Corte Europea dei diritti dell'uomo Sez. III sent. 2 novembre 2006
Causa Giacomelli contro Italia (ricorso n. 59909/00)
Fattispecie riguardante rumore persistente ed emissioni nocive generati da impianto di stoccaggio e trattamento di “rifiuti speciali” classificati come pericolosi e non pericolosi, situato a trenta metri da privata abitazione (riferimento: articolo 8 della Convenzione).
Traduzione dalla versione francese della sentenza a cura di Antonella Mascia, giurista presso la Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo
Versione originale (in lingua francese) qui

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

TERZA SEZIONE

CAUSA GIACOMELLI CONTRO ITALIA

(ricorso n. 59909/00)
SENTENZA


2 novembre 2006
[1]


Nella causa Giacomelli contro Italia

La Corte europea dei Diritti dell’Uomo (terza sezione), riunita in camera composta dai signori:

       B.M.Zupančič, presidente,

       C.Bîrsan,
            V. Zagrebelsky,

       E. Myjer,

       David Thór Björgvinsson,

signore

I. Ziemele,

I. Berro-Lefevre, giudici,

e dal signor V. Berger, cancelliere di sezione,

Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 12 ottobre 2006, rende la sentenza di cui sotto, adottata in pari data

 

PROCEDURA

 

1. All’origine della causa si trova il ricorso (n. 59909/00) promosso nei confronti della Repubblica italiana e presentato alla Commissione europea dei Diritti dell’Uomo (“la Commissione”) il 22 luglio 1998 ai sensi dell’articolo 25 della Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (“la Convenzione”) da una cittadina di questo Stato, la signora Piera Giacomelli.

2. La ricorrente è rappresentata dal signor M. Toma, avvocato a Brescia. Il governo italiano (“il Governo”) è rappresentato dal suo agente, signor I.M. Braguglia e dal suo vice co-agente, signor F. Crisafulli.

3. La ricorrente si lamentava in particolare della violazione del suo diritto al rispetto del suo domicilio e della sua vita privata garantiti dall’articolo 8 della Convenzione.

4. Il ricorso è stato trasmesso alla Corte il 1° novembre 1998, data d’entrata in vigore del Protocollo n. 11 alla Convenzione (articolo 5 § 2 del Protocollo n. 11).

5. Il ricorso è stato attribuito alla prima sezione della Corte (articolo 52 § 2 del Regolamento). In seno a questa, la camera incaricata di esaminare il ricorso (articolo 27 § 1 del regolamento) è stata costituita conformemente all’articolo 26 § 1 del regolamento.

6. Il 1° novembre 2004, la Corte ha modificato la composizione delle sue sezioni (articolo 25 § 1 del regolamento). Il presente ricorso è stato attribuito alla quarta sezione diversamente costituita (articolo 52 § 1).

7. Con decisione del 15 marzo 2005, la Corte (quarta sezione) ha dichiarato il ricorso ricevibile e ha deciso di unire al merito l’eccezione preliminare del Governo riguardante il carattere prematuro del ricorso.

8. Sia la ricorrente che il Governo hanno depositato osservazioni scritte sul merito della causa (articolo 59 § 1 del regolamento).

9. In seguito, la causa è stata assegnata alla terza sezione della Corte.

 

IN FATTO

 

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO

 

10. La ricorrente è nata nel 1935 e risiede a Brescia.

11. La ricorrente abita dal 1950 in una casa situata nei dintorni di Brescia, a 30 metri da un impianto di stoccaggio e trattamento di “rifiuti speciali” classificati come pericolosi e non pericolosi. La società per azioni Ecoservizi cominciò lo sfruttamento dell’impianto nel 1982.

 

A. L’attività di Ecoservizi e il successivo contenzioso.

 

1. L’autorizzazione alla “inertizzazione” dei rifiuti industriali

 

12. Con delibera del 4 aprile 1989, la regione Lombardia autorizzò la Ecoservizi a sfruttare l’impianto per un periodo di cinque anni. Tra le diverse forme di trattamento dei rifiuti, Ecoservizi ottenne per la prima volta l’autorizzazione di effettuare l’inertizzazione di rifiuti pericolosi, un procedimento consistente nel trattamento dei rifiuti industriali speciali attraverso l’utilizzo di prodotti chimici.

13. Il 30 ottobre 1991, la regione autorizzò Ecoservizi ad aumentare la quantità annuale dei rifiuti da trattare fino ad un volume totale di 192.000 metri cubi. In particolare, la quantità autorizzata per i rifiuti tossici destinati alla inertizzazione passò da 30.000 a 75.000 metri cubi.

 14. Il 5 agosto 1993, la Regione accettò delle modifiche riguardanti migliorie tecnologiche dell’impianto, senza peraltro aumentare la quantità dei rifiuti da trattare.

15. Con delibera della regione Lombardia del 11 aprile 1994, l’autorizzazione allo sfruttamento fu rinnovata per un periodo di cinque anni, a patto che Ecoservizi firmasse un protocollo d’intesa con le circoscrizioni locali al fine di limitare l’impatto ambientale dell’impianto; questa condizione fu assolta il 18 novembre 1994.

16. Il 13 dicembre 1994, la regione prese atto della sottoscrizione del protocollo d’intesa e fissò definitivamente il termine per l’autorizzazione allo sfruttamento al 30 aprile 1999.

 

2. La prima procedura giudiziaria

 

17. Con tre ricorsi introdotti nel 1994 e nel 1995, la ricorrente impugnò davanti al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia le delibere adottate il 5 agosto 1993, 11 aprile 1994 e il 13 dicembre 1994 dalla Regione.

La stessa contestava il rinnovo dell’autorizzazione di sfruttamento accordata a Ecoservizi e, lamentando la violazione della legge n. 441 del 1987, sosteneva che le modifiche autorizzate dalla Regione implicavano un aumento dell’attività per la quale sarebbe stata necessaria una nuova procedura di autorizzazione, che avrebbe avuto ad oggetto, tra l’altro, una valutazione di impatto ambientale dell’impianto.

Ecoservizi si costituì nella procedura come parte intervenente.

18. Con ordinanza del 18 novembre 1994, il Tribunale accolse l’istanza di sospensiva presentata dalla ricorrente avverso la delibera di rinnovo - principalmente perché il protocollo d’intesa non era ancora stato firmato – sospendendo l’efficacia della delibera impugnata. Ecoservizi propose appello.

19. il 7 aprile 1995, il Consiglio di Stato annullò l’ordinanza di sospensiva del tribunale amministrativo; constatò che la definizione del protocollo d’intesa (paragrafo 15 qui sopra) aveva evitato il rischio di pregiudizio irreparabile su cui si basava l’ordinanza di sospensiva.

