Con
l’entrata in vigore del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471 agli obblighi generici
previsti dall’art. 17 del D.Lgs 22/1997 è subentrato un sistema incentrato
su:
-
individuazione di appositi standards quale presupposto della contaminazione;
- piena operatività degli obblighi di bonifica e delle connesse sanzioni (civili e penali);
-
definizione della procedura per la bonifica da parte dei privati e
dell'intervento pubblico;
- effettività della funzione sociale della proprietà in chiave ambientale e di tutela della salute pubblica poiché gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale costituiscono onere reale sulle aree inquinate, cioè un peso che grava su di esse a prescindere dalla colpevolezza del proprietario.
Va precisato che la dottrina è da subito stata concorde nel ritenere la nuova disciplina priva di efficacia retroattiva e, quindi, limitata ai fatti di contaminazione verificatisi dopo l'entrata in vigore del decreto ministeriale (appunto il D.M. 25 ottobre 1999, n. 471) che avrebbe dovuto definire i limiti superati i quali sarebbero scattati gli obblighi di bonifica[1].
Pertanto per i fatti di contaminazione verificatisi dopo l'entrata in vigore del D.M. n. 471/1999 occorrerà verificare se il proprietario sia responsabile degli stessi. In questa ipotesi è obbligato alla bonifica e, se non provvede, risponde, in caso di intervento del Comune, con tutto il suo patrimonio (scatterà inoltre il meccanismo onere reale-privilegio speciale immobiliare).
Diversa
è la posizione del proprietario incolpevole, il quale, benché non obbligato
alla bonifica (in quanto non ha cagionato neppure in maniera accidentale, il
superamento dei valori stessi), resta comunque pregiudicato nell'ipotesi in cui
il responsabile della contaminazione non provveda alla bonifica. Resta infatti
fermo l'obbligo del Comune di provvedere alle operazioni necessarie, sia pure
con riserva di procedere all'esecuzione in danno dei soggetti obbligati ed al
recupero delle somme anticipate, ed il proprietario incolpevole subirà comunque
il meccanismo onere reale-privilegio speciale immobiliare[2].
Problematiche
parzialmente diverse si pongono nella fase transitoria, con riferimento alla
posizione del proprietario di un sito in cui i livelli di contaminazione siano
superiori a quelli previsti dal provvedimento, in conseguenza di eventi
anteriori all'entrata in vigore del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471.
L'art.
9 del D.M. 471, nel dare contenuto al principio contenuto nel comma 13-bis
dell'art. 17 D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (aggiunto dall'art. 2 del D.Lgs. 8
novembre 1997, n. 389), per il quale "le procedure per gli interventi di
messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale disciplinate dal
presente articolo possono essere comunque utilizzate ad iniziativa degli
interessati", presenta infatti elementi di ambiguità ed incertezza.
Se
da una parte viene chiarito che soggetto interessato alla bonifica è "il
proprietario di un sito o altro soggetto che, al di fuori dei casi di cui agli
articoli 7 e 8, intenda attivare di propria iniziativa le procedure per gli
interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e di ripristino
ambientale"[3]
e si individua la procedura che deve essere seguita in questi casi, non del
tutto lineare sembra essere la disciplina transitoria degli obblighi di bonifica
dettata dai commi 3 e 6 dell'art. 9.
Il primo prevede che: " Qualora il proprietario o altro soggetto interessato proceda ai sensi dei commi 1 e 2 entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, la decorrenza dell’obbligo di bonifica verrà definita dalla regione territorialmente competente in base alla pericolosità del sito determinata con i criteri di cui all’articolo 14, comma 3, nell’ambito del Piano regionale o di suoi eventuali stralci, salva in ogni caso la facoltà dell’interessato di procedere agli interventi di bonifica e ripristino ambientale prima del suddetto termine".
Il comma 6 precisa: "La disposizione di cui al comma 3 non si applica alle situazioni di inquinamento o di pericolo concreto ed attuale di inquinamento determinate da eventi, anche accidentali, verificatisi in data successiva all’entrata in vigore del presente regolamento". Ragionando a contrario si deve allora ritenere che il comma 3 si applichi a situazioni di inquinamento o di pericolo concreto ed attuale di inquinamento determinate da eventi, anche accidentali, verificatisi in data anteriore all’entrata in vigore del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471.
