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LA GESTIONE AZIENDALE DELLE SOSTANZE RESIDUATE DALLA LAVORAZIONE DELLE OLIVE: LA DISCIPLINA DELLE SANSE VERGINI (UMIDE) ED I SUOI MOLTEPLICI IMPIEGHI .
di Andrea PELLECCHIA

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PREMESSA

Attualmente gli impianti di estrazione olearia determinano il frazionamento della pasta olearia in: olio, sanse umide ed acque di vegetazione; queste ultime trovano la norma di riferimento, quanto allo smaltimento, nella legge 11 Novembre 1996 che reca "Norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari".
In particolare lo stoccaggio delle acque di vegetazione è regolamentato dall'art.6 della legge 574/96, tuttavia va chiarito il coordinamento tra questa norma ed il Decreto Ronchi, pubblicato successivamente, che regolamenta la gestione dei rifiuti.
La legge 574/96 consente l'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione attraverso lo spandimento controllato su terreni adibiti ad usi agricoli, senza che le acque abbiano subito alcun trattamento; nel caso in cui le acque di vegetazione non siano utilizzate per usi agronomici, tali reflui dovranno essere soggetti a processi di depurazione, dai quali si origina una fase liquida e quindi uno scarico disciplinato dalle norme sulla tutela delle acque (D.lgs n.152/99) ed una fase solida avente natura di fango di depurazione, la quale pertanto troverà disciplina nel D.lgs. 27 Gennaio 1992 n.99 (attuazione della direttiva 86/278/CEE, concernente la protezione dell'ambiente, in particolare del suolo, nell'utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura) e nella legge n.748/84 che disciplina i fertilizzanti.
Il decreto Ronchi, pertanto, non interviene nella disciplina sullo smaltimento degli scarti dell'industria olearia; lo stesso art. 8 del Decreto 22/97 esclude dal proprio campo d'applicazione le attività di trattamento degli scarti che danno origine ai fertilizzanti, in quanto ne riserva la disciplina
a specifiche disposizioni di legge.

NATURA GIURIDICA DELLE SANSE UMIDE

La gestione aziendale delle sanse umide pone talune questioni giuridiche, che analizzeremo qui di seguito.
La prima operazione da compiere al fine di individuare la disciplina applicabile è quella di indicare correttamente la natura giuridica della sansa umida, al fine di accertare, specificamente, se essa debba considerarsi rifiuto o qualcosa altro. La nostra indagine, pertanto, parte dalla definizione di rifiuto così come prevista dal decreto Ronchi:
rifiuto è qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'All. A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi (art.6, lett.a D.lgs 22/97);
Il legislatore nazionale, dopo varie dispute dottrinarie, ha chiarito la portata della disposizione in esame attraverso una norma di interpretazione autentica introdotta con l'articolo 14 della legge 178/2002, la quale ci offre una interpretazione restrittiva della nozione di rifiuto, prevista dall'art.6 del decreto Ronchi.

L'art.14, in particolare interpreta le parole "si disfi", "abbia deciso di disfarsi" o "abbia l'obbligo di disfarsi" di cui all'art 6, comma 1, lett a del decreto 22/97 come segue:
1) "si disfi" qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli Allegati B e C del decreto legislativo n.22;
2) "abbia deciso": la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto n.22, sostanze, materiali o beni;
3) "abbia l'obbligo di disfarsi": l'obbligo di avviare un materiale una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale della sostanza e del bene o del fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui all'all.D del decreto 22/97.

Al secondo comma, l'art. 14 della legge 138/2002 specifica che le fattispecie di cui ai punti 1 e 2 del primo comma, non ricorrono per beni, sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:
a) se gli stessi possono essere o sono effettivamente ed oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in un analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente;
c) se gli stessi possono essere e sono effettivamente ed oggettivamente riutilizzati nel medesimo in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'all.C del decreto 22/97.

