LO STOCCAGGIO DI ACQUE DI RIFIUTO IN VASCA A TENUTA di Luciano Butti Avvocato LE PRINCIPALI FONTI DI INQUINAMENTO

Docente di diritto dell’ambiente

(Università di Padova – Facoltà di Ingegneria –

Corso di Laurea in Ingegneria per l’ambiente e il territorio)

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1. Premessa

 

Il presente studio esamina le seguenti questioni:

·        corrette modalità di gestione delle acque reflue che hanno origine da un insediamento produttivo, qualora, per qualsiasi ragione, non sia possibile lo scarico diretto in fognatura o in altro corpo ricettore (acque superficiali, suolo, sottosuolo);

·        eventuale esistenza, nella legislazione applicabile, di obblighi di richiesta di autorizzazione allo scarico anche per lo stoccaggio, in vasche a tenuta,  dei reflui di cui al punto che precede;

·        possibilità per l’Amministrazione comunale di rilasciare il certificato di agibilità qualora, in mancanza di autorizzazione allo scarico per le acque reflue provenienti dai servizi igienici, le stesse vengano stoccate in vasche a tenuta.

 

 

 

2. La normativa nazionale pertinente

 

Le principali disposizioni della normativa nazionale, pertinenti per il problema in esame, sono le seguenti:

·        art. 2, comma 1, lettera bb) del D. Lgs. n. 152/1999, che detta la definizione di “scarico” nei termini che seguono: “qualsiasi immissione diretta tramite condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo trattamento di depurazione”;

·        art. 36 del D. Lgs. n. 152/1999 (come modificato dal D. Lgs. n. 258/2000), che disciplina il “trattamento di rifiuti costituiti da acque reflue[1];

·        art. 8, comma 1, lettera e),  del D. Lgs. n. 22/1997, che – dopo avere affermato come la normativa sui rifiuti non si applichi alle “acque di scarico” – esclude espressamente da tale concetto i “rifiuti allo stato liquido” (per i quali pertanto solo la normativa sui rifiuti trova applicazione);

·        allegato B del D. Lgs. n. 22/1997, che – al punto D15 - comprende fra le “operazioni di smaltimento” il “deposito preliminare prima di una di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D14 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti”);

·        art. 6, comma 1, lettera M, del D. Lgs. n. 22/1997, che detta analiticamente le condizioni di legittimità del “deposito temporaneo”, definito come “il raggruppamento dei rifiuti effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti[2];

·        art. 28, comma 5, del D. Lgs. n. 22/1997, che esclude – per il deposito temporaneo “effettuato nel rispetto delle condizioni stabilite dall’art. 6, comma 1, lettera m” -  qualsiasi obbligo di autorizzazione preventiva;

·        allegato 5 della Delibera del Comitato interministeriale per la tutela delle acque del 4 febbraio 1977 (tuttora vigente ed applicabile secondo quanto espressamente previsto dall’art. 62, comma 7, del D. Lgs. n. 152/1999), secondo la quale l’accumulo di liquami su un suolo impermeabile o reso tale non costituisce scarico sul suolo.

 

Alla luce delle citate disposizioni di legge, il rapporto fra la disciplina sugli scarichi (D. Lgs. n. 152/1999 e successive modificazioni) e la normativa sui rifiuti (D. Lgs. n. 22/1997 e successive modificazioni) può essere ricostruito, nei suoi aspetti generali, come segue:

1.    Quando si  tratta  di  rifiuti  solidi,  trova   applicazione esclusivamente il D. Lgs. n. 22/1997.

2.    Quando  invece  (come nel caso che ci occupa) si tratta di rifiuti liquidi  o  convogliabili tramite  condotta,  soltanto lo scarico “diretto” nel corpo ricettore è regolato dal D. Lgs. n. 152/1999, e richiede pertanto l’autorizzazione allo scarico. Ciò si desume in modo evidente dall’art. 2, comma 1, lettera bb), del D. Lgs. n. 152/1999, che richiede espressamente – affinché sussista uno “scarico” – la “immissione diretta tramite condotta … nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria”.

