Con il D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 diventano operative le sanzioni penali in materia di omessa bonifica Pubblicato su Rifiuti, Bollettino di informazione normativa n. 2-3/2000 LE PRINCIPALI FONTI DI INQUINAMENTO

 

Premessa

 

Con il presente intervento si vogliono fornire primi spunti di riflessione in ordine agli effetti che l'emanazione del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 ha avuto sulle responsabilità penali in tema di bonifica.

Ai fini che interessano in questa sede, può affermarsi che:

-         il decreto rappresenta una condizione di operatività degli obblighi di bonifica e delle connesse sanzioni ( civili e penali);

-         lo stesso pone immediatamente, anche sul versante della responsabilità penale, dei problemi di diritto transitorio;

-         la forte incidenza sul regime della proprietà[1], a prescindere dalla responsabilità del titolare di diritti reali o personali di godimento sull’area contaminata, fa sì che il problema della contaminazione dei siti sarà, d'ora in poi, un imprescindibile elemento di riferimento per quanto attiene la gestione e la circolazione dei siti industriali.

In questa sede saranno svolte alcune riflessioni sui primi due profili.

Riguardo al terzo aspetto, può soltanto rilevarsi come l'individuazione di appositi standards di contaminazione introduce nelle dinamiche commerciali un parametro di riferimento per quanto concerne la verifica del rispetto dei principi di correttezza e buona fede nei rapporti contrattuali.

La fattispecie che si potrà verificare è la seguente:

a) un soggetto acquista un sito ignorandone l’inquinamento;

b) il fatto che ha generato l’inquinamento del sito si è verificato anteriormente all’acquisto;

c) non vi erano elementi estrinseci che potessero far supporre all’acquirente lo stato di inquinamento[2];

d) quest'ultimo non è stato dichiarato in contratto dal venditore;

e) non sono previste in contratto particolari clausole a tutela del compratore per il verificarsi della fattispecie in esame.

Al di là delle azioni esperibili da parte del compratore e della qualificazione giuridica, sotto il profilo civilistico, del requisito della salubrità del sito [3], è certo ormai che quest'ultima rappresenta ormai una qualità intrinseca della cosa, sulla quale il compratore deve poter contare, senza che siano necessarie specifiche indicazioni ed assicurazioni. 

Diversamente si potrà ritenere che il compratore stesso sia caduto in errore, in quanto si era falsamente rappresentato l'assenza della situazione per lui pregiudizievole (cioè dell’inquinamento) e che il consenso si sarebbe formato diversamente nell’ipotesi in cui si fosse rappresentato correttamente la realtà. In caso di silenzio maliziosamente serbato dal venditore sarà quindi ipotizzabile il delitto di truffa[4].

 

Il reato previsto dall'art. 51 bis del D.Lgs 22/1997

 

La piena vigenza degli obblighi di bonifica comporta l'operatività della sanzione di cui all'art. 51 bis del decreto Ronchi.

La norma, introdotta dal D.Lgs 389/97, recita: " Chiunque cagiona l'inquinamento o un pericolo concreto ed attuale di inquinamento previsti dall'articolo 17, comma 2, è punito con la pena dell'arresto da sei mesi a un anno e con l'ammenda da lire cinque milioni a lire cinquanta milioni se non provvede alla bonifica secondo il procedimento di cui all'articolo 17. Si applica la pena dell'arresto da un anno a due anni e la pena dell'ammenda da lire 10 milioni a lire 100 milioni se l'inquinamento è provocato da rifiuti pericolosi". L'art. 1, comma 25, della L. 426/1998 ha aggiunto, alla fine dell'articolo, il seguente periodo: "Con la sentenza di condanna per le contravvenzioni di cui al presente comma, o con la decisione emessa ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, il beneficio della sospensione condizionale della pena può essere subordinato alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale".

Nel testo originario le violazioni in materia di bonifica erano sanzionate, in modo generico, dall'art. 50, comma 2, in cui veniva punito " chiunque non ottempera agli obblighi di cui all'art. 17, comma 2". Tale disposizione aveva lasciato aperti dubbi interpretativi in quanto non era chiaro quale dei comportamenti previsti dall'art. 17, comma 2, facesse scattare la sanzione penale[5].

