 Cass. Sez. III n. 22006 del 9 giugno 2010 (Ud. 13 apr. 2010)
Cass. Sez. III n. 22006 del 9 giugno 2010 (Ud. 13 apr. 2010)
Pres. Onorato Est. Sarno Ric. WWF Italia ed altri
Rifiuti. Reato di omessa bonifica
1.In assenza di un progetto definitivamente approvato, non può configurarsi il reato di cui all’art. 257 TUA. Non sembra possibile, alla luce del principio di legalità, stante il chiaro disposto normativo, estendere l’ambito interpretativo della nuova disposizione ricomprendendo nella fattispecie anche l’elusione di ulteriori adempimenti previsti dall’art. 242 TUA ed estendere quindi il presidio penale alla mancata ottemperanza di obblighi diversi da quelli scaturenti dal progetto di bonifica se non espressamente indicati. Occorre prendere atto, dunque, che la formulazione dell’art. 51 bis D.Lv 22/97 non è esattamente sovrapponibile a quella dell’art. 257 TUA.
2.Il secondo comma dell’art. 257 TUA prevede una circostanza aggravante e non già un'ipotesi autonoma di reato. La natura pericolosa delle sostanze produce, infatti, unicamente l’aggravamento del reato del comma I dell’art. 257 TUA senza incidere sulla esistenza dello stesso. Da qui la conseguenza che l’avvenuta bonifica secondo le disposizioni del progetto comporta indubbiamente l’estinzione del reato a prescindere dalla natura (pericolosa o meno) delle sostanze inquinanti.
3.Ai decreti legislativi di cui alla Legge delega 308\04 era tra l’altro attribuita anche la potestà di integrare il sistema sanzionatorio penale pur senza alterare i limiti di pena previsti in precedenza, purché giustificata dalla necessità di garantire una più efficace tutela ambientale. Non sembra esporsi pertanto, in via di principio a specifici rilievi di costituzionalità - sotto il profilo dell’eccesso di delega - il sistema delineato dagli artt. 242 e 257 TUA che, attraverso la sanzione penale, per un verso persegue l’obiettivo di indurre chi inquina ad attivarsi tempestivamente per rimuovere le conseguenze dannose della propria condotta notiziando tempestivamente le autorità competenti del verificarsi degli eventi in grado di contaminare il sito e dall’altro si preoccupa di assicurare il corretto ed effettivo adempimento delle prescrizioni finalizzate alla bonifica del sito stesso.
4.Ai sensi dell’art. 250 DLvo 152/06 ove i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti previsti, le procedure e gli interventi di cui all’articolo 242 sono comunque realizzati d’ufficio dal comune territorialmente competente o dagli altri enti indicati dalla stessa disposizione. E dunque, poiché l’omessa comunicazione non pregiudica in realtà l’adozione del progetto di bonifica si deve necessariamente ritenere che di regola essa da sola non possa dar luogo ad un danno risarcibile per le associazioni qualora risulti comunque attivata la procedura per il progetto di bonifica.
5.L’interpretazione della norma penale deve necessariamente farsi carico anche del rispetto dei principi fondamentali in tema di responsabilità penale e, pertanto, non sembrano condivisibili  scelte ermeneutiche che facciano gravare sull’imputato inadempienze o ritardi delle amministrazioni competenti per la procedura di bonifica non ascrivibili ad alcun titolo anche a quest’ultimo. Anche per tale ragione, pertanto, non possono condividersi le conclusioni cui è pervenuta la Corte in altra occasione in cui si è ritenuto che la permanenza del reato inizi a decorrere dall’evento inquinamento e l’osservanza delle disposizioni del progetto di bonifica sia apprezzabile come causa di non punibilità di fatto rilevante solo se la procedura amministrativa si esaurisca comunque prima della conclusione del giudizio penale.
UDIENZA del 13.04.2010
SENTENZA N. 699
REG. GENERALE N. 12284/2009
 REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Sez. III Penale
 Composta dagli ill.mi Sigg.ri Magistrati:
 Dott. Pierluigi Onorato                                 - Presidente -
 "       Alfredo Teresi                                     - Consigliere -
 "       Claudia Squassoni                              - Consigliere -
 "       Guicla I. Mulliri                                    - Consigliere -
 "       Giulio Sarno                                        - Rel. Consigliere -
 ha pronunciato la seguente
 SENTENZA
 - sul ricorso proposto da:
 1) WWF ITALIA ONLUS IN PROPRIO E IN SOST. PROVINCIA TRIESTE
 2) CLUB AUTONOMO DEI SOCI TRIESTE DI FRIENDS OF THE EARTH
 3) MAllOCCO ALDO N. IL 02/09/1961
 4) RUSSO CIRILLO LUCIO N. IL 25/05/1958
 5) LEGHISSA ERVINO N. IL 18/06/1961
1) DAL BEN CORRADO N. IL 05/05/1969
- avverso la sentenza n.  122/2007  CORTE APPELLO di TRIESTE, del 23/06/2008
 - visti gli atti, la sentenza e il ricorso
 - udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/04/2010 la GIULIO SARNO
 - Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Montagna Alfredo  che ha  concluso per l'accoglimento del ricorso pp.cc. con rinvio alla Corte di  Appello  civile, in subordine rimessione alle SS.UU.. In ulteriore subordine  q.l.c   artt. 242 e 257 in relazione all'art. 1 L. 308/2004 per eccesso di  delega.  Rigetto dei ricorsi degli imputati.
