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Il Decreto legislativo n. 36/2003, la nuova normativa sulle discariche
di Stefano Ciafani, ufficio scientifico di Legambiente

Relazione tenuta al corso "Gestione dei Rifiuti" Rispescia (GR)  maggio 2003 presso il Centro Studi di diritto Ambientale dei CEAG - Legambiente

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  Una rivoluzione a metà. E’ questo il commento a caldo sul Decreto legislativo approvato l’11 dicembre 2002 e che ha recepito la direttiva 99/31/CE sulla costruzione e sull’esercizio delle discariche. Se da un lato infatti vi sono alcune novità positive nel decreto di recepimento, rispetto alla normativa attualmente vigente, dall’altro rimangono purtroppo diversi punti oscuri e su questioni di rilevante importanza.

Ma a inizio anno è necessario essere ottimisti e allora iniziamo con le novità positive. E’ finita la “telenovela” delle ripetute proroghe al termine del 1 gennaio 2000 previsto dal decreto Ronchi per lo smaltimento in discarica del rifiuto tal quale. Questo termine, com’è noto, era stato prorogato inizialmente al 16 luglio 2001 e poi al 22 agosto dello scorso anno. La scorsa estate infine il Ministero aveva delegato le Regioni ad autorizzare il proseguimento dell’attività delle discariche fino all’approvazione del nuovo decreto legislativo. Con il decreto dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, finalmente finire[p1]  l’estenuante proroga dei termini.

Entrando nel merito di quanto previsto nel decreto, cambia la classificazione degli impianti. Non avremo più impianti di prima, seconda (2A, 2B e 2C) e terza categoria ma discariche per rifiuti non pericolosi, pericolosi e inerti. In discarica non potranno da subito essere conferite diverse categorie di rifiuti, tra cui vale la pena segnalare i sanitari pericolosi a rischio infettivo, quelli contaminati da Pcb con concentrazioni superiori a 50 ppm, i rifiuti contenenti fluidi refrigeranti con Cfc e Hcfc . Da luglio 2003 i pneumatici interi fuori uso e dal gennaio 2007 i rifiuti con potere calorifico superiore alle 13mila kJ/kg.

I criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica non sono affrontati nel decreto. Questo argomento, di fondamentale importanza per rendere attuabile quanto previsto dalla nuova normativa, sarà oggetto di un apposito decreto ministeriale che sembra vicino alla firma dei ministri competenti, ma che di fatto ancora non è stato varato.

La novità di maggior rilievo sta nel fatto che i nuovi impianti verranno autorizzati dalla Regione solo dopo aver accettato le apposite garanzie finanziarie previste per la fase operativa e quella post-operativa, che deve avere una durata di almeno trenta anni a partire dalla chiusura dell’impianto. Le discariche già autorizzate potranno continuare a smaltire rifiuti fino al 16 luglio 2005 e comunque, entro sei mesi dalla pubblicazione in gazzetta ufficiale del decreto, il titolare dell’autorizzazione dovrà presentare un piano di adeguamento e le garanzie finanziarie, secondo quanto previsto dalla nuova normativa.

Riguardo gli aspetti negativi del decreto, la parte più saliente sta negli obiettivi di riduzione di conferimento dei rifiuti biodegradabili nell’impianto. La direttiva prevede una loro progressiva riduzione: meno 25% entro cinque anni dal recepimento della direttiva, meno 50% entro otto anni e meno 65% entro quindici anni. Questi obiettivi di riduzione  nel decreto italiano si sono trasformati in valori assoluti: 173 kg/ab/anno entro cinque anni, 115 kg/ab/anno entro otto e 81 kg/ab/anno entro quindici anni. E già questo aspetto pone seri dubbi in chi, come Legambiente, considerava il recepimento della normativa europea come la soluzione allo smaltimento dei rifiuti tal quali nelle discariche di vecchia generazione, da sempre considerate vere e proprie “bombe ecologiche”. Inoltre il traguardo di 173Kg/ab/anno previsto entro cinque anni,  in alcune aree del nostro Paese è già raggiunto (la produzione di rifiuti organici è, com’è noto, molto variabile sul territorio nazionale).

Soprattutto pare difficile che gli obiettivi così come sono stati espressi nel Decreto possano rispondere allo scopo che la stessa Direttiva si poneva, ovvero la riduzione delle emissioni di gas serra anche attraverso la minore fermentescibilità dei rifiuti smaltiti. [p2] Per raggiungere quegli obiettivi sarà infatti sufficiente in molti casi spingere sulla raccolta differenziata della carta, anch’essa biodegradabile, e posticipare così di qualche anno la soluzione al problema dello smaltimento in discarica dell’organico.

La logica vorrebbe invece che il rifiuto organico da collocare in discarica non debba solo essere ridotto quantitativamente nel tempo, ma che debba essere ridotta anche la sua capacità potenziale di produrre biogas. In poche parole la frazione organica anziché la discarica dovrebbe seguire la via degli impianti di compostaggio, riducendo in questo modo le emissioni in atmosfera del biogas e i cattivi odori che ne conseguono. E’ sostanzialmente per questa ragione che non si può cantar vittoria dopo il tanto atteso recepimento della direttiva discariche: continueranno infatti ad esserci ancora troppi impianti a inquinare il già contaminato ambiente del Belpaese.