La seconda formulazione ha sicuramente il pregio di collegare in modo chiaro la pena non al  momento in cui viene cagionato l'inquinamento o il pericolo di inquinamento, ma soltanto alla mancata realizzazione da parte del responsabile della bonifica secondo la procedura di cui all'art. 17. È evidente che tale previsione, a prescindere da considerazioni in ordine alla natura del reato, sta a significare che scopo dell'incriminazione non è tanto tutelare il puntuale adempimento della procedura di bonifica, ma, sotto un profilo sostanziale, proteggere l'ambiente dall'inquinamento. Trattasi di una tipica incriminazione di scopo, secondo un modello di tutela c.d. ingiunzionale che " mira ad apprestare tutela diretta al provvedimento con cui la legge o la P.A. competente ingiunge a taluni soggetti di provvedere all'adempimento di un obbligo consistente, nella specie, nel ripristino e/o nella bonifica del sito inquinato[6]". L'individuazione del profilo sostanziale e non meramente formale della tutela si evince anche dall'aggiunta fatta dalla legge 426/1998 con cui si è previsto che con la sentenza di condanna (o di patteggiamento) il beneficio della sospensione condizionale della pena possa essere subordinato alla esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale".

Al di là di tali osservazioni va detto che il D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, oltre a consentire l'operatività della fattispecie penale dell'art. 51 bis, non ha portato particolari spunti per la miglior interpretazione della norma.

Occorre quindi richiamare quanto già detto nell'immediatezza dell'introduzione della norma circa la natura tipicamente omissiva del reato[7], consistendo lo stesso sostanzialmente nella mancata osservanza degli obblighi di bonifica.

Trattasi, inoltre, di reato permanente, in quanto lo stato di consumazione perdura fino a che il danno o il pericolo per l'ambiente non sia cessato[8].

Il reato può concorrere con gli altri illeciti previsti dal Decreto Ronchi ( abbandono di rifiuti, attività di gestione di discarica non autorizzata). Di conseguenza se un soggetto realizza una discarica abusiva, ovvero abbandona o deposita in modo incontrollato, nell'esercizio di una attività d'impresa, i rifiuti nell'ambiente risponderà non soltanto delle contravvenzioni previste e punite dall'art. 51 del D.Lgs 22/1997, ma anche di quella prevista dal successivo art. 51 bis, nel caso in cui la sua attività illecita abbia comportato la violazione dei parametri di contaminazione previsti dal D.M. 25 ottobre 1999, n. 471.

Il reato può concorrere con gli altri illeciti previsti dal Decreto Ronchi, trattandosi di condotte tipiche diverse . Di conseguenza se un soggetto realizza una discarica abusiva, ovvero abbandona o deposita in modo incontrollato, nell'esercizio di una attività d'impresa, i rifiuti nell'ambiente risponderà non soltanto delle contravvenzioni previste e punite dall'art. 51 del D.Lgs 22/1997, ma anche di quella prevista dal successivo art. 51 bis, nel caso in cui la sua attività illecita abbia comportato la violazione dei parametri di contaminazione previsti dal D.M. 25 ottobre 1999, n. 471.

E qui sta uno dei principali problemi applicativi della norma.

Nei casi che si sono ora fatti l'osservanza degli obblighi di cui all'art. 17, comma 2, del D.Lgs 22/1997 (e del D.M. attuativo), relativi all'immediata notifica, entro 48 ore al Comune, alla Provincia ed alla Regione territorialmente competenti, nonché agli organi di controllo sanitario e ambientale, della situazione di inquinamento ovvero del pericolo concreto ed attuale di inquinamento del sito, equivale, sostanzialmente all'autodenuncia per gli altri reati eventualmente concorrenti, innanzi individuati. Non è prevista alcuna causa di non punibilità per l'ipotesi in cui un soggetto abbia provveduto puntualmente alla bonifica; egli sarà esente dal reato di cui all'art. 51 bis,

ma non dagli altri. Neppure è prevista, come per l'omologa fattispecie di cui all'art. 58 D.Lgs 152/1999 dal successivo art. 61, una circostanza attenuante nei confronti di chi, prima del giudizio penale, abbia riparato interamente il danno" [9]. Tale previsione, che pure non esclude il problema, almeno avrebbe dato un segnale dell'attenzione del legislatore nei confronti di chi provveda ad eliminare gli effetti dell'illecito ambientale prodotto.