20.  Con sentenza del 13 aprile 1996, il Tribunale amministrativo della Lombardia respinse, dopo averli riuniti, i due ricorsi della ricorrente. Il Tribunale prese in considerazione che tutte le doglianze dell’interessata si fondavano sulla pretesa necessità di una nuova procedura d’autorizzazione per lo sfruttamento da parte della Regione. Dunque, il Tribunale affermò che le dimensioni dell’impianto oltre che la capacità della sua attività erano state fissate dalle delibere del 1989 e 1991 della Regione, mai impugnate dalla ricorrente. Per contro, le modifiche autorizzate dalle delibere contestate, ossia quelle del 5 agosto 1993, 11 aprile 1994 e 13 dicembre 1994 non prevedevano un aumento della capacità dell’attività dell’impianto né un cambiamento della qualità dei rifiuti trattati. Conseguentemente, non era necessaria una nuova procedura di autorizzazione da parte della Regione.

21. La ricorrente propose appello. Con sentenza del 6 novembre 1998, il Consiglio di Stato confermò le conclusioni del Tribunale respingendo l’appello. In tale occasione precisò peraltro che un impianto doveva considerarsi come “nuovo” e dunque con necessità di autorizzazione per lo sfruttamento quando una delle diverse fasi di trattamento o la tipologia dei rifiuti da trattare fossero stati modificati.

 

3. la seconda procedura giudiziaria

 

22. Con delibera del 29 aprile 1999, la Regione Lombardia, rinnovò per cinque anni l’autorizzazione allo sfruttamento concessa a Ecoservizi. La delibera avrebbe potuto essere annullata alla luce dei risultati della procedura di valutazione di impatto ambientale (procedura “V.I.A.”) che Ecoservizi aveva nel frattempo iniziato (paragrafi 37-52 qui sotto).

23. Il 12 luglio 1999, la ricorrente fece ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia al fine di ottenere l’annullamento della delibera regionale del 29 aprile 1999. L’impresa e la Regione Lombardia si costituirono nella procedura.

24. Il 20 settembre 1999, la ricorrente impugnò davanti al Tribunale amministrativo una delibera del 12 aprile 1999, con la quale la Regione aveva autorizzato Ecoservizi a realizzare una modifica dell’impianto di trattamento degli olii usati.

25. Inoltre, con delibera del 15 ottobre 1999, la Regione prese atto che Ecoservzi rinunciava all’autorizzazione ottenuta il 12 aprile 1999 confermando il rinnovo dell’autorizzazione di sfruttamento. La ricorrente propose ricorso contro quest’ultima delibera.

26. Con ordinanza del 18 febbraio 2000, il Tribunale amministrativo accolse l’istanza di sospensiva proposta dalla ricorrente. Tale decisione venne adottata in quanto la procedura di V.I.A. era ancora pendente. In seguito, l’11 aprile 2000, il Consiglio di Stato accolse l’appello di Ecoservizi, con cui si affermava che gli ultimi controlli effettuati sull’impianto provavano il “rispetto dei limiti fissati dalle norme in vigore” e annullò l’ordinanza di sospensiva emessa dal tribunale amministrativo.

27. Con sentenza del 29 aprile 2003, depositata in cancelleria il 9 giugno 2003, il Tribunale amministrativo della Lombardia accolse il ricorso della ricorrente nel merito e annullò le tre delibere impugnate (paragrafi 23, 24 e 25).

Il Tribunale affermò innanzitutto che le modifiche dell’impianto autorizzate dalla Regione il 12 aprile 1999, al fine di permettere il trattamento degli olii usati, dovevano essere motivate. Conseguentemente, conformemente agli articoli 27 e 28 del decreto n° 22 del 1997 (paragrafo 62 e 63 qui sotto), la Regione avrebbe dovuto sospendere l’attività di Ecoservizi e ordinare gli accertamenti necessari prima di concedere all’impresa un rinnovo dell’autorizzazione ad esercitare la sua attività. Pertanto, il Tribunale dichiarò illegittima la delibera del 29 aprile 1999 dalla Regione Lombardia.

Riguardo al fatto che l’impresa avesse rinunciato in seguito a tali modifiche, il Tribunale dichiarò che era necessario in ogni caso un esame approfondito da parte della Regione sull’attività e sullo stato dell’impianto, in ragione delle diverse denunce riguardanti l’attività di Ecoservizi, provenienti sia da privati che da autorità pubbliche, che ponevano seri dubbi quanto alla compatibilità ambientale di quest’ultima.

Il Tribunale fece riferimento a due decreti di valutazione d’impatto ambientale emessi dal Ministero dell’Ambiente e, affermando che la Regione aveva omesso di indagare, ordinò che l’attività di Ecoservizi venisse sospesa in attesa della definizione della procedura di V.I.A.

28. Ecoservizi propose appello avanti il Consiglio di Stato. Il 1° luglio 2003, quest’ultimo accolse l’istanza di sospensiva dell’esecuzione della sentenza del 29 aprile 2003 presentata dall’impresa e ne sospese gli effetti.

29. Con sentenza del 25 maggio 2004, depositata in cancelleria in data 31 agosto 2004, il Consiglio di Stato respinse l’appello di Ecoservizi. Confermando la sentenza del tribunale amministrativo, concluse che il rinnovo dell’autorizzazione dell’attività del 29 aprile 1999, accordato dalla Regione senza alcuna verifica di impatto ambientale, era irregolare e doveva essere annullata.

 

4. La terza procedura giudiziaria

 

30. Nel frattempo, con delibera del 23 aprile 2004, la Regione Lombardia rinnovava l’autorizzazione di sfruttamento dell’impianto per un periodo di cinque anni. Il rinnovo riguardava il trattamento dei rifiuti speciali, pericolosi e non pericolosi. I rifiuti industriali destinati all’inertizzazione rimanevano esclusi dall’autorizzazione in attesa della definizione della procedura di V.I.A. pendente davanti al ministro dell’Ambiente.

31. La riunione di concertazione tra le autorità locali (conferenza di servizi), preliminare all’autorizzazione, si tenne il 31 marzo 2004. In tale occasione la Regione, la Provincia e il Comune interessati  espressero avviso favorevole al rinnovo dell’autorizzazione, facendo riferimento al rapporto dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale (l’ARPA), emesso il 28 febbraio 2004.

In tale rapporto, gli esperti dell’ARPA indicarono le misure da prendere per evitare ogni rischio di incidente e di disfunzione dell’impianto; vi si dovevano aggiungere tutte le prescrizioni fissate dalla Regione nella delibera del 7 novembre 2003 (paragrafo 49 qui sotto).

32. La ricorrente impugnò tale delibera avanti il Tribunale amministrativo della Lombardia chiedendone la sospensiva.

33. Il 30 aprile 2004, la Regione, dopo aver avuto conoscenza del decreto di V.I.A. del 28 aprile 2004 favorevole al trattamento da parte di Ecoservizi di ogni tipo di rifiuto, integrò la sua ultima delibera di rinnovo con una autorizzazione provvisoria di inertizzazione dei rifiuti industriali valevole sino al 22 giugno 2004, in attesa che terminasse la procedura di autorizzazione definitiva.