3.    Le operazioni di gestione dei predetti rifiuti liquidi, diverse dallo scarico diretto, sono soggette agli obblighi di vario tipo previsti dal D. Lgs. n. 22/1997 (si rinvia, per un esame dettagliato di tali obblighi, al successivo paragrafo 8).

4.    In particolare, fra tali possibili operazioni di gestione di rifiuti liquidi, va menzionato lo stoccaggio provvisorio in vasche a tenuta. Esso – a seconda delle condizioni in cui viene effettuato – può dar luogo ad un “deposito temporaneonon soggetto ad autorizzazione[3] ovvero ad un deposito preliminare” soggetto ad autorizzazione preventiva[4].

 

La predetta ricostruzione dei rapporti fra normativa sugli scarichi e normativa sui rifiuti è analoga a quella che era comunemente accolta prima dell’entrata in vigore del D. Lgs. n. 22/1997 e del D. Lgs. n. 152/1999. Essa, pertanto, trova conferma nella più autorevole giurisprudenza e dottrina, tanto precedenti come successive alle citate normative[5].

 

 

 

3. La normativa regionale

 

La normativa approvata dalla varie regioni non contiene principi difformi rispetto a quelli esposti al paragrafo precedente in ordine ai rapporti fra la normativa sugli scarichi e quella sui rifiuti.

 

 

 

4. L’orientamento giurisprudenziale che richiede autorizzazione allo scarico anche per lo stoccaggio delle acque di rifiuto in vasche a tenuta

 

Nel quadro dei rapporti fra disciplina sugli scarichi e disciplina sui rifiuti sopra chiaramente delineato, si inserisce una recente giurisprudenza della Cassazione, la quale  sostiene – in modo peraltro apodittico, vale a dire senza alcuna specifica motivazione – che “lo scarico di reflui liquidi, anche se effettuato in vasca a tenuta stagna, va autorizzato” in base alla normativa sugli scarichi[6].

 

Adeguandosi, senza sufficiente approfondimento, a tale orientamento, una parte minoritaria delle Amministrazioni comunali richiede, anche nella modulistica, una specifica autorizzazione allo scarico anche per lo stoccaggio di acque reflue in vasche a tenuta.

 

 

 

5. Assoluta insostenibilità di tale orientamento alla luce della normativa vigente

 

La tesi espressa dall’orientamento giurisprudenziale citato al punto che precede è radicalmente incompatibile con i seguenti inequivocabili dati normativi (risultanti dalle disposizioni citate al paragrafo 2):

·        definizione di “scarico” accolta dal D. Lgs. n. 152/1999 (la quale richiede “immissione diretta tramite condotta … nelle acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria”);

·        definizione dei rapporti fra la normativa sugli scarichi e quella sui rifiuti, quale oggi risulta dall’art. 36 del D. Lgs. n. 152/1999, come modificato dal D. Lgs. n. 258/2000 (che espressamente disciplina il “trattamento di rifiuti costituiti da acque reflue”)  e dall’art. 8, comma 1, lettera e),  del D. Lgs. n. 22/1997, che – dopo avere affermato come la normativa sui rifiuti non si applichi alle “acque di scarico” – esclude espressamente da tale concetto i “rifiuti allo stato liquido” (per i quali pertanto solo la normativa sui rifiuti trova applicazione);

·        allegato B del D. Lgs. n. 22/1997, che – al punto D15 - comprende fra le “operazioni di smaltimento” il “deposito preliminare prima di una di una delle operazioni di cui ai punti da D1 a D14 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti”;

·        art. 6, comma 1, lettera M, del D. Lgs. n. 22/1997, che detta analiticamente le condizioni di legittimità del “deposito temporaneo”, definito come “il raggruppamento dei rifiuti effettuato prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti”;

·        art. 28, comma 5, del D. Lgs. n. 22/1997, che esclude – per il deposito temporaneo “effettuato nel rispetto delle condizioni stabilite dall’art. 6, comma 1, lettera m” -  qualsiasi obbligo di autorizzazione preventiva;

·        allegato 5 della Delibera del Comitato interministeriale per la tutela delle acque del 4 febbraio 1977 (tuttora vigente ed applicabile secondo quanto espressamente previsto dall’art. 62, comma 7, del D. Lgs. n. 152/1999), secondo la quale l’accumulo di liquami su un suolo impermeabile o reso tale non costituisce scarico sul suolo.