Resta, invece, un obbligo di notifica che, se strumentale rispetto all'avvio del procedimento di bonifica (la cui violazione è meramente potenziale per cui nessuna autodenuncia si attua con riferimento al reato di cui all'art. 51 bis), assume il valore di vera e propria notizia di reato con riferimento agli altri illeciti eventualmente commessi con la condotta che ha determinato la contaminazione. Trattasi di situazione che sembra in contrasto con il principio costituzionale della inviolabilità del diritto di difesa, sancito dal secondo comma dell'art. 24 Cost[10].

Una questione che sicuramente dividerà i primi che saranno chiamati ad applicare la norma, è quella concernente del coordinamento con l'art. 17, il quale fa scattare gli obblighi di bonifica in caso di superamento anche accidentale dei limiti di contaminazione.

L'omessa ripetizione nell'art. 51 bis dell'inciso "anche in maniera accidentale" è irrilevante per quanti ritengono che il superamento dei limiti è al di fuori della condotta ma ne rappresenta un semplice presupposto ( il fatto di reato consisterebbe nell'omissione della bonifica da parte del responsabile dell'inquinamento, a prescindere dalle cause, intenzionali, colpose o accidentali che hanno determinato il superamento dei limiti di contaminazione)[11].

Sembra invece preferibile ritenere che l'art. 17 prevede una forma di responsabilità civile oggettiva di difficile trasposizione in sede penale. Significativa, allora, è la mancata riproposizione dell'inciso "anche in maniera accidentale" per arrivare ad affermare che il superamento dei limiti di contaminazione rileva penalmente solo quando può essere imputato a titolo di dolo o di colpa e non a titolo di responsabilità oggettiva ( in tal caso può scattare la sola responsabilità civile)[12].

Per una risposta compiuta occorre poi necessariamente fare i conti con la nuova fattispecie di cui all'art. 58, commi 1 e 4 D.Lgs. 11 maggio 1999, n. 152 che punisce soltanto chi con il proprio comportamento omissivo o commissivo provoca un danno alle acque, al suolo, al sottosuolo e alle altre risorse ambientali, ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di inquinamento ambientale, ed omette di procedere agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali è derivato il danno ovvero deriva il pericolo di inquinamento, ai sensi e secondo il procedimento di cui all'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.

La norma si trova in rapporto di stretta connessione con gli artt. 17 e 51 bis del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, in quanto tende a coprire tutte le situazioni di inquinamento o di pericolo ambientale che possono derivare da attività di scarico, cioè da fenomeni che sono esclusi dall'ambito di applicazione del Decreto Ronchi (non a caso il primo comma fa esplicito riferimento alla violazione  delle disposizioni del decreto 152), sia per l'espresso richiamo all'art. 17 del Decreto 22.

Qualora tale seconda norma fosse interpretata nel senso di prevedere la sanzione penale per l'omessa bonifica anche nell'ipotesi di superamento accidentale e non colposo dei limiti di contaminazione, si avrebbe una evidente discrasia rispetto all'ipotesi in cui lo stesso fatto dipenda da uno scarico.

Volendo allora recuperare omogeneità al sistema e facendo leva sul dato letterale dell'art. 51 bis che non ripropone l'inciso "anche in maniera accidentale" contenuto nell'art. 17, deve concludersi che la sanzione penale relativa alla bonifica dei siti copre solo una parte dell'illecito civile, restando i fatti accidentali coperti esclusivamente dai profili risarcitori individuati dall'art. 17.

 

 

La fase transitoria

 

Un problema che il D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 da subito pone è quello della disciplina transitoria, cioè della posizione del proprietario di un sito in cui i livelli di contaminazione siano superiori a quelli previsti dal provvedimento, in conseguenza di eventi anteriori all'entrata in vigore dello stesso.

La norma di riferimento è rappresentata dall'art. 9 del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, che specifica il principio contenuto nel comma 13-bis dell'art. 17 D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (aggiunto dall'art. 2 del D.Lgs. 8 novembre 1997, n. 389), per il quale "le procedure per gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal presente articolo possono essere comunque utilizzate ad iniziativa degli interessati".

In realtà l'art. 9 del D.M. 471 contiene elementi di ambiguità ed incertezza.

Se da una parte viene chiarito che soggetto interessato alla bonifica è "il proprietario di un sito o altro soggetto che, al di fuori dei casi di cui agli articoli 7 e 8, intenda attivare di propria iniziativa le procedure per gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e di ripristino ambientale"[13] e si individua la procedura che deve essere seguita in questi casi, non del tutto lineare sembra essere la disciplina transitoria degli obblighi di bonifica.

Al riguardo va precisato che la dottrina è da subito stata concorde nel ritenere la nuova disciplina priva di efficacia retroattiva e, quindi, limitata ai fatti di contaminazione verificatisi dopo l'entrata in vigore del decreto ministeriale (appunto il D.M. 25 ottobre 1999, n. 471) che avrebbe dovuto definire i limiti superati i quali sarebbero scattati gli obblighi di bonifica[14].

I commi 3 e 6 dell'art. 9, dai quali si evince la disciplina transitoria per i soggetti interessati alla bonifica, lasciano però qualche margine di dubbio.

Il primo prevede che: " Qualora il proprietario o altro soggetto interessato proceda ai sensi dei commi 1 e 2 entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la decorrenza dell’obbligo di bonifica verrà definita dalla regione territorialmente competente in base alla pericolosità del sito determinata con i criteri di cui all’articolo 14, comma 3, nell’ambito del Piano regionale o di suoi eventuali stralci, salva in ogni caso la facoltà dell’interessato di procedere agli interventi di bonifica e ripristino ambientale prima del suddetto termine".

Il comma 6 precisa: "La disposizione di cui al comma 3 non si applica alle situazioni di inquinamento o di pericolo concreto ed attuale di inquinamento determinate da eventi, anche accidentali, verificatisi in data successiva all’entrata in vigore del presente regolamento". Ragionando a contrario si deve allora ritenere che il comma 3 si applichi a situazioni di inquinamento o di pericolo concreto ed attuale di inquinamento determinate da eventi, anche accidentali, verificatisi in data anteriore all’entrata in vigore del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471.

Desta quindi perplessità la formula usata dal comma 3 il quale parla di decorrenza dell’obbligo di bonifica, con riferimento ad uno stato di contaminazione del sito che, in realtà, è fondato su  parametri introdotti da un provvedimento successivo al verificarsi  dell'evento.

Occorre allora da chiedersi come mai venga definito obbligatorio un comportamento che, applicando a rigore i principi in tema di irretroattività della legge, tale non dovrebbe essere (la bonifica si dovrebbe ritenere doverosa solo per i fatti verificatisi dopo l'entrata in vigore del D.M. n. 471[15]). Inoltre il proprietario del sito che non sia responsabile dell'evento di contaminazione, non è comunque tenuto alla bonifica, pur rimanendo la sua posizione pregiudicata quanto al recupero delle spese anticipate dal Comune, a seguito dell'operatività del meccanismo di cui ai commi 10 ed 11 dell'art. 17 D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.

Le risposte possibili sono due.

In una prima opzione si potrebbe sostenere che il proprietario di un sito in cui si manifestino situazioni di inquinamento o di pericolo concreto ed attuale di inquinamento determinate da eventi, anche accidentali, verificatisi in data anteriore all’entrata in vigore del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, ha facoltà di procedere alla bonifica ma, una volta effettuata la comunicazione di cui al comma 1 dell'art. 9 cit., ha l'obbligo di ultimare il procedimento avviato d'iniziativa.

In una diversa angolazione si potrebbe invece ritenere che il legislatore abbia implicitamente affermato il principio per cui il proprietario dell'area non obbligato alla bonifica ( o perché non vi è tenuto, trattandosi di evento anteriore all'efficacia degli standards, o, con riferimento a fatti successivi, perché del tutto incolpevole), il quale rimanga inerte di fronte a situazioni di contaminazione, omettendo di prendere provvedimenti di messa in sicurezza e di bonifica, contribuisce comunque a cagionare, per effetto del permanere e del diffondersi della contaminazione, il pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti se non addirittura il superamento di questi[16].

E' chiaro che una risposta affermativa  introdurrebbe profili di estremo rigore nella gestione ed amministrazione degli immobili. Il proprietario, infatti, non avrebbe solo la convenienza ad attivare il meccanismo di bonifica ( al fine di evitare il meccanismo dell'onere reale e del privilegio speciale immobiliare), ma sarebbe destinatario di un vero e proprio dovere di vigilanza sulla salubrità del fondo. Nei suoi confronti scatterebbe non soltanto la responsabilità civilistica per l'omessa bonifica, ma anche quella penale di cui all'art. 51 bis del D.Lgs 22/1997.

A tali perplessità occorre rispondere in due modi.

Sotto il profilo pratico è opportuno procedere immediatamente a far verificare se gli standards introdotti dal D.M. 471 siano stati superati. Tale autocontrollo consentirà un duplice risultato.

Da un lato può introdurre certezza e trasparenza in vista di eventuali trattative commerciali dirette alla alienazione del sito o alla sua cessione in uso a terzi. In secondo luogo consentirà di escludere,  sul versante dei controlli ( ricordiamo che l'art. 8 del nuovo decreto disciplina l'ipotesi in cui soggetti ed organi pubblici - senza alcuna distinzione- accertino nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali una situazione di inquinamento o di pericolo di inquinamento), la penale responsabilità nell'ipotesi in cui, a seguito di un'attività di verifica, si effettuino prelievi dal fondo inquinato e dalle successive analisi risulti il superamento dei parametri di cui all'allegato 1) del D.M. 471. In tal caso, infatti, è onere del proprietario provare la mancanza di colpevolezza, ovvero che il fatto da cui ha preso origine l'inquinamento si è verificato in epoca anteriore all'entrata in vigore del decreto, poiché per l'organo accertatore ( il quale può intervenire sia a sorpresa che su delega dell'Autorità giudiziaria) è sufficiente provare che, in quel determinato momento storico, successivo all'entrata in vigore del D.M. 471, gli standards da questo previsti sono stati superati.

Al di là dei suggerimenti pratici, resta certamente il dubbio sulla effettiva portata del concetto di pericolo di inquinamento, atteso che il D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 non individua dei parametri certi superati i quali si determina una situazione di pericolo. Questa, in sostanza, continua ad essere rappresentata in modo vago e generico come mera probabilità che i valori di concentrazione limite di cui all'allegato 1) possano essere superati. Nessun riferimento concreto viene fatto per individuare il momento in cui si determina uno stato di pericolo tale da rendere obbligatorio il procedimento di bonifica, tanto che verrebbe da chiedersi se la fattispecie penale non pecchi di indeterminatezza e genericità.

 

 

 

 

Pasquale Fimiani



[1] In forza del meccanismo dell'onere reale e del privilegio speciale immobiliare, previsto dai commi 10 ed 11 dell'art. 17 D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.

[2] Si pensi all’ipotesi di interramento di rifiuti.

 

[3] Per le quali sia consentito rinviare a P.FIMIANI, Gli effetti del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 sul regime delle responsabilità, in Ambiente e Sicurezza, Il Sole 24 Ore, n. 1/2000.

[4] In una fattispecie analoga la Cassazione [Sez. II, sent. n. 2333 del 02-03-1996 (cc. del 18-12-1995), Capra (rv 204030)] ha affermato che: "In tema di truffa contrattuale, anche il silenzio maliziosamente serbato su alcune circostanze da parte di chi abbia il dovere giuridico di farle conoscere costituisce elemento ai fini della configurabilità del reato di truffa, trattandosi di un raggiro idoneo a determinare il soggetto passivo a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe dato; pertanto, posto che chi acquista un immobile ne presume, in mancanza di indicazioni contrarie derivanti da circostanze di fatto o da precisazioni dell'altro contraente, che esso sia conforme alla normativa urbanistico-edilizia e sanitaria, consegue che il silenzio serbato su tali elementi è astrattamente idoneo a indurre in errore i soggetti passivi. (Fattispecie in tema di contratto preliminare di vendita immobiliare in relazione al quale il venditore aveva taciuto circa la mancanza del requisito dell'altezza minima prevista dalla legge e la conseguente impossibilità di ottenere la certificazione di abitabilità del bene compromesso)".

[5] Per una analisi dell'originaria fattispecie di reato si rinvia a E. Aliotta, Bonifica e ripristino dei siti inquinati: rilievi «penalistici», in Ambiente, n. 12/97, pagg. 974 e segg.

[6] Così testualmente F. ANILE, Bonifica dei siti contaminati: obblighi di ripristino e tutela penale, in Ambiente, n. 2/1999, pag. 126.

[7] Sia consentito richiamare P. FIMIANI, Le novità sulle sanzioni introdotte dal D.lgs 389/1997, in Rifiuti, n. 12/1997.