Desta quindi perplessità la formula usata dal comma 3 il quale parla di decorrenza dell’obbligo di bonifica, con riferimento ad uno stato di contaminazione del sito che, in realtà, è fondato su parametri introdotti da un provvedimento successivo al verificarsi dell'evento.
Occorre
allora da chiedersi come mai venga definito obbligatorio un comportamento che,
applicando a rigore i principi in tema di irretroattività della legge, tale non
dovrebbe essere (la bonifica si dovrebbe ritenere doverosa solo per i fatti
verificatisi dopo l'entrata in vigore del D.M. n. 471[4]).
Inoltre il proprietario del sito che non sia responsabile dell'evento di
contaminazione, non è comunque tenuto alla bonifica, pur rimanendo la sua
posizione pregiudicata quanto al recupero delle spese anticipate dal Comune, a
seguito dell'operatività del meccanismo di cui ai commi 10 ed 11 dell'art. 17
D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.
Le
risposte possibili sono due.
In una prima opzione si potrebbe sostenere che il proprietario di un sito in cui si manifestino situazioni di inquinamento o di pericolo concreto ed attuale di inquinamento determinate da eventi, anche accidentali, verificatisi in data anteriore all’entrata in vigore del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, ha facoltà di procedere alla bonifica ma, una volta effettuata la comunicazione di cui al comma 1 dell'art. 9 cit., ha l'obbligo di ultimare il procedimento avviato d'iniziativa.
In una diversa angolazione si potrebbe invece ritenere che il legislatore abbia implicitamente affermato il principio per cui il proprietario dell'area non obbligato alla bonifica ( o perché non vi è tenuto, trattandosi di evento anteriore all'efficacia degli standards, o, con riferimento a fatti successivi, perché del tutto incolpevole), il quale rimanga inerte di fronte a situazioni di contaminazione, omettendo di prendere provvedimenti di messa in sicurezza e di bonifica, contribuisce comunque a cagionare, per effetto del permanere e del diffondersi della contaminazione, il pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti se non addirittura il superamento di questi[5].
È
chiaro che una risposta affermativa introdurrebbe profili di estremo rigore
nella gestione ed amministrazione degli immobili. Il proprietario, infatti, non
avrebbe solo la convenienza ad attivare il meccanismo di bonifica ( al fine di
evitare il meccanismo dell'onere reale e del privilegio speciale immobiliare),
ma sarebbe destinatario di un vero e proprio dovere di vigilanza sulla salubrità
del fondo. Nei suoi confronti scatterebbe non soltanto la responsabilità
civilistica per l'omessa bonifica, ma anche quella penale di cui all'art. 51 bis
del D.Lgs 22/1997.
A
tali perplessità occorre rispondere in due modi.
Sotto
il profilo pratico è opportuno procedere immediatamente a far verificare se gli
standards introdotti dal D.M. 471 siano stati superati. Tale autocontrollo
consentirà un duplice risultato.
Da
un lato può introdurre certezza e trasparenza in vista di eventuali trattative
commerciali dirette alla alienazione del sito o alla sua cessione in uso a
terzi. In secondo luogo consentirà di escludere, sul versante dei controlli
(ricordiamo che l'art. 8 del nuovo decreto disciplina l'ipotesi in cui soggetti
ed organi pubblici - senza alcuna distinzione- accertino nell'esercizio delle
proprie funzioni istituzionali una situazione di inquinamento o di pericolo di
inquinamento), la penale responsabilità nell'ipotesi in cui, a seguito di
un'attività di verifica, si effettuino prelievi dal fondo inquinato e dalle
successive analisi risulti il superamento dei parametri di cui all'allegato 1)
del D.M. 471. In tal caso, infatti, è onere del proprietario provare la
mancanza di colpevolezza, ovvero che il fatto da cui ha preso origine
l'inquinamento si è verificato in epoca anteriore all'entrata in vigore del
decreto, poiché per l'organo accertatore ( il quale può intervenire sia a
sorpresa che su delega dell'Autorità giudiziaria) è sufficiente provare che,
in quel determinato momento storico, successivo all'entrata in vigore del D.M.
471, gli standards da questo previsti sono stati superati.