34. Con delibera del 28 giugno 2004, la Regione prorogò l’autorizzazione sino al 31 dicembre 2004 per permettere a Ecoservizi la presentazione del progetto di modifica dell’impianto per l’adeguamento alle prescrizioni del decreto di V.I.A.

35. Con ordinanza del 23 luglio 2004, il Tribunale amministrativo della Lombardia respingeva l’istanza di sospensiva della ricorrente, affermando che la delibera del 23 aprile 2004 era stata adottata in conformità all’avviso favorevole delle autorità locali, tenendo conto di tutte le circostanze che potevano mettere in pericolo le proprietà poste in prossimità dell’impianto. Il Tribunale rilevò inoltre che la delibera impugnata  prevedeva diverse prescrizioni volte all’eliminazione delle immissioni subite dalla ricorrente.

36. La procedura di merito è ancora pendente davanti al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia.

 

B. Le procedure di valutazione d’impatto ambientale condotte dal Ministero dell’Ambiente

 

 37. Con delibera del 13 dicembre 1996, la Regione Lombardia intimò a Ecoservizi di iniziare una procedura di V.I.A. riguardante l’attività di inertizzazione dell’impianto.

L’11 maggio 1998, l’impresa presentò istanza al Ministero dell’Ambiente ai sensi dell’articolo 6 della legge n° 349 del 1986.

Parteciparono alla procedura il Comune di Brescia e la ricorrente, nonché i Comuni di Borgosatollo e Castenedolo, due paesi situati a qualche centinaia di metri dall’impianto.

38. Il 24 maggio 2000, il Ministero dell’Ambiente adottò il decreto di V.I.A.

Il Ministero costatò che l’impianto era stato costruito su un terreno destinato ad uso agricolo, in prossimità di un torrente, il Garza, e di una cava di sabbia la cui attività aveva progressivamente deteriorato il suolo. In particolare, in ragione del grado di permeabilità del terreno, vi era grave rischio che i residui chimici tossici derivanti dall’attività di inertizzazione dell’impianto contaminassero la falda freatica, sorgente di acqua potabile destinata al consumo domestico per gli abitanti dei paesi limitrofi.

Il Ministero considerò che l’attività dell’impianto era incompatibile con le norme ambientali. Tuttavia, sarebbe stata possibile la continuazione dell’attività di Ecoservizi sino all’espirazione dell’ultimo termine concesso dalla Regione, ossia il 29 aprile 2004, a condizione che l’impresa rispettasse alcune prescrizioni.

39. Ecoservizi impugnò tale decreto davanti al tribunale amministrativo del Lazio richiedendone la sospensiva.

40. Con ordinanza del 31 agosto 2000, il Tribunale amministrativo sospese gli effetti del decreto e ordinò al Ministero di procedere ad un nuovo studio di impatto ambientale. Il Ministero dell’Ambiente propose appello. L’8 maggio 2001, il Consiglio di Stato dichiarò l’appello inammissibile.

41. Nel frattempo, il 30 aprile 2001, il Ministero adottò un nuovo decreto di V.I.A. che confermava che l’attività dell’impianto era incompatibile con le norme ambientali.

41. Ecoservizi propose ricorso avanti il Tribunale amministrativo del Lazio avverso l’ultimo decreto del Ministero dell’Ambiente.

43. L’11 luglio 2001, il Tribunale amministrativo accolse il ricorso di Ecoservizi e ordinò al Ministero di procedere ad un nuovo studio di impatto ambientale.

44. Con ordinanza dell’11 dicembre 2001, il Consiglio di Stato rigettò l’appello proposto dal Ministero dell’ambiente contro l’ultima ordinanza del Tribunale amministrativo del Lazio.

45. Con delibera del 4 novembre 2002, la Regione Lombardia indicò a Ecoservizi le modalità di sfruttamento dell’impianto fissate dai decreti del Ministero dell’Ambiente.

46. Nel frattempo, il 4 ottobre 2002, nel quadro della nuova procedura di V.I.A. ordinata dal Tribunale amministrativo, Ecoservizi presentò un progetto di modifiche all’impianto.

Tale progetto prevedeva in particolare l’impermeabilizzazione del suolo, la costruzione di dispositivi volti all’insonorizzazione dell’impianto, l’elevazione della recinzione dell’impianto per evitare qualsiasi rischio di inondazione e il perfezionamento del sistema di controllo delle emissioni pericolose.

47. Il 17 ottobre 2003, l’ Azienda Sanitaria Locale (ASL) presentò alla Regione Lombardia parere riguardante la compatibilità ambientale dell’attività di Ecoservizi. Affermò che, secondo i risultati delle analisi tecniche condotte tra il 2002 e 2003 attestanti in particolare la presenza di concentrazioni anormale di carbone e di altre sostanze organiche nell’atmosfera, la continuazione dell’attività dell’impianto poteva comportare dei problemi di igiene per le persone che abitavano in prossimità. L’ASL aggiunse che non era stato dimostrato che le precauzioni previste da Ecoservizi erano sufficienti per la salvaguardia della salute pubblica.

48. Il 7 novembre 2003, la Regione Lombardia espresse parere favorevole alla continuazione dell’attività dell’impianto, a condizione che l’impresa adottasse un certo numero di prescrizioni.

49. In particolare, l’impresa doveva:

 

“ definire un Protocollo d’intesa con le autorità locali per la sorveglianza dei rifiuti da trattare, con lo scopo di ridurre le probabilità di disfunzioni dell’impianto (…),

assicurare il tamponamento degli impianti destinati alla inertizzazione (…),

procedere alla chiusura dei cassoni a cielo aperto presenti nel processo chimico e biologico e alla costruzione di un dispositivo di aspirazione delle emissioni e di depurazione (…),

costruire una struttura mobile e insonorizzata per coprire il trituratore (…),

modificare il sistema di scolo interno al fine di separare le acque meteoriche da quelle prodotte dall’installazione,

porre in essere un sistema di controllo di qualità e di quantità dell’acqua prodotta dall’impianto immessa nel Garza (…) olre che nello scarico pubblico,

concepire e porre in essere un piano di impermeabilizzazione del pavimento dell’impianto (…),

assicurare una sorveglianza del sito al fine di valutare con precisione l’eventuale presenza di sostanze inquinanti nel sottosuolo, la struttura idrogeologica del territorio oltre che al livello di periocolo per la falda freatica situata in prossimità e destinata al consumo (…),

(…) portare il perimetro dell’impianto ad un’altezza minima di centoventitre metri sopra il livello del mare (…)”

 

La Regione decise inoltre quanto segue:

 

“ (…) la vicinanza delle abitazioni esige che l’attività dell’impianto sia controllata in permanenza per quanto riguarda le polveri liberate nell’atmosfera, le COV (composti organici volatili) e le immissioni sonore. Pertanto, si deve porre tra l’impianto e le abitazioni una centralina che permetta di misurare le emissioni di polveri e il rumore generati dall’impianto. Quanto alla quantità di COV, il dispositivo di sorveglianza dovrà essere posizionato in prossimità dell’impianto in accordo con le autorità competenti;

l’impresa dovrà inoltre effettuare dei controlli periodici per le emissioni dei rumori.”