[8] Pertanto, trattandosi di reato permanente a condotta omissiva, deve ritenersi che la permanenza viene a cessare solo nel momento in cui viene meno la situazione antigiuridica per fatto volontario dell'obbligato, o per altra causa (In tal senso, con riferimento al reato di cui all'art. 677 c.p., si veda Cass. pen. Sez. I, sent. n. 5196 del 25-05-1996, Rossetti , in Ced, rv 204667).

[9] L'art. 61, che ha valenza di carattere generale, prevede che in tal caso le sanzioni penali e amministrative sono diminuite dalla metà a due terzi.

[10] Sembra in particolare violata la c.d. "libertà dalle autoincriminazioni" sancita dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione, posto che nel diritto di difesa dell'imputato deve ritenersi, altresì, compreso "il diritto del cittadino di non fornire le prove della propria eventuale colpevolezza e, più in generale, prove suscettibili di pregiudicare lo svolgimento dei suoi assunti difensivi in un già instaurato o eventuale processo" (la Corte Costituzionale ha affermato tale principio fcon sentenza 30 luglio 1984, n. 236, in Cass. pen., 1985, 1466). La stessa Corte ( Ord. 31 maggio 1996, n. 186) ha, più di recente precisato, con riferimento alla questione di legittimità Costituzionale costituzionale degli artt. 3, comma 3, e 9-octies, comma 3, del decreto-legge 9 settembre 1988, n. 397 (Disposizioni urgenti in materia di smaltimento dei rifiuti industriali), convertito, con modificazioni, nella legge 9 novembre 1988, n. 475,  recante la disciplina penale sanzionatoria dei registri di carico e scarico ( ora venuta meno per effetto dell'abrogazione ad opera dell'art. 56 del D.Lgs 22/1997):

-          che gli obblighi di comunicazione della quantità e qualità dei rifiuti sopraindicati prodotti o smaltiti, previsti dalle disposizioni censurate, risultano strumentalmente diretti alla tutela dell'ambiente, garantita come diritto fondamentale dall'art. 9 della Costituzione e trovano, altresì, specifico fondamento nell'art. 41, secondo comma, della Costituzione per il quale l'iniziativa economica privata deve svolgersi in modo da garantire "la sicurezza, la libertà e la dignità umana" da ricollegarsi anche alla tutela dell'ambiente;

-          che i predetti obblighi di comunicazione rientrano, inoltre, nella sfera dei doveri inerenti ai produttori e smaltitori di rifiuti ed, in quanto tali, risultano assunti in base ad una libera scelta dell'individuo di svolgere una attività economica che comporta oneri previsti dalla legge;

-          che su un piano più generale non può negarsi che la legge possa ragionevolmente (senza aggravare inutilmente la posizione del soggetto interessato) prescrivere, in via generale, a carico di tutti coloro che espletano una determinata attività liberamente scelta, obblighi non legati alla pretesa punitiva (anche se sanzionati in via amministrativa o penale) di comunicazione della stessa attività o delle modalità d'esercizio (come presupposto della legittimità), quando questa sia soggetta a controlli della pubblica amministrazione, tanto più se correlati a una doverosa salvaguardia di interessi fondamentali secondo Costituzione, quali la tutela dell'ambiente e della indissolubile qualità della vita dell'uomo; che, d'altro canto, il diritto al silenzio dell'imputato, in quanto specificazione del diritto di difesa, garantito dall'art. 24, secondo comma, della Costituzione, opera, per costante giurisprudenza di questa Corte, dal momento della instaurazione del procedimento penale o dal momento in cui l'indizio di reato si soggettivizza nei confronti di una determinata persona (sentenze nn. 198 e 181 del 1994);

-          che non è ipotizzabile esercizio del diritto di difesa "in relazione a comportamenti che in sè considerati non costituiscono autodenuncia o confessione di reati"; "se manca un rapporto diretto tra incriminazione e le domande della pubblica autorità" ovvero "tra dichiarazioni e gli adempimenti" cui il soggetto è penalmente tenuto da un lato e l'incriminazione eventuale, per uno o più reati, dall'altro, venendo meno in radice ogni possibilità di invocare la garanzia costituzionale dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione (v. sentenze n. 236 del 1984 e n. 32 del 1965).

Sulla base di tali argomentazioni trova conferma quanto sostenuto nel testo circa la correttezza costituzionale in relazione al reato di cui all'art. 51 bis (la notifica ha natura strumentale rispetto all'avvio del procedimento di bonifica e la violazione di questo è meramente potenziale per cui nessuna autodenuncia si attua con riferimento ad un reato ipotetico e non ancora posto in essere). Conferma però, a contrario, che la notifica dell'evento di contaminazione, assume il valore di vera e propria notizia di reato con riferimento agli altri illeciti eventualmente commessi con la condotta che ha determinato la contaminazione, avendosi in tal modo una fattispecie pienamente coincidente con la violazione del divieto costituzionale di autodenuncia.

[11] Propende per questa soluzione F. ANILE, Bonifica dei siti contaminati: obblighi di ripristino e tutela penale, in Ambiente, n. 2/1999, pag. 125.

[12] Secondo E. Aliotta, Art. 51 bis " Bonifica dei siti": tutto da rifare, in Ambiente, n. 1/1998, pag. 76, la mancata riproposizione dell'inciso " anche in modo accidentale" è significativa. " Se un soggetto, senza colpa, supera i limiti di contaminazione oppure determina pericolo concreto di superamento degli stessi, egli non può essere punito, ai sensi dell'art. 51 bis, anche qualora non abbia provveduto alla bonifica. Se si ammettesse il contrario, sarebbe riconosciuto un caso di responsabilità penale che prescinde dall'elemento psicologico ( dolo o colpa) e si fonda solo sul rapporto di causalità materiale tra soggetto ed evento". Il tutto in contrasto con il principio di cui all'art. 27 Cost. F. ANILE, Bonifica dei siti contaminati……….., cit., pag. 125, arriva ad una conclusione diversa per effetto dello sganciamento del superamento dei limiti di contaminazione dalla condotta e proprio sul presupposto che è necessario avere, il più possibile, una disciplina omogenea con l'art. 17. Diversamente si dovrebbero " escludere dall'ambito di applicazione dell'art. 51 bis tutti quei soggetti i quali, pur avendo cagionato l'inquinamento in modo del tutto accidentale, volontariamente e coscientemente omettono di adoperarsi per la bonifica".

[13] Secondo l'inciso contenuto nel primo comma della norma. Gli artt. 7 ed 8 disciplinano rispettivamente le ipotesi dell'obbligo di notifica del pericolo di inquinamento da parte di chi cagiona l'evento ( anche in maniera accidentale) e di ordinanza comunale con cui si diffida il responsabile dell'inquinamento ad adottare i necessari interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e ripristino ambientale ai sensi del regolamento.

[14] In tal senso F. Troilo, Bonifica e ripristino dei siti inquinati: rilievi «civilistici», n. 12/97, pag. 971; F. Giampietro F., Bonifica dei siti inquinati: dal d.lgs. «Ronchi» al «Ronchi bis», n. 1/1998, pag. 74 ; R. Russo, Bonifica e messa in sicurezza dei siti contaminati: osservazioni sull’art. 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, in Riv. giur. dell’ambiente, n. 3-4/98, pag. 437; P. Pagliara, Bonifica dei siti inquinati: dibattito ancora aperto, Parte 2, in Ambiente, n. 9/98, pag. 744.

[15] La piena applicazione del principio di irretroattività dovrebbe poi portare alla conclusione che, in caso di situazioni di inquinamento o di pericolo concreto ed attuale di inquinamento determinate da eventi accidentali, verificatisi in data anteriore all’entrata in vigore del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, il meccanismo onere reale - privilegio speciale non potrebbe funzionare.

[16] Sembra propendere per questa impostazione R. Russo, Bonifica e messa in sicurezza dei siti contaminati: osservazioni sull’art. 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, cit., per il quale ipotizza che " l'obbligo sussista anche nei confronti di coloro che hanno la disponibilità di aree in cui vi sono situazioni pregresse di contaminazione non inertizzate e che, quindi, omettendo di prendere provvedimenti di messa in sicurezza e di bonifica contribuiscono a cagionare ( o perlomeno con la loro inazione contribuiscono al permanere ed al diffondersi della contaminazione) il pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti. Se questa esegesi è corretta, la norma avrà non solo il valore di un canone di diligenza per il futuro, ma andrà a regolare situazioni la cui causa prima si è verificata antecedentemente all'entrata in vigore della legge e l'applicazione della norma potrebbe essere invocata anche nei casi di cd " migrazione passiva" dei contaminanti presenti nel terreno anche da epoche molto lontane nel tempo".