusatoria, il cui impianto ha retto al vaglio del G.I.P. presso il Tribunale di Roma, di associazione a delinquere (art. 416 c.p.) e, appunto, di traffico illecito di rifiuti (art. 260 del D.L.vo n. 152 del 2006), fattispecie delittuose che entrambe giustificano, per la loro alta sintomaticità mafiosa, l’emissione dell’informativa antimafia.

4.13. Non è mancata, come sostiene invece il primo giudice, un’autonoma valutazione di tali fattispecie da parte dell’autorità prefettizia, che ha singolarmente elencato e valutato la posizione di -OMISSIS- (presidente del consiglio di amministrazione di -OMISSIS-, proprietario con quote di maggioranza delle società -OMISSIS- e -OMISSIS- nonché amministratore unico della -OMISSIS-, organizzatore e dominus incontrastato del sodalizio criminale), -OMISSIS- (amministratore unico della società -OMISSIS- nonché amministratore in molte imprese riconducibili a -OMISSIS- e “storico braccio destro” dello stesso), nonché -OMISSIS- (vice presidente del consiglio di amministrazione di -OMISSIS-, detentore di quote unitamente a -OMISSIS-, della società -OMISSIS-, nonché amministratore unico e detentore di quote della società -OMISSIS-, storico collaboratore di -OMISSIS-) ed ha correttamente ricordato, proprio alla fine dell’apparato motivazionale, una precedente informativa emessa a carico della -OMISSIS-, con provvedimento del 29 novembre 2006 ai sensi dell’art. 10 del D.P.R. n. 252 del 1998, all’epoca vigente, società che – come risulta anche dall’ordinanza di applicazione di misure cautelari personali del G.I.P. presso il Tribunale di Roma sopra richiamata – è incontestabilmente riconducibile al gruppo imprenditoriale cappeggiato da -OMISSIS-.

4.14. Elemento, questo, che, pur nella sua laconicità, non è un mero dato d’archivio o una semplice notazione dal sapore cronachistico, quasi atteggiandosi a considerazione estemporanea o marginale nel compendio argomentativo del provvedimento, ma che al contrario, come si dirà, assume senz’altro evidenza e fondamentale rilevanza all’interno di tale compendio.

4.15. Di qui, per le ragioni vedute, l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto che il provvedimento prefettizio non abbia esaminato il contenuto dell’ordinanza e non abbia rintracciato in esso gli elementi di collegamento con la criminalità organizzata, ché anzi esso ha rinvenuto tali elementi proprio nell’ipotizzato sodalizio criminoso costituito e diretto da -OMISSIS- attraverso il gruppo imprenditoriale da lui costituito e diretto per anni.

4.16. L’informativa antimafia qui in esame, infatti, ha fatto proprio e rielaborato il contenuto dell’ordinanza del giudice penale e ha evidenziato che tali elementi consistono proprio nelle imputazioni di associazioni a delinquere e di traffico illecito di rifiuti nei confronti di -OMISSIS- e dei suoi collaboratori per mantenere ed ampliare, sostanzialmente, con metodi illeciti un sostanziale monopolio sulla gestione di tali rifiuti nell’intero Lazio, rifiuti abusivamente gestiti.

4.17. Nemmeno può condividersi, quanto allo specifico profilo del traffico illecito dei rifiuti, l’eccessiva svalutazione dell’art. 260 del D.L.vo n. 152 del 2006 che la sentenza qui impugnata effettua del suo valore sintomatico ai fini che qui rilevano.

4.18. La consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha ribadito, anche di recente, che il delitto di cui all’art. 260 del D.L.vo n. 152 del 2006 costituisce elemento in sé bastevole a giustificare l’emissione dell’informativa, perché il disvalore sociale e la portata del danno ambientale connesso al traffico illecito di rifiuti rappresentano, già da soli, ragioni sufficienti a far valutare con attenzione i contesti imprenditoriali, nei quali sono rilevati, in quanto oggettivamente esposti al rischio di infiltrazioni di malaffare che hanno caratteristiche e modalità di stampo mafioso (v., ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, 21 dicembre 2012, n. 6618; Cons. Stato, sez. III, 28 aprile 2016, n. 1632; Cons. Stato, sez. III, 28 ottobre 2016, n. 4555 e n. 4556).