 

La Regione decise che l’esecuzione di tali misure dovevano essere verificate al momento del rinnovo dell’autorizzazione dello sfruttamento dell’impianto, in scadenza per il 30 aprile 2004.

50. Il 28 aprile 2004, la procedura di valutazione ordinata dal Tribunale amministrativo venne completata e il Ministero dell’Ambiente adottò un nuovo decreto di V.I.A.

Il Ministero osservò innanzitutto che Ecoservizi assicurava il trattamento del 27% dei rifiuti del nord Italia e del 23% dei rifiuti a livello nazionale. Considerò inoltre che le prescrizioni fissate dalla Regione dovevano permettere un miglioramento considerevole delle condizioni di funzionamento e controllo dell’impianto ed espresse un parere positivo quanto alla continuazione dell’attività di Ecoservizi, a condizione che la stessa rispettasse tali prescrizioni.

51. La ricorrente impugnò il decreto di V.I.A. avanti il Tribunale amministrativo del Lazio con contestuale richiesta di sospensiva.

52. Con ordinanza del 24 luglio 2004, il Tribunale amministrativo respinse la domanda, per il fatto che la ricorrente non aveva sottoscritto il ricorso al Ministero dell’Ambiente.

 

C. Le denunce riguardanti l’attività di Ecoservizi e i controlli effettuai dalle autorità competenti

 

53. In seguito a numerose denunce presentate dalla ricorrente e da altre persone residenti nei pressi dell’impianto, l’ufficio di igiene pubblica e ambientale della ASL di Brescia, oltre che l’ARPA, predisposero diverse relazioni riguardanti l’attività di Ecoservizi.

54. In particolare, il 21 settembre 1993, gli esperti della ASL effettuarono un controllo sulle emissioni dell’impianto e poterono constatare un superamento dei limiti previsti dalla legge per certi elementi, come nickel, piombo, azoto e solfati. La relazione redatta dalla ASL indica che le autorità giudiziarie furono informate dei risultati delle analisi.

55. L’8 marzo 1995, gli esperti della ASL effettuarono una visita presso l’impianto. Costatarono la presenza di polvere bianca che si era depositata all’interno e all’esterno dell’installazione dopo un incidente avvenuto durante le operazioni di riempimento di un silos di calce idratata.

Nella stessa occasione, gli esperti notarono che diversi contenitori destinati ai rifiuti tossici presenti all’interno della recinzione dell’impianto non erano stati neutralizzati dopo l’uso. Con una nota del 27 aprile 2005, l’ASL ingiunse all’impresa di spostare i contenitori al fine di evitare ogni rischio di contaminazione del terreno, dovuto in particolare all’assenza di impermeabilizzazione del suolo. Risulta dalla relazione che l’ASL presentò una denuncia presso le autorità giudiziarie  competenti.

56. Con relazione del 31 luglio 1997, la sezione dei carabinieri specializzata in questioni di salute (NAS), informò la Provincia di Brescia che era stata depositata una denuncia contro il rappresentante legale di Ecoservizi per l’inesecuzione degli obblighi fissati nelle autorizzazioni di sfruttamento dell’impianto.

57. Tra il 1999 e il 2003, il Comune di Brescia sollecitò diverse volte l’intervento della Regione Lombardia al fine di ottenere la delocalizzazione dell’impianto in un luogo più sicuro e adatto ai crescenti bisogni produttivi dell’impianto.

58. Il 28 dicembre 2002, il Comune di Brescia, al fine di allontanare la ricorrente dalle emissioni sonore prodotte dall’impianto, trasferì provvisoriamente e gratuitamente la famiglia Giacomelli in attesa della definizione del contenzioso giudiziario con Ecoservizi.

59. Il 15 maggio 2002, l’ARPA redigeva una relazione tecnica riguardante Ecoservizi in occasione di un intervento d’urgenza sollecitato dalla ricorrente e i suoi vicini. Gli esperti rilevarono la presenza nell’atmosfera di un tasso elevato di ammoniaca, rilevatore di una disfunzione nel processo di inertizzazione. Conclusero che l’impresa aveva omesso di attivare i dispositivi necessari al fine di verificare la compatibilità dei rifiuti da inertizzare con le caratteristiche dell’impianto. Quest’ultimo presentava peraltro delle deficienze strutturali che potevano dar luogo a eventuali disfunzioni generatrici di emissioni di vapori e di gas.

 

II IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

 

60. L’articolo 6 della legge n° 349 del 1986 sull’ambiente, adottato conformemente alla direttiva europea 85/337/CEE, dispone che i progetti suscettibili di produrre importanti modificazioni ambientali

 

“sono comunicati, prima della loro approvazione, al Ministro dell'ambiente, al Ministro per i beni culturali e ambientali e alla regione territorialmente interessata, ai fini della valutazione dell'impatto sull'ambiente. La comunicazione contiene l'indicazione della localizzazione dell'intervento, la specificazione dei rifiuti liquidi e solidi, delle emissioni ed immissioni inquinanti nell'atmosfera e delle emissioni sonore prodotte dall'opera, la descrizione dei dispositivi di eliminazione o recupero dei danni all'ambiente ed i piani di prevenzione dei danni all'ambiente e di monitoraggio ambientale. L'annuncio dell'avvenuta comunicazione deve essere pubblicato, a cura del committente, sul quotidiano più diffuso nella regione territorialmente interessata, nonché su un quotidiano a diffusione nazionale.

Il Ministro dell'ambiente, sentita la regione interessata, di concerto con il Ministro per i beni culturali e ambientali, si pronuncia sulla compatibilità ambientale nei successivi novanta giorni.

Qualora il Ministro dell'ambiente ravvisi comportamenti contrastanti con il parere sulla compatibilità ambientale, o comunque tali da compromettere fondamentali esigenze di equilibrio ecologico e ambientale, ordina la sospensione dei lavori e rimette la questione al Consiglio dei ministri.”

 

61. L’articolo 1 del decreto del presidente del consiglio dei ministri n° 377 del 1988 indica i tipi di progetti che devono  essere sottomessi alla procedura di valutazione prevista dalla legge n° 349 del 1986. La lettera f) di tale articolo fa riferimento ad “installazioni comportanti il trattamento di rifiuti tossici e nocivi con (…) processo chimico”.

62. La legge n° 441 del 1987, modificata dal decreto legislativo n° 22 del 1997, contiene delle disposizioni in materia di trattamento di rifiuti e di protezione ambientale.

