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"La cassazione si pronuncia sulla differenza tra i tipi di deposito di rifiuti previsti dal D.Lv. 2297"

di Vincenzo PAONE

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Cassazione 25 febbraio 2004, n. 21024, imp. Eoli

Il D.Lgs. 22/1997 contempla tre nozioni di deposito di rifiuti: il deposito temporaneo (controllato ed effettuato nel luogo di produzione) che è ammesso nel rispetto delle condizioni prescritte dalla lett. m) dell'art. 6; il deposito preliminare o stoccaggio, che è una fase iniziale dell'attività di smaltimento, assoggettato alle procedure di abilitazione di cui ai capi IV e V del titolo I; il deposito incontrollato (effettuato in luogo diverso da quello in cui sono prodotti) sanzionato penalmente se effettuato da titolari di impresa o da responsabili di enti, ovvero sanzionato in via amministrativa se effettuato da persone fisiche diverse dai soggetti predetti. Queste nozioni specifiche esauriscono la categoria generale del deposito di rifiuti, sicché ogni effettivo deposito, a seconda delle sue concrete caratteristiche oggettive e soggettive, dovrà necessariamente sussumersi in una delle tre nozioni.

La vicenda

La pronuncia della Cassazione 25 febbraio 2004, imp. Eoli, ha affrontato – a quanto consta per la prima volta – in modo articolato la tematica della differenza tra i vari tipi di deposito previsti dal d.leg. 22/97 [1]. La vicenda processuale si può così sintetizzare.

Il titolare di un’impresa che produce rifiuti non pericolosi utilizzava un'area di pertinenza aziendale per il deposito di detti materiali in attesa di essere smaltiti presso una discarica per mezzo di una ditta specializzata. Poichè era stato accertato il superamento dei limiti imposti per il deposito temporaneo dall'art. 6, lett. m), n. 3 (i rifiuti erano rimasti depositati nel luogo di produzione oltre i tre mesi previsti dalla legge prima di essere avviati al regolare smaltimento), l'imputato è stato condannato per la contravvenzione di deposito incontrollato.

Per inciso, si nota che nell’imputazione si contestava di aver esercitato senza autorizzazione (sic) un deposito temporaneo di rifiuti non pericolosi. Tale contestazione lascia alquanto perplessi perchè non si comprende di quale autorizzazione avrebbe dovuto munirsi il titolare dell’impresa in quanto nè l’art. 6 nè altre disposizioni del Ronchi prevedono un siffatto obbligo.

La Corte suprema, nel respingere il ricorso dell’imputato, osserva che dalla nozione di deposito preliminare è espressamente escluso il deposito temporaneo, inteso come raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, purché siano rispettate alcune condizioni dettate dalla lettera m) dell'art. 6. Per il legislatore, infatti, in questa particolare situazione non sussiste un rischio per l'ambiente, tale da richiedere il preventivo controllo della pubblica autorità, perchè i rifiuti non escono dalla sfera di controllo del produttore.

Nel passaggio successivo, la pronuncia però sostiene che se una delle condizioni prescritte dall’art. 6 non è rispettata, il deposito da "temporaneo" diventa "preliminare", “cioè entra nella sfera pericolosa dello smaltimento, qualificandosi come stoccaggio preparatorio in vista e in attesa di una delle altre operazioni finali di smaltimento”. Pertanto, conclude la Cassazione, il fatto commesso dal ricorrente non era un deposito temporaneo, bensì un’operazione di deposito preliminare, soggetta ad autorizzazione o comunicazione, sicchè il fatto medesimo doveva essere qualificato come violazione dell'art. 51, 1° comma, per la quale è comunque prevista la stessa sanzione penale comminata per la violazione del 2° comma dello stesso articolo contestata nell’originaria rubrica.

Come debitamente chiarisce la Corte suprema, all’atto pratico la diversa qualificazione del fatto ritenuta in sentenza non produce alcun effetto a carico del prevenuto perchè il suo trattamento penale non cambia. Nondimeno, siamo dell’avviso che sia interessante interrogarsi sugli snodi teorici di questa pronuncia onde verificarne l’esattezza alla luce del sistema ricavabile dalla normativa comunitaria e nazionale.