4.19. La presenza di legami con la criminalità organizzata, a fronte di tale grave condotta, è data per presupposta dal legislatore, con una praesumptio iuris tantum che certamente, in ciò si può convenire con la difesa del consorzio appellato, deve ammettere la prova contraria, non potendosi postulare un automatismo tra l’emissione dell’ordinanza e l’emissione dell’informativa, ma che nel caso di specie, per quanto si dirà, non è stata offerta dallo stesso Consorzio appellato, il quale si è limitato ed eccepire – v., in particolare, la memoria depositata il 31 ottobre 2016 – che nelle 410 pagine dell’ordinanza cautelare non si rinverrebbe traccia di legami con la criminalità organizzata di stampo mafioso, ma ha trascurato o, comunque, svalutato, oltre alla grave sintomaticità dei delitti contestati al -OMISSIS- e ai suoi collaboratori, l’esistenza di una precedente informativa antimafia, risalente al 2006, a carico della società -OMISSIS-, società che risulta essere strettamente connessa con il -OMISSIS-, in quanto riconducibile al gruppo imprenditoriale capeggiato da -OMISSIS-, informativa che è fondata sulla vicinanza di uomini del predetto gruppo imprenditoriale al mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso e che, diversamente da quanto sostenuto dall’appellato, al fine di svalutarne la valenza, è senz’altro di carattere interdittivo, dal momento che nella stessa il prefetto, richiamando il disposto dell’art. 10, DPR 252/98, «decreta», ovvero dà espressamente atto che «allo stato sussiste pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata di cui all’art. 10 DPR 1998/252» e non si limita, come previsto dall’art. 1-septies D.L. 629/82, per le cd. interdittive atipiche, a «comunicare elementi di fatto ed altre indicazioni utili alla valutazione, nell’ambito della discrezionalità ammessa dalla legge».

5. Di qui, per le ragioni evidenziate, la fondatezza del primo motivo qui in esame, come anche, e conseguentemente, del secondo motivo (pp. 9- 12 del ricorso), laddove gli appellanti evidenziano che le contestazioni penali poste a fondamento dell’informativa prefettizia non riguardano un singolo episodio, come si è detto, ma una attività organizzata e stabilmente dedita alla commissione reiterata del reato, al punto tale che i soggetti coinvolti sono chiamati a rispondere anche dell’associazione a delinquere (art. 416 c.p.).

5.1. Al riguardo gli appellanti, facendo leva sulle motivazioni dell’ordinanza cautelare fondata su corposi riscontri investigativi, rimarcano una condizione di vera e propria immedesimazione tra il sodalizio criminale e le strutture societarie gravitanti nel gruppo -OMISSIS- al quale, nella gestione delle rilevanti attività in materia ambientale e nei rapporti con le competenti amministrazioni pubbliche, si impone un modulo operativo illecito, come è emerso nella emblematica vicenda del termovalorizzatore di Albano Laziale, con la collaborazione di pubblici dipendenti, ritenuti correi, che sistematicamente favoriscono gli interessi del privato in spregio ai propri doveri di imparzialità.

5.2. Si tratta, anche sotto tale profilo, di elementi assai gravi, che l’informativa prefettizia ha tenuto bene in conto nel sottolineare la particolare pericolosità del sodalizio criminoso ai fini antimafia.