L’articolo 27 di tale decreto regolamenta il sistema di autorizzazioni di sfruttamento degli impianti di trattamento dei rifiuti. La Regione procede all’esame preliminare dei progetti di nuove installazioni di trattamento e stoccaggio di rifiuti urbani, speciali, tossici e nocivi attraverso le conferenze di servizi.

Se il progetto di installazione esaminato dalla Regione deve essere oggetto di uno studio preliminare di valutazione di impatto ambientale ai sensi della legge n° 349 del 1986, la procedura di autorizzazione è sospesa in attesa della decisione del Ministero dell’Ambiente.

63. Al termine dell’esame del progetto, la Regione autorizza l’attività dell’impianto con delibera amministrativa che impone al soggetto fruitore le condizioni e le prescrizioni necessarie alla salvaguardia dell’ambiente. L’autorizzazione ha validità di cinque anni ed è rinnovabile.

Quando risulta dai controlli sull’attività dell’impianto che le condizioni fissate dall’amministrazione non sono rispettate, l’attività dell’installazione è sospesa per un periodo di dodici mesi al massimo. In seguito, se l’attività dell’impianto non è stata messa in conformità con le prescrizioni dell’autorizzazione, quest’ultima viene revocata (articolo 28 del decreto n° 22 del 1997).

64. L’articolo 21 della legge n° 1034 del 1971 prevede che chiunque ha fondato motivo di credere che il suo diritto rischi di subire un pericolo imminente ed irreparabile derivante dall’esecuzione di un atto amministrativo impugnato o da un comportamento inerte dell’amministrazione può chiedere al Tribunale amministrativo l’emanazione di misure cautelari volte ad assicurare, secondo le circostanze, gli effetti della decisione sul ricorso.

 

IN DIRITTO

 

I. SULL’ECCEZIONE PRELIMINARE DEL GOVERNO

 

65. Il Governo sostiene che il ricorso è prematuro, dato che l’ultima procedura promossa dalla ricorrente è ad oggi ancora pendente davanti al Tribunale amministrativo. Affermando che il ricorso davanti alle giurisdizioni amministrative è efficace e accessibile, il Governo ritiene che la ricorrente debba attendere l’esito di tale procedura.

66. La ricorrente contesta il ragionamento del Governo. Sostiene che a partire dal 1994, ha chiesto diverse volte al giudice amministrativo di far cessare l’attività dell’impresa. Peraltro, nonostante l’accoglimento delle sue richieste cautelari e la valutazione negativa riguardante l’impatto ambientale dell’impresa, non è stato mai posto termine alla sua attività.

67. La Corte ricorda che nella decisione di ricevibilità della presente causa, resa il 15 marzo 2005, ha giudicato che l’eccezione sollevata dal Governo relativa alla carattere prematuro del ricorso doveva essere riunito all’esame nel merito della causa. Avuto riguardo all’assenza di obiezioni sollevate dalla ricorrente in proposito, non si può che confermare tale conclusione.

 

II. SULLA VIOLAZIONE DI CUI ALL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

 

68. La ricorrente si lamenta che il rumore persistente e le emissioni nocive generati dall’impianto, situato solamente a trenta metri dalla sua abitazione, costituiscono un grave danno per il territorio oltre che un rischio permanente per la sua salute e il suo domicilio, contrariamente a quanto disposto dall’articolo 8 della Convenzione, che dispone:

« 1 Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2 Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. »

 

A.  Tesi delle parti

1.  La ricorrente

69.  La ricorrente afferma che l’impianto di Ecoservizi si è molto ingrandito dalla sua creazione avvenuta nel 1982, sino ad arrivare ad una distanza di 30 metri appena dalla casa ove abitava diversi anni prima dell’inizio dell’attività dell’impianto fino a raggiungere una capacità produttiva annuale di circa 200.000 metri cubi di rifiuti nocivi.

70. In particolare dal 1991, l’attività dell’impianto è caratterizzata sempre più da un’emissione continua di rumori ed odori, che impediscono alla ricorrente di riposarsi e di vivere in modo dignitoso, e rappresenta un pericolo costante per la salute e il benessere di tutte le persone residenti in prossimità. La ricorrente sostiene che una tale situazione è assolutamente incompatibile con il rispetto del suo diritto alla vita privata, al domicilio e alla salute e afferma che le misure prese dall’impresa non sono sufficienti per eliminare i disturbi prodotti dall’impianto e il rischio che la sua attività rappresenta.

71. La ricorrente sostiene inoltre che la procedura di valutazione dell’impatto ambientale, che avrebbe dovuto secondo la legge costituire un requisito indispensabile allo sfruttamento dell’impianto, è stata intrapresa dopo diversi anni di attività di Ecoservizi. In più, l’impresa e l’amministrazione non hanno mai rispettato le delibere secondo cui l’attività dell’impianto era incompatibile con le norme ambientali e non hanno preso in considerazione le prescrizioni del ministero dell’Ambiente. Non si può concludere che in queste condizioni il trattamento dei rifiuti tossici e nocivi possa avere un’utilità pubblica.

2.  Il Governo

1.  Il Governo non contesta che ci sia stata un’ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto del suo domicilio e della sua vita privata. Afferma tuttavia che tale ingerenza era giustificata ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 8 della Convenzione.

Il Governo afferma che le decisioni amministrative che hanno autorizzato l’attività di Ecoservizi sono state prese conformemente alla legge e allo scopo di salvaguardare la salute pubblica e il benessere economico della regione. In effetti, l’impresa assicura il trattamento della quasi totalità dei rifiuti industriali della regione, permettendo anche lo sviluppo dell’attività industriale regionale e la protezione della salute pubblica della comunità.

73. Secondo il Governo, il presente caso si distingue dalla causa Guerra et autres c. Italie (sentenza del 19 febbraio 1998, Recueil des arrêts et décisions 1998-I, p. 227, § 57) per due ragioni. In primo luogo, l’attività di Ecoservizi rispetta il diritto fondamentale alla salute pubblica e, in secondo luogo, la pericolosità dell’installazione non è provata nel caso di specie, mentre nella causa Guerra et autres, non era contestato che le emissioni dell’impianto chimico comportassero dei rischi per gli abitanti della città di Manfredonia. Il Governo sottolinea inoltre la differenza tra il presente caso e la causa López Ostra c. Espagne (sentenza del 9 dicembre 1994, série A no 303‑C), nella quale l’attività della stazione di depurazione non era indispensabile alla comunità locale. Insistendo sull’utilità pubblica dell’attività di Ecoservizi, ricorda che si deve tenere in considerazione il giusto equilibrio ad aver cura degli interessi concorrenti dell’individuo e quelli della società nel suo insieme, e che esiste una giurisprudenza chiara della Corte in favore di un ampio margine di apprezzamento degli Stati in materia ambientale.

