Cass. Sez. III n.43815 del 31 ottobre 2023 (UP 11 ott 2023)
Pres. Ramacci Est. Galanti Ric.Galiberti
Acque.Diluizione e metodologia di analisi

Secondo una corretta interpretazione del quinto comma dell'art. 108, d. Igs. n. 152 del 2006 al fine di accertare il reato di superamento dei parametri tabellari, il punto di campionamento del refluo industriale, va individuato nel punto di confluenza tra acque di processo ed acque di diluizione, sullo scarico proveniente dal ciclo lavorativo - industriale -, e non sullo scarico finale. Questa è l'unica interpretazione che evita l'accertamento dopo la confluenza delle acque di processo produttivo con le acque di diluizione, con risultati non genuini: è, infatti, lo scarico proveniente dal ciclo produttivo che deve risultare nei limiti tabellari, non lo scarico finale - unito ad acque di diluizione. In tema di inquinamento idrico, la norma sul metodo di prelievo per il campionamento dello scarico ha carattere procedimentale e non sostanziale e, dunque, non ha natura di norma integratrice della fattispecie penale, ma rappresenta il mero criterio tecnico ordinario per il prelevamento, ben potendo il giudice, tenuto conto delle circostanze concrete, motivatamente ritenere la rappresentatività di campioni raccolti secondo metodiche diverse.



RITENUTO IN FATTO
 
1. Con Sentenza del Tribunale di Torino n. 143/23 in data 16 gennaio 2023, depositata in data 15 febbraio 2023, Massimo Galiberti è stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 29-quattordecies, comma 3, lett a) d.lgs. 152/2006, e condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di 4000 euro di ammenda, oltre spese.

2. Avverso tale sentenza ricorre, tramite il proprio difensore di fiducia, l’imputato.
2.1. Con il primo motivo impugna, per violazione dell’articolo 179 cod. proc. pen., la sentenza con l’ordinanza pronunciata all’udienza del 27 settembre 2022, con la quale è stata rigettata l’istanza con la quale la difesa chiedeva dichiararsi la nullità dell’avviso ex 415-bis c.p.p e di tutti gli atti difensivi, in quanto notificato a difensore di ufficio anziché al difensore di fiducia;
2.2. Con il secondo motivo, impugna la sentenza per erronea interpretazione dell’art. 29-quaterdecies d.lgs. 102/96, in quanto il prelevamento del campione non è stato effettuato allo scarico ma direttamente nelle vasche. Lamenta inoltre che il giudice ha errato nell’applicare la disciplina degli scarichi anziché quella sui rifiuti.

CONSIDERATO IN DIRITTO
 
    1. Il ricorso è complessivamente inammissibile.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La nomina fiduciaria deve infatti essere eseguita (art. 96, comma 2, cod proc. pen.) con dichiarazione resa all'autorità procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata (o mezzo telematico equipollente); tali modalità di trasmissione della nomina non ammettono equipollenti (Sez. 1, n. 18244 del 02/04/2019, Constantin, Rv. 275470 – 01; Sez. 1, n. 35127 del 19/04/2011, Esposito, Rv. 250783 – 01; Sez. 3, n. 21391 del 03/03/2010, Rv. 247598 – 01, secondo cui «non determina la nullità degli atti successivi, che siano stati compiuti con l'assistenza di un difensore d'ufficio, l'omessa trasmissione alla competente Autorità giudiziaria, da parte della polizia giudiziaria, della nomina del difensore di fiducia fatta dall'indagato con dichiarazione inviata al medesimo ufficio di P.G. procedente, perché la nomina del difensore di fiducia, per produrre effetti, deve essere fatta con dichiarazione resa all'autorità procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata»).
La sentenza impugnata precisa a pag. 2 che «la nomina fiduciaria de qua non risultava depositata né telematicamente né in formato cartaceo, ma soltanto allegata alla richiesta ex art. 335 c.p.p.; l’esito negativo della richiesta suddetta si doveva, peraltro, a una scorretta indicazione del verbale ARPA da cui scaturiva l’indagine, mai rettificata dal difensore».
La mera interrogazione, peraltro con esito negativo, presso l’ufficio 335 c.p.p., senza neppure l’indicazione di un numero di procedimento che consentisse la trasmissione e l’inserimento della nomina nel fascicolo del pubblico ministero (ed anzi riportante dati errati, mai corretti, da parte della Difesa) non avrebbe mai potuto consentire al pubblico ministero procedente di prendere conoscenza della nomina fiduciaria, che correttamente ha pertanto proceduto alla nomina di difensore d’ufficio.
Il motivo è, pertanto, manifestamente infondato.