In definitiva, con l'art.14 della legge 138/2002 viene introdotta una deroga alla nozione generale di rifiuto, per cui qualora il detentore destini la sostanza alla riutilizzazione nello stesso o in altro ciclo economico allora la sostanza non costituirà rifiuto, purchè la destinazione alla riutilizzazione non comporti un trattamento preventivo incompatibile con la tutela dell'ambiente, ovvero un trattamento di recupero del tipo di quelli disciplinati dal decreto legislativo 22/97: in tali casi infatti la sostanza sarà rifiuto.
L'interpretazione restrittiva della nozione di rifiuto così delineata dal legislatore nazionale, tuttavia, ha destato l'attenzione della Corte di Giustizia delle Comunità europee, in quanto la norma interpretativa nazionale modificava la nozione di rifiuto dettata dalla direttiva europea 91/156/CEE, così, in varie occasioni (si pensi alla sentenza 18 aprile 2002, Palini Granit Oy), ha ribadito che la nozione di rifiuto non può essere interpretata in senso restrittivo, tenendo conto che la politica della Comunità in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela ed è fondata in particolare sui principi di precauzione e prevenzione; inoltre la Commissione Europea, il 16 ottobre 2002, ha deciso di aprire una procedure di infrazione /ex art.169/226 del Trattato) nei confronti del governo italiano per mancato rispetto della direttiva n.75/442/CEE come modificata dalla direttiva n.91/156/CEE, ritenendo configurabile un indebita limitazione del campo di applicazione della nozione di rifiuto.
Nonostante l'indirizzo controverso della Comunità Europea, la Corte di Cassazione con la sentenza 13 novembre 2002 ha confermato il carattere vincolante per i giudici nazionali della norma dell'art.14 della legge 138/2002, in quanto la direttiva di cui si lamenta la violazione, non è autoapplicativa e, pertanto, costituisce obblighi per gli Stati dell'Unione Europea ma non costituisce direttamente situazioni giuridiche attive o passive per i soggetti intrastatali, i quali necessitano di un provvedimento di recepimento della direttiva per adeguarsi alla stessa. In assenza di un tale provvedimento i giudici devono adeguarsi al diritto nazionale vigente e nel caso di specie l'art.14 della legge 138/2002 è norma successiva ed interpretativa del decreto Ronchi e quindi va applicato.

La Corte di giustizia, tuttavia, ha introdotto una chiave di lettura sulla nozione di rifiuto che acquista notevole importanza per la vicenda in esame; in particolare la Corte, analizza l'ipotesi che un bene, un materiale o una materia prima, che deriva da un processo di fabbricazione o di estrazione che non è principalmente destinato a produrlo può costituire non tanto un residuo quanto un sottoprodotto, del quale l'impresa non ha intenzione di disfarsi ai sensi dell'art.1, lett. A), comma 1, della direttiva 75/442, ma che essa intende sfruttare o commercializzare a condizioni per lei favorevoli, in un processo successivo, senza operare trasformazioni preliminari".
Secondo la Corte una situazione del genere non contrasterebbe con le finalità della direttiva 75/442. in effetti non vi è alcuna giustificazione ad assoggettare alle disposizioni di quest'ultima, beni materiali o materie prime che dal punto di vista economico hanno valore di prodotti, indipendentemente da qualsiasi trasformazione, e che in quanto tali sono soggetti alla normativa applicabile a tali prodotti.
La Corte limita la portata della interpretazione appena descritta circoscrivendola ai casi in cui il riutilizzo di un bene, di un materiale o di una materia prima sia non solo eventuale, ma certo, senza trasformazione preliminare e nel corso del processo di trasformazione.
Pertanto il grado di probabilità di riutilizzo della sostanza, rappresenta un criterio utile ai fini di valutare se essa sia o meno rifiuto ai sensi della direttiva 75/442. la Corte aggiunge che se oltre alla mera possibilità di riutilizzare la sostanza, il detentore consegue un vantaggio economico nel farlo, la probabilità di tale utilizzo è alta. In un ipotesi del genere la sostanza in questione secondo il parere della Corte non può essere considerato un ingombro, bensì un autentico prodotto.

Riteniamo, inoltre, che questa interpretazione della Corte esclude che la vendita di tali sostanza possa considerarsi come una manifestazione della volontà del detentore di disfarsi o voler disfarsi della sostanza.

Visti gli sviluppi giurisprudenziali comunitari e nazionali, trascendiamo ora nelle vicende legate alla reale gestione delle sanse vergini da parte dei frantoi oleari.
Innanzitutto occorre osservare che una buona parte delle sanse in oggetto, vengono utilizzate agronomicamente mediante spargimento sul suolo, nel rispetto delle indicazioni normative date dalla legge 574/96, che disciplinando la utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione residuate dalla lavorazione delle olive ha esplicitamente esteso l'ambito di applicazione della legge anche alle sanse umide. La rimanente quantità di sansa vergine residuata dalla lavorazione delle olive, rappresenta ( così come più volte affermato dai tecnici agronomi nonché dallo stesso Ministero dell'Ambiente in una nota dell'11 Febbraio' 91) la materia prima per la fabbricazione di un prodotto alimentare nuovo, quale l'olio di sansa, basti pensare che molteplici sono le ditte che operando nel settore della estrazione dell'olio di sansa , acquistano, dai frantoiani, ingenti quantità di sanse vergini per poi utilizzarle come materia prima nella loro processo produttivo.

Le sanse umide, pertanto presenterebbero una duplice funzione, in particolare di ammendante per i suoli agricoli e di materia prima per i produttori di olio di sansa; in entrambi i casi, pertanto verrebbe esclusa la natura di rifiuto soprattutto considerando, alla luce di quanto detto sopra, che il detentore delle sanse non vuole disfarsi ne tanto meno ha intenzione di disfarsi delle stesse , non solo, ma non è, assolutamente, intenzione del detentore quella di destinare le sanse umide ad attività di recupero, ai sensi dell'All. C del decreto 22/97. Si può anzi, senz'altro, affermare che i sansifici nell'attività di estrazione dell'olio di sansa, eseguono procedure, quali l'essiccazione delle sanse vergini e l'estrazione con solvente, le quali escludono il compimento di operazioni di recupero previste nell'All. C.

Quindi venendo a mancare l'elemento soggettivo della volontà di disfarsi, nel caso delle sanse umide non dovrebbe parlarsi di rifiuto.

A ciò Inoltre, in base a quanto affermato dalla Corte, le sanse umide rappresenterebbero una materia prima, altamente commerciabile all'interno dei sansifici (quindi ad alta percentuale di riutilizzo), per cui tale sostanza, senza aver bisogno di trasformazioni preliminari si inserisce in un altro processo produttivo, senza, peraltro, rappresentare alcun pericolo per l'ambiente. Per tali argomentazioni si può ritenere che le sanse, nella fattispecie appena descritta, non sono rifiuti, e, pertanto non si applicano le norme relative al trasporto di rifiuti previste dal decreto Ronchi.
A ciò si aggiunga che per le sanse vergini non esiste alcuna norma che imponga lo smaltimento o il recupero di materia prima.

Dal punto di vista normativo, resta il dato preoccupante per cui la legge 574/96, pur consentendo l'utilizzazione agronomica, in qualità di ammendanti, delle sanse umide provenienti dalla lavorazione delle olive e costituite dalle acque e dalla parte fibrosa di frutto e dai frammenti di nocciolo, tuttavia esclude le sanse umide dall'applicazione dell'art.6 della stessa legge, il quale riguarda lo stoccaggio delle acque di vegetazione ma non delle sanse. Resta, pertanto una lacuna normativa assai problematica, qualora le sanse umide non siano avviate allo spargimento sul suolo. Una parte della dottrina, contrariamente alla teoria sopra esposta, ha voluto abbracciare un orientamento in base al quale le sanse umide residuate dalla lavorazione delle olive sono da ascriversi alla categoria dei rifiuti non pericolosi che possono essere sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31 e 33 del D. lgs.22/97. Si ricorda che al fine dell'applicazione del regime semplificato di cui sopra, è necessario che le attività di recupero devono essere ricomprese tra quelle nell' elenco, previsto dall'All.C del Ronchi.

Nel caso specifico delle sanse umide, esse sono state individuate, dai sostenitori di tale dottrina, nella possibilità di produrre biogas mediante un processo di trasformazione anaerobica delle sanse umide(All.C.lett.R1), oppure di produrre compost(All.C lett R3) attraverso un processo di trasformazione biologica aerobica, le cui caratteristiche sono quelle indicate negli allegati della legge 748/84 e successive modificazioni sui fertilizzanti. I sostenitori di tale orientamento poggiavano le loro convinzioni su di un dato normativo indicato nel D.M. 05-02-98, il quale individua i rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero, considerando tra essi (nell'All. I) i rifiuti derivati dall'industria agroalimentare, tra cui, pertanto, potrebbero essere ricomprese, secondo tale orientamento, le sanse umide in qualità di scarto di lavorazione agroindustriale delle olive.
Le procedure semplificate di recupero implicherebbero, per quanto riguarda la fase dello stoccaggio, la messa in riserva dei rifiuti, oppure, prima del recupero, il loro deposito temporaneo.


La teoria appena esposta rappresenta una delle strade percorribili, fermo restando che le attività di recupero, anzi dette, sono in via di sperimentazione ed ancora se ne studiano i dati relativi al rapporto costi-benefici gravante sui frantoi.

L'ultima ipotesi da considerare, riguarda il caso, difficile da riscontrare nella pratica, in cui il frantoio intenda disfarsi del sottoprodotto, avviandolo allo smaltimento presso Aziende specificamente autorizzate al trattamento di rifiuti. In tal caso esiste l'obbligo del rispetto puntuale della normativa sui rifiuti, il frantoiano, pertanto dovrà provvedere alla registrazione del sottoprodotto sull'apposito registro dei rifiuti in entrata al momento della loro produzione e in uscita o in scarico al momento del loro trasferimento, provvedendo altresì a riempire l'apposito formulario per la scorta degli stessi durante il trasporto.

Si ritiene, pertanto, che al fine di determinare la disciplina da applicare alla gestione delle sanse umide residuate dalla lavorazione delle olive, si rende necessario verificare quale sia la destinazione ultima delle sanse, obbligando, il detentore delle stesse a dichiarare la destinazione delle sanse vergini residuate dalla lavorazione delle olive, indicando le quantità da destinare a:
1) utilizzazione agronomica; (Legge 574/96)
2) materia prima per la produzione di olio di sansa;
3) recupero energetico o creazione di compost con attività di recupero ex all. C
4) smaltimento.(D.lgs.22/97)

SANSE ESUSTE

Per quanto riguarda le sanse esauste, derivanti dalla estrazione di olio di sansa, queste non rientrano nel campo di applicazione della legge 574/96, pertanto il loro stoccaggio e trattamento risulta regolamentato dal Decreto Ronchi.
In particolare il D.M. 05/02/98 iscrive esplicitamente le sanse esauste nella categoria di rifiuti non pericolosi che possono essere sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli art..31 e 33 del D. lgs..22/97, che prevedono:
per quanto riguarda la fase di stoccaggio, la messa in riserva dei rifiuti o il loro deposito temporaneo prima del recupero;
per quanto riguarda la attività di recupero, il reimpiego delle sanse esauste avviene nel settore della produzione e del riciclaggio delle materie plastiche con polvere di legno, produzione del pannello di particelle, previa vagliatura ed essiccazione, recupero energetico per mezzo di impianti dedicati al recupero energetico di rifiuti o impianti industriali.