74. Il Governo attira inoltre l’attenzione della Corte sulle ultime decisioni delle autorità interne.

Bisogna tener presente in primo luogo che il 23 luglio 2004 il Tribunale amministrativo della Lombardia, dopo aver preso in considerazione tutti gli elementi pertinenti della causa, ha respinto la domanda presentata dalla ricorrente tendente ad ottenere la sospensiva dell’esecuzione dell’ultima autorizzazione dell’attività di Ecoservizi. Ricorda poi che l’ultima procedura di V.I.A. è terminata, il 28 aprile 2004, con parere favorevole del ministero dell’Ambiente.

Questo prova che le autorità competenti hanno valutato l’attività dell’impianto nel suo complesso e, imponendo all’impresa tutta una serie di prescrizioni, l’hanno giudicata compatibile con le norme in materia ambientale e non pericolosa per la salute umana.

75. Il Governo sostiene inoltre che Ecoservizi, molto conosciuta dal pubblico a causa, tra l’altro, delle procedure giudiziarie e delle denunce della signora Giacomelli, è stata oggetto di frequenti controlli da parte delle autorità competenti, e ciò esclude ogni pericolo per la salute della ricorrente. Quest’ultima, al solo scopo di far cessare l’attività dell’impianto o per ottenerne un suo trasferimento, si limita ad addurre la violazione del suo diritto alla salute, senza tuttavia prendere in considerazione gli sforzi compiuti dalle autorità competenti per migliorare la situazione e senza spiegare né provare gli effetti nocivi sulla sua salute.

B.  Valutazione della Corte

76. L’articolo 8 della Convenzione protegge il diritto dell’individuo al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. Il domicilio è normalmente il luogo, lo spazio fisicamente determinato ove si sviluppa la vita privata e familiare. L’individuo ha diritto al rispetto del suo domicilio, concepito non solamente come il diritto al semplice spazio fisico ma anche come quello al godimento, in tutta tranquillità, di tale spazio. Le minacce al diritto al rispetto del domicilio non riguardano solamente  i pregiudizi materiali o corporali, quali l’intromissione nel domicilio di una persona non autorizzata, ma anche i pregiudizi immateriali e incorporei, come i rumori, le emissioni, gli odori e altre ingerenze. Se i la minaccia è grave, questa può privare una persona del suo diritto perché le impediscono di godere del suo domicilio (Hatton et autres c. Royaume-Uni, [GC], no 36022/97, § 96, CEDH 2003-VIII).

77. Cosi la Corte ha dichiarato applicabile l’articolo 8 nella causa Powell et Rayner c. Royaume-Uni (sentenza del 21 febbraio 1990, série A no 172, p. 18, § 40), poiché “il rumore degli aerei dell’aeroporto di Hathrow aveva diminuito la qualità della vita privata e i piaceri della casa di ciascun ricorrente”. Nella causa López Ostra c. Espagne (precitata, pp. 54-55, § 51) riguardante l’inquinamento da rumori e odori di un impianto di depurazione, la Corte ha stimato che “i pregiudizi gravi all’ambiente possono ledere il benessere di una persona e privarla del godimento del suo domicilio in maniera da nuocere alla sua vita privata e familiare, senza peraltro mettere in grave pericolo la salute dell’interessato”. Nella causa Guerra et autres c. Italie (precitata, p. 227, § 57), la Corte ha osservato che “l’incidenza diretta delle emissioni [di sostanze] nocive sul diritto dei ricorrenti al rispetto della loro vita privata e familiare permetteva di concludere per l’applicabilità dell’articolo 8”. Infine, nella causa Surugiu c. Roumanie (no 48995/99, 20 aprile 2004) relativa a diversi impedimenti, tra cui l’ingresso di terze persone nella corte della casa del ricorrente e lo scarico da parte di queste di diverse carrette di letame davanti alla porta e sotto la finestra della casa, la Corte ha stimato che questi pregiudizi costituivano un’ingerenza ripetuta nell’esercizio da parte del ricorrente del suo diritto al rispetto del suo domicilio e ha concluso per l’applicabilità dell’articolo 8 della Convenzione.

78. L’articolo 8 può applicarsi nelle cause ambientali, sia che l’inquinamento sia direttamente provocato dallo Stato o che la responsabilità di quest’ultimo derivi dall’assenza di una regolamentazione adeguata dell’attività del settore privato. Che si affronti la causa sotto l’aspetto di un’obbligazione positiva a carico dello Stato consistente nell’adottare delle misure ragionevoli e adeguate per proteggere i diritti che i ricorrenti attingono dal paragrafo 1 dell’articolo 8, o sotto quello di un’ingerenza di un’autorità pubblica giustificata ai sensi del paragrafo 2, i principi applicabili sono assai vicini. In entrambi i casi, bisogna prendere in considerazione il giusto equilibrio del bilanciamento tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo complesso; ugualmente nelle due ipotesi lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento per determinare le disposizioni da prendere alfine di assicurare il rispetto della Convenzione. Inoltre, anche per le obbligazioni positive risultanti dal paragrafo 1, gli obiettivi enumerati al paragrafo 2 possono giocare un certo ruolo nella ricerca dell’equilibrio voluto (Powell et Rayner e López Ostra, precitate, p. 18, § 41, e pp. 54-55, § 51, rispettivamente).

79. La Corte stima che, in una causa come questa, dove si prendono in considerazione le decisioni dello Stato che hanno un’incidenza su questioni ambientali, l’esame a cui ci si può affidare presenta due aspetti. In primo luogo, si deve valutare il contenuto materiale della decisione del governo al fine di assicurare che questa sia compatibile con l’articolo 8. In secondo luogo, si deve rivolgere la propria attenzione sul processo decisionale, al fine di verificare se gli interessi dell’individuo siano stati debitamente presi in considerazione (Taşkın et autres c. Turquie, no 46117/99, § 115, CEDH 2004-X).

Quanto all’aspetto materiale, la Corte ha dichiarato diverse volte che nelle cause legate all’ambiente lo Stato doveva godere di un margine d’apprezzamento esteso (Hatton et autres, precitato, § 100, Buckley c. Royaume-Uni, sentenza del 25 settembre 1996, Recueil 1996-IV, pp. 1291-1293, §§ 74-77, e Taşkın et autres, précité, § 116).

Spetta alle autorità nazionali di valutare in primo luogo la “necessità” di un’ingerenza. In effetti, esse sono in principio meglio collocate rispetto ad una giurisdizione internazionale per valutare le esigenze legate al trattamento dei rifiuti industriali in un contesto locale specifico e per decidere delle politiche ambientali e delle misure individuali più adeguate nel rispetto dei bisogni della collettività locale.

81. Per giustificare il rilascio dell’autorizzazione a Ecoservizi allo sfruttamento dell’impianto e successivamente il rinnovo delle delibere di autorizzazione, il Governo invoca gli interessi economici della Regione e del Paese nel suo insieme e la necessità di salvaguardare la salute pubblica dei cittadini.