3. Quanto al secondo motivo di ricorso, esso – per la verità di non agevole comprensione letterale - è inammissibile per genericità.
Il Collegio premette che la ricostruzione della vicenda non è controversa, essendo il superamento dei limiti tabellari di cui alla autorizzazione non contestato dal ricorrente, mentre costituiscono oggetto di discussione la metodologia dell'accertamento e la natura stessa del refluo prelevato.
Scendendo nel merito, a pagina 5 della sentenza il Giudice chiarisce che, nel caso di specie, nelle vasche di raccolta si era verificata la «confluenza tra acque di lavorazione e acque di diluizione», circostanza di fatto che il ricorrente non nega.
A tale affermazione la sentenza lega la considerazione, in diritto, per cui «secondo una corretta interpretazione del quinto comma dell'art. 108, d. Igs. n. 152 del 2006 al fine di accertare il reato di superamento dei parametri tabellari, il punto di campionamento del refluo industriale, va individuato nel punto di confluenza tra acque di processo ed acque di diluizione, sullo scarico proveniente dal ciclo lavorativo - industriale -, e non sullo scarico finale».
Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte (Sez. 3, n. 1296 del 10/03/2016, Seghezzi, Rv. 268838 - 01Sez. 3, n. 24426 del 25/05/2011, Bruni, Rv. 250610), questa è l'unica interpretazione che evita l'accertamento dopo la confluenza delle acque di processo produttivo con le acque di diluizione, con risultati non genuini: è, infatti, lo scarico proveniente dal ciclo produttivo che deve risultare nei limiti tabellari, non lo scarico finale - unito ad acque di diluizione.
Del resto, ciò che la norma intende evitare è proprio ciò che viene paventato a pagina 4 della sentenza, ossia che le concentrazioni delle sostanze inquinanti «avrebbero potuto essere diluite dalle piogge».
Ancora, correttamente il giudice evidenzia come secondo la affermazione di questa Corte – che il Collegio ribadisce - (cfr. Sez. 3, n. 32864 del 07/04/2021, Cattaneo, n.m.; Sez. 3, n. 36701 del 03/07/2019, Rv. 277158, Sez. 3, n. 26437 del 13/04/2016, Rv. 267110 e Sez. 3, n. 301:35 del 05/04/2017, Rv. 270325), in tema di inquinamento idrico, la norma sul metodo di prelievo per il campionamento dello scarico ha carattere procedimentale e non sostanziale e, dunque, non ha natura di norma integratrice della fattispecie penale, ma rappresenta il mero criterio tecnico ordinario per il prelevamento, ben potendo il giudice, tenuto conto delle circostanze concrete, motivatamente ritenere la rappresentatività di campioni raccolti secondo metodiche diverse.
Del resto, la circostanza, evidenziata a pag. 4 della sentenza, che in occasione di precedenti controlli le vasche, che avevano la esclusiva funzione di raccogliere le acque meteoriche, fossero state invece trovate piene anche in assenza di eventi piovosi, evidenzia come le stesse fossero, verosimilmente, utilizzate per lo smaltimento di residui di prodotti chimici usati per le lavorazioni e che quindi scaricassero in fognatura anche in caso di superamento dei limiti tabellari.
Quanto alla natura del refluo, la pluridecennale giurisprudenza della Corte è ferma nel rinvenire il criterio distintivo tra gli scarichi industriali, sottratti alla disciplina della Parte IV del T.U., ed i rifiuti, nella esistenza di uno «stabile collettamento» con il corpo recettore.
La Corte ha da ultimo ricordato (Sez. 3, n. 5738 del 02/02/2023, Lombrado, n.m.) che le modalità in concreto seguite per lo sversamento dei reflui segnano l'imprescindibile criterio per stabilire se vi sia stato scarico di reflui piuttosto che un abbandono o ancor più in generale uno smaltimento non autorizzato di rifiuti.
Ed infatti, costituisce scarico non autorizzato di acque reflue industriali qualsiasi immissione delle stesse, che deve tuttavia avvenire attraverso un sistema stabile di collettamento che colleghi senza soluzione di continuità il ciclo di produzione del refluo con il corpo ricettore acque superficiali. (Sez. 3, Sentenza n. 24118 del 28/03/2017 Rv. 270305 - 01).
La stabilità del collettamento non va in ogni caso confusa con la presenza, continuativa nel tempo, dello stesso sistema di riversamento, in contrasto con la occasionalità del medesimo, bensì va identificata nella presenza di una struttura che assicuri il progressivo riversamento di reflui da un punto all'altro, cosicché, in altri termini, come già stabilito da questa Corte, la disciplina delle acque sarà applicabile in tutti quei casi nei quali si è in presenza di uno scarico, anche se soltanto periodico, discontinuo o occasionale, di acque reflue, in uno dei corpi recettori specificati dalla legge ed effettuato tramite condotta, tubazioni, o altro sistema stabile nei termini suddetti. In tutti gli altri casi, nei quali manchi il nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo recettore si applicherà, invece, la disciplina sui rifiuti (cfr., da ultimo Sez. 3 - , n. 11128 del 24/02/2021 Rv. 281567 - 01 nonché in motivazione, Sez. 3, n. 16623 del 08/04/2015 Rv. 263354.01).
Nel caso di specie, il ricorrente nulla ha addotto in ordine alla inesistenza di uno stabile collettamento (piuttosto che ad uno scarico discontinuo, del tipo “troppo pieno” o similare) ovvero di un contratto per l’allontanamento tramite autobotte dei reflui provenienti dall’attività produttiva, risultando perciò inammissibile per genericità.

4. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

5. La presente motivazione viene redatta in forma semplificata ai sensi del decreto n. 68 del 28/4/2016 del Primo Presidente della Corte di cassazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 11/10/2023.