- Uditi difensor Avv.ti.  Giangrassi  Alessandro; Franchini Antonio; Denclato Francesco; Cagnin Cristiane  sost. proc.
 
 1. 1 Mazzocco Aldo, Russo Cirillo Lucio, e Leghissa Ervino, unitamente a  Del Ben  Corrado risultano tratti a giudizio dinanzi al tribunale di Trieste in  composizione monocratica per rispondere dei seguenti reati:
 - capo 2) concorso nella contravvenzione di cui all'articolo 51 d. L.vo  n. 22/97  per avere, Mazzocco quale legale rappresentante della Marina Muja S.p.A.  (poi  Porto San Rocco S.p.A.), società produttrice di rifiuti, Leghissa quale  rappresentante della Duino scavi SNC, società trasportatrice dei  rifiuti, Russo  Cirillo quale responsabile della discarica prima e quale direttore dei  lavori  presso il cantiere Acquario poi, Del Ben quale gestore del medesimo  cantiere,  realizzato una discarica non autorizzata di rifiuti pericolosi, mediante   collocamento a mare di circa 120.000 mc di materiale pericoloso,  costituito da  terre e rocce da scavo contenenti sostanze inquinanti, lungo la linea  costiera  tra Punta Sottile e Punta Olmi del comune di Muggia dal 24/2/1998 al  13/2/2003;
 - capo 3) concorso nella contravvenzione di cui all'art. 51 bis d. L.vo  n.22/97  per avere, nelle medesime qualità di cui al capo precedente, cagionato  l'inquinamento od il pericolo di inquinamento della costa prospiciente  l'intervento suddetto e per non avere provveduto alla bonifica secondo  procedimento di legge dal 24/2/1998 al 13 2/2003;
 - capo 4) concorso nella contravvenzione di cui all'art. 734 per avere,  nelle  medesime qualità e con le condotte indicate ai capi precedenti,  distrutto le  bellezze naturali dei luoghi soggetti a speciale protezione.
 Va precisato che solo in sede di discussione e, più precisamente in  occasione  delle repliche, il pm, in primo grado, ha aggiunto al capo 3) la  seguente  espressione, "e non provvedevano alla bonifica secondo procedimento di  cui  all'articolo 17".
 1. 2 Con sentenza in data 24 novembre 2006 il tribunale di Trieste ha  affermato  la penale responsabilità degli imputati con riferimento al capo 3), come   modificato, condannando gli imputati alla pena di giustizia ed in solido  al  risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite Regione  Friuli  Venezia Giulia, Comune di Muggia, Acquario S.r.l., Inmest S.r.l., Amici  della  terra di Trieste, WWF Onlus in proprio ed in sostituzione della  provincia di  Trieste, danni da liquidarsi in separata sede, oltre al pagamento di una   provvisionale in favore delle costituite parti civili. Ha dichiarato  invece non  doversi procedere nei confronti dei quattro imputati per intercorsa  prescrizione  con riferimento alle contravvenzioni dei capi 2) e 4).
 2. 1 La corte di appello di Trieste, con la sentenza in epigrafe, in  parziale  riforma della decisione di primo grado, ha assolto gli imputati in  relazione al  capo 3) - unico reato per cui avevano riportato condanna in primo grado -  perché  il fatto non sussiste in relazione agli obblighi di comunicazione.
 E ciò sul presupposto che l'obbligo di immediata comunicazione del  verificarsi  di un evento potenzialmente contaminante era stato espressamente  penalizzato  solo dall'articolo 257 D. L.vo n. 152/06, successivo ai fatti in  contestazione.
 1
 2. 2 Ha poi riqualificato il fatto relativo alla omessa bonifica del  sito  inquinato come reato previsto e punito dal combinato disposto degli  articoli 242  e 257 dLvo 152/06, assolvendo gli imputati perché il fatto non  costituisce reato  per difetto della condizione di punibilità di cui al comma uno, primo  periodo,  dell'articolo 257.
 Conseguentemente ha revocato le statuizioni civili della gravata  sentenza  confermandola nel resto e condannandola parte civile appellante WWF  Onlus al  pagamento delle spese del grado di giudizio.
 2. 3 Ha confermato invece le statuizioni della sentenza impugnata per i  capi 2)  e 4) evidenziando le ragioni per le quali non ha ritenuto possibile il  riconoscimento di formule assolutorie per tali reati dichiarati  prescritti in  primo grado.
 3. 1 Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione tre dei  quattro  imputati, il WWF Onlus e, in via incidentale, l'associazione degli amici  della  terra di Trieste.
 3.2 In particolare i ricorrenti eccepiscono:
 a) Mazzocco
 1) mancanza, contraddittoria e manifesta illogicità della  motivazione in  punto di provenienza e di qualificazione come rifiuto del materiale  inquinante  riversato nel sito Acquario, nonché in punto di ignoranza scusabile del  precetto  penale con riferimento al regime giuridico delle terre rocce di scavo.  Si rileva  al riguardo che gli unici elementi emersi dall'istruttoria di primo  grado  consentivano di concludere che i materiali eventualmente provenienti da  Porto  San Rocco sarebbero consistiti solo ed esclusivamente in terre e rocce  di scavo  e non già in materiali ferrosi da demolizione e che, in ogni caso, nel  dubbio,  doveva prevalere la formula assolutoria piena. In relazione alla  qualificazione  del materiale sversato come rifiuto si rileva che il quadro normativo  appare  estremamente complesso e, in ogni caso, il fatto non é sussumibile in  alcuna  fattispecie penale non essendo all'epoca dei fatti entrato in vigore il  DM  471/99;
 2) contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine  alla  qualificabilità della omessa procedura di bonifica di cui all'articolo  257 d Lvo  152/06 sia come condizione di punibilità che di procedibilità;  violazione di  legge avendo la corte di merito in motivazione erroneamente affermato,  non  tenendo conto dei principi sul giudicato, che il verificarsi della  condizione di  punibilità in un momento successivo non avrebbe compromesso  l'accertamento  penale in quanto ai sensi dell'articolo 158 cod. pen. la prescrizione  decorre  alla solo dal giorno in cui la condizione si è verificata;
 3) mancanza di motivazione in relazione alla richiesta di  proscioglimento dal  reato rubricato al capo 3) dell'imputazione perché il fatto non sussiste  o non é  previsto dalla legge come reato in relazione alla sopravvenienza del DM  471/99  rispetto al fatto contestato posto che ai sensi dell'articolo 257 DLvo  152/06  l'inquinamento deve superare la concentrazione della soglia di rischio.
 b) Russo Cirillo
 1) mancata declaratoria di assoluzione perché il fatto non sussiste o   l'imputato non lo ha commesso o comunque non è previsto dalla legge come  reato  in relazione ai capi 2) e 4); contraddittorietà e/o manifesta illogicità  della  motivazione rilevandosi dall'esame delle testimonianze che il materiale  complessivo, o quanto meno la quota di esso di gran lunga più rilevante,   proveniva comunque da Porto San Rocco e non rivestendo l'imputato la  qualità di  direttore dei lavori all'interno di tale sito;
 2) violazione degli articoli 129 e 530 c.p.p. mancata declaratoria di  assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso  o  comunque non è previsto dalla legge come reato riguardo al capo 2);  contraddittorietà e/o manifesta illogicità della decisione. Si rileva  che la  mancata certezza sulla circostanza che il materiale fosse uscito dal  sito di  Porto San Rocco avrebbe dovuto condurre alla formula assolutoria  quantomeno ai  sensi dell'articolo 530, comma secondo cpp.
 c) Ervino Leghissa
 1) inosservanza o erronea applicazione della legge penale laddove ha   qualificato come rifiuti le terre di risulta trasportate dalla società  gestita  dall'imputato, avendo la decisione di appello sostanzialmente ribaltato  l'onere  della prova al riguardo e non essendovi alcuna certezza sulla  circostanza che il  materiale contestato non fosse costituito da terre o rocce di scavo;
 2) manifesta contraddittorietà, illogicità della motivazione laddove ha  attribuito al Leghissa quale ipotesi concorsuale la partecipazione ai  reati di  gestione di discarica abusiva e omessa bonifica non essendovi prova agli  atti  che la società da quest'ultimo gestita avesse consegnato alla società  Acquario  materiale diverso dalle terre rocce di scavo;
 3) mancanza contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione  laddove  a fronte di un ragionevole dubbio la corte di appello, anziché  pronunciare  proscioglimento con formula ampia, ha emesso sentenza assolutoria per  prescrizione e perché il fatto non costituisce reato per difetto di  condizioni  di procedibilità;
 4) inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, di  inutilizzabilità, di inammissibilità o decadenza; violazione degli  articoli 516,  518 e 521 c.p.p. in relazione all'ordinanza del tribunale di Trieste che  ha  autorizzato la modifica del capo d'imputazione in udienza, anziché  rimettere gli  atti al PM, trattandosi di fatto nuovo; ovvero per avere autorizzato il  PM alla  modifica pur essendo il processo giunto alle repliche successive agli  interventi  finali delle parti.
 WWF Italia Onlus
 1) inosservanza del erronea applicazione della legge penale con  riferimento  agli articoli 17 e 51 bis del DLGS 22/97 ed agli articoli 240, 242 e 257  DLgs  153/06; in subordine eccezione di incostituzionalità per violazione  degli  articoli 25 secondo comma, - principi di tassatività determinatezza -,  76 -  criteri della legge delega 308 del 2004 -, 97 - principio di logicità  dell'azione amministrativa -, Cost. degli articoli 240, 242 e 257 del  DLGS  152/06.
 
 In relazione al capo 3) si censurano entrambe le assoluzioni formulate  dalla  corte di appello che ha concluso con la formula per non aver commesso il  fatto  in relazione al comportamento omissivo della comunicazione e che ha  assolto gli  imputati per ciò che concerne l'omessa bonifica del sito inquinato  perché il  fatto non costituisce reato. In questo modo ad avviso del ricorrente si  sarebbe  verificato il paradosso che pure in presenza di una delega legislativa  che  imponeva di non modificare i contenuti sanzionatori della disciplina  previgente  la corte di appello di Trieste ha ritenuto di dover riformare la  sentenza emessa  dal tribunale di Trieste in conseguenza dello ius superveniens.  Si rileva  inoltre che il rispetto degli obblighi quali la mancata comunicazione,  l'omessa  adozione delle misure, l'omessa effettuazione dell'indagine preliminare  nei  termini di legge, l'omessa redazione del progetto di bonifica previsti  dall'articolo 51 bis, ecc. non risulta sostanzialmente modificato dal  TUA se non  nel senso di aver distinto all'art. 257 un'autonoma espressione  sanzionatoria  per la mancata comunicazione. Si rileva inoltre che qualora si acceda  alla tesi  della introduzione di una condizione di punibilità si debba  necessariamente  ritenere che la stessa si verifichi nel momento in cui il responsabile  dell'inquinamento abbandona il procedimento delineato dall'articolo 242 o   allorquando si verifichi comunque un arresto del procedimento  amministrativo di  bonifica, in quanto diversamente opinando, e cioè ritenendo che la  condizioni si  verifichi solo all'esito della procedura di adempimento del piano di cui   all'art. 242, l'imputato sarebbe disincentivato ad operarsi per seguire  la  procedura volta a far approvare il progetto di bonifica;
 2) Erronea applicazione della legge penale con riferimento all'articolo  257  secondo comma del DLGS. 152/2006 - relativa ai rifiuti pericolosi - che,  secondo  il ricorrente rappresenta fattispecie autonoma di reato e non una  ipotesi  aggravata e che, di conseguenza, non è assoggettata alla previsione del  comma 4  come invece ritenuto dalla corte di appello;
 3) Violazione dell'articolo 592 c.p.p. avendo erroneamente la corte di  appello  condannato la parte civile WWF, ammessa al patrocinio a carico dello  Stato nel  presente procedimento, al pagamento delle spese processuali a seguito di  rigetto  dell'impugnazione.
 Il club autonomo dei soci d' Trieste di Friends of the Earth ha  infine  proposto ricorso incidentale deducendo plurime violazioni ai sensi  dell'articolo  606 lettere a), b), c), d), e) rilevando che la normativa vigente non  consente  l'autorizzazione a realizzare discariche a mare; che la creazione di un  terrapieno di scarichi a mare è stato consentito contro legge dalle  autorità  competenti; che nel corso del processo sono emerse notizie di reato  circa  l'ulteriore discarica di inquinanti da porto San Rocco nella zona di  Monfalcone,  che l'Italia è stata condannata in sede europea anche per la discarica  Acquario;  che il sequestro preventivo dell'area non è idoneo a interrompere la  permanenza  dell'obbligo di bonifica; che vi è in ogni caso prevalenza delle  disposizioni  comunitarie, e chiede trasmettersi gli atti alla procura della  Repubblica presso  il tribunale di Trieste per le ulteriori ipotesi di reato segnalate a  carico dei  responsabili delle amministrazioni pubbliche nonché dei proprietari ed  amministratori di Porto San Rocco e del terrapieno di scarico Acquario.  Si  chiede inoltre il rinvio pregiudiziale degli atti alla corte di  giustizia  europea verificandosi conflitto tra la normativa nazionale e quella  comunitaria.
 Il difensore del WWF ha depositato per l'odierna udienza note difensive  con le  quali sostanzialmente ribadisce le doglianze dedotte con i motivi di  ricorso.
 4. 1 I ricorsi, salvo quanto si dirà per il terzo motivo dedotto dal  WWF, sono  infondati e vanno pertanto rigettati.
 Esaminando le questioni poste dai singoli ricorrenti si rileva, infatti,  quanto  segue.
 4.2 Mazzocco
 1) in ordine al primo motivo osserva il Collegio che la difesa del  ricorrente opera una duplice contestazione rispetto alla decisione di  appello  che ha dichiarato prescritto il reato di discarica abusiva di cui al  capo 2).
 Anzitutto contesta, infatti, che dai cantieri di Porto San Rocco siano  fuoriusciti materiali diversi dalle terre rocce di scavo escludendo  anche che  all'epoca dei fatti, anche per effetto della mancata introduzione delle  disposizioni di cui al DM 471/99 concernenti i limiti di accettabilità  delle  concentrazioni inquinanti, le terre e rocce di scavo potessero essere  considerati rifiuti.
 Sul punto tuttavia la corte di merito ha adeguatamente risposto  evidenziando:
 a) che nella discarica Acquario era stato abbancato anche materiale da  demolizione, richiamando in proposito le fotografie in atti e le  testimonianze  assunte ed ha rilevato che non vi erano elementi che escludessero con  certezza  la riferibilità di tale materiale (da demolizione) al cantiere in  questione.
 b) che la presenza di materiale di demolizione rendeva superflua  qualsiasi  discussione sulla natura di rifiuto delle terre e rocce di scavo.
 Le conclusioni sub a) sono evidentemente insindacabili in questa sede in  cui,  come più volte affermato, in presenza dell'avvenuta prescrizione del  reato, non  può essere sollecitato l'annullamento della decisione impugnata per  ulteriori  accertamenti, né del pari può essere richiesta una più favorevole  formula  assolutoria in quanto, in presenza di causa estintiva del reato, la  corte di  cassazione, non avendo potere di valutazione delle prove, può applicare  una  formula assolutoria preferenziale solo quando la prova di esclusione  (della  sussistenza del fatto, della commissione di questo da parte  dell'imputato o  della integrazione di un paradigma legale) risulti dalla stessa sentenza   impugnata, ovvero emerga da atto diverso con caratterizzazione di  certezza e di  evidenza tale da non imporre disamina critica e valutativa ne'  consentire  confutazione alcuna.
 Va esaminata allora la seconda doglianza prospettata dal ricorrente e,  cioè,  quella relativa alla mancata ritenuta prevalenza da parte del giudice di  appello  del proscioglimento nel merito anche nell'ipotesi di prova incompleta o  contraddittoria.
 Il ricorrente evidenzia sul punto l'esistenza di difformi orientamenti  giurisprudenziali di legittimità sollecitando anche la rimessione della  questione alle Sezioni Unite.
 Sul punto occorre tuttavia rilevare come di recente le Sezioni Unite  abbiano in  effetti già affrontato la questione stabilendo che all'esito del  giudizio, il  proscioglimento nel merito, in caso di contraddittorietà o insufficienza  della  prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di  non  punibilità, salvo che, in sede di appello, sopravvenuta una causa  estintiva del  reato, il giudice sia chiamato a valutare, per la presenza della parte  civile,  il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, oppure ritenga   infondata nel merito l'impugnazione del P.M. proposta avverso una  sentenza di  assoluzione in primo grado ai sensi dell'art. 530, comma secondo, cod.  proc. pen..  (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 Rv. 244273).
 Il che non si è verificato nella specie risultando circoscritto già in  primo  grado il riconoscimento del danno in favore della parte civile al solo  capo 3).
 2) Per quanto concerne il secondo motivo si contesta l'affermazione  della corte  di merito, invero incidentale, secondo cui l'assoluzione dell'imputato  dal reato  di cui al capo 3) - omessa bonifica - per mancanza della condizione di  punibilità non precluderebbe il successivo esercizio dell'azione penale  nel caso  in cui si riscontrasse in seguito la mancata ottemperanza alle  disposizioni del  progetto approvato ai sensi dell'art. 242 D. L.vo n. 152/06.
 Orbene, nel rinviare a quanto si dirà oltre sulla struttura del reato di  cui  all'art. 257 DLvo 152/06, si deve nello specifico rilevare come la  questione non  possa essere sollevata in questa sede in quanto non assistita da un  interesse  concreto ed immediato.
 Ed in effetti la tesi giuridica criticata dal ricorrente non è rilevante  nel  presente processo non avendo alcun riflesso sulla decisione relativa al  reato  contestato. Inoltre - appunto per la sua natura di tesi giuridica  incidentale -  non è vincolante neppure per l'ipotizzato processo futuro.
 Peraltro questioni circa la sussistenza di un pregresso giudicato, a  prescindere  dalla loro fondatezza, potranno formare oggetto di esame solo nel corso  dell'eventuale nuovo procedimento penale non potendo la soluzione della  questione medesima prescindere dal contenuto della nuova contestazione.
 3) In ordine al terzo motivo la corte di appello, pur evidenziando le  ragioni  della non completa sovrapponibilità delle due disposizioni, ha concluso  richiamando l'orientamento già espresso da questa Sezione (Sez. 3, n.  26479 del  14/03/2007 Rv. 237134), secondo cui tra l'art. 51 bis DLvo 22/97 e  l'art. 257  DLvo 152/06 è ravvisabile un rapporto di continuità normativa,  nell'ambito del  quale la seconda disposizione si pone come norma più favorevole, ed è  giunta  alla formula assolutoria sul rilievo che nella specie non si è  realizzata la  condizione di punibilità rappresentata dall'approvazione del progetto di   bonifica.
 Va in vero aggiunto che questa Sezione, successivamente alla decisione  citata, è  tornata sull'argomento precisando che per la configurabilità del reato  di omessa  bonifica dei siti inquinati (art. 257, D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152) è  necessario ora il superamento della concentrazione soglia di rischio  (CSR)  nonchè l'adozione del progetto di bonifica previsto dall'art. 242 del  citato  decreto ed ha concluso che con l'introduzione del Decreto n. 152, art.  257, la  consumazione del reato non può prescindere dall'adozione del progetto di   bonifica ex art. 242 (Sez. 3, n. 9492 del 29/01/2009 Rv. 243115).
Il che va senz'altro  ribadito in  questa occasione in quanto la nuova fattispecie (art. 257 TU)  effettivamente  prevede ora che la bonifica debba avvenire in conformità al progetto  approvato  dall'autorità competente nell'ambito del procedimento di cui agli  articoli 242 e  seguenti - che regola la procedura di caratterizzazione ed il progetto  di  bonifica -, così superando la formulazione dell'art. 51 bis DLvo 22/97  che si  limitava a prevedere la bonifica secondo il procedimento di cui  all'articolo 17.
 Si deve ritenere, dunque, che, come evidenziato anche in dottrina, in  assenza di  un progetto definitivamente approvato, non possa nemmeno essere  configurato il  reato di cui all'art. 257 TUA.
 In considerazione di quanto detto si deve ritenere sufficiente la  mancata  approvazione del progetto di bonifica per escludere la configurabilità  del reato  in questione e si appalesa superfluo allo stato l'esame di qualsiasi  ulteriore  questione - quale quella della vigenza delle disposizioni del DM 471/99.
 4.3 Russo Cirillo.
 1) In ordine al primo motivo dedotto, relativo ai capi 2) e 4), non  si  condividono i rilievi concernenti la contraddittorietà della motivazione  posto  che, come lo stesso ricorrente evidenzia, citando la testimonianza  Nider,  quest'ultimo aveva in realtà affermato che non tutto il materiale  proveniva da  Porto San Rocco ed, in ogni caso, essendo contestata come detto in  precedenza,  la presenza di materiali da demolizione e non solo di terre e rocce di  scavo.
 2) Non è sindacabile in questa sede, coinvolgendo aspetti di merito, la  doglianza sulla adeguatezza degli elementi in atti per giustificare la  più  favorevole pronuncia assolutoria ai sensi dell'art. 530 capoverso cpp.
 Come di recente affermato dalle SU di questa Corte occorre ribadire,  infatti,  che in presenza di una causa di estinzione del reato il giudice è  legittimato a  pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 comma secondo,  cod.  proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere  l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte  dell'imputato e la  sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non  contestabile,  così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo  appartenga più  al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi",  che a  quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi  necessità di  accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 Rv.  244274)
 Per il resto, si rimanda a quanto detto per la posizione Mazzocco,  rispondendo  al primo motivo di ricorso a proposito del proscioglimento nel merito  nell'ipotesi di prova incompleta o contraddittoria.
 4.4 Ervino Leghissa
 1) In ordine al primo motivo la corte di merito spiega alle pag. 42 e  ss. le  ragioni per le quali non ha ravvisato l'evidenza probatoria necessaria  per  pronunciare una assoluzione con formula più favorevole al Leghissa  evidenziando,  in particolare, che il materiale inquinato proveniva da porto San Rocco  per il  tramite della Duino Scavi. Né in questa sede possono essere formulati  rilievi  sul merito delle conclusioni.
 2) quanto al secondo motivo, si appalesano sostanzialmente di merito  anche i  rilievi concernenti il mancato conferimento di materiali diversi dalle  terre  rocce di scavo e l'esistenza di una attività di sversamento imputabile a  terzi  estranei. Appare infine corretta anche la risposta sui metodi di  accertamento  dell'attività contestata.
 3) in ordine al terzo motivo si richiamano le considerazioni già svolte  in  precedenza esaminando la posizione degli altri due ricorrenti sul  concetto di  evidenza probatoria idonea ad escludere la declaratoria di prescrizione  del  reato e sul proscioglimento nel merito nell'ipotesi di prova incompleta.
 4) in ordine al quarto motivo in realtà, come correttamente evidenziato  dal  giudice di merito, il pubblico ministero si è limitato a integrare la  contestazione menzionando la mancata bonifica con riferimento alle  condizioni  indicate dall'articolo 17 DLvo. 22/97. Peraltro ciò è avvenuto  riportando il  dato testuale della norma già contestata senza la indicazione di  ulteriori  elementi fattuali.
 Ciò posto, stante la concessione del termine a difesa a seguito della  integrazione della contestazione da parte del PM, si deve escludere  nella specie  la possibilità di configurare alcuna nullità specifica o di ordine  generale, in  quanto nessuna disposizione del codice contempla la nullità invocata dal   ricorrente e nemmeno quest'ultimo indica in realtà quale pregiudizio sia  stato  arrecato al diritto di difesa per effetto della contestazione in  udienza.
 4.5 Venendo ora alle questioni sollevate dalle parti civili si rileva  quanto  segue.
 WWF Italia Onlus
 1) In ordine al primo motivo dedotto sembra in premessa opportuno  chiarire  anzitutto i limiti della delega contenuti nella legge Legge 15 dicembre  2004, n.  308 concernente il riordino, il coordinamento e l'integrazione della  legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione.
 Sostiene infatti il ricorrente l'esistenza di un palese paradosso per  cui, pure  in presenza di una delega che imponeva di non modificare i contenuti  sanzionatori della disciplina previgente, la corte di appello ha  ritenuto di  dover riformare la decisione di primo grado in conseguenza dello ius  superveniens per un verso assumendo che l'obbligo di immediata  comunicazione  del verificarsi di un evento potenzialmente contaminante sarebbe stato  espressamente penalizzato solo dall'articolo 257 TUA; per altro verso  non  ritenendo sufficiente ad integrare l'omissione di bonifica la mancata  adozione  delle misure di messa in sicurezza in assenza dell'approvazione del  progetto di  bonifica.
 Da qui il rilievo da parte del ricorrente di incostituzionalità delle  disposizioni dell'articolo 257 TUA nella lettura fattane dalla corte di  merito.
 Tali prospettazioni non possono essere condivise.
 Sembra opportuno al riguardo evidenziare immediatamente che l'art. 1  comma 8  della legge delega stabiliva che: "I decreti legislativi di cui al  comma 1 si  conformano, nel rispetto dei principi e delle norme comunitarie e delle  competenze per materia delle amministrazioni statali, nonché delle  attribuzioni  delle regioni e degli enti locali, come definite ai sensi dell'articolo  117  della Costituzione, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e del decreto  legislativo  31 marzo 1998, n. 112, e fatte salve le norme statutarie e le relative  norme di  attuazione delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di  Trento  e di Bolzano, e del principio di sussidiarietà, ai seguenti principi e  criteri  direttivi generali:
 (omissis)
 lett. i) garanzia di una più efficace tutela in materia ambientale  anche  mediante il coordinamento e l'integrazione della disciplina del sistema  sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i limiti di pena e   l'entità delle sanzioni amministrative già stabiliti dalla legge;
 (omissis).
 Da quanto sopra si rileva che in realtà ai decreti legislativi era  tra  l'altro attribuita anche la potestà di integrare il sistema  sanzionatorio penale  pur senza alterare i limiti di pena previsti in precedenza, purché  giustificata  dalla necessità di garantire una più efficace tutela ambientale.
 Non sembra esporsi pertanto, in via di principio a specifici rilievi di  costituzionalità - sotto il profilo dell'eccesso di delega - il sistema  delineato dagli artt. 242 e 257 TUA che, attraverso la sanzione penale,  per un  verso persegue l'obiettivo di indurre chi inquina ad attivarsi  tempestivamente  per rimuovere le conseguenze dannose della propria condotta notiziando  tempestivamente le autorità competenti del verificarsi degli eventi in  grado di  contaminare il sito e dall'altro si preoccupa di assicurare il corretto  ed  effettivo adempimento delle prescrizioni finalizzate alla bonifica del  sito  stesso.
 Fatta questa premessa, ritiene il Collegio che debba comunque escludersi  nella  specie l'interesse a ricorrere dell'Ente in questione limitatamente al  reato di  omessa comunicazione.
 Si deve premettere al riguardo che, come più volte affermato da questa  Corte, il  diritto al risarcimento in favore delle associazioni ambientaliste  riconosciute  ai sensi dell'art.13 L. n. 349 del 1986 consegue al danno ambientale.
 Rispetto all'art. 257 TUA di regola quest'ultimo può essere ravvisato  solo in  ragione del fatto sostanziale della inottemperanza alle previsioni del  progetto  di bonifica in quanto ciò può essere indubbiamente rilevante in termini  di  pregiudizio per il ripristino ambientale.
 Diverse considerazioni devono essere fatte invece per la omessa  comunicazione.
 Vero è infatti che la sanzione penale in questo caso è strumentale al  diretto  coinvolgimento di colui il quale ha cagionato l'inquinamento nelle  procedure di  bonifica in conformità al principio del "chi inquina paga".
 Va considerato, tuttavia, che ai sensi dell'art. 250 DLvo 152/06 ove i  soggetti  responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli  adempimenti  previsti, le procedure e gli interventi di cui all'articolo 242 sono  comunque  realizzati d'ufficio dal comune territorialmente competente o dagli  altri enti  indicati dalla stessa disposizione.
 E dunque poiché l'omessa comunicazione non pregiudica in realtà  l'adozione del  progetto di bonifica si deve necessariamente ritenere che di regola essa  da sola  non possa dar luogo ad un danno risarcibile per le associazioni qualora  risulti  comunque - come nella specie - attivata la procedura per il progetto di  bonifica.
 Di qui l'irrilevanza anche della prospettata questione di illegittimità  costituzionale e la preclusione a trattare le questioni specificamente  sollevate  dalla parte civile in relazione al reato de quo.
 Il rilievo di cui sopra non riguardare evidentemente, invece, la diversa   fattispecie di omessa bonifica.
 Rispetto a quest'ultimo reato si deve tuttavia ribadire quanto detto in  precedenza e, cioè, che la configurabilità di esso richiede  necessariamente il  superamento della concentrazione soglia di rischio (CSR) e  l'inottemperanza alle  disposizioni impartite nel progetto di bonifica previsto dall'art. 242  del  citato decreto.
 Non sembra possibile, dunque, alla luce del principio di legalità,  stante il  chiaro disposto normativo, estendere l'ambito interpretativo della nuova   disposizione ricomprendendo nella fattispecie anche l'elusione di  ulteriori  adempimenti previsti dall'art. 242 TUA ed estendere quindi il presidio  penale,  come sollecita il ricorrente, alla mancata ottemperanza di obblighi  diversi da  quelli scaturenti dal progetto di bonifica se non espressamente  indicati.
 Occorre prendere atto, dunque, che la formulazione dell'art. 51 bis DLvo  22/97  non è esattamente sovrapponibile a quella dell'art. 257 TUA e che per i  principi  valevoli in tema di successione di leggi penali gli imputati non possono   continuare a rispondere di condotte non più direttamente sanzionate.
 Né la disposizione in esame sembra violare i principi di tassatività e  determinatezza, o i principi di logicità dell'azione amministrativa o i  principi  della legge delega (peraltro, come in precedenza, ancora una volta non  indicati  dal ricorrente).
 Il sistema in vigore, persegue evidentemente lo scopo di favorire la  bonifica  secondo le indicazioni scaturenti dal progetto attraverso l'incentivo  rappresentato dalla non punibilità - in precedenza non prevista - non  solo per  il reato di cui all'art. 257 ma anche di tutti gli altri reati  ambientali  contemplati per il medesimo fatto (art. 257 u.c.); reati questi ultimi  per i  quali nel frattempo - come accaduto nella specie - non si pongono  ostacoli per  continuare a procedere in sede penale.
 Si è dunque in presenza di scelte affidate alla discrezionalità propria  del  legislatore e, pertanto, in quanto tali sottratte a qualsiasi  valutazione in  questa sede.