82. Tuttavia, la Corte deve vegliare a che gli interessi della comunità siano bilanciati con il diritto dell’individuo al rispetto del suo domicilio e della sua vita privata. Secondo la sua giurisprudenza costante, la Corte ricorda che, anche se l’articolo 8 non contiene alcuna condizione procedurale esplicita, bisogna che il processo decisionale sfociante su delle misure di ingerenza sia equo e rispetti doverosamente gli interessi dell’individuo protetti dall’articolo 8 ( vedasi, mutatis mutandis, McMichael c. Royaume-Uni, sentenza del 24 febbraio 1995, série A no 307-B, p. 55, § 87).

Si deve quindi esaminare l’insieme degli elementi procedurali, in particolare il tipo di politica o di decisioni in gioco, la misura secondo cui i punti di vista degli individui sono stati presi in considerazione in tutto il processo decisionale, e le garanzie procedurali disponibili (Hatton et autres, precitata, § 104). Risulta peraltro che le decisioni possono essere prese dalle autorità solamente alla presenza di dati esaustivi e verificabili relativamente a tutti gli aspetti della questione da esaminare.

83. Quando uno Stato si occupa di questioni complesse di politica ambientale ed economica, il processo decisionale deve innanzitutto comportare la realizzazione di indagini e studi appropriati, in maniera da prevenire e valutare anticipatamente gli effetti delle attività che possano portare pregiudizio all’ambiente e ai diritti degli individui e permettere anche l’instaurazione di un giusto equilibrio tra i diversi interessi concorrenti in gioco (Hatton et autres, precitata, § 128).

L’importanza dell’accesso al pubblico a questi studi oltre che alle informazioni che permettano di valutare il pericolo cui esso è esposto non è posto in dubbio (vedasi, mutatis mutandis, Guerra et autres precitata, p. 223, § 60, e McGinley et Egan c. Royaume-Uni, sentenza del 9 giugno1998, Recueil 1998-III, p. 1362, § 97). Infine, gli individui coinvolti devono poter anche presentare un ricorso contro ogni decisione, atto od omissione davanti ai tribunali, se ritengono che i loro interessi o le loro osservazioni non siano state prese sufficientemente in considerazione nel processo decisionale (vedasi, mutatis mutandis, Hatton et autres, precitata, § 128, e Taşkın et autres, precitata, §§ 118-119).

84. Per determinare l’ampiezza del margine d’apprezzamento lasciato allo Stato convenuto, la Corte deve dunque esaminare se gli interessi della ricorrente sono stati presi debitamente in considerazione e se l’interessata ha potuto contare su garanzie processuali sufficienti.

85. La Regione Lombardia autorizzò Ecoservizi a sfruttare l’impianto in questione per la prima volta nel 1982. L’installazione era inizialmente votata allo stoccaggio e al trattamento dei rifiuti pericolosi e non pericolosi. Nel 1989, l’impresa fu autorizzata a procedere al trattamento dei rifiuti nocivi e tossici per “inertizzazione”, un processo implicante l’impiego di sostanze chimiche comportanti dei rischi importanti per l’ambiente e la salute umana. In seguito, nel 1991, l’impianto fu autorizzato ad aumentare la quantità di rifiuti da trattare e, conseguentemente, l’installazione fu adattata alle nuove esigenze di produzione, fino a raggiungere le dimensioni attuali.

86. La Corte constata di primo acchito che né la delibera di autorizzare Ecoservizi a sfruttare l’impianto né quella di accordare all’impresa il diritto di trattare dei rifiuti industriali per inertizzazione non sono state precedute da uno studio o da un’indagine appropriate, condotte conformemente alle disposizioni di legge applicabili alla materia.

87. La Corte osserva che l’articolo 6 della legge n° 349 del 1986 dispone che il ministero dell’Ambiente debba procedere ad uno studio preliminare d’impatto ambientale (V.I.A.) per ogni impianto in cui l’attività sia suscettibile di causare una degradazione dell’ambiente, tra le quali si annoverano quelle che riguardano il trattamento dei rifiuti nocivi e tossici implicanti l’impiego di prodotti chimici (paragrafi 60 e 61 qui sopra).

88. E’ or dunque giocoforza rilevare che Ecoservizi fu invitata a procedere a un tale studio solamente nel 1996, ossia sette anni dopo l’inizio dell’attività di inertizzazione dei rifiuti industriali.

89. La Corte rileva per di più che durante la procedura di V.I.A., che si è conclusa con parere definitivo solamente il 28 aprile 2004 (paragrafo 50 qui sopra), il Ministero dell’Ambiente ha affermato per due volte, con decreti del 24 maggio 2000 e 30 aprile 2001 (paragrafi 38 e 41 qui sopra), che l’attività dell’impianto era incompatibile con le norme ambientali in ragione della posizione geografica inadatta, e che esisteva il pericolo concreto per la salute delle persone residenti in prossimità.

90. Quanto alla possibilità per l’interessata di avere accesso alle autorità giudiziarie e di esporre le proprie considerazioni, la Corte osserva che tra il 1994 e il 2004 la ricorrente presentò al Tribunale Amministrativo Regionale cinque ricorsi volti ad ottenere l’annullamento delle delibere della Regione di autorizzazione dell’attività dell’impresa, che hanno dato luogo a tre procedure giudiziarie di cui ultima è ancora pendente. Conformemente alla legge interna, ebbe ugualmente la possibilità di domandare l’interruzione dell’attività dell’impianto chiedendo la sospensiva dell’esecuzione delle delibere impugnate.

91. La prima delle procedure promosse dalla ricorrente si concluse nel 1998 con un rigetto da parte della giurisdizione amministrativa, in particolare per il motivo che l’interessata aveva omesso di impugnare le delibere con cui la Regione aveva autorizzato un aumento del volume dell’attività di Ecoservizi (paragrafo 20 qui sopra).

92. In compenso, nella seconda procedura giudiziaria, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia e il Consiglio di Stato, rispettivamente con le sentenze del 29 aprile 2003 e 25 maggio 2004, concluse che l’attività dell’impianto non aveva fondamento legale e che bisognava conseguentemente sospenderla con effetto immediato (paragrafi 27 e 29 qui sopra).

Secondo la legislazione in vigore, l’attività dell’impianto doveva essere sospesa per permettere all’impresa di conformarsi alle norme di protezione ambientale e ottenere anche un parere favorevole da parte del ministero dell’Ambiente.

Tuttavia, l’amministrazione non ordinò in nessun momento la chiusura dell’installazione.

93. La Corte considera che l’amministrazione ha omesso di conformarsi alla legislazione interna in materia ambientale e ha rifiutato in seguito, nella seconda procedura giudiziaria, di eseguire le sentenze che riconoscevano l’irregolarità dell’attività oggetto del giudizio, cosi annientando le garanzie procedurali di cui la ricorrente aveva potuto beneficiare precedentemente, disconoscendo così il principio della preminenza del diritto ( vedasi, mutatis mutandis, Immobiliare Saffi c. Italie [GC], no 22774/93, § 63, CEDH 1999‑V).