Al
di là dei suggerimenti pratici, resta certamente il dubbio sulla effettiva
portata del concetto di pericolo di inquinamento, atteso che il D.M. 25 ottobre
1999, n. 471 non individua dei parametri certi superati i quali si determina una
situazione di pericolo. Questa, in sostanza, continua ad essere rappresentata in
modo vago e generico come mera probabilità che i valori di concentrazione
limite di cui all'allegato 1) possano essere superati. Nessun riferimento
concreto viene fatto per individuare il momento in cui si determina uno stato di
pericolo tale da rendere obbligatorio il procedimento di bonifica, tanto che
verrebbe da chiedersi se la fattispecie penale non pecchi di indeterminatezza e
genericità.
Operata questa ricognizione di carattere generale, è opportuno affrontare il problema della corretta rappresentazione nel bilancio delle varie situazioni connesse alla contaminazione del sito.
È
noto come i rischi ambientali influenzano ed influenzeranno sempre di più la
situazione economica-finanziaria delle imprese, per cui si rende necessario
formare bilanci che diano conto agli azionisti ed ai terzi del pericolo,
presente e/o futuro, nascente da una politica aziendale tesa a mantenere e/o a
rimuovere tutte quelle situazioni che possono aver arrecato danni di natura
ecologica ai propri cespiti.
Per
far sì che le imprese, attraverso la contabilizzazione delle informazioni
sull'incidenza dei rischi e degli oneri di natura ambientale, diano un quadro
chiaro e veridico sulla situazione dei danni, eventuali e non, è necessario
procedere preventivamente ad una attenta valutazione della dimensione del
rischio ecologico e degli oneri ad esso connessi.
Tale
corretta rappresentazione è per giunta doverosa, poiché omissioni o falsità
sono sanzionate penalmente.
L'art.
2621 c.c. (False comunicazioni ed illegale ripartizioni di utili o di acconti
sui dividendi) prevede infatti che, " salvo che il fatto costituisca reato
più grave, sono puniti con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da
lire due milioni a venti milioni, i promotori, i soci fondatori, gli
amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori, i quali nelle
relazioni, nei bilanci o in altre comunicazioni sociali, fraudolentemente
espongono fatti non rispondenti al vero sulla costituzione o sulle condizioni
economiche della società o nascondono in tutto o in parte fatti concernenti le
condizioni medesime". Va però precisato che l'erronea valutazione delle
attività e passività della società è insufficiente a concretare il reato di
false comunicazioni sociali, il cui elemento soggettivo richiede l'intenzione di
porre in essere una situazione ingannevole. Ed infatti il legislatore, con la
norma di cui all'art. 2621, n. 1, cod. civ., ha inteso assicurare il leale
esercizio dell'attività economica, la quale può venire lesa portando, con
qualsiasi mezzo, a conoscenza dei soci, dei creditori presenti e futuri e, in
genere, dei terzi interessati, fatti non corrispondenti alla reale gestione
della società. Occorre in altri termini che la falsa rappresentazione sia posta
in essere con il proposito di trarre in inganno e, nel contempo, di conseguire
un ingiusto vantaggio, anche se non è necessario né una volontà di recare
danno ad altri, né l'effettivo conseguimento del vantaggio.
[Cass.
pen., Sez. V, sent. n. 2493 del 22-03-1983 (cc. del 17-12-1982), Bianchi (rv
158017)].
Il
principio della irrilevanza penale delle erronee rappresentazioni contabili
eseguite in buona fede, trova ora conferma nell'art. 7 del D.Lgs 10 marzo 2000,
n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto, a norma dell'art. 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205, in Gazz. Uff.
31 marzo 2000, n. 76), per il quale non sussistono i reati di dichiarazione
fraudolenta mediante altri artifici e di dichiarazione infedele (
rispettivamente previsti dagli artt. 3 e 4 del nuovo provvedimento) in presenza
di rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione
dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza ma sulla base di
metodi costanti di impostazione contabile, nonché di rilevazioni e valutazioni
estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati sono stati
comunque indicati nel bilancio. Applicando tale norma alla materia della
bonifica dei siti deve dirsi che, qualora si intenda procedere ad annotazioni
contabili particolari, occorrerà comunque darne conto nel bilancio in modo che
il processo seguito sia pienamente individuabile e riconoscibile.
In
ogni caso le vicende connesse alla bonifica, al pari di tutte quelle che
incidono sulla situazione economica della società, devono essere rappresentate
in base ai criteri di chiarezza e precisione che vanno posti in correlazione con
il principio di verità, in quanto strumentali all'esigenza che il bilancio
medesimo assolva alla funzione di informare compiutamente sulla reale situazione
economica e patrimoniale della società, a tutela dei soci e dei terzi, e vanno
altresì coordinati con il l'obbligo di analiticità dell'esposizione delle
poste attive e passive. Obblighi, questi, da rispettare anche per evitare vizi
di nullità del bilancio, a prescindere dalla rilevanza penale dell'illecito. Va
infatti ricordato che in una recente decisione a Sezioni Unite la Cassazione
civile (sent. n. 27 del 21/02/2000, ric. Lombarda Petroli SpA, res. Bontadini ed
altro), ha affermato che: " Il bilancio d'esercizio di una società di
capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall'articolo
2423, comma secondo cod. civ. (anche nel testo anteriore alle modificazioni
apportate dal D.Lgs. n. 127 del 9 aprile 1991), è illecito, ed è quindi nulla
la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato, non soltanto
quando la violazione della normativa in materia determini una divaricazione tra
il risultato effettivo dell'esercizio (o il dato destinato alla rappresentazione
complessiva del valore patrimoniale della società) e quello del quale il
bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio
stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l'intera gamma delle
informazioni che la legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste
iscritte".
In
applicazione di tali principi va precisato che, qualora effetto della
contaminazione il danno ambientale provocato a carico dell'area non sia
eliminabile con la bonifica (ad esempio
in tutti i casi in cui occorre procedere ad interventi di messa in
sicurezza permanente) ed incida in modo permanente
ed irreversibile, fino a provocare una diminuzione sostanziale del valore
effettivo del cespite, si rende necessario, conformemente a quanto previsto
dall'art. 2426 punto 3, c.c. apportare rettifiche, in diminuzione, del valore
dell'area; tuttavia il valore da iscrivere non deve scendere al di sotto del
valore reale del cespite.
Diversamente
occorre operare nel caso in cui il danno sia reversibile, cioè si possa
eliminare per effetto dell'intervento di bonifica. Possono quindi farsi le
seguenti ipotesi.
1)
L'intervento di bonifica deve essere ancora attuato
In
tal caso se il responsabile è persona diversa dal proprietario del fondo e si
è già attivato per realizzare la bonifica nessuna annotazione deve essere
fatta, salvo poi a verificare se, all'esito dell'intervento residui un danno
irreversibile al terreno. A quel punto si dovranno apportare rettifiche, in
diminuzione, del valore dell'area.
Qualora
invece l'impresa sia responsabile della contaminazione e, quindi, obbligata alla
bonifica, o comunque, sia interessata alla stessa tanto da aver attivato il
meccanismo previsto dall'art. 17, comma 2 D.Lgs 22/1997 si potrebbe rendere
applicabile il documento n° 19 della Commissione per la statuizione dei
principi contabili, il quale, prevede al punto C.V.g : nel
caso in cui un impresa per effetto di proprie attività causi danni all'ambiente
ed al territorio ed in tal senso debba sostenere oneri per il disinquinamento od
il ripristino, deve accantonare tali oneri in un apposito fondo del passivo
dello stato patrimoniale denominato Fondo recupero ambientale. Tale
soluzione è opportuna anche per quanti siano proprietari di aree contaminate da
eventi verificatisi prima dell'entrata in vigore del D.M. 471/1999 i quali non
abbiano optato per il meccanismo di cui all'art. 9 del decreto. In questo caso,
per le ragioni anzidette, non è da escludere che, con il passare del tempo la
situazione di contaminazione si aggravi fino ad integrare una vera e propria
situazione (attuale) di pericolo di contaminazione (od aggravamento di essere,
tale da rendere obbligatorio l'intervento in precedenza meramente facoltativo.
La
creazione di tale fondo, però, presuppone una stima attendibile, anche se
approssimativa, delle spese da sostenere per la futura bonifica.
In
ogni caso gli oneri per futuri interventi di bonifica delle aree, andrebbero
rilevati tra i conti d'ordine; l'impresa proprietaria dell'area sarà tenuta ad
illustrare nella Nota Integrativa ai sensi dell'art. 2427 numero 9 c.c. gli
impegni derivanti da garanzie su beni sociali non risultanti dallo Stato
Patrimoniale.
2)
L'intervento di bonifica è già stato attuato.
Si
è in presenza di "costi ecologici" (o spese ecologiche), definiti dal
"Document of the accounting advisor
forum" come quelli che derivano da misure prese da un impresa, o da
altri che agiscono in suo conto, allo scopo di tutelare risorse rinnovabili e
non, e di impedire, ridurre o porre rimedio ai danni che l'impresa, nel corso
della sua attività, ha arrecato o potrebbe arrecare all'ambiente circostante.
Questi costi contengono sicuramente quelli, resi obbligatori
al superamento di determinati limiti, previsti dal D.M. 25.10.99 n° 471.
Quindi, tutti gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino
ambientale delle aree inquinate, effettuati obbligatoriamente o volontariamente
dall'impresa, sono da qualificare, in prima analisi, come veri
e propri costi, assimilabili ai costi di manutenzione o riparazione
ordinaria, da imputare al conto economico.
Se
in luogo del responsabile o del proprietario sia poi intervenuto il Comune, in
applicazione dei commi 10 ed 11 dell'art. 17, D.Lgs 22/1997, le spese sostenute
dall'Ente in sostituzione delle imprese, essendo garantite da privilegio
speciale immobiliare, potrebbero essere appostate in bilancio tra i debiti con
garanzia reale su immobili.
Va
infine precisato che le multe e le sanzioni (penali o amministrative) ricevute
per infrazione alla normativa ambientale sono state escluse dalla definizione di
costi ecologici dal "Document of the
accounting advisor forum", per cui vanno iscritte nella voce B.14
del conto economico tra gli oneri diversi di gestione. Tra i conti d'ordine,
quali impegni non risultanti dallo Stato patrimoniale potrebbero trovare
collocazione anche le stime per
eventuali future sanzioni e/o multe derivanti da danni ambientali provocati alle
aree.
Pasquale
Fimiani
[1] In tal senso F. Troilo, Bonifica e ripristino dei siti inquinati: rilievi «civilistici», n. 12/97, pag. 971; F. Giampietro F., Bonifica dei siti inquinati: dal d.lgs. «Ronchi» al «Ronchi bis», n. 1/1998, pag. 74 ; R. Russo, Bonifica e messa in sicurezza dei siti contaminati: osservazioni sull’art. 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, in Riv. giur. dell’ambiente, n. 3-4/98, pag. 437; P. Pagliara, Bonifica dei siti inquinati: dibattito ancora aperto, Parte 2, in Ambiente, n. 9/98, pag. 744.
[2] Per approfondimenti sul tema si rinvia a S. BELTRAME, Danno ambientale e responsabilità civile: il ruolo del proprietario del sito contaminato, in questa rivista, n. 2-3/2000, pagg. 20 e segg.
[3] Secondo l'inciso contenuto nel primo comma della norma. Gli artt. 7 ed 8 disciplinano rispettivamente le ipotesi dell'obbligo di notifica del pericolo di inquinamento da parte di chi cagiona l'evento ( anche in maniera accidentale) e di ordinanza comunale con cui si diffida il responsabile dell'inquinamento ad adottare i necessari interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e ripristino ambientale ai sensi del regolamento.
[4] La piena applicazione del principio di irretroattività dovrebbe poi portare alla conclusione che, in caso di situazioni di inquinamento o di pericolo concreto ed attuale di inquinamento determinate da eventi accidentali, verificatisi in data anteriore all’entrata in vigore del D.M. 25 ottobre 1999, n. 471, il meccanismo onere reale - privilegio speciale non potrebbe funzionare.
[5] Sembra propendere per questa impostazione R. Russo, Bonifica e messa in sicurezza dei siti contaminati: osservazioni sull’art. 17 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, cit., per il quale ipotizza che " l'obbligo sussista anche nei confronti di coloro che hanno la disponibilità di aree in cui vi sono situazioni pregresse di contaminazione non inertizzate e che, quindi, omettendo di prendere provvedimenti di messa in sicurezza e di bonifica contribuiscono a cagionare ( o perlomeno con la loro inazione contribuiscono al permanere ed al diffondersi della contaminazione) il pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti. Se questa esegesi è corretta, la norma avrà non solo il valore di un canone di diligenza per il futuro, ma andrà a regolare situazioni la cui causa prima si è verificata antecedentemente all'entrata in vigore della legge e l'applicazione della norma potrebbe essere invocata anche nei casi di cd " migrazione passiva" dei contaminanti presenti nel terreno anche da epoche molto lontane nel tempo".