Prime perplessità

Prima di commentare più in profondità la decisione, occorre mettere in risalto che la Corte, per giustificare la propria opinione, richiama uno specifico precedente e cioè la sentenza n. 7140 del 21 marzo 2000, Eterno, massimata [2] in questi termini: “Il deposito temporaneo di rifiuti ai sensi dell’art. 6, punto m), d.leg. 5 febbraio 1997 n. 22 è legittimo soltanto ove sussistano alcune precise condizioni temporaneo quantitative e qualitative; in assenza di tali condizioni, il deposito di rifiuti nel luogo in cui sono stati prodotti è equiparabile giuridicamente all’attività di gestione di rifiuti non autorizzata, prevista come reato dall’art. 51 d.leg. n. 22”.

La lettura integrale della sentenza Eterno risulta però ben più illuminante della sola massima e dimostra quanto la stessa sia fuorviante in ordine all’effettivo pensiero del supremo collegio.

Innanzitutto, va detto che nella fattispecie esaminata dalla Cassazione l'imputato era stato condannato per aver realizzato una discarica di residui di lavorazione del marmo gettati in una cava di tufo abbandonata. L’imputato aveva sostenuto che l'attività da lui posta in essere non integrava la gestione di una discarica abusiva, ma soltanto un deposito temporaneo. Ebbene, tale doglianza è stata respinta con la seguente (e tacitiana!) motivazione: “La sentenza impugnata appare correttamente motivata secondo criteri logici e giuridici su tutti i punti sollevati dal ricorrente. In questa sede di legittimità merita di essere sottolineato il principio giuridico, secondo cui il deposito temporaneo ex art. 6, punto m) D. Lgs. N. 22/97 è legittimo soltanto quando ricorrono alcune precise condizioni temporanee quantitative e qualitative. Quando tali condizioni non siano osservate, il deposito di rifiuti nel luogo in cui sono stati prodotti è equiparabile giuridicamente "ad attività di gestione di rifiuti non autorizzata" di cui all'art. 51 D.Lgs. n. 22/97”.

L’affermazione di principio (riprodotta pedissequamente dalla sentenza Eoli) è tanto apodittica [3] quanto in contrasto con la pregressa (e successiva) giurisprudenza che, sulla questione del deposito temporaneo irregolare, fin dal 1997 [4] ha sostenuto che lo stoccaggio provvisorio di rifiuti (nella specie: tossico-nocivi) effettuato all’interno dell’insediamento che li ha prodotti in attesa di essere smaltiti, già punito dall’art. 26 d.p.r. 10 settembre 1982 n. 915, costituisce un «deposito temporaneo» di rifiuti punibile come «deposito incontrollato» a norma dell’art. 51, 2º comma, d.leg. 22/97.

Peraltro, la sentenza in rassegna cita anche altri precedenti della Cassazione (Cass. 11 aprile 2002, Brustia [5]; 3 luglio 2001, Migliozzi [6]; 22 gennaio 2003, Costa [7]) che hanno sancito che il deposito temporaneo, in assenza delle condizioni previste dalla lettera m) dell'art. 6, da origine al reato di cui all'art. 51, 2° comma (il che vuol dire che il Collegio non ignorava la posizione “tradizionale” della giurisprudenza), ma sono diverse le premesse del discorso in cui la citazione medesima si inserisce.

Infatti, secondo Cass. Eoli, si ha il deposito incontrollato solo quando esso è effettuato in luogo diverso da quello in cui i rifiuti sono prodotti e fuori dalla sfera di controllo del produttore. Ecco perchè la sentenza, in relazione ai precedenti prima riportati, si preoccupa di precisare che “La conclusione sembra però appropriata solo nei casi in cui si tratti di deposito effettuato da titolari di impresa o da responsabili di enti in luogo diverso da quello di produzione dei rifiuti, e cioè nei casi in cui non si tratti propriamente di un deposito temporaneo irregolare, che è pur sempre effettuato nel luogo di produzione”.

La riassunta tesi è a dir poco sorprendente: la nozione di deposito incontrollato qui presentata non solo non trova riscontro in nessun’altra decisione di legittimità [8], ma soprattutto è in contrasto con il dettato normativo (art. 14) che non contiene alcuna distinzione circa i luoghi in cui il deposito incontrollato dei rifiuti è effettuato per farne discendere differenti conseguenze sul piano sanzionatorio.