94. Stima che il meccanismo processuale previsto dal diritto interno per garantire la protezione dei diritti individuali, in particolare l’obbligazione di effettuare uno studio di impatto ambientale in via preliminare per tutti i progetti potenzialmente nocivi per l’ambiente e la possibilità per ogni cittadino coinvolto di partecipare alla procedura di autorizzazione e di adire le autorità giudiziarie per far valere le proprie osservazioni e ottenere, se del caso, la sospensione dell’attività pericolosa, si è rivelata nel caso di specie privo di effetto utile per un periodo molto lungo.

95. D’altra parte, la Corte non può aderire alla tesi del Governo secondo cui il decreto del ministero dell’Ambiente del 28 aprile 2004, di autorizzazione alla continuazione dell’attività dell’impianto, e la sentenza del Tribunale amministrativo della Lombardia del 23 luglio 2004 di rigetto dell’ultima richiesta di sospensiva della ricorrente dimostrerebbero la mancanza di pericolosità dell’attività dell’installazione oggetto del giudizio e proverebbero gli sforzi compiuti dalle autorità interne per cercare il giusto equilibrio tra gli interessi della collettività e quelli della ricorrente.

96. Per la Corte, anche a supporre che dopo il decreto di V.I.A del 28 aprile 2004 siano state adottate le misure e le prescrizioni ivi indicate e che siano state prese le misure necessarie per proteggere i diritti della ricorrente, questo non cancella il fatto che per diversi anni la ricorrente abbia subito un pregiudizio grave al suo diritto al rispetto del suo domicilio in ragione dell’attività pericolosa dell’impianto, edificata a trenta metri dalla sua abitazione.

97. Per quanto sopra esposto, la Corte ritiene che, nonostante il margine di apprezzamento riconosciuto allo Stato convenuto, questi non ha saputo ricercare un giusto equilibrio tra gli interessi della collettività di disporre di un impianto di trattamento dei rifiuti industriali tossici e il godimento effettivo per la ricorrente del diritto al rispetto del suo domicilio e della sua vita privata e familiare.

98. Conseguentemente, la Corte rigetta l’eccezione preliminare del Governo e conclude per la violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

III.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

2.  Ai termini dell’articolo 41 della Convenzione,

 « Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa ».

A.  Danni

100.  La ricorrente chiede la somma di 1.500.000 (EUR) per danni materiali e sollecita un importo equivalente per danni morali.

Afferma ugualmente di essere pronta a rinunciare ad una parte delle somme richieste se sarà immediatamente messo termine all’attività di Ecoservizi o se l’impianto sarà delocalizzato in un altro sito.

101. Il Governo considera questi importi esorbitanti e ritiene che la constatazione di violazione rappresenti un’equa riparazione sufficiente.

102. Per quanto riguarda le misure specifiche richieste dalla ricorrente, la Corte ricorda che le sue sentenze hanno un carattere essenzialmente declaratorio e che in generale appartiene in primo luogo allo Stato in causa, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di scegliere i mezzi da mettere in opera nel suo ordinamento giuridico interno per adempiere alla sua obbligazione secondo l’articolo 46 della Convenzione (vedasi, tra le altre, Öcalan c. Turquie [GC], no 46221/99, § 210, CEDH 2005-IV).

103. Per quanto riguarda il pregiudizio materiale, la Corte osserva che la ricorrente ha omesso di provare la propria richiesta e non ha indicato il nesso di causalità tra la violazione constatata e il danno materiale che avrebbe subito.

104. La Corte giudica tuttavia che la violazione della Convenzione ha causato alla ricorrente un certo e considerevole danno morale. L’interessata ha risentito dell’angoscia e dell’ansietà vedendo la situazione perdurare per anni. Inoltre, ha dovuto promuovere diverse procedure giudiziarie contro le delibere illegittime di autorizzazione dell’attività dell’impianto. Un tale pregiudizio non si presta ad un calcolo esatto. Statuendo in equità, la Corte riconosce alla ricorrente la somma di 12.000 EUR.

 

B.  Competenze e spese

105. La ricorrente chiede il rimborso delle competenze e spese sostenute davanti alle autorità nazionali e davanti alla Corte. Nelle sue note spese, quantifica le prime in 19.365 EUR e le seconde in 3.598 EUR.

106. Il Governo si rimette alla saggezza della Corte.

107.  Secondo la giurisprudenza costante della Corte, il riconoscimento delle competenze e spese richieste dal ricorrente non possono avvenire che nella misura in cui venga accertata la loro natura reale, la loro necessità e il carattere ragionevole dei loro tassi (vedasi, tra molte altre Belziuk c. Pologne, sentenza del 25 marzo 1998, Recueil 1998-II, p. 573, § 49, e Sardinas Albo c. Italie, no 56271/00, § 110, 17 febbraio 2005).

108. La Corte ritiene che le competenze sostenute davanti alle giurisdizioni interne sono state in parte sostenute dalla parte ricorrente per rimediare alla violazione constatata e debbano essere rimborsate (vedasi, a contrario, la sentenza Serre c. France, no 29718/96, § 29, 29 settembre 1999). Si conviene di riconoscere, decidendo in equità, 5.000 EUR a tale titolo. Peraltro, la Corte ritiene ragionevole di accordare la somma richiesta per la procedura davanti ad essa. Conseguentemente, la Corte decide di accordare alla ricorrente la somma di 8.597 EUR.

C.  Interessi di mora

1093.  La Corte giudica appropriato basare i tassi di interesse moratori sui tassi di interesse delle agevolazioni sul prestito marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITA’

1.  unisce al merito l’eccezione preliminare del Governo e la rigetta dopo l’esame nel merito ;

 

2.  Dichiara che c’è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione ;

 

3.  Dichiara

a)  che lo Stato convenuto deve corrispondere alla ricorrente, entro tre mesi dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme :

i.  12.000 EUR (dodicimila euro) per danni morali ;

ii.  8.598 EUR (ottomilacinquecentonovantotto euro) per competenze e spese ;

iii.  oltre ogni importo che può essere richiesto a titolo di imposto su tali somme ;

b)  che a partire da detto termine sino al versamento, tali importi saranno maggiorati di un interesse semplice pari ad un tasso uguale a quello delle agevolazioni sul prestito marginale della Banca centrale europea applicabile in questo periodo, aumentato di tre punti percentuali;

 

4.      Rigetta la richiesta di equa riparazione per il sovrappiù.

Redatto in francese, poi comunicato per iscritto il 2 novembre 2006 in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

  Vincent Berger                                                              Boštjan M. Zupančič
      Cancelliere                                                                            Presidente



[1] Traduzione dalla versione francese della sentenza Giacomelli contro Italia, a cura di Antonella Mascia, giurista presso la Corte europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo