LA DISCIPLINA DEL CDR NELLA LEGGE 27 FEBBRAIO 2002, N. 16 DI CONVERSIONE DEL DECRETO-LEGGE 28 DICEMBRE 2001, N. 452 *di Bernardino Albertazzi Consiglio di Stato VI sentenza n

“Vice-Presidente e Responsabile Area Legale-Pianificazione e Formazione di Macroscopio s.p.a.”

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Non molto tempo fa, su questa stessa rivista (1) avevamo sottolineato che non può essere considerata una novità, almeno nel nostro Paese, l’introduzione di modifiche anche di portata rilevante a normative in materia ambientale da parte di atti aventi forza e valore di legge ma caratterizzati dal requisito della assoluta estemporeneità   in quanto contenuti in decreti-legge, anche se successivamente convertiti in legge dal

Parlamento, i quali spesso non hanno nulla a che vedere, sotto il profilo contenutistico, sulla materia ambientale. Il fenomeno descritto si è ulteriormente ripetuto nel

Decreto-legge  28 dicembre 2001, n.452, (pubblicato sulla  Gazzetta ufficiale 29 dicembre 2001 n. 301), recante “ Disposizioni urgenti in tema di accise, di gasolio per autotrazione, di smaltimento di oli usati, di giochi e scommesse, nonché sui rimborsi IVA.” (entrato in vigore, ai sensi del proprio articolo 18 il giorno 30 dicembre 2001), poi convertito dalla legge  27 febbraio 2002, n.16 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale italiana n. 49 del 27 febbraio 2002) .

La considerazione di cui sopra è ulteriormente avvalorata dal fatto che in sede di conversione l’originario decreto-legge è stato modificato in maniera significativa, almeno sotto il profilo che qui prenderemo in considerazione.

 

E’ appena il caso di ricordare che, a norma dell'art. 15, comma 5, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), le modifiche apportate dalla  legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione, e cioè dal giorno 28 febbraio 2002..

In particolare l’originario comma 11 dell’articolo 7 del decreto (Istituzione di un contributo di riciclaggio e di risanamento ambientale),che non aveva nulla a che vedere con il titolo dell’articolo e che disponeva:“Al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, sono apportate le seguenti modifiche:

a)       nell'articolo 7, comma 3, è aggiunta, in fine, la seguente lettera: "1-bis) il combustibile derivato da rifiuti"...;

è stato modificato dalla legge di conversione ed ora dispone:

11. Al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, sono apportate le seguenti modifiche:

a) nell'articolo 7, comma 3, è aggiunta, in fine, la seguente lettera: «l-bis) il combustibile derivato da rifiuti  qualora non rivesta le caratteristiche qualitative individuate da norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale»(2);

 

(1) “, pubblicato in questa rivista, n. /2002, pag.  e seg. .

(2) Dunque il testo vigente dell’art. 11, comma 3 del Dlgs n.22/97 detta:

“3. Sono rifiuti speciali:
a) i rifiuti da attività agricole e agro-industriali;
b) i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonché i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo;
c) i rifiuti da lavorazioni industriali;
d) i rifiuti da lavorazioni artigianali;
e) i rifiuti da attività commerciali;
f) i rifiuti da attività di servizio;
g) i rifiuti derivanti dalla attività di recupero e smaltimento di rifiuti, i fanghi prodotti dalla potabilizzazione e da altri trattamenti delle acque e dalla depurazione delle acque reflue e da abbattimento di fumi;
h) i rifiuti derivanti da attività sanitarie;
i) i macchinari e le apparecchiature deteriorati ed obsoleti;
l) i veicoli a motore, rimorchi e simili fuori uso e loro parti.

«l-bis) il combustibile derivato da rifiuti  qualora non rivesta le caratteristiche qualitative individuate da norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale»

Si rammenta che il combustibile derivato da rifiuti viene definito dalla lettera p) dell’art. 6 del Dlgs 22/97 e S.m.  come “il combustibile ricavato dai rifiuti urbani mediante trattamento finalizzato all'eliminazione delle sostanze pericolose per la combustione ed a garantire un adeguato potere calorico, e che possieda caratteristiche specificate con apposite norme tecniche” .

Come già affermato (3) l’originaria  norma di cui al comma undicesimo del DL 452/2001  ed ora della legge  27 febbraio 2002, n.16  è finalizzata  a risolvere una delicata questione interpretativa sulla classificazione del combustibile da rifiuti. Il Ministero dell’Ambiente (4) aveva sempre sostenuto la natura di rifiuto urbano del CDR mentre si può facilmente  sostenere , ora come allora, la natura di rifiuto speciale del CDR attraverso un percorso intepretativo logico quanto lineare.

Il Ministero dell’Ambiente si era espresso testualmente in questo senso : ““ il rifiuto in uscita da un impianto di smaltimento che tratta rifiuti urbani non può essere ritenuto rifiuto speciale agli effetti dell'articolo 7, comma 3, lettera g) (vedi nota 2), del d.lg. n. 22 del 1997, poiché l'ipotesi normativa ora richiamata deve riferirsi al rifiuto finale derivante dall'attività di recupero, ovvero alla frazione non ulteriormente recuperabile, per la quale è cessato il processo di recupero e che pertanto abbisogna di smaltimento. Nel caso di specie, il rifiuto "semilavorato", in uscita dall'impianto di prima selezione del tal quale, in quanto destinato a (e suscettibile di) una successiva gestione volta al recupero (mediante produzione e utilizzo di CDR), non ha mutato la sua natura giuridica di rifiuto urbano, per il quale è in corso il processo di recupero. Il risultato del primo trattamento costituisce solo una fase intermedia della gestione, insuscettibile di mutare la provenienza del rifiuto, agli effetti del suo regime giuridico. “....        “ Che i rifiuti in uscita dall'impianto di selezione e trattamento, e che lo stesso combustibile da rifiuti debbano essere considerati rifiuti urbani emerge con chiarezza anche dal disposto dell'articolo 33, comma 8, il quale, nell'escludere il recupero dei rifiuti urbani dall'ambito di applicazione della procedura semplificata, prevede un'espressa eccezione per le attività di trattamento dei rifiuti urbani per ottenere combustibile da rifiuto, ma soprattutto per l'impiego del combustibile da rifiuto prodotto da tale attività; eccezione che non avrebbe senso, se si dovesse ritenere la natura di rifiuto speciale del rifiuto in uscita dal pretrattamento, ovvero dello stesso CDR.”

In effetti il cit. comma 8 dell’art. 33 (Operazioni di recupero) dispone che le procedure semplificate “non si applicano alle attività di recupero dei rifiuti urbani, ad eccezione: ... b) delle attività di trattamento dei rifiuti urbani per ottenere combustibile da rifiuto effettuate nel rispetto delle norme tecniche di cui al comma 1;
c) dell'impiego di combustibile da rifiuto nel rispetto delle specifiche norme tecniche adottate ai sensi del comma 1, che stabiliscono in particolare la composizione merceologica e le caratteristiche qualitative del combustibile da rifiuto ai sensi della lettera p) dell'articolo 6
(vedi nota 2).

 

(3) Vedi nota 1 .

(4) Vedi la lettera del  Ministro dell'Ambiente nella del 25 maggio 1999 indirizzata alla Amministrazione Provinciale di Lucca, avente ad oggetto l’art. 33 d.lg. n. 22 del 1997 e punto 14 dell'allegato 1 al Dm Ambiente 5 febbraio 1998; attività di recupero di rifiuti per produzione di CDR; quesito (risposta n. prot. 41728/XIII.B.1 del 19 maggio 1999):

E tuttavia il ministero dell’Ambiente sembra non accorgersi che, con le sue affermazioni sopra riportate, mette in discussione la portata e l’intero impianto normativo del Decreto Ministeriale del 05/02/1998 (5). Tale decreto, come pure l’art. 33 del dlgs 22/97, distingue la fase di 1) produzione del CDR, da quella di 2) utilizzazione del CDR. Ai sensi del punto 14 dell’Allegato 1, Suballegato 1 del D.M. cit. i rifiuti solidi urbani ed assimilati, ad esclusione delle frazioni derivanti da raccolta differenziata, vengono sottoposti, ai sensi del punto 14.1.3 ad una Attività di recupero consistente nella “ produzione di combustibile derivato da rifiuti (CDR) ottenuto attraverso cicli di lavorazione che ne garantiscano un adeguato potere calorifico, riducano la presenza di materiale metallico, vetri, inerti, materiale putrescibile, contenuto di umidità e di sostanze pericolose in particolare ai fini della combustione; separazione; trattamento: triturazione, eventuali trattamenti di essiccamento, addensamento e pellettizzazione.
Il combustibile derivato da rifiuti deve avere le caratteristiche individuate alla voce 1 dell'allegato 3 al presente D.M..
”.