 

 

 

6. Posizioni critiche espresse, rispetto a tale orientamento, dalla prevalente e più autorevole dottrina

 

Tutta la più recente ed autorevole dottrina si è espressa – conformemente a quanto osservato nel precedente paragrafo 5 – in senso fortemente critico rispetto all’orientamento giurisprudenziale esposto al paragrafo 4.

 

Fra le principali prese di posizione dottrinali, possono citarsi le seguenti:

·        l’accumulo in vasche a tenuta stagna rappresenta un fenomeno sottratto alla disciplina degli scarichi e compreso esclusivamente … nell’ambito della normativa sui rifiuti”; pertanto, “sono assolutamente non condivisibili” le affermazioni contenute nella sentenza della Cassazione citata al paragrafo 4 che precede[7];

·        è insostenibile la tesi che le vasche … dotate di idonea impermeabilizzazione … equivalgano al corpo ricettore costituito dal suolo; … tanto basta, perciò, per liquidare questa presa di posizione, a dir poco azzardata, della Suprema Corte[8];

·        l’equiparazione ad uno scarico dello stoccaggio di reflui in vasca a tenuta è un principio “decisamente inaccettabile[9].

 

 

 

7. L’orientamento giurisprudenziale che, correttamente recependo le chiare indicazioni della normativa vigente  e le prevalenti interpretazioni dottrinali,  sottopone lo stoccaggio di acque di rifiuto in vasche a tenuta soltanto alla normativa sui rifiuti

 

Diverse sentenze della Cassazione hanno opportunamente rovesciato – in modo completo ed esplicito – l’orientamento citato nel precedente paragrafo 4.

 

Si considerino, ad esempio, le seguenti chiarissime e recenti affermazioni della Suprema Corte:

·        a seguito dell’emanazione del D. Lgs. 11 maggio 1999, n. 152, … intendendosi per scarico l’immissione diretta in corpi ricettori, quando il collegamento tra lo scarico medesimo ed il corpo ricettore è interrotto, viene meno lo scarico (indiretto), per far posto alla fase di smaltimento del rifiuto liquido[10];

·        nel caso in cui il titolare di un insediamento produttivo, dopo l’eventuale stoccaggio del refluo, lo consegni quale rifiuto ad un terzo (impresa di autospurgo), il quale in base ad apposito accordo contrattuale provveda a smaltirlo, non si può parlare di scarico, neppure indiretto, soggetto ad autorizzazione…, ma si versa nell’ipotesi di conferimento di rifiuti speciali allo stato liquido a terzi i quali si obbligano a compiere determinate fasi del loro smaltimento[11].

 

 

 

8. Obblighi esistenti – ai sensi del D. Lgs. n. 22/1997 - a carico del produttore che intenda effettuare lo stoccaggio di acque di rifiuto in vasche a tenuta

 

Da quanto esposto nei paragrafi precedenti, risulta chiaramente che lo stoccaggio di acque reflue in vasche a tenuta non è soggetto ad autorizzazione allo scarico.

 

Va tuttavia precisato, e sottolineato con forza, che tale operazione non si svolge affatto in assenza di precisi obblighi normativi, che sono invece numerosi e la cui violazione è pesantemente sanzionata.

 

Ed infatti:

·        ove non sussista una autorizzazione per il deposito preliminare rilasciata ai sensi dell’art. 28 del D. Lgs. n. 22/1997, lo stoccaggio dei reflui liquidi in vasche a tenuta va effettuato nel rispetto di tutte le specifiche prescrizioni previste dall’ art. 6, comma 1, lettera m, del D. Lgs. n. 22/1997, che detta analiticamente le condizioni di legittimità del “deposito temporaneo”, ed in particolare delle prescrizioni riguardanti il rispetto dei volumi massimi consentiti, ovvero, in alternativa, delle frequenze massime di asporto consentite; la violazione di questo obbligo comporta l’applicazione delle sanzioni penali previste dall’art. 51, comma 1, del D. Lgs. n. 22/1997;

·        l’azienda è tenuta a verificare che il trasportatore e lo smaltitore finale siano in possesso delle autorizzazioni, iscrizioni o comunicazioni necessarie per trasportare e smaltire lo specifico rifiuto di cui si tratta; la violazione di questo obbligo comporta l’applicazione delle sanzioni penali previste dall’art. 51, comma 1, del D. Lgs. n. 22/1997;

·        ogni operazione di conferimento dei rifiuti liquidi al trasportato deve essere accompagnata dal formulario di identificazione e registrata (entro sette giorni) nel registro di carico e scarico dei rifiuti; la violazione di questi obblighi comporta l’applicazione delle sanzioni amministrative previste dall’art. 52, comma 2, del D. Lgs. n. 22/1997;

·        l’azienda è tenuta a verificare che ogni formulario venga restituito controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore, segnalando in caso contrario alla provincia la mancata ricezione del formulario; la violazione di questo obbligo rende il produttore “responsabile” di qualsiasi danno od illecito provocato dalla successiva gestione dei rifiuti (art. 10, comma 3, lettera b del D. Lgs. n. 22/1997).

 

 

 

9. Conclusioni

 

Alla luce di quanto esposto nei paragrafi che precedono, possono formularsi le seguenti conclusioni:

·        la gestione delle acque reflue che hanno origine da un insediamento produttivo può legittimamente avvenire attraverso lo stoccaggio in vasche a tenuta e il successivo conferimento dei rifiuti liquidi a un trasportatore abilitato al conferimento in impianto autorizzato;

·        la corretta interpretazione della legislazione vigente, confermata da tutta la più autorevole dottrina e dalla prevalente giurisprudenza, consente di escludere in modo certo che lo stoccaggio di acque reflue in vasche a tenuta sia soggetto ad autorizzazione allo scarico;

·        tuttavia lo stoccaggio di acque di rifiuto in vasche a tenuta ed il successivo conferimento a terzi sono soggetti a precisi obblighi normativi (elencati al paragrafo 8), la cui violazione è pesantemente sanzionata;

·        l’Amministrazione comunale è tenuta a rilasciare il certificato di agibilità qualora, in mancanza di autorizzazione allo scarico per le acque reflue provenienti dai servizi igienici, vi sia idonea garanzia che le stesse vengano stoccate in vasche a tenuta e successivamente conferite, nel rispetto del D. Lgs. n. 22/1997, a soggetti abilitati a trasportarle ad impianti autorizzati allo smaltimento;

·        al fine di acquisire la “idonea garanzia” di cui al punto che precede, l’Amministrazione comunale può richiedere alla Ditta interessata idonea documentazione (descrizione delle caratteristiche delle vasche a tenuta; contratti con trasportatore e smaltitore; iscrizioni all’Albo ed autorizzazioni in possesso di tali soggetti; copia del registro di carico e scarico disponibile per le annotazioni di legge).

 

 

 

K:DocumentiArea di lavoro (anno 2000)g-Appunti personaliavv. LucianoVARIEsito.vascheatenuta.doc



[1] L’art. 36 chiaramente considera il trasporto non canalizzato di rifiuti liquidi come soggetto al regime dei rifiuti stabilito dal D. Lgs. n. 22/1997 (v. in particolare il comma 7).

[2] Testo dell’art. 6, comma 1, lettera m) del D. Lgs. n. 22/1997: “m) deposito temporaneo: il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima  della  raccolta,  nel luogo in cui sono prodotti alle seguenti

condizioni:

      1)     i    rifiuti    depositati    non    devono    contenere policlorodibenzodiossine,                     policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli   in   quantità   superiore   a   2,5  ppm  népoliclorobifenile, policlorotrifenili in quantità superiore a 25 ppm;

      2)  i rifiuti pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento con cadenza almeno bimestrale indipendentemente  dalle quantità in deposito, ovvero in alternativa, quando  il quantitativo di rifiuti pericolosi in deposito raggiunge i 10  metri  cubi; il termine di durata del deposito temporaneo è di un anno  se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera i 10 metri cubi  nell'anno  o  se, indipendentemente dalle quantità, il deposito temporaneo  è  effettuato  in  stabilimenti  localizzati  nelle isole minori;

      3)  i  rifiuti non pericolosi devono essere raccolti ed avviati alle  operazioni  di  recupero  o  di  smaltimento con cadenza almeno trimestrale  indipendentemente dalle quantità in deposito, ovvero, in alternativa,  quando  il  quantitativo  di  rifiuti non pericolosi in deposito raggiunge i 20 metri cubi; il termine di durata del deposito temporaneo è di un anno se il quantitativo di rifiuti in deposito non supera  i  20  metri  cubi  nell'anno  o  se, indipendentemente dalle quantità,   il  deposito  temporaneo  è  effettuato  in  stabilimenti localizzati nelle isole minori;

      4)  il  deposito  temporaneo  deve  essere  effettuato per tipi omogenei  e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti  pericolosi,  nel  rispetto  dellle  norme che disciplinano i deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;

      5)   devono   essere   rispettate  le  norme  che  disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura dei rifiuti pericolosi”.

[3] Ai sensi degli artt. 6, comma 1, lettera m) del D. Lgs. n. 22/1997 citati nel paragrafo precedente.

[4] Cfr. Allegato B, punto D15 del D. Lgs. n. 22/1997, citato nel paragrafo precedente.

[5] Per una puntuale, recente, e completa ricostruzione del problema v., in dottrina, FIMIANI P., Acque, rifiuti e tutela penale, Milano, Giuffré, 2000, particolarmente pp. 209-210. In giurisprudenza cfr. fra le altre: prima dell’entrata in vigore delle recenti leggi-quadro, Cass., sezioni unite, 13 dicembre 1995, Forina, in Cass. Pen., 1996, f. 6, pp. 986 ss. (commento adesivo di GIAMPIETRO F.)  e Cass., sez. III, 26 giugno 1996, Cilento, in Ambiente-Ipsoa, 1996, f. 10, p. 813 (commento adesivo di BUTTI L.); successivamente all’entrata in vigore delle recenti leggi-quadro, Cass., sez. III, 3 agosto 1999, Belcari, in Ambiente-Ipsoa, 2000, f. 2, p. 182 (commento di RAMACCI L.).

[6] Cass., sez. III, 6 luglio 1999, Scrocca, in Ambiente-Ipsoa, 1999, f. 12, p. 1165 (commento critico di PAONE V.).

[7] FIMIANI P., Acque, rifiuti e tutela penale, Milano, Giuffré, 2000, p. 210 testo e nota 9.

[8] PAONE V., Commento a Cass., 6 luglio 1999, Scrocca, in Ambiente-Ipsoa, 1999, f. 12, p. 1169.

[9] GIAMPIETRO P., Variazioni sul tema. Lo scarico e i suoi attributi, in Ambiente-Ipsoa, 1999, f. 11, pp. 1013 e ss., e particolarmente pp. 1016 e 1017.

[10] Cass., sez. III, 3 agosto 1999, Belcari, in Ambiente-Ipsoa, 2000, f. 2, p. 182 (commento di RAMACCI L.).

[11] Cass., sez. III, 20 maggio 1999, n. 6369, per quanto risulta inedita, ma citata per esteso in GIAMPIETRO P., Variazioni sul tema. Lo scarico e i suoi attributi, in Ambiente-Ipsoa, 1999, f. 11, p. 1017, nota 16.