Pertanto, se la premessa del ragionamento svolto dalla Cassazione è infondata, è erronea la conclusione che il deposito temporaneo irregolare non possa essere qualificato in termini di deposito incontrollato e conseguentemente sanzionato.

Vale la pena spendere una parola anche sull’affermazione che “il legislatore prevede che l'abbandono o deposito incontrollato possa assumere il carattere di un’attività di gestione dei rifiuti (cioè di raccolta, trasporto, recupero o smaltimento), quando esso è effettuato da titolari di imprese o da responsabili di enti; e in tal caso commina la sanzione penale ai sensi dell'art. 51, 2° comma”.

Invero, la legge si limita soltanto a prevedere che la trasgressione al divieto di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti è sanzionata penalmente se l’inosservanza è riconducibile al titolare di impresa. Ma il fatto che la pena applicabile sia la stessa di quella contemplata nel 1° comma dell’art. 51 non sta certo a dimostrare che la fattispecie costituisca una delle modalità di esecuzione della contravvenzione di gestione abusiva di rifiuti [9].

Il deposito temporaneo non è una fase della gestione di rifiuti

Le ragioni del nostro dissenso rispetto alla sentenza Eoli sono però ancora più radicali.

Infatti, in risposta ad uno dei motivi di ricorso addotti dall’imputato, la sentenza afferma che la direttiva 75/442 ha escluso dalla sfera del deposito preliminare il deposito temporaneo dei rifiuti, effettuato prima della raccolta nel luogo in cui sono prodotti. All’uopo, richiama anche la Corte di Giustizia europea [10] che ha proprio statuito che "La nozione di «deposito temporaneo» si distingue da quella di «deposito preliminare» di rifiuti e non rientra nella nozione di «operazione di gestione» ai sensi dell’art. 1, lett. d), della direttiva del consiglio 15 luglio 1975 n. 75/442/Cee, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del consiglio 18 marzo 1991 n. 91/156/Cee”.

Se dunque anche la Cassazione aderisce a questa opinione, non comprendiamo poi come possa sostenere che il deposito temporaneo, non rispettoso delle condizioni prescritte dalla lett. m) dell'art. 6, “diventi” un deposito preliminare, che è invece una fase dell'attività di gestione dei rifiuti, come tale assoggettato alle procedure di abilitazione.

Eppure la decisione dell’organo comunitario era chiarissima. Ricordiamo, infatti, che era stata posta alla Corte la questione di quale fosse la differenza (se esistente) tra il deposito temporaneo e il deposito preliminare (o messa in riserva) di rifiuti, effettuati all’interno dell’insediamento produttivo, e se il deposito temporaneo fosse escluso dal concetto di ‘gestione’ dei rifiuti e da tutti gli obblighi ad essa relativi, ivi compresa la comunicazione di tale attività alle autorità preposte ai controlli.

Nel par. 42, la Corte di giustizia premette che se le operazioni di recupero o di smaltimento dei rifiuti comprendono il deposito preliminare, escluso però il deposito temporaneo, ne deriva necessariamente che il deposito temporaneo, effettuato prima della raccolta, non fa parte delle operazioni di smaltimento o di recupero dei rifiuti. Il deposito temporaneo costituisce invece un’operazione preparatoria ad una delle operazioni di recupero o di smaltimento elencate negli all. II A e II B, punti da D 1 a D 15 e, rispettivamente, da R 1 a R 13, della direttiva 75/442.

Pertanto, il deposito temporaneo, definito come sopra, non rientra nella nozione di «operazione di gestione» ai sensi dell’art. 1, lett. d), della direttiva 75/442.

Con questa fondamentale premessa, va letta la seconda parte della sentenza in cui la Corte di giustizia affronta la questione se le autorità nazionali competenti siano tenute, per quanto riguarda le operazioni di deposito temporaneo, a vegliare al rispetto degli obblighi risultanti dall’art. 4 della direttiva 75/442.

Al riguardo, la pronuncia prende le mosse dall’art. 4, 1° comma, che prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie ad assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente, in particolare senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora, senza causare inconvenienti da rumori o odori e senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.

In secondo luogo, la Corte chiama in causa gli artt. 4, 2° comma, e 8 della direttiva che prevedono, in particolare, gli obblighi che devono essere adempiuti dagli Stati membri per conformarsi ai principî della precauzione e dell’azione preventiva: “si tratta di vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti e, rispettivamente, di accertare che il detentore di rifiuti li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico o ad un’impresa che effettua le operazioni previste negli all. II A o II B oppure che il detentore di rifiuti provveda egli stesso al recupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni della direttiva”.

Pertanto, conclude perspicuamente la sentenza, se è vero che le imprese che detengono rifiuti e che procedono al loro deposito temporaneo non sono soggette all’obbligo di registrazione o di autorizzazione previsto dalla direttiva 75/442, non è men vero che tutte le operazioni di deposito, indipendentemente dal fatto che siano effettuate a titolo temporaneo o preliminare, nonché le operazioni di gestione di rifiuti ai sensi dell’art. 1, lett. d), di tale direttiva, sono soggette al rispetto dei principî della precauzione e dell’azione preventiva che l’art. 4 della direttiva 75/442 mira ad attuare e, in particolare, agli obblighi che risultano da questa stessa norma nonché dall’art. 8 della direttiva.

E perciò, nei limiti in cui i rifiuti, anche temporaneamente depositati, possono provocare rilevanti danni all’ambiente, le competenti autorità nazionali sono tenute, per quanto riguarda le operazioni di deposito temporaneo, a vegliare al rispetto degli obblighi risultanti dall’art. 4 della direttiva 75/442. Ciò è quanto stato fatto dall’Italia con l’art. 14 d.leg. 22/97 che ha vietato l’abbandono e il deposito incontrollato dei rifiuti senza però trasformare – per questa sola ragione – quelle condotte in una fase di gestione dei rifiuti.

Il divieto di abbandono dei rifiuti è uno dei punti qualificanti della normativa posta a tutela dell'ambiente: non a caso il decreto Ronchi ha innovato significativamente rispetto all’omologa disposizione contenuta nel d.p.r. n. 915. Infatti, mentre l'art. 9 del citato decreto vietava “l'abbandono, lo scarico o il deposito incontrollato dei rifiuti in aree pubbliche e private soggette ad uso pubblico”, con un’evidente limitazione della punibilità delle condotte illecite, l'art. 14 del Ronchi ha sancito il divieto assoluto di immissione o sversamento di rifiuti sul suolo e nel suolo. Non vi è dubbio però che l'ampliamento dei luoghi in cui è vietato il deposito incontrollato non può certo giustificare la tesi che tale fattispecie possa realizzarsi solo in determinati luoghi e cioè solo all'esterno del perimetro aziendale.

Ammasso provvisorio e smaltimento

Per la Cassazione il deposito temporaneo, quando è irregolare, diventa un deposito preliminare "qualificandosi come stoccaggio preparatorio in vista ed in attesa di una delle altre operazioni finali di smaltimento elencate dalla legge quali la discarica, il lagunaggio e l'incenerimento. La legge richiede perciò che l'operazione sia previamente controllata…attraverso un'autorizzazione rilasciata ai sensi dell'art. 28 …o ai sensi degli artt. 31 e 32 d.leg. 22/97".

Come è noto, gli articoli citati disciplinano, in parallelo, l'esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero che, nella prima ipotesi, riguardano i rifiuti non individuati in apposito decreto ministeriale, mentre nella seconda ipotesi hanno per oggetto per l'appunto detti rifiuti. Ai fini dell'obbligo di controllo da parte della pubblica amministrazione, non ha invece rilevanza la provenienza dei rifiuti e cioè che siano propri o prodotti da terzi.

Per evidenti ragioni, a noi interessa in questa sede esaminare soltanto il caso dell’attività di smaltimento o recupero dei propri rifiuti (che siano o meno tra quelli individuati dal d.m.): orbene, secondo la legge, il soggetto, che voglia smaltire o recuperare i rifiuti prodotti dalla propria impresa, è soggetto a controllo pubblico anche per la fase contrassegnata nell'all. B come D15, e cioè "Deposito preliminare prima di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D14", oppure nell'all. C come R 13, e cioè "Messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R 1 e R 12".

Questa regola trova la sua ragion d’essere nel fatto che non si possono effettuare operazioni di smaltimento o di recupero dei rifiuti senza passare per una fase, più o meno lunga temporalmente, di deposito degli stessi.

Non è però affatto scontato il caso inverso: vale a dire che non si può sostenere che chi raggruppi i propri rifiuti all'interno dell’azienda, pur senza rispettare le prescrizioni dell’art. 6, lo faccia con la prospettiva di smaltirli o recuperarli in proprio. Questo, infatti, pare essere il presupposto implicitamente ritenuto dalla Cassazione per poter così ipotizzare una "trasformazione" del deposito da temporaneo a preliminare.

In realtà, l'ordinamento distingue l'ammasso temporaneo di rifiuti dal vero e proprio stoccaggio provvisorio: infatti, nell'ipotesi in cui i rifiuti siano trattenuti in attesa del loro ritiro da parte di ditte specializzate e tale ritiro sia frequente e, comunque, a scadenze molto ravvicinate, puo' escludersi che la detenzione dei rifiuti per brevissimi periodi integri lo stoccaggio provvisorio. Questo è l'orientamento della Corte suprema (Cass. 19 dicembre 1990, Silla [11]; 24 aprile 1992, Carobbi [12]) che ha altresì chiarito che lo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossici e nocivi, diversamente dall'"accumulo temporaneo", costituente il risultato finale della "produzione" del rifiuto stesso, precariamente ammassato sotto il diretto controllo del produttore in attesa di smaltimento, si qualifica per il carattere non precario dell'ammasso, non piu' direttamente controllato dal produttore e oggettivamente destinato alle ulteriori fasi di smaltimento contemplate nell'art. 16 d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 (Cass. 7 novembre 1995, Ciriani [13]).

Non è dunque scandaloso [14] prevedere che lo svolgimento irregolare dell'attività di accumulo temporaneo venga sanzionata non già in base alle disposizioni che disciplinano la gestione dei rifiuti, ma in forza di una disposizione, e cioè l'art. 51, 2° comma, magari non "nata" a questo scopo, ma comunque utilizzabile alla bisogna.

In conclusione, il deposito temporaneo dei rifiuti, effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, è escluso a tutti gli effetti dalle operazioni di gestione.

Deposito irregolare e discarica

Per completezza occorre considerare anche un’altra questione non affrontata dalla sentenza Eoli, ma presente in altre decisioni [15].

Si sostiene cioè che il d.leg. 36/03 avrebbe stabilito, dettando la nozione di discarica (art. 2 lett. g): è discarica “qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno”), un limite temporale, prima inesistente, sicché, qualora un deposito temporaneo con tutti i requisiti richiesti, superi un anno non viene più qualificato come deposito incontrollato, ma come discarica.

La disposizione riportata non è delle più chiare e si presta a due possibili interpretazioni:

a) è discarica l’area destinata non occasionalmente allo stoccaggio provvisorio dei rifiuti e perciò, a prescindere dalla permanenza sul o nel terreno degli stessi rifiuti per la durata superiore ad un anno, si proibisce l’utilizzazione permanente della stessa area per le esigenze funzionali alla gestione dei rifiuti;

b) è discarica l'area adibita allo stoccaggio provvisorio di rifiuti quando gli stessi non vengono movimentati per oltre un anno: il loro stazionamento in sito oltre il termine legale rappresenta dunque il parametro che rende antigiuridico l’ammasso temporaneo.

Secondo noi, è preferibile la seconda opzione in quanto pare logico applicare la rigorosa disciplina sulle discariche ove si accerti che lo stoccaggio dei rifiuti non è temporaneo, come si profilava all’inizio, ma definitivo. Inoltre, il pericolo per l’ambiente non deriva tanto dal fatto che un’area sia stabilmente adibita alla ricezione dei rifiuti (se questi “ruotano” e quindi non possono dare origine a rischi di inquinamento maggiori di quelli normalmente connessi con l’utilizzazione stabile dell’area) quanto dal fatto che i rifiuti, stazionando “sulla o nella terra” per un tempo superiore a quello giudicato sufficiente per il loro smaltimento, sono suscettibili di provocare danni alle varie componenti ambientali.

Un delicato problema però si profila ed è quello di stabilire se la conclusione, letteralmente conseguenziale alla norma in commento, e cioè la qualificazione come discarica di qualsiasi situazione di sforamento delle scadenze indicate dalla legge, sia accettabile fino in fondo.

In un non recente contributo sull’argomento, Aliotta [16] ha sostenuto che “non appare corretto seguire un ragionamento a contrario il quale permetterebbe di dedurre…che un «deposito preliminare» superiore all'anno e una «messa in riserva» superiore ai tre anni assumano automaticamente, nella normativa comunitaria, la qualifica giuridica di «discarica». Penso ai casi in cui il deposito superi solo di qualche giorno le soglie temporali o - comunque - conservi le caratteristiche proprie della funzionalizzazione alla successiva operazione di recupero o di smaltimento. Dunque, la circostanza in esame - pur non potendo essere automaticamente e da sé sola sufficiente a qualificare come discarica il deposito prolungato oltre i termini indicati - tuttavia, in molti altri casi, potrebbe essere considerata rilevante proprio a tal fine, in quanto ritenuta significativa dell'assunto carattere di «stabilità» dell'impianto”.

In senso contrario, si registra la posizione di Amendola [17] per il quale la definizione di discarica “assume una importanza particolare perché finalmente consente di delimitare con chiarezza, in positivo, una serie di comportamenti su cui regnava confusione ed incertezza…Appare evidentissimo, infatti, che l'articolo sopra riportato (art. 2)…sancisce anche che, trascorso questo limite massimo di 1 anno, il deposito temporaneo viene considerato una vera e propria discarica di rifiuti; si configura cioè non un deposito incontrollato, come sostiene la Cassazione, ma una attività di gestione-smaltimento…di rifiuti che necessita, in primo luogo, di autorizzazione…Alla luce delle definizioni di deposito temporaneo, di stoccaggio e di discarica…si possono quindi delineare, con riferimento ad un deposito di rifiuti che non integra gli estremi di una vera e propria discarica le seguenti situazioni:

1) raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti; se ricorrono tutte le condizioni sopra riportate, si tratta di « deposito temporaneo »…Se supera l'anno diventa, in ogni caso, discarica;

2) deposito di rifiuti in attesa di recupero, trattamento o smaltimento, qualora non ricorre la ipotesi di «deposito temporaneo» (ad esempio, perché effettuato dopo la raccolta ovvero non nel luogo di produzione): si tratta di «stoccaggio», e quindi di «smaltimento» se riguarda rifiuti destinati a smaltimento, o di «recupero» se riguarda rifiuti destinati a recupero (art. 6, comma 1, lett. 1 D.Lgs. n. 22/1997)…Comunque, anche se autorizzato come stoccaggio, non può mai superare il limite massimo di un anno se la destinazione è lo smaltimento, e di tre anni se la destinazione è il recupero o il trattamento. Se supera questi limiti diventa discarica;

3) deposito di rifiuti nel luogo di produzione effettuato in modo tale da evidenziare il disinteresse del produttore per la loro sorte: si tratta di deposito incontrollato o abbandono, punito dagli artt. 50 e 51 D.Lgs. n. 22/1997; oltre un anno viene considerato, comunque, discarica”.

Queste conclusioni non ci persuadono completamente. Infatti, se da un lato il 14° considerando della direttiva del 1999 dispone che “le aree adibite a deposito temporaneo di rifiuti dovranno essere conformi ai requisiti di cui alla direttiva 75/442/CEE”, il che legittima la tesi dell'automatismo tra deposito temporaneo ultrannuale e discarica, dall’altro lato si potrebbe pensare che la direttiva non intendesse riferirsi all’istituto del deposito temporaneo ― trasfuso nell’art. 6, lett. m), d.leg. 22/97 ― ma abbia invece usato quell'espressione per connotare in generale le situazioni di stoccaggio provvisorio.

Inoltre, tenuto conto della gravità delle conseguenze derivanti dall'interpretazione restrittiva, ci sembra decisamente eccessivo ritenere che il solo superamento (magari anche di soli pochi giorni) dei tempi di stoccaggio determini la “trasformazione” del deposito temporaneo in una discarica (salvo, ovviamente, che in concreto non siano riscontrabili tutti i connotati della discarica abusiva).

Non senza sottovalutare al riguardo i possibili profili di legittimità costituzionale: infatti, la violazione delle prescrizioni previste dall’art. 6 diverse da quella relativa ai termini di stoccaggio, che potrebbero avere la stessa o addirittura una gravità maggiore rispetto all'altra, continuerebbe ad essere punita ai sensi dell’art. 51, 2° comma, e quindi meno gravemente di quanto previsto dall'art. 51, 3° comma.

Tanto per esemplificare, si pensi al deposito temporaneo di rifiuti pericolosi in quantità superiore ai 10 metri cubi: la legge dispone che debbano essere avviati al recupero o allo smaltimento nel momento stesso in cui si forma tale quantitativo, ma questo momento potrebbe non corrispondere con la scadenza annuale. Ebbene, in questo caso ― palesemente più pericoloso dell’altro ― il trattamento penale è largamente meno severo in confronto a quello scaturente dal solo mancato rispetto del termine di durata del deposito temporaneo degli stessi rifiuti (infatti, oltre la pena dell’arresto e dell’ammenda, il 3° comma dell’art. 51 prevede la confisca dell’area interessata dall’abusivo scarico di rifiuti e la sua obbligatoria bonifica).

La questione, come si vede, è tra quelle destinate ad aprire un ennesimo contenzioso giudiziario. Per questa ragione, sarebbe altamente opportuno che la Cassazione tornasse sui suoi passi e ribadisse l’orientamento per cui il deposito temporaneo irregolare non va sussunto all’interno della nozione di gestione di rifiuti.



[1] Si rinvia in tema a Paone, Il divieto di abbandono dei rifiuti, in questa Rivista, 1998, 137; Id., Le sanzioni per l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti, id., 2004, 271.
[2] Ced Cass., rv. 216977.
[3] E’ facile constastare che non è addotto alcun argomento letterale, sistematico o logico per suffragare la conclusione presentata.
[4] Cass. 15 luglio 1997, Ciarcià, Foro it., 1998, II, 530, Riv. pen., 1997, 1098, Riv. giur. ambiente, 1998, 529. In questa Rivista con nostro commento Dallo «stoccaggio» al «deposito temporaneo.
[5] In questa Rivista, 2002, 966.
[6] Foro it., 2002, II, 354.
[7] Foro it., 2003, II, 514.
[8] Neppure nella giurisprudenza di merito è mai stata propugnata questa interpretazione. Da ultimo, v. Cass. 29 gennaio 2004, n. 7766/04, Lenzi, che ha ribadito: “la giurisprudenza ha ritenuto che, ove non ricorrano dette condizioni, si sia sempre in presenza di un deposito temporaneo irregolare e quindi di un deposito incontrollato, punito ai sensi del 2° comma dell'art. 51 d.l. vo cit. senza considerare, alle volte, che deve trattarsi di un'operazione precedente alla gestione dei rifiuti e da effettuarsi nello stesso luogo di produzione, sicché, ove manchino detti presupposti, si è più propriamente in presenza di uno stoccaggio, che costituisce un modo di gestione dei rifiuti...Infine, il deposito di rifiuti in modo irregolare, se effettuato nel luogo di produzione e prima della raccolta, si qualifica come deposito incontrollato, mentre, negli altri casi, come stoccaggio senza autorizzazione...pertanto, pur essendo stabilito un uniforme regime sanzionatorio, è possibile operare una distinzione, già esistente nel vigore della pregressa normativa, tra deposito incontrollato e stoccaggio a seconda se il raggruppamento di rifiuti sia effettuato nello stesso luogo di produzione e prima della raccolta in fase precedente alla gestione oppure in un luogo diverso ovvero successivamente alla raccolta”.
[9] Non dimentichiamo il dato formale costituito dalla definizione che il legislatore comunitario e quello nazionale hanno dato della “gestione” dei rifiuti: la condotta di abbandono o deposito incontrollato non è affatto compresa in detta nozione.
[10] Corte giust. 5 ottobre 1999, n. 175/98, 177/98, Foro it., 1999, IV, 441.
[11] Mass. Cass. pen., 1991, fasc. 2, 24.
[12] Mass. Cass. pen., 1992, fasc. 10, 85.
[13] Riv. pen., 1996, 1142.
[14] D'altra parte, per quanto possa valere l'argomento storico, nel precedente sistema (d.p.r. 10 settembre 1982, n. 915) si assoggettava a sanzione penale lo stoccaggio provvisorio effettuato in azienda dei rifiuti tossici e nocivi e nulla era detto per gli altri tipi di rifiuti.
[15] V. Cass. Lenzi cit.
[16] La nuova direttiva sulle discariche di rifiuti: prime osservazioni (commento alla dir. 1999/31/Ce del consiglio, 26 aprile 1999), in questa Rivista, 1999, 1027.
[17] Gestione dei rifiuti e normativa penale, Milano, 2003, 266-269.