Non sembra dunque possa essere posto in dubbio il fatto che gli originari rifiuti solidi urbani ed assimilati, ad esclusione delle frazioni derivanti da raccolta differenziata, qualora vengono sottoposti all’ attività di recupero sopra descritta  diventano CDR.

 E dunque, a meno di non voler mettere in discussione quanto espressamente disposto dal D.M. 5 febbraio 1998, al rifiuto che risulta dall’attività di recupero sopra descritta risulta applicabile il disposto di cui all’art. 7, comma 3 , lett. g) del dlgs 22/97 e s.m. (vedi nota 2) che classifica tale rifiuto come speciale.

 

LE NOVITA’ DELLA LEGGE DI CONVERSIONE

 

La legge di conversione del Decreto-legge  28 dicembre 2001, n.452 ha modificato l’originaria affermazione secondo la quale il CDR è un rifiuto speciale, subordinandola alla espressa condizione che esso “non rivesta le caratteristiche qualitative individuate da norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale», sottintendendo quindi che qualora il CDR rivesta le caratteristiche qualitative individuate da norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale non sia un rifiuto speciale (e forse il legislatore intende qualificarlo come urbano).

Risulta dunque necessario individuare se esistano e, nel caso affermativo, quali siano  le caratteristiche qualitative individuate da norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale.

 

 

(5) “Individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.”

 

Se ora rammentiamo che il combustibile derivato da rifiuti viene definito dalla lettera p) dell’art. 6 del Dlgs 22/97 e S.m.  come “il combustibile ricavato dai rifiuti urbani mediante trattamento finalizzato all'eliminazione delle sostanze pericolose per la combustione ed a garantire un adeguato potere calorico, e che possieda caratteristiche specificate con apposite norme tecniche” ,

 la specificazione introdotta dalla legge 27 febbraio 2002, n.16 diventa di difficilissima comprensione ed interpretazione.

Infatti ai sensi del disposto di legge sopra riportato è lecito affermare che non esiste combustibile derivato da rifiuti al di fuori delle seguenti cumulative condizioni:

1)      deve essere ricavato dai rifiuti urbani mediante trattamento finalizzato all'eliminazione delle sostanze pericolose per la combustione ed a garantire un adeguato potere calorico;

2)      deve possedere caratteristiche specificate con apposite norme tecniche.

Dunque si può dedurre, a contrario che ciò che viene ricavato:

a)      da rifiuti non urbani o

b)      non possieda caratteristiche specificate con apposite norme tecniche

non può in alcun modo essere definito come combustibile derivato da rifiuti.

Da quanto sopra esposto risulta evidente che il combustibile ricavato dai rifiuti è una fattispecie di rifiuto legalmente tipizzata, in quanto è la norma primaria di legge che descrive i requisiti fondamentali di tale fattispecie, anche se rimanda in parte la caratterizzazione di tale rifiuto ad apposite norme tecniche.

Le menzionate norme tecniche sono effettivamente state predisposte e pubblicate e si trovano all’interno del Decreto Ministeriale del 05/02/1998(6), precisamente nel punto 1.2 dell’Allegato 2, Suballegato 1).

Dunque la fattispecie del combustibile derivato da rifiuti che non rivesta le caratteristiche qualitative individuate da norme tecniche finalizzate a definirne contenuti e usi compatibili con la tutela ambientale» posta in essere dal legislatore nel comma 11 della 27 febbraio 2002, n.16  è incompatibile con la norma di cui lettera p) dell’art. 6 del Dlgs 22/97 che contiene la definizione di combustibile derivato da rifiuti, mentre sembra logico e perfino scontato che  e le norme che vogliano disciplinare nel merito tale fattispecie non possano porsi in contrasto con la nozione di combustibile derivato da rifiuti.

La legge 7 febbraio 2002, n.16 nel comma 11 del suo art. 7 , come modificato, si pone in radicale ed insanabile contrasto con la nozione legale tipizzata di combustibile ricavato dai rifiuti.

E certamente la collocazione di tale norma all’interno dell’art. 7 del dlgs 22/97 che ha la funzione di specificare la classificazione dei rifiuti rende tale norma inidonea a modificare la nozione legale tipizzata di combustibile ricavato dai rifiuti, in quanto la funzione dell’art. 7, comma 3, è appunto di esemplificare le attività da cui derivano rifiuti speciali e non certo quella di fornire la nozione di particolari tipologie di rifiuti qual è appunto il combustibile ricavato dai rifiuti.