5.3. Il motivo, dunque, è anch’esso fondato e deve essere accolto, non avendo il T.A.R. per il Lazio attentamente esaminato il complesso di tutti gli elementi investigativi, acquisiti in sede penale, dai quali risulta la particolare insidiosità delle condotte tenute dal gruppo imprenditoriale, secondo modalità operative illecite in grado di coinvolgere pubblici funzionari e di distoglierli dall’imparziale esercizio delle loro funzioni.

6. È infine fondato, e merita accoglimento, anche il terzo motivo di appello (pp. 12-17 del ricorso), con il quale gli appellanti lamentano come il primo giudice abbia erroneamente negato che l’informativa adottata dal Prefetto di Roma, nei confronti della -OMISSIS-, con provvedimento di data 29 novembre 2006, potesse costituire elemento idoneo ai fini dell’adozione dell’interdittiva antimafia nei confronti di -OMISSIS-, oggetto di causa.

6.1. Il T.A.R. per il Lazio ha infatti escluso che i fatti che hanno condotto all’adozione dell’ordinanza cautelare del G.I.P., sulla quale si fonda l’informativa qui impugnata, siano i medesimi posti a fondamento dell’informativa adottata nel 2006; ha evidenziato, inoltre, che essa è molto risalente nel tempo e frattanto la compagine societaria è mutata, con delibera assembleare del 19 gennaio 2007; ha sottolineato che lo stesso -OMISSIS- è cessato dalla carica di amministratore unico della società nel 2012, ben prima che venisse adottata l’ordinanza cautelare; ha osservato che, in riferimento a -OMISSIS-, erano stati eseguiti accertamenti, illo tempore, nei confronti di -OMISSIS-, soggetto interessato da un processo penale con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata e segnalato per riciclaggio e associazione di tipo mafioso, e su -OMISSIS-, cessato dalla carica di amministratore unico, come detto, nel 2012; ha infine rimarcato che soltanto nella nota prot. n. 7381/02/R della Questura di Roma del 25 maggio 2002 emerge anche il nome di -OMISSIS- e del -OMISSIS-, ma nessun provvedimento interdittivo è mai stato adottato nei confronti del suddetto, il che dimostra che, se sussistevano, all’epoca dei fatti, i presupposti per l’informativa antimafia nei confronti della -OMISSIS-, non vi erano per il -OMISSIS- (p. 22 - 23 della sentenza impugnata).

6.2. Il primo giudice ne ha così concluso che l’informativa del 2006, emessa nei confronti di -OMISSIS- sulla base di circostanze di fatto ormai mutate per il lungo passaggio del tempo, «non possa né sostenere in via autonoma il provvedimento interdittivo, né supportare il carente presupposto costituito dall’ordinanza che dispone la misura cautelare nei confronti del -OMISSIS- e dei suoi “collaboratori”» (p. 23 della sentenza impugnata).

6.3. La motivazione del primo giudice, anche al riguardo, non è condivisibile.

6.4. Il T.A.R. per il Lazio trascura di considerare, infatti, che l’informativa n. 74258/Area I-bis O.S.P. del 29 novembre 2006 - che non si colloca affatto in un periodo temporale remoto rispetto ai fatti contestati nell’ordinanza del G.I.P. presso il Tribunale di Roma in riferimento all’attività di -OMISSIS- [cfr. il capo c) dell’imputazione, per cui il relativo reato viene contestato per il periodo dal 2006 al 2012] - ha ritenuto il rischio di infiltrazione mafiosa in virtù dei legami tra diversi soggetti riconducibili al gruppo imprenditoriale facente capo al -OMISSIS- – -OMISSIS- e -OMISSIS- – e il mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso.

6.5. A tale riguardo è del tutto ininfluente la circostanza che -OMISSIS- sia cessato dalla carica di amministratore unico della società nel 2012, poiché tale elemento non scongiura certo il rischio che il gruppo riconducibile al -OMISSIS- si avvalga, come si è apparentemente avvalso in passato, di soggetti legati al mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso, non dovendosi dimenticare che -OMISSIS-, come evidenzia correttamente l’informativa qui impugnata, figura «quale amministratore in molte imprese riconducibili a --OMISSIS- e storico “braccio destro” dello stesso».

6.6. Ben evidente è dunque che la galassia imprenditoriale del -OMISSIS-, come emerge dall’informativa del 2006, non impugnata, e dalle informazioni dei competenti organi di polizia richiamate per relationem da tale informativa, si sia avvalsa di soggetti non solo essi stessi indagati per associazione a delinquere, ma a loro volta in contatto con soggetti contigui od organici al mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso, fatto, questo, che avvalora ancor di più il grave quadro indiziario a carico delle società tutte gestite e dirette, direttamente o per interposta persona, da -OMISSIS-, pienamente giustificando la valutazione di permeabilità mafiosa effettuata dalla Prefettura di Roma, nel richiamare anche la precedente informativa del 2006.

6.7. Né a tale rilievo osta il mutato assetto sociale di -OMISSIS-, comunque riconducibile ad un gruppo imprenditoriale fortemente indiziato di gravi reati, associativi e ambientali, e di rapporti con soggetti organici a consorterie mafiose instaurati da uomini di sicura fiducia dello stesso -OMISSIS-, indipendentemente dalla cessazione della carica formalmente rivestita nelle società costituenti un unicum sul piano imprenditoriale.

6.8. Da tale quadro complessivo il primo giudice avrebbe dovuto trarre ulteriore conferma, e non certo smentita, del grave rischio di infiltrazione mafiosa all’interno di -OMISSIS- e alle società ad esso riconducibili o con esso connesse.

7. Ne segue che, in accoglimento dell’appello proposto dal Ministero dell’Interno e dall’U.T.G. – Prefettura di Roma, la sentenza qui impugnata deve essere in toto riformata, con conseguente reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti proposti in primo grado dal -OMISSIS-.

7.1. Il consorzio appellato, quanto ai motivi aggiunti, non ha del resto riproposto ritualmente, nel termine di cui all’art. 101, comma 2, c.p.a., il secondo ed il terzo di detti motivi incentrati sulle dedotte illegittimità proprie dell’ordinanza contingibile ed urgente del Sindaco di Roma Capitale e della nota dell’A.M.A. S.p.A. d.d. 27 febbraio 2014, in ordine alle quali il primo giudice non si è pronunciato in seguito all’annullamento di esse, in via di illegittimità derivata, per effetto della ritenuta illegittimità della presupposta informativa (per quanto riguarda il motivo aggiunto formulato in relazione all’ordinanza sindacale, il giudice di primo grado, poi, aveva in ogni caso ritenuto che questo sarebbe stato comunque improcedibile, avendo l’atto impugnato perso nelle more i suoi effetti).

8. Le spese del doppio grado del giudizio, considerata la complessità delle questioni esaminate, possono essere interamente compensate tra le parti.

8.1. Rimane definitivamente a carico del -OMISSIS-, attesa la sua soccombenza, il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti in primo grado.

8.2. Lo stesso -OMISSIS- deve essere condannato a corrispondere il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello da parte del Ministero dell’Interno e dell’U.T.G. – Prefettura di Roma.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, dal Ministero dell’Interno e dall’U.T.G. – Prefettura di Roma, lo accoglie e, per l'effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso e i motivi aggiunti proposti in primo grado dal -OMISSIS-.

Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Pone definitivamente a carico del -OMISSIS- il contributo unificato richiesto per la proposizione del ricorso e dei motivi aggiunti in primo grado.

Condanna il -OMISSIS- a corrispondere il contributo unificato richiesto per la proposizione dell’appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, D.L.vo 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS-, -OMISSIS- e -OMISSIS-.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2017 con l'intervento dei magistrati:

Franco Frattini, Presidente

Francesco Bellomo, Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere

Oswald Leitner, Consigliere, Estensore

 
        

 
        

L'ESTENSORE
        

IL PRESIDENTE

Oswald Leitner