 2) Infondato appare anche il secondo motivo.
 Il secondo comma dell'art. 257 TUA correttamente è stato ritenuto nella  sentenza  impugnata circostanza aggravante e non già ipotesi autonoma di reato.
 La natura pericolosa delle sostanze produce, infatti, unicamente  l'aggravamento  del reato del comma 1 dell'art. 257 TUA senza incidere sulla esistenza  dello  stesso.
 Da qui la conseguenza che l'avvenuta bonifica secondo le disposizioni  del  progetto comporta indubbiamente l'estinzione del reato a prescindere  dalla  natura (pericolosa o meno) delle sostanze inquinanti.
 Tale lettura tiene conto anche della circostanza, certamente non  irrilevante per  la valutazione di conformità ai principi costituzionali, di assicurare  una  interpretazione conforme alla esigenza di dare concreta attuazione al  principio  di riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali contenuto nella  legge  delega (art. 1 co. 8 lett. f).
 
 Ed infatti il trattamento premiale delle iniziative necessarie al  ripristino  ambientale tanto più si giustifica quanto maggiore può essere il danno  per  l'ambiente e, dunque, appare senz'altro incoerente ritenere sotto il  profilo  interpretativo che proprio nel caso in cui l'inquinamento possa  rivelarsi  maggiormente dannoso, in quanto le sostanze inquinanti sono di natura  pericolosa, il legislatore abbia inteso soprassedere o non incentivare  le  iniziative necessarie alla bonifica da parte di [colui] il quale ha  cagionato l'  inquinamento.
 Rimane, infine, da chiarire che, rispetto ai reati diversi da quello  dell'art.  257 TUA il comma 4 della norma citata contempla una vera e propria causa  di non  punibilità che, pertanto, non può influenzare l'accertamento penale  nelle more  dell'approvazione del progetto di bonifica..
 3) Appare invece fondato il terzo motivo di ricorso nel senso che le  spese cui  la parte civile risulta condannata non possono che essere poste a carico  dello  Stato essendo stata la parte civile medesima ammessa al gratuito  patrocinio.
 Nessuna disposizione prevede invece che per il solo fatto di essere  ammessa al  gratuito patrocinio la parte civile non debba sottostare agli effetti  della  soccombenza, né in questa sede possono essere esaminate istanze tendenti  a  verificare l'opportunità della condanna.
 Quanto al ricorso del Club autonomo dei soci di Trieste di Friends of  the  Earth è appena il caso di rilevare che in questa sede il giudizio  deve  essere circoscritto alla verifica della legittimità della decisione sul  capo 3)  risultando per gli altri due capi contestati omessa qualsiasi  statuizione civile  per effetto della declaratoria di prescrizione in quanto maturata prima  del  giudizio di primo grado.
 Al riguardo non può che rimandarsi alle considerazioni già svolte sul  reato di  cui all'art. 257 DLvo 152/06 che servono a superare anche le obiezioni  del  ricorrente in tema di permanenza del reato, di prescrizione e sul  momento  consumativo di esso.
 Si appalesa tuttavia erroneo misurare la conformità delle disposizioni  del DLvo  152/06 ai principi comunitari senza tenere conto della circostanza che  la scelta  di sanzionare penalmente l'omessa bonifica va in realtà ad integrare e  rafforzare, il complesso degli ulteriori interventi già contemplati nel  citato  DLvo 152/06 per assicurare il ripristino ambientale.
 Il titolo II della parte sesta del DLvo 152/06 prevede, infatti, a  prescindere  dal reato in questione, specifiche disposizioni al riguardo ed anche  l'art. 242  TUA, più volte citato in precedenza, richiama espressamente l'art. 304  concernente l'azione di prevenzione.
 E di tutta evidenza, tuttavia, che l'interpretazione della norma penale  deve  necessariamente farsi carico anche del rispetto dei principi  fondamentali in  tema di responsabilità penale e, pertanto, non sembrano condivisibili  scelte  ermeneutiche che facciano gravare sull'imputato inadempienze o ritardi  delle  amministrazioni competenti per la procedura di bonifica se non  ascrivibili ad  alcun titolo anche a quest'ultimo. Anche per tale ragione, pertanto, non  possono  condividersi le conclusioni cui è pervenuta la Corte in altra occasione  (Sez. 1  2006, Rv 235255) in cui si è ritenuto che la permanenza del reato inizi a   decorrere dall'evento inquinamento e l'osservanza delle disposizioni del   progetto di bonifica sia apprezzabile come causa di non punibilità di  fatto  rilevante solo se la procedura amministrativa si esaurisca comunque  prima della  conclusione del giudizio penale.
 Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna alle spese per tutti i  ricorrenti,  fatto salvo il WWF.
 PQM
 Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nella parte in cui pone a  carico  della parte civile WWF Italia Onlus, anziché a carico dello Stato, le  spese  processuali del giudizio di appello. Rigetta nel resto il ricorso del  WWF nonché  le impugnazioni degli altri ricorrenti, condannando questi ultimi al  pagamento  delle spese processuali del presente grado di giudizio.
 Così deciso in Roma il 13.4.2010
 
 DEPOSITATA IN CANCELLERIA il  09 GIU. 2010
 
                    