Se il legislatore avesse inteso modificare la nozione legale tipizzata di combustibile ricavato dai rifiuti avrebbe dovuto modificare il disposto di cui alla lettera p) dell’art. 6 del Dlgs 22/97, cosa che invece non ha fatto con la legge 7 febbraio 2002, n.16 nè con alcuna altra norma vigente.

Si ritiene quindi plausibile che la legge 7 febbraio 2002, n.16 nel suo comma 11 possa qualificare il combustibile ricavato dai rifiuti quale rifiuto speciale, ma certamente non può tale legge avere la funzione di modificare la nozione legale di combustibile ricavato dai rifiuti.

In conclusione il disposto di cui al comma 11 dell’art. 7 della legge 7 febbraio 2002, n.16 risulta inapplicabile in quanto in radicale contrasto e contraddizione con la nozione legale tipizzata di combustibile ricavato dai rifiuti di cui alla lettera p) dell’art. 6 del Dlgs 22/97.

 

 

 

 

(6) ALLEGATO 2 - NORME TECNICHE PER L'UTILIZZAZIONE DEI RIFIUTI NON PERICOLOSI COME COMBUSTIBILI O COME ALTRO MEZZO PER PRODURRE ENERGIA
Suballegato 1
1. Tipologia: Combustibile derivato da rifiuti (CDR) [190501]
1.1 Provenienza: impianti di produzione di CDR di cui al punto 14 dell'allegato 1
1.2 Caratteristiche del rifiuto: Combustibile ottenuto da rifiuti con le seguenti caratteristiche:
P.C.I. minimo sul tal quale 15.000 kJ/kg
Umidità in massa max 25%
Cloro " " 0,9%
Zolfo " " 0.6%
Ceneri sul secco in massa " 20%
Pb (volatile) " " 200 mg/kg
Cr " " 100 mg/kg
Cu (composti solubili) " " 300 mg/Kg
Mn " " 400 mg/kg
Ni " " 40 mg/kg
As " " 9 mg/kg
Cd+Hg " " 7 mg/kg
Per ciascuna partita di CDR deve essere certificata la temperatura di rammollimento delle ceneri.

1.3 Attività e metodi di recupero:
Il recupero energetico del rifiuto di cui al punto 1 può essere effettuata attraverso la combustione alle seguenti condizioni:
- impianti dedicati a recupero energetico dei rifiuti di potenza termica nominale non inferiore a 10 MW;
- impianti industriali di potenza termica nominale non inferiore a 20 MW per la co - combustione.
Gli impianti devono essere provvisti di:
- bruciatore pilota a combustibile gassoso o liquido (non richiesto nei forni industriali);
- alimentazione automatica del combustibile;
- regolazione automatica del rapporto aria/combustibile anche nelle fasi di avviamento (non richiesto nei forni industriali);
- controllo in continuo dell'ossigeno, del monossido di carbonio, delle polveri, ossidi di azoto, acido cloridrico, della temperatura nell'effluente gassoso, nonché degli altri inquinanti di cui al suballegato 2, paragrafo 1, lettera a) nonché della temperatura nella camera di combustione;
Devono inoltre garantire in tutte le condizioni di esercizio i seguenti requisiti minimi operativi:
- temperatura minima dei gas nella camera di combustione di 850 °C raggiunta anche in prossimità della parete interna;
- tempo di permanenza minimo dei gas nella camera di combustione di 2 secondi;
e rispettare i seguenti valori limite alle emissioni riferiti ad un tenore di ossigeno nei fumi anidri dell'11% in volume:
Zn (*) 5 mg/Nm3
Ossidi di azoto (come valore medio giornaliero) 200 mg/Nm3
PCDD + PCDF (come diossina equivalente) 0,1 ng/Nm3
(come valore medio rilevato per un periodo
di campionamento di 8 ore)
Idrocarburi policiclici aromatici (I.P.A.) 0,01 mg/Nm3
(come valore medio rilevato per un periodo
di campionamento di 8 ore)

_______________________________________

(*) come valore medio rilevato per un periodo di campionamento di 1 h
_______________________________________

per gli altri inquinanti si applicano i valori limite di emissione fissati nel suballegato 2 del presente allegato. Nel caso di impiego simultaneo in impianti industriali con combustibili autorizzati, il calore prodotto dal rifiuto non deve eccedere il 60% del calore totale prodotto dall'impianto in qualsiasi fase di funzionamento; i valori limite di emissione da applicare all'impianto devono essere calcolati come indicato alla suballegato 3 del presente allegato. La co - combustione non è consentita nei forni per la produzione